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Autore: SkyDream    19/09/2020    1 recensioni
Dopo la sconfitta del Padre, Roy e Riza continuano a lavorare per fondare Nuova Ishval e riportare Amestris alla pace.
A seguito degli eventi del Giorno della Promessa, i due cominciano ad avvicinarsi e a diventare sempre più intimi. Roy è sempre stato molto protettivo nei suoi confronti, ora anche un po' geloso, per questo non può fare a meno di andare su tutte le furie quando un nuovo Generale tenta di portarla via da lui.
Peccato che le cose non siano così semplici e che i pericoli sembrano non smettere mai.
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Dal testo:Sapeva di non poter fuggire da lì, non sarebbe nemmeno riuscita a far fuori quei tre che la seguivano, inoltre ne mancava ancora uno all’appello. Era sicura di aver visto un terzo scagnozzo.
Afferrò un fucile e si arrampicò sul secondo piano del letto, ebbe il tempo di premere quattro volte il grilletto fuori dalla finestra prima che una lama le si conficcasse su un polpaccio.
«Ottimo, mi mancava solo il tuo sangue, Howkeye».
Era arrivato
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Riza Hawkeye, Roy Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~ Promessa di Fuoco ~

 
«Che faccia scura stamattina, Generale.» Havoc entrò in un ufficio con la sua solita stampella, la fisioterapia faceva progressi e presto sarebbe tornato abbastanza in forma da potersi dare alle missioni.
«Taci, Havoc. Queste scartoffie mettono già a dura prova la mia pazienza.» Rispose Roy con tono lapidario. Il volto pallido e le occhiaie scure facevano presagire una giornata poco divertente per tutta la divisione.
«Più tardi le consiglio una pausa caffè, Generale. Avrei delle cose inerenti il lavoro da chiederle.» Havoc si allontanò dalla scrivania di Roy prima che quest’ultimo potesse lanciargli uno di quei fermacarte di marmo con cui adorava giocherellare.
L’orologio della chiesa lì vicino suonò le otto del mattino.
Gli altri membri della divisione scambiarono quattro chiacchiere e qualche sbadiglio prima di dedicarsi nuovamente ai loro compiti.
La costruzione di Nuova Ishval e la trasformazione dell’intera Amestris non era facile da amministrare, ma ognuno di loro continuava a lavorare assiduamente senza mai lamentarsi.
Erano felici di poter finalmente cambiare qualcosa.
Roy perse una buona ora del suo tempo concentrandosi su un fascicolo particolarmente ostico, si era immerso talmente tanto che quando finalmente terminò di leggerlo gli scoppiò un tremendo mal di testa.
«Cielo, la settimana prossima mi dedico solo a dei casi che prevedano pedinamenti e inseguimenti!» Sbottò portando le mani al viso e lasciandosi scivolare sulla sedia.
«Quello è compito dei pesci piccoli, Generale di brigata Mustang! A lei tocca il lavoro sporco.» Havoc rise dietro i baffi, aspettando il suo trauma cranico che - stranamente - non arrivò.
Roy sembrava perplesso. Teneva in mano il suo orologio da alchimista di Stato e fissava le lancette senza mutare espressione.
«Sono quasi le nove.» Asserì serafico.
«Sì, è strano che il Maggior Hawkeye non sia ancora arrivata. Che si sia addormentata?» Fury era quello che maggiormente ne risentiva della mancanza di Riza, le era sempre molto utile a lavoro grazie al suo acume.
Roy non proferì parola, si alzò dalla sedia e uscì richiudendosi la porta alle spalle.
«Generale Mustang! Mi aspettavo la sua presenza ieri, o almeno quella di uno dei suoi uomini!» Il Comandante Grumman si avvicinò zoppicando leggermente. L’età si faceva evidentemente sentire.
«Comandante, ho delegato l’invito alla mia sottoposta, il Maggiore Hawkeye».
«Mustang, ieri non mi è parso proprio di vedere il Maggiore.» Grumman si grattò la testa come se cercasse di ricordare qualcosa. Effettivamente era successa una cosa strana, si era addormentato di punto in bianco durante la festa e sua moglie aveva dovuto insistere un po’ per svegliarlo. Era senz’altro colpa del troppo vino che aveva bevuto, ne era certo.
«Il Maggiore doveva essere in compagnia del Generale Koichi, Comandante.» Roy cominciava a sentire l’ansia mordergli lo sterno. Provava l’irrefrenabile voglia di scappare da lì e cercare Riza.
Troppe cose cominciavano a non piacergli.
«Certo che ne dice di cose strane stamattina. Io non conosco alcun Generale Koichi, né qui né nelle altre città mi è sembrato di sentirlo mai nominare».
 
-
«Cosa diavolo è successo?»  Riza si sollevò dal letto e finì per sbattere la testa contro un’asta di metallo. Si portò una mano alla fronte, trovandola leggermente sanguinante.
Quella piccola botta doveva averle riaperto la ferita.
La ferita? Quando si era ferita alla testa?
Cercò di ricordare mentre, lentamente, si sedeva sul materasso. Si sentiva indolenzita come se avesse lottato corpo a corpo con qualcuno.
Cercò la sua pistola di ordinanza, ma vanamente. Dov’era?
Si strofinò gli occhi, ritrovandosi stavolta le dita colorate di ombretto.
«Trucco? Già, stavo andando alla cena del Comandante. E poi? Ero con il Generale Koichi.» Lentamente i ricordi si fecero spazio nella sua mente.
 
