Capitolo Quarto: Perdona i Miei Silenzi.
Mi
sciacquai
il viso con l’acqua gelida dei bagni dell’ospedale
Sant’Eugenio, alzando poi lo sguardo per specchiarmi ed
inorridire del mio
stesso riflesso. La mia pelle era bianchissima, come la neve, le
lentiggini
contrastavano esageratamente con quel pallore. Gli occhi azzurri
avevano un
aspetto stanco, spaventato, accentuato dalle leggere occhiaie che si
erano
formate e dal rossore dei bulbi oculari. I miei capelli probabilmente
erano gli
unici ad aver mantenuto un aspetto composto: giovavano ancora
dell’effetto
della piastra e ricadevo lisci fino all’altezza del seno. Mi
asciugai le mani
ed uscii dal bagno, incamminandomi lungo il corridoio del pronto
soccorso in
direzione di Gianluca, Emanuele e Federico che parlavano a bassa voce
davanti
la porta della stanza dove i medici stavano con Sara ed i suoi
genitori. Avevo
già avvertito mia madre dell’evento e mi aveva
detto di stare tranquilla, di
stare lì tutto il tempo che avrei voluto e chiamarla per
ogni necessità. Anche
lei era infinitamente preoccupata: Sara era come una figlia per lei, la
adorava
e quell’evento l’aveva scossa indubbiamente.
-Sì, siamo qui per Sara Rossetti.- Emanuele parlava composto
con il signore
di circa cinquant’anni che era dedito a fare tutte le
pratiche
dell’accettazione. –Sì, la ragazza
arrivata con l’ambulanza poco fa.-
Aspettammo un paio di secondi e la porta alla nostra si aprì
in uno scatto.
-Prego, si trova nella stanza numero sette.- Ci disse gentilmente,
indicandoci la porta. Mi precipitai dentro senza nemmeno aspettare
Emanuele ed
una volta all’inizio del corridoio vidi in lontananza
Gianluca poggiato contro
una parete. Corsi il più veloce possibile, o almeno alla
velocità che mi
permettevano i miei tacchi, e lo abbracciai con forza. Le sue braccia
risalirono la mia schiena, stringomi piano contro il suo corpo.
-Shhh..- Sussurrò piano al mio orecchio, cercando
inutilmente di calmarmi:
le lacrime erano ricominciate a scendere e non avevano intenzione di
smetterla.
–Stai calma, dai..- Aggiunse con dolcezza, passando le dita
fra i miei capelli.
Passarono cinque come venti minuti e mi allontanai da lui,
strofinandomi gli
occhi gonfi. –Hey, ragazzi..- Mi voltai e vidi Emanuele con
affianco Federico
che stringevano a turno la mano di Gianluca, salutandosi. Probabilmente
l’occhiata che lanciