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Autore: Nescio17    17/09/2020    0 recensioni
1920
L'Inghilterra è profondamente segnata dalla guerra, ma nell'ombra e tra i quartieri bui, una famiglia riesce a farsi strada.
Sono le sorelle Hall, rimaste orfane a causa della guerra. Questo non le ha scoraggiate dal portare avanti le attività storiche della famiglia: nei meandri di Liverpool, i Poison Absinthe, hanno costruito un impero attorno a scommesse, mercato nero, ma soprattutto vendendo il miglior assenzio di tutta la Gran Bretagna.
Il lavoro della banda sarà riposto nelle mani delle sorelle e gli affari nelle loro scelte.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Ester se sei pronta io vado, mi raccomando discrezione come solo tu sai.” Disse Mag, inserendo gli ultimi proiettili nella fidata Enfield: quel pezzo di metallo che tanto odiava suo padre perché gli ricordava gli americani del far west. La sorella annuì e se ne andò nascosta dalle tenebre insieme ai loro uomini: Mag si incamminò poco dopo, assaporando quella passeggiata in notturna nella sua Liverpool malfamata. Non era una città altolocata, una cittadina di marinai e raccoglitori di carbone, non era niente di eccezionale, ma era sua e nessuno avrebbe potuto metterci le mani finché lei e le sue sorelle avrebbero respirato. Lo conosceva a menadito, tutte le strade, i vicoli, i portoni e le locande: nessuno fuggiva alla sua egemonia e per quanto venisse considerata una delinquente dal governo, lì era tutto perfettamente normale. Nessuno si era mai lamentato del suo operato, era una donna con dei sani principi, sane convinzioni e abitudini: a parte il fumo, non beveva e non assumeva sostanze di contrabbando che aveva deciso di non spacciare. I Poison Absinthe erano gli unici di tutta Liverpool che non fornivano certe sostanze pericolose e che creavano una dipendenza allucinante e lei lo sapeva bene: li aveva visti gli uomini stravolti dalla cocaina o intontiti dall’oppio. 

 

Una leggera pioggerella iniziò a bagnarle il cappotto pesante che l’avrebbe protetta dall’umidità, così come il cappello in feltro calato come sempre a coprire lo sguardo: non amava farsi riconoscere dalle fattezze, la gente la riconosceva grazie al cappello e al passo deciso. Imboccò Renfrew street e subito sentì rintoccare il vecchio campanile: sì, perché nella peccaminosa e lussuriosa Kensington c’era una piccola cappella che la sua famiglia aveva deciso di erigere in onore di quel Dio tanto caro agli uomini della malavita. Controllò l’orologio da taschino accertandosi che non fosse rimasto indietro e poi circospetta osservò la via stretta e poco illuminata: notò un bagliore provenire dalla finestra della locanda di Ruby e seppe che i suoi uomini erano piazzati. 

 

Non era tesa, però una leggera elettricità la circondava, come se da un momento all’altro avesse potuto sprigionare dei fulmini lei stessa: Mag era così, una tempesta in quiete che aspetta di scatenare l’inferno e forse il suo nome le rendeva giustizia. Magdalene, la prostituta redenta grazie  al Signore, il vizio che diventa virtù, l’inferno che diventa paradiso. I loro genitori aveva assegnato a ciascuna un nome biblico così che tutte si ricordassero da dove erano venute e dove sarebbero tornate: tra le braccia del Signore. O forse avevano solo voluto fare uno scherzetto proprio al grande capo: le cinque donne bibliche dedite all’illecito, al vizio e alla perdizione. 

