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Autore: Little Miss Sunshine    18/08/2009    3 recensioni
Diciassette anni, capelli rossi, infinite lentiggini.
-Sembra che tu abbia la varicella!
Non ero la classica ragazza anonima che voleva mostrare di avere carattere.
Non ero la classica ragazza anonima che rispondeva acida.
Diciamo che ero la classica ragazza un po' stronza e popolare che non voleva un ragazzo facile da ottenere, ovviamente.
Possibile che nella mia scuola, carente di ragazzi carini, non si fosse mai parlato di quel ragazzo che meritava sicuramente un posto nella classifica dei più desiderati? Ipotizzai che fosse uno nuovo mentre portavo la tazzina alle labbra per mandare giù il caffé amarissimo. Ad un tratto lui si girò ed incrociò il mio sguardo che gli stava facendo una radiografia da almeno un paio di minuti. Mentre le mie guance si coloravano probabilmente di porpora ed indirizzavo il mio sguardo ficcanaso sul piattino dove posavo la tazzina, lui sorrideva guardandomi per poi tornare a concentrarsi sul suo cappuccino.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Quarto: Perdona i Miei Silenzi.

Mi sciacquai il viso con l’acqua gelida dei bagni dell’ospedale Sant’Eugenio, alzando poi lo sguardo per specchiarmi ed inorridire del mio stesso riflesso. La mia pelle era bianchissima, come la neve, le lentiggini contrastavano esageratamente con quel pallore. Gli occhi azzurri avevano un aspetto stanco, spaventato, accentuato dalle leggere occhiaie che si erano formate e dal rossore dei bulbi oculari. I miei capelli probabilmente erano gli unici ad aver mantenuto un aspetto composto: giovavano ancora dell’effetto della piastra e ricadevo lisci fino all’altezza del seno. Mi asciugai le mani ed uscii dal bagno, incamminandomi lungo il corridoio del pronto soccorso in direzione di Gianluca, Emanuele e Federico che parlavano a bassa voce davanti la porta della stanza dove i medici stavano con Sara ed i suoi genitori. Avevo già avvertito mia madre dell’evento e mi aveva detto di stare tranquilla, di stare lì tutto il tempo che avrei voluto e chiamarla per ogni necessità. Anche lei era infinitamente preoccupata: Sara era come una figlia per lei, la adorava e quell’evento l’aveva scossa indubbiamente.

 Ero giunta al Pronto Soccorso poco dopo che l’ambulanza era partita. Emanuele aveva sciolto quell’abbraccio e mi aveva offerto il casco ed un passaggio in moto. Strano da immaginare, ma non avevo neanche dato fiato alla mia bocca per lamentarmi della mia paura, per chiedergli di andare piano. Mi ero semplicemente messa quell’affare sulla testa e l’avevo allacciato, per poi sedermi silenziosamente dietro di lui stringendomi piano alla sua schiena. La villa di Marika Marchesani si trovava appena a dieci minuti dall’ospedale, ma quel tragitto mi parve infinitamente lungo. Guardavo la città scorrermi affianco senza in realtà accorgermi di dove fossi, quali strade stesse percorrendo, e quando si era fermato, ero scesa sempre senza dire nulla, con lo sguardo vuoto puntato sull’ambulanza parcheggiata di fronte l’ingresso del pronto soccorso. Emanuele aveva messo la catena, l’allarme alla moto e poi mi aveva passato un braccio intorno alle spalle, delicatamente, quasi con la paura di sfiorarmi, e ci eravamo incamminati verso l’edificio, in silenzio. La presenza di Benassi mi dava sicurezza, in fondo, mi dava quel senso di pace che in quel momento necessitavo. Lo guardai un istante, scoprendolo concentrato che fissava la strada davanti a sé, i muscoli tesi ma quell’aria tranquilla. Entrammo nella piccola saletta d’accettazione, mentre tutti gli altri pazienti in attesa di guardavano. C’erano persone di tutte l’età che aspettavano il proprio turno: chi con un piede rotto, chi con un pallore esagerato sul volto.
-Sì, siamo qui per Sara Rossetti.- Emanuele parlava composto con il signore di circa cinquant’anni che era dedito a fare tutte le pratiche dell’accettazione. –Sì, la ragazza arrivata con l’ambulanza poco fa.- Aspettammo un paio di secondi e la porta alla nostra si aprì in uno scatto.
-Prego, si trova nella stanza numero sette.- Ci disse gentilmente, indicandoci la porta. Mi precipitai dentro senza nemmeno aspettare Emanuele ed una volta all’inizio del corridoio vidi in lontananza Gianluca poggiato contro una parete. Corsi il più veloce possibile, o almeno alla velocità che mi permettevano i miei tacchi, e lo abbracciai con forza. Le sue braccia risalirono la mia schiena, stringomi piano contro il suo corpo.
-Shhh..- Sussurrò piano al mio orecchio, cercando inutilmente di calmarmi: le lacrime erano ricominciate a scendere e non avevano intenzione di smetterla. –Stai calma, dai..- Aggiunse con dolcezza, passando le dita fra i miei capelli. Passarono cinque come venti minuti e mi allontanai da lui, strofinandomi gli occhi gonfi. –Hey, ragazzi..- Mi voltai e vidi Emanuele con affianco Federico che stringevano a turno la mano di Gianluca, salutandosi. Probabilmente l’occhiata che lanciai a Federico fu esageratamente truce, visto che il mio migliore amico mi diede un leggero pizzico sul braccio. Evitai tuttavia di salutarlo, mordendomi la lingua per non fare qualche battutina sicuramente acida e poco conveniente.
 -Come sta?- Domandò Federico a Gianluca. Quest’ultimo si strinse nelle spalle, incupendosi.
-Coma etilico.- Una pugnalata sarebbe stata meno efficace, meno dolorosa. Le mie viscere di contrassero e per un momento la mia vista si appannò. Chiusi gli occhi e mi poggiai contro la parete, incapace di ragionare, di parlare. Coma etilico. Le mie paure si erano avverate, il mio terrore era reale ora: la mia migliore amica stava rischiando la morte. Le mie gambe tremarono, divenendo molli e mi sentii improvvisamente più pesante. Sarei caduta a terra se delle forti braccia non mi avessero sorretta. Mi fecero sedere su un qualcosa che non riuscivo a definire e solo allora aprii gli occhi vedendo davanti a me il volto di Federico della Valle.
-Tutto bene?- Mi chiese con premura, passandomi una mano sulla guancia che doveva essere gelida visto quanto bruciava la sua pelle a contatto con la mia.
-Non mi toccare.- Ringhiai con tutte le poche forze che mi erano rimaste. –Non ti basta aver fatto andare in coma Sara?- Alzai la voce, mentre la mia testa ricominciava a girare con forza, facendomi per un attimo oscillare. Federico fu sul punto di rispondere, ma Emanuele poggiò la mano sulla sua spalla, facendolo ammutolire immediatamente. Gianluca passò avanti a quei due e mi fece stendere con delicatezza sulla barella dov’ero già seduta.
-Chiudi gli occhi e riprenditi.- Mi intimò con estrema dolcezza. Annuii, cercando di rilassare tutti i miei muscoli, di sciogliere i nervi. Mi bastarono pochi istanti per azzerare i pensieri, per caderein uno stato di semincoscienza che parve durare settimane, mesi.
Aprii gli occhi improvvisamente, sedendomi di scatto e guardandomi intorno, senza realizzare dove mi trovassi effettivamente. Furono le calde mani di Emanuele, che mi presero il viso, a riportarmi alla calma. Lo guardai negli occhi e velocemente realizzai: ricordai tutto ciò che era successo e riconobbi quel corridoio dalle pareti bianche ed arancioni.
-Quanto ho dormito?- Chiesi in un sussurro, mentre le sue mani si allontanavano e lui si rimetteva dritto in piedi.
-Non più di cinque minuti.- Mi rispose sorridendo. –Gianluca e Federico sono andati a prenderti dell’acqua ed un caffé.- Al secondo nome piegai il mio volto in una smorfia. –Non credere che non gliene freghi niente: è spaventato come tutti noi.- Mi disse, leggendomi quasi nella mente tutti i pensieri negativi che rivolgevo a Federico.
-Non gli importa di Sara.- Risposi prontamente. –E’ qui solo perché ha una coscienza!-
-Che ne sai?- Domandò, facendomi aggrottare le sopracciglia. Cosa voleva dire? –Lo sapevi che a Federico piace Sara da un anno? Non è.. Non siamo i mostri che tu pensi.- Strabuzzai gli occhi incredula: a Della Valle piaceva Sara? Da un anno? Pensare che lei li considerava Off Limits, irraggiungibili. –Ed anche lui era ubriaco, questa sera.. Quindi non ragionava troppo quando continuava ad offrirle da bere..-
-Ti prego non lo giustificare.- Dissi con una nota d’accidia. –Non ha scuse.- Lui annuì, evidentemente d’accordo con ciò che dicevo. Poi ripensai alle sue parole ed aggiunsi con più dolcezza, con più calma. –Non ho mai detto che siete dei mostri.-
-Ci hai dato dei puttanieri. E credimi che non lo siamo.- Mi ricordò lui con una nota quasi di tristezza nella voce. Arrossii violentemente ricordandomi del discorso che gli avevo fatto quando Federico aveva condotto via Sara e mi ritrovai senza nulla da dirgli, improvvisamente. Gli avevo rinfacciato di non calcolarmi mai quando eravano a scuola, di parlarmi solo quando ci ritrovavamo noi due. Grazie a Dio quell’imbarazzante silenzio fu ben presto interrotto da Gianluca e Federico che tornavano parlando tranquillamente, porgendomi poi prima il caffé e poi la bottiglietta d’acqua.
Il caffé amaro scivolò velocemente nella mia gola, bruciando un po’. Strizzai un po’ gli occhi, schifata, per poi aprire in fretta la bottiglietta di plastica, mormorando un “grazie”, evitando accuratamente lo sguardo di Federico. L’acqua fresca quasi mi rivitalizzò e mi ritrovai a respirare più regolarmente, apparentemente più tranquilla. Alzai finalmente lo sguardo e guardai i tre ragazzi con un leggero sorriso, quasi a volerli rassicurare e proprio in quell’istante dei passi veloci, forse troppo, ci fecero tutti voltare in direzione della porta d’ingresso del corridoio.
Franco Rossetti e Alba Schinardi, i genitori di Sara, camminavano velocemente verso dove eravamo seduti noi. Mi passai una mano fra i capelli e poi li feci un cenno con la testa, di saluto. Alba mi si avvicinò, abbracciandomi con dolcezza.
-Grazie per essere venuta.. Per essere venuti.- Si rivolse a tutti noi, prima di seguire il marito nella stanza numero sette. Nel momento in cui aprì la porta riuscimmo ad intravedere il letto su cui era stesa Sara, prima che la porta sbattesse nuovamente. La paura sul viso della madre di Sara mi fece rabbrividire con forza.

 Raggiunsi Emanuele, Gianluca e Federico, con il viso sciacquato che mi donava l’illusione di aver lavato via le mie preoccupazioni. Restava il fatto che noi eravamo lì mentre dentro c’era Sara in coma etilico. La parola coma aveva un tale effetto su di me, ogni volta che la pronunciavo, che necessitavo di poggiarmi alla spalla di Gianluca o di Emanuele.. Inutile dire che evitavo accuratamente di avere contatti con Federico, ancora incapace di guardarlo negli occhi.
Non si sa ancora niente?- Domandai con un filo di voce, sperando in una buona notizia, anche se erano passati appena dieci minuti da quando me ne ero andata per andare in bagno.
-Sono usciti i genitori di Sara,- cominciò Gianluca, guardandomi con aria grave. –e ci hanno detto che è meglio se ci accomodiamo in Sala d’Attesa, se vogliamo restare..Altrimenti possiamo anche tornare a casa.- La sua voce si incupì nuovamente e a quel punto alzai lo sguardo. –Sara non sembra avere intenzione di svegliarsi.. sai non esistendo un "antidoto", la terapia del coma etilico si fonda sulla correzione dell'ipotermia, dell'ipoglicemia e dell'acidosi, ovvero la diminuzione del PH del sangue.. – Mi spiegò, utilizzando quei termini così precisi, così tecnici. -..dobbiamo aspettare e sperare.- Chiusi gli occhi e sospirai, incrociando le braccia al petto ed incamminandomi verso la Sala d’Attesa, lentamente, reggendomi appena su quei tacchi a causa della testa troppo pesante, a causa dei troppi pensieri che l’affollavano. Mi sedetti su una sediola, passandomi entrambe le mani fra i capelli e fissando il pavimento. Sospirai sonoramente, cercando di calmare il mio cuore che come impazzito batteva. Coma etilico. Correzione dell’ipotermia.. Quelle parole così tecniche mi facevano impazzire: non sapevo cosa volessero dire, non sapevo cosa stesse accadendo a Sara.
Emanuele si sedette affianco, me ne accorsi dalla presenza di un paio di scarpe nuove nell’aria che stavo guardando per terra, imbambolata. Alzai lo sguardo ed incrociai il suo, chiudendo poi gli occhi e poggiandomi contro lo schienale.
-Vuoi venire a fumarti una sigaretta con noi?- Aprii gli occhi vedendo Gianluca davanti a me che si rigirava un pacchetto di Camel fra le mani. Scossi la testa debolmente. Passò lo sguardo su Emanuele che a propria volta scosse la testa e se ne andò fuori con Federico, sorridendomi con dolcezza.
-Se vuoi, vai..- Dissi ad Emanuele, guardandolo. -..non devi farmi da babysitter- aggiunsi, cercando di buttarla sul ridere.
-Non fumo.- Rispose molto semplicemente lui, ricambiando il mio sorriso e rilassandosi sulla sediola, alzò lo sguardo sul soffitto. Non dissi nulla, limitandomi a guardare dritto davanti a me, senza in realtà vedere nulla, troppo concentrata a sciogliere i nodi dei miei pensieri. Fui tanto presa da quella complicata impresa che mi addormentai senza nemmeno accorgermene, scivolando con dolcezza fra le braccia di Morfeo. Le braccia che mi accolsero, tuttavia, non furono esattamente quelle della divinità greca ma di una divinità in carne ed ossa che sedeva al mio fianco. Nel sonno sentii Emanuele Benassi abbracciarmi con dolcezza, portando la mia testa sul suo petto e poggiando la sua guancia contro essa. Beandomi di quella posizione, del calore del suo corpo, riuscii a dimenticare per una frazione di secondo tutto: Sara, il coma etilico, Federico.. Come se mi fossi fatta una doccia che avesse lavato via le mie impurità, le mie preoccupazioni, lasciandomi soddisfatta nei confronti del mondo per quel brevissimo istante.

 Affrontare il mio Liceo dopo quel weekend infernale mi sembrava una di quelle sfide impossibili che non sarei mai riuscita a vincere. Mai. Mi veniva da rimettere solamente pensando a quando sarei giunta di fronte al cancello e tutti avrebbero cominciato a pormi le domande su Sara, sul coma, sulla sua situazione. Come avrei potuto rispondere? Mentre aspettavo che Gianluca mi passasse a prendere, cercavo con tutte le forze di non tornare a casa e restarci, evitando di ricordare ancora quella tremenda notte ed il giorno seguente. Avevo passato la domenica chiamando ogni secondo i genitori di Sara, sperando che ci fossero miglioramente, ma alla fine loro mi avevamo liquidata dicendomi semplicemente che mi avrebbero chiamata non appena avessero saputo qualcosa. Erano passate diciotto ore e non era successo nulla, nessuno mi aveva chiamata se non Gianluca. Emanuele mi aveva accompagnata a casa la mattina precedente, salutandomi con una dolce carezza sul viso e l’invito a riposarmi, con la promessa di vederci a scuola.. Vederci a scuola. Certo, ci saremmo visti, ma ci saremmo anche salutati? Avrebbe nuovamente fatto finta di non vedermi dopo gli ultimi eventi che in un modo o nell’altro ci avevano uniti? Non feci in tempo a trovare una risposta che Gianluca arrivò, fermandosi proprio davanti il mio palazzo. Velocemente corsi allo scooter, mi infilai il casco e salii, senza paura ormai. Mi strinsi a lui e dopo avergli mormorato un “buongiorno” all’orecchio, partimmo velocemente.
Gianluca parcheggiò lontano dalla salita e dal baretto e quando scendemmo mi guardò negli occhi, capendo evidentemente cosa li turbava.
-Semplicemente non ti curar di loro.- Mi disse, finendo poi di mettere la catena al motorino. –Fregatene.. Se ti chiedono qualcosa, rispondigli e basta, senza prolungare il discorso.- Continuò, alzandosi in piedi e prendendo lo zaino che aveva lasciato poggiato sulla sella.