«Generale Koichi, il suo ufficio è all’interno del carcere abbandonato?» Chiese Riza rimanendo al suo fianco.
La lunga struttura si stagliava verso l’alto, come un edificio fatiscente ormai in disuso. Anni prima ne era stato indetto lo smantellamento ma, nell’effettivo, non era mai avvenuto.
Molti senzatetto si rifugiavano lì dentro, spesso Riza e Roy vi erano dovuti andare per cercare delle informazioni. Lo conosceva bene.
«Entra pure, Maggiore Hawkeye.» Il Generale Koichi la spinse in avanti con una mano, poi le chiese la pistola d’ordinanza.
Riza la afferrò e, senza dire alcuna parola, la puntò contro la fronte dell’uomo davanti a sé.
Non mutò minimamente espressione.
«Non credo ti convenga.» Ammise lui rivolgendo lo sguardo ai tre uomini che le circondavano le spalle. Tutti e tre avevano armi diverse: un fucile, una pistola ed un coltello.
Riza poggiò la pistola tra le mani dell’uomo, in silenzio continuò a farsi guidare lungo i corridoi.
Arrivati di fronte ad una stanza, Koichi le aprì la porta.
Facendo finta di entrare, la donna lo assalì piegando l’avambraccio contro il suo collo e spingendolo verso di se, tentando di strangolarlo.
L’uomo, si abbassò prendendole la schiena e scaraventandola davanti a sé.
Riza vide tutto ruotare e poi il buio.
 
Sospirò pesantemente cercando un modo per poter uscire di lì. Non aveva nemmeno la più pallida idea del perché l’avessero rapita.
Sicuramente aveva avuto la conferma di come non fosse interessato sentimentalmente a lei, quasi si sentì sollevata.
«Vediamo se si è svegliata?» Una voce proveniente dal corridoio la riportò alla realtà. Sperando di venire a capo di qualcosa, Riza finse di essere svenuta.
Udì il rumore della serratura che veniva aperta e poi, dietro di se, poteva sentire il respiro pesante dei due scagnozzi di Koichi.
«Dorme ancora. Sarà bene che si svegli presto se non vuole che il Boss si arrabbi.» Disse uno dei due, sbuffando alla fine.
«Pare che lei sia la fantomatica Alchimista di Fuoco. Davvero insospettabile!».
«Già, menomale che i nostri informatori ci hanno avvertito che si trovava nell’esercito e che aveva avuto contatti diretti con il famoso alchimista Hawkeye. Chi meglio di sua figlia poteva ereditare il suo grandioso potere?» Chiese retorico l’altro prima di abbandonare la cella.
«Speriamo che si sbrighi a rivelarci i suoi segreti su quest’alchimia, si risparmierà un bel po’ di grane.
I due individui richiusero la cella e continuarono il loro percorso senza aggiungere altro.
“Mi hanno scambiata per Roy?” Pensò lei aprendo a sua volta gli occhi. Avrebbe potuto vuotare il sacco immediatamente, ma l’idea non la sfiorò neppure.
Doveva evitare che Roy venisse coinvolto, avrebbero potuto fargli del male se davvero erano interessati al suo potere.
Cosa fare? Cosa?
 
-
«C’è nessuno?! Maggiore Hawkeye, apri, te lo ordino!» Roy continuava a battere i pugni contro la porta della casa di Riza.
Aveva capito immediatamente che o non era in casa o non stava bene.
Urlare era inutile, ma aiutò a farlo sentire meglio.
Dietro la porta, leggeri, si sentivano i graffi di un animale.
«Black Hayate! Sei tu?» Roy poggiò l’orecchio all’anta di legno e provò ad ascoltare. Il cagnolino sembrava volerlo chiamare con dei versetti, inoltre continuava a graffiare la porta con gli artigli.
«Perdonami, Riza, prometto che ripagherò i danni.» Sussurrò a se stesso. Fece scattare una scintilla sulla serratura, liquefacendola.
«Acciaio sarebbe riuscito senz’altro a fare un lavoro più pulito.» Roy assottigliò un momento le sopracciglia di fronte quella considerazione.
Casa di Riza era ordinata, seppur anche lei non avesse ancora disfatto molti scatoloni. Aprì la porta della camera da letto, trovandola perfetta, con il letto ben stirato e ogni cosa al suo posto.
Provò ad andare in cucina, ma neanche nel lavandino aveva trovato alcun indizio utile.
Black Hayate si avvicinò alle sue ginocchia tentando di salire.
«Buono bello, stai buono.» Roy abbassò lo sguardo, il cane teneva qualcosa in bocca e sembrava porgerlo. Era il distintivo di Riza.
«Se il distintivo è qui, significa che Riza non è mai uscita per venire in ufficio».
Il terrore si fece largo negli occhi del Generale.
Le ciotole dei croccantini e dell’acqua erano vuote, segno che non venivano riempite già da un po’.
Riza la sera prima non era tornata a casa.
 
-
«E’ silenziosa, Maggiore Hawkeye. Il trattamento non è di suo gradimento?»
Uno degli scagnozzi di Koichi rise alle sue spalle, con una mano le teneva le manette dietro la schiena, con l’altra aveva poggiato il pugnale sul suo collo.
Camminarono tra i lunghi corridoi del carcere, Riza si sentiva come uno dei condannati che sta per salire al patibolo.
Cercò di rilassarsi e tenere la mente fredda, con la coda dell’occhio cercò di frugare tra le stanze.
Erano per lo più vuote o ricolme di scatoloni polverosi, solo una colse la sua attenzione: era buia ma potevano essere ben distinte delle armi.
“Devo ricordarmi di questo corridoio” Pensò mentre continuava a camminare con il coltello alla gola.
Era stanca di gente che tentava di ucciderla nella stessa maniera. Avrebbe preferito almeno variare.
Sospirò.
«Ehi tu, smettila di sospirare. Stiamo andando da Koichi, sarà ben per te se vuoterai immediatamente il sacco senza fare storie.» Lo scagnozzo la spinse poi dentro una botola con degli scalini.
Portava ad un corridoio buio e maleodorante, Riza ci mise un po’ per mettere a fuoco il grande cerchio alchemico disegnato per terra.
Delle torce di fuoco erano impresse ai lati del pentagono e al centro, in piedi e con la testa fieramente rivolta verso l’alto, vi era Koichi.
I capelli rossicci gli ricadevano sugli occhi conferendogli un’aria ancora più malvagia. Sorrise.
«Riza Hawkeye, figlia del grande alchimista Hawkeye, ultima Alchimista del Fuoco nonché detentrice del suo ultimo segreto. Allora, ci dirai dove lo nascondi? E’ un libro, una mappa?» Koichi la osservò mentre i suoi scagnozzi la buttavano per terra, ancora con le mani legate.
«Non so di cosa stiate parlando, mio padre non aveva alcun segreto.» Riza sollevò lo sguardo sul suo per mostrargli che non aveva paura.
«Mi hanno raccontato di ciò che l’Alchimista del Fuoco ha fatto ad Ishval, di ciò che ha fatto durante il colpo di Stato qui ad Amestris e non poteva che trattarsi di un livello superiore di alchimia. Allora, Hawkeye? Devo puntarti un altro coltello alla gola?».
«Non puoi uccidermi, non sapresti dove trovare il grande segreto. Eppure, anche se mi lasciassi in vita, non lo sapresti lo stesso.» Riza lo guardò con gli occhi sottili, quasi potesse ruggirgli contro.
Koichi perse le staffe, la afferrò per il colletto della divisa e lasciò che l’energia nel cerchio magico affluisse prima alle torce e poi fino alle sue mani, dove lampi di fuoco cominciarono a incenerire le vesti.
Riza si morse le labbra per non urlare, quel fuoco le stava bruciando la pelle lentamente oltre a consumarle la camicia.
“Il tatuaggio sulla schiena! Se si brucerà la stoffa lo vedranno!” Gli occhi le si riempirono di paura, con un salto riuscì a portare il ginocchio sotto il mento di Koichi, allontanandolo di botto ed esaurendo le sue fiamme.
Riza fece scivolare le manette giù dai polsi e corse via, fino alle scale della botola, uno dei due scagnozzi la seguì, ma lei riuscì a occupargli la vista tirandogli la giacca della divisa sul viso. Mentre era distratto riuscì a sollevarsi con degli anelli incastonati nel muro, spiccò un salto e gli tirò un calcio in faccia talmente forte da farlo rotolare indietro, finendo sull’altro scagnozzo.
«E’ riuscita a liberarsi!» Urlò qualcuno afferrando le manette ormai a terra.
“Noi donne abbiamo tanti segreti e tante forcine per capelli!” Pensò Riza continuando a scappare.
Koichi era infuriato, le fiamme si dilungavano verso l’alto come serpenti eppure - notò Riza - senza il segreto della stoffa d’accensione, non poteva realmente dominarle. Le fissava quella camicia bruciata con occhi ardenti.
Aveva visto.
Riza corse per i corridoi fino a raggiungere la sala delle armi: era una normale stanza da prigione, su due letti erano poggiati dei fucili ed un coltello, in alto si stagliava una piccola finestra con delle inferriate.
Sapeva di non poter fuggire da lì, non sarebbe nemmeno riuscita a far fuori quei tre che la seguivano, inoltre ne mancava ancora uno all’appello. Era sicura di aver visto un terzo scagnozzo.
Afferrò un fucile e si arrampicò sul secondo piano del letto, ebbe il tempo di premere quattro volte il grilletto fuori dalla finestra prima che una lama le si conficcasse su un polpaccio.
«Ottimo, mi mancava solo il tuo sangue, Hawkeye».
Era arrivato.
   
 
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