 

Come un lampo a ciel sereno, Mag intravide l’ombra di un uomo avvicinarsi silenziosamente e con una certa lentezza, i lineamenti che si fecero chiari solo quando sostò alla luce di un lampione che non funzionava nemmeno del tutto: il cappello gli copriva gli occhi e il lungo cappotto nero nascondeva la forma fisica. Mag si avvicinò tranquillamente tirando fuori una sigaretta: prontamente l’uomo sfilò l’accendino dalla tasca e gliela accese, la mano a coppa per nascondere la fiamma dall’ira del vento e dalla pioggia. Mag tirò una lunga boccata soffiando poi il fumo con il suo solito fare: glielo stava dicendo, era lei il capo e nessuno l’avrebbe contraddetta. Finalmente Mag potè vedere i lineamenti del volto quando si scostò di poco il cappello in segno di saluto: gli occhi verdi chiari, come prati estivi, il naso ben delineato, il mento evidenziato da una leggera peluria scura, il sorriso maligno di chi sa che quel cane non lascerà tanto facilmente l’osso.

 

“Che piacere rivederti Magdalene.” Disse, la voce profonda e graffiata dal fumo: anche lui decise che fosse il momento ci accendersi una sigaretta. Posò il suo sguardo impertinente in quello di Mag che lo sostenne, per niente cedevole a due begli occhi: era stata fatta una dichiarazione di guerra e lei l’avrebbe vinta. 

 

“Non posso dire lo stesso Mallory.” Disse sbuffando del fumo: la nuvola si addensò di fronte al suo sguardo di marmo. Niente era lasciato al caso, nemmeno un gesto. 

 

“Da quando sei così formale con i Black Hands?” Disse sorridendo e aprendo le braccia come se volesse accogliere una sua vecchia amica, ma Mag stava pensando a tutto tranne che a ridere: le prudevano le mani, come osava prendersi gioco di lei? Come se si fosse dimenticata il passato. 

 

“Da quando le tue sudice mani da minatore del cazzo si sono posate sulle mie prostitute d’alto borgo.” Disse, la voce sempre neutra, ma carica di odio e rancore, il volto impassibile. Quel figlio di nessuno era arrivato nel suo dominio e con i suoi uomini aveva pensato di poter dettare legge dove li la legge la facevano lei e le sue sorelle: dopo che i suoi genitori erano morti era stato difficile prendere il potere e farsi rispettare da tutti. Numerose volte i suoi zii si erano opposti alle decisioni che il padre aveva preso prima di dire addio al mondo dei vivi, redigendo un testamento apposito. 

 

“Cosa vai dicendo Mag, lo sai che noi non ci azzardiamo ad entrare nei tuoi territori!” Disse come se fosse una verità assoluta e certa, quasi offeso dal fatto che lei gli avesse mosso un’accusa del genere. Mag si stava spazientendo notevolmente ed era sempre più convinta che un bel colpo tra gli occhi avrebbe giovato ad entrambi. 

 

“Primo, cortesemente usa il mio nome di battesimo, secondo - gettò il mozzicone ormai consumato e se ne accese un’altra - non mi prendi di certo per il culo. Gregor ha cantato come un uccellino, forse perché ritiene che io possa essere sicuramente più pericolosa di un branco di idioti come voi.” Disse tirando e incenerendolo con lo sguardo: il gioco si stava facendo arduo. Mason la fissò silenzioso cercando di capire quale mossa avrebbe causato meno disastri in quella situazione spinosa: non era stupido e Mag lo sapeva, ma lei ragionava in entrambi i modo, uomo e donna. Dio le aveva donato il regalo più bello che potesse farle: essere donna in mezzo a uomini saggi. Era così che lei aveva appreso da suo padre, da suo nonno e dai suoi zii: silenziosa come un fantasma aveva carpito i segreti del mestiere dai migliori in circolazione. 

 

“Gregor non è stato difficile da corrompere, conosciamo i suoi vizietti dalle nostre parti. Questo però non era un affronto, sai noi Black Hands abbiamo bisogno di nuovi mercati e siccome qua c’era odore di affare ne abbiamo approfittato, si chiama legge del mercato… Magdalene.” Calcò la voce sul suo nome, come se quello desse più significato al quel mucchio di stronzate che aveva raccontato: ma lei non ci cascava.

 

“Sai, ieri ho avuto un incontro con i Breakbone, sai quei cari ragazzi di Manchester. Sono stati proprio gentili, abbiamo per così dire stretto un “accordo” - sottolineò la frase con deliberata lentezza tirando una boccata da quella sigaretta che non era mai stata così buona, lo sguardo granitico su di lui - Ci siamo accordati sugli smerci marittimi, come ben sai le nostre due belle città guardano quel mare putrido inquinato dal carbone che tu e i tuoi gestite.” Si fermò per far comprendere l’intero discorso a Mallory che ora la guardavo con sguardo incerto: cosa si era inventata questa volta? 

 

“Si erano lamentati che voi Black Hands mettevate troppo il naso nelle loro navi che tutti i giorni partono e ritornano, così mi ha chiesto una certa solidarietà, se vogliamo chiamarla così. - la pioggia che batteva incessante sui solo abiti e sulla superficie distrutta della strada - Ci siamo smezzati gli sbarchi di carbone in modo che voi dobbiate rimanere sotto il nostro controllo per i vostri affari.“ Disse infine trionfa, soffiando una bella boccata appena presa: a giocare con il fuoco si rischia di bruciarsi e Mallory si era completamente ustionato. La guardò in cagnesco, ancora non certo delle parole della ragazza: strinse i pugni gettando il mozzicone ormai terminato della sigaretta. 

 

“Daniel non può decidere cosa fare del mio carbone e lo sai anche tu!” Cercò di recuperare un po’ di buon senso: non poteva essere successo davvero, nessuno poteva fregargli sotto il naso le sue navi ricolme di quell’oro nero tossico. 

 

“Vorrei ricordarti che avevi un accordo un po’ deludente con lui: lasciava passare le tue navi a patto che tu non ti impicciassi dei loro affari mercantili e gli cedessi il venti percento dei guadagni e ti occupassi delle guardie - disse lanciandogli una sfida con gli occhi - Io gli ho offerto il trenta per cento, una ragionevole sicurezza nei miei territori, la possibilità di smerciare la sua droga da me. In cambio, ho ottenuto i suoi porti, la tua espulsione, una quota sui cavalli e un guadagno sulle loro fabbriche di acciaio che tanto mi facevano gola.” Disse chiudendo definitivamente il discorso: lei faceva i fatti, non giocava con le bambole, se voleva un affare lo creava e infine lo concludeva. Si fumò la sua sigaretta tranquillamente osservando il volto ormai pietrificato dell’uomo, sconvolto da quella situazione surreale: non ci poteva credere, gli aveva soffiato sotto le mani un affare che gli era costato anni di lavoro e organizzazione. In pochi passi azzerò la distanza che intercorreva fra i due, le gocce di pioggia che ormai grondavano dal cappello zuppo. La afferrò per un gomito con forza, ma Mag rimase tranquilla, la sigaretta stretta tra le labbra. 

 

“Da quando sei diventata così meschina?” Disse sussurrandole vicino al volto, ormai a pochi centimetri dal suo, il fumo avvolse i loro volti.

 

“Forse lo sono sempre stata. Non venirmi a fare la morale, non ti si addice - disse sistemandogli il colletto del cappotto che nella foga si era spostato, la sigaretta stretta tra le mani ferme e impassibili - suvvia, sono sicura che riuscirai a fare altri affari. Le mie fonti mi hanno informato che hai messo le mani un po’ ovunque.” Disse tranquillamente scrutando il suo sguardo attraversato da una certa dose di delirio: l’aveva fatta grossa, ma era così che ci si faceva strada, non facendo l’elemosina e nascondendosi dietro un dito. 

 

“Ricordati una cosa sola, se proverai a rimettere le mani nei miei di affari ti spedirò direttamente dal grande Capo.” Disse indicando in cielo con il dito, lo sguardo serafico e intransigente. 

 

Chi giocava con il fuoco rischiava di bruciarsi e stavolta aveva scatenato un bell’incendio. 

 
   
 
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