-Io me ne frego.- Cercai di sembrare convinta. –Ma non posso pensare al menefreghismo della gente..- Scossi la testa, passandomi poi una mano fra i capelli.
-La gente sarà sempre menefreghista e vorrà sempre avere qualcosa di cui parlare.- Disse serio, cominciando ad incamminarsi. –Se ti butti giù per i coglioni dell’Umberto Eco, cosa farai più avanti?- Abbozzai un sorriso, seguendolo. Passando davanti al baretto notai come una ventina di teste si girò a guardarci, parlottando poi rumorosamente. La storia di Sara Rossetti era un gossip succulento, che si poteva spolpare per bene, fino in fondo senza annoiarsi. Io ero la migliore amica, la famosa Ginevra “quella roscia” e Gianluca “quello figo”, era il suo migliore amico.. Eravamo al centro di quel gossip quasi quanto lei e quanto Federico “quello che Rossetti s’è fatta” ed Emanuele “quello con cui la roscia è andata in moto”. Nel momento in cui ci fermammo davanti l’imponente entrata del Liceo la stessa ochetta con la bocca da aspirapolvere di sabato sera, venne a salutare Gianluca con due baci sulle guance, ridacchiando come una deficiente. Mi guardò di sbieco, mormorando un “ciao” nella mia direzione.
-Come sta l’alcolizzata?- Domandò con una risatina a Gianluca. Lo vidi irrigidirsi ed io strinsi i denti.
-L’alcoliz..- Una mano si posò dolcemente sulla mia bocca, invitandomi in quel modo al silenzio. Non riuscivo a girarmi per vedere l’autore di quel gesto e restai immobile, lanciando un’occhiata a Gianluca.
-L’alcolizzata è in coma etilico. Ora che hai lo scoop corri a raccontarlo e levati dalle palle.- Lo sconosciuto allentò la presa e mi voltai, ritrovandomi davanti Emanuele Benassi. Non so se sorrisi per ciò che aveva detto a quella gallinella o perché finalmente mi stava guardando, mi stava parlando, mi stava considerando.
-Perché frequenti quella deficiente?- Chiese Emanuele a Gianluca mentre si stringevano la mano.
-Per avere quattordici anni è molto.. sveglia, la ragazza.- Rispose sorridendo. Eccolo il vero stronzo che nascondeva dentro di lui!
-Basta che ve la da  e siete subito ai suoi piedi!- Ridacchiai, notando che Emanuele non si era mosso  di un millimetro, standomi ancora vicinissimo.
-A me non basta.- Disse tranquillo guardando prima me e poi Gianluca.
-Questa è la tecnica che usiamo per rimorchiare quelle che non ce la danno!- Disse quest’ultimo, facendoci scoppiare tutti a ridere. La tensione era alta, certo, ma cercavamo tutti di mascherarla, giocando a quel gioco delle maschere abilmente, nonostante sapessimo tutti come fosse la sua conclusione.
-Come sta?- La voce cupa di Federico interruppe quella falsità e ci fece precipitare tutti insieme nel burrone rappresentato dalla vita reale. Ci guardammo tristemente negli occhi, rispondendoci già da soli.
-Non ci sono miglioramenti.- Dissi sospirando, fissandomi poi le punte degli stivali marroni che portavo. Nessuno disse nulla e continuammo a stare così in piedi senza sapere cosa dire, cosa fare.. Qualsiasi parola sembrava troppo sbagliata, qualsiasi gesto sembrava troppo banale. –Oggi pomeriggio ho intenzione di andare all’ospedale.- Disse ad un tratto, risollevando gli sguardi di tutti.
-Qual’è orario delle visite?- Domandò Emanuele.
-Dalle sei alle sette.- Risposi prontamente, guardandolo.
-Vengo con te.. –
-Anche io.- Disse Federico, affrontando il mio sguardo.. C’era da dire che era rimasto un po’ intimorito dopo l’ultimo sfogo che avevo avuto con lui.
-Io vengo, ovviamente..- Concluse Gianluca. –Però vi raggiungo alle sei e mezza, che fino le sei ho gli allenamenti di calcio.-
-Io non so come venire allora!- Intervenii. Gianluca era l’unico che abitava vicino a me e che mi dava sempre passaggi quando la macchinetta si rompeva. Quindi spesso.
-Ti passo a prendere io alle sei meno dieci e ci vediamo all’entrata principale alle sei. Ok?- Emanuele parlò così chiaro e conciso da non avere neanche il tempo di stupirmi. Mi limitai ad annuire, assecondata da Federico.
La campanella della prima ora suonò, facendoci sbuffare tutti all’unisono. Stava per iniziare l’ennesima, pesante giornata scolastica. Sei ore di curioso vociare, sei ore di domande, di risposte da dare.
-Ci vediamo a ricreazione.- Con quel saluto Emanuele e Federico si allontanarono, lasciando me e Gianluca soli. Quest’ultimo passò il braccio intorno alle mie spalle e ci incamminammo nella direzione dell’ingresso, pronti ad affrontare, insieme, quella mattinata.

Scesi dalla moto di Emanuele tremando per il freddo. Mi strinsi nel cappotto e nascosi il viso fino l’altezza del naso nella sciarpa che portavo. Ma non tremavo solamente per il freddo: nella mia mente il pensiero principale era Sara. Sara stesa su un lettino, con delle macchine che la monitoravano. Sara stesa nel bagno della villa di Marika. Sara che continuava a bere. Rabbrividii a quelle immagini e mi strinsi nelle spalle, mentre con Emanuele mi incamminavo verso l’entrata dell’ospedale. Attraversammo la strada e raggiungemmo Federico che già ci aspettava, bruciando l’attesa fumando una sigaretta.
-Mi lasci due tiri?- Gli chiesi quando arrivammo, dopo esserci salutati. Mi guardò sorpreso, per quell’incredibile “voglia di conversare” che avevo nei suoi confronti. Gli avevo rivolto già troppe parole per i miei gusti. Lui si limitò ad annuire, passandomi la sigaretta. Fumai lentamente assaporando il sapore del tabacco, buttando poi il mozzicone a terra.
Entrammo nell’ospedale e dopo essere passati per l’accoglienza, salimmo al terzo piano ed andammo  nella stanza dov’era ricoverata Sara. Arrivando ci ritrovammo di fronte i suoi genitori.
-Buonasera..- Esordimmo quasi in coro, per poi salutare personalmente i due. Guardai Alba e Franco con un po’ di rancore, per non avermi più chiamata, per non avermi più fatto sapere nulla.
-Come sta?- Chiese gentilmente Emanuele, mantenendo un tono di voce basso, che lasciava trapelare tutte le emozioni che il suo cuore sperimentava.
-E’ stabile, ma non migliora. – Disse secco Franco, tamburellando nervosamente con le dita sulla propria gamba.
-Entrate, dai ragazzi..- Alba guardò con dolcezza il marito, con amore, cercando di risollevare il suo morale ormai a terra, le sue speranze perse. Un sorriso di circostanza si dipinse sul nostro volto ed entrammo nella camera. Il mio cuore si ghiacciò: Sara era stesa, immersa nella solitudine di quella singola che i genitori le avevano preso affinché stesse sola, senza condividere il proprio spazio con nessun’altra persona. Era pallida, stesa quasi come una.. morta. Il suo petto si alzava e si riabbassava impercittibilmente, ed il monitor al fianco del letto ticchettava, scandendo i battiti del cuore di Sara.
Sentii Federico al mio fianco espirare sonoramente e mi voltai, vedendolo per la prima volta sotto una luce diversa. Era affranto, enormemente spaventato, pallido. Chiuse gli occhi e si portò la mano alla bocca, avvicinandosi poi lentamente al letto. Cercai di imitarlo ma la mano di Emanuele, posandosi dolcemente sulla mia, mi trattenne.
-Dagli un secondo..- Mi disse, indietreggiando fino a poggiarsi con la schiena sulla parete, in attesa.
-Scusami, Sara.. Scusami per essere stato uno stronzo, scusami per essermi approfittato della tua ebrezza ieri, per non essermi fermato. Scusami se ti ho ridotto in questo stato, se ti ho portato a questo. Pagherei per rivederti come ti vidi l’anno scorso per la prima volta.. Ero affacciata alla finestra del bagno, durante la ricreazione, e tu ridevi in cortile, con Ginevra. Eri felice della vita, eri felice.. e la tua risata mi è rimasta talmente impressa che eccomi, dopo un anno, che ti confesso il mio.. amore.- Sussultai a quell’ultima parola, volgendo la testa nella direzione di Emanuele che serio guardava dritto davanti a sé, quasi senza respirare. –Scusami..- Lo sentii mormorare un’ultima volta per poi girarsi verso di noi. I suoi occhi erano lucidi, sinceri, ed il mio cuore si strinse in una morsa che mi fece sussultare.  Mi ero sbagliata così tanto su Federico della Valle? Osservai la sua frangia bionda, i suoi occhi verdi, e mi chiesi come aveva fatto quel ragazzo che stava in piedi davanti a me a fare, a dire ciò che lui aveva fatto e detto il giorno precedente. Federico uscì dalla stanza ed Emanuele lo seguì, e io restai così sola. Mi avvicinai a Sara lentamente, prendendo poi una sedia e sedendomi accanto a lei, prendendole la mano.
-Non avevi ragione su Emanuele come io non avevo ragione su Federico. Te lo devo confessare.. Avevi ragione sui miei sentimenti nei confronti di Benassi quella mattina dopo il compito di greco. Mi piace, sì.. Te lo dico sinceramente, te lo dico perché quando ti sveglierai ti farò una testa enorme per dirti “perché per lui non esisto”, “perché non mi parla”, “non gli piaccio”, e mi odierai così tanto che vorrai farmi finire su un lettino di questo genere con tante contusioni alla testa.- Ridacchiai da sola, sperando che le lacrime non cominciassero a scendere. –Perché è così. Io per lui non esisto.. Fa finta che io non ci sia, si volta altrove invece di salutarmi.. E poi diventa così, così incredibilmente ambiguo.. Con quei sorrisi che possono voler dire una come mille altre cose, con quei suoi gesti gentili, dolci.. – Scossi la testa..ma cosa stavo dicendo? Mi alzai, mettendo la sedia a posto, pronta ad uscire quando un leggero colpo di tosse mi fece voltare.
-Sei una deficiente..- Il mormorio che uscì dalle labbra di Sara mi fece strabuzzare gli occhi. –E’ innamorato perso.- La guardai immobile come una statua a metà fra dove avevo posato la sedia ed il letto. Quando il mio cervello realizzò mi precipitai dalla mia migliore amica e vidi i suoi occhi leggermente aperti ed un leggerissimo sorriso sulle labbra.
-Sei sveglia!- Dissi con le lacrime agli occhi. –Emanuele! Federico! E’ sveglia!- Urlai voltandomi, ma Emanuele era già lì e Federico stava entrando con Alba e Franco. Emanuele da quanto si trovava lì affianco alla porta? Aveva forse sentito il mio monologo, il mormorio di Sara?
Alba si precipitò vicino alla figlia con Franco al proprio seguito. La gioia che lessi nei loro occhi fu imparagonabile a qualsiasi altra espressione di felicità io avessi visto nella mia vista. Alba piangeva a dirotto e Franco a stento tratteneva le lacrime, troppo concentrato a preservare la sua maschera di uomo duro e incommovibile. In quel momento entrò Gianluca, con un pacchetto di dolcetti in mano e per poco non li lasciò cadere quando vide una Sara sveglia guardarlo dal letto. Gianluca si avvicinò, lasciando il pacco su di un tavolino, e strinse la mano della ragazza con delicatezza, osservandola, sorridendo, per poi allontanarsi e lasciare il posto a Federico. Lo sguardo che si scambiarono probabilmente non me lo scorderò mai: avete presente quegli sguardi pieni di parole, pieni di sentimenti che ti restano impressi? Ecco. Sara gli regalò il suo sorriso più bello, schiarendosi poi la voce e spostando lo sguardo con Emanuele.
-Ho bisogno di riposare ora.- Disse piano, beandosi ancora delle nostre espressioni che fra lo stupito e l’infinita gioia probabilmente erano tanto irripetibili quanto l’evento che era appena accaduto. Si era svegliata dopo due giorni di coma, di coma etilico.. Si era svegliata ed era lì davanti a noi che sorrideva, ci guardava, cancellando con quei suoi piccoli gesti l’incubo in cui eravamo precipitati tutti quel sabato sera. Era finita. Dopo averla salutata ancora, uscimmo tutti dalla stanza mentre i medici la visitavano. Uscimmo dall’ospedale, ci allontanammo il più possibile da quel posto dove per due giorni avevano versato le nostre lacrime, svelato i nostri timori. Ognuno tornò nella propria casa a parte Alba e Franco che restarono con la figlia.
Emanuele mi accompagnò a casa e sorprendentemente scese dalla moto, fermandosi a chiaccherare con me. Inutile dire che mi torturavo chiedendomi se effettivamente avesse sentito o meno ciò che avevo detto a Sara, se aveva sentito i miei sentimenti essere svelati così apertamente.
-Non riesco a smettere di sorridere.- Dissi guardandolo, giustificando il sorriso ebete che avevo stampato sulle mie labbra senza riuscire a toglierlo.
-Non farlo.- Rispose lui ridacchiando. No, non avrei smesso di sorridere per nulla al mondo, assolutamente. –Ciò che è successo merita tutti i sorrisi di questo mondo.- Aggiunse.
-Forse mi ero sbagliata su Federico.- Ammisi, incrociando le braccia al petto. Sì, dopo ciò che avevo sentito, dopo aver visto quello sguardo, i suoi occhi lucidi, ero certa del fatto che mi fossi sbagliata.
-Non avevi tutti i torti, in fondo..- Mi ricordai le scene di quel sabato sera ed annuii, ricordando anche l’odio nei suoi confronti, gli scatti nel pronto soccorso.
-Già..- Guardai un attimo per terra, per poi riaffrontare i suoi occhi. Pessima idea: mi persi in quel castano così intenso, così affascinante, e mi ritrovai ad imbambolarmi come una stupida ancora. Mi schiarii la voce e distolsi lo sguardo, ormai chiaramente consapevole del fatto che ero arrossita completamente. -..Grazie per avermi accompagnata, comunque.. – Dovevo recuperare il mio contegno, dannazione! Anche il mio colorito se possibile! -..ora devo proprio andare.-  Ecco, così magari avrei posto termine alle orribili figure che mi ero probabilmente procurata quel pomeriggio. Lui annuì, sembrando per niente scosso da quel fatto.. Certo, come mai si sarebbe dovuto comportare? Non gli interessavo, assolutamente.
-Ci vediamo domani a scuola?- La sua domanda retorica mi evitò un altro giro fra i miei pensieri contorti. Annuii, aprendo poi il portone. Quando fui ormai sul punto di entrare, la sua mano prese la mia con delicatezza come prima, nell’ospedale. Lo guardai stupita, chiedendo una spiegazione, una giustificazione di quel suo gesto improvviso. –Perdona i miei silenzi, Lentiggini.- Mi disse con estrema dolcezza, lasciando poi la mia mano e voltandosi, andando alla propria moto. Indietreggiai, chiudendomi il portone alle spalle e poggiando la schiena contro di esso. Socchiusi gli occhi e li riaprii solo quando lui partì ed il rombo del motore della sua moto fu solo un ricordo lontano. Cosa voleva dire? Perché dovevo perdonare i suoi silenzi? Come faceva a sapere di quanto mi avevano fatto patire quei suoi silenzi? Aveva sentito, sicuramente, indubbiamente, il mio monologo.  E’ innamorato perso. Le parole di Sara, tuttavia, mi fecero gioire il cuore. Mi ritrovai così a sorridere stupidamente guardando il cielo. Emanuele Benassi in due settimane aveva conquistato la mia mente, i miei sogni. Sì, io Ginevra Sforza per la prima volta nella mia vita, desideravo ardentemente un ragazzo.

 

 

 Eccomi al termine del quarto capitolo! Ho pubblicato solamente ieri il terzo, ma le idee sono venute così velocemente che non mi sono trattenuta dal continuare. Cosa dire.. Spero che anche questo capitolo vi piaccia e che continuiate a seguirmi.
x_Mokona, swettlove, grillomylife: Grazie infinitamente per le recensioni e per i complimenti! Spero di non deludervi con il passare dei capitoli :P
Inoltre ringrazio coloro che mi hanno aggiunta alle preferite e alle seguite, ed anche tutti i lettori silenziosi.
Silvia.
  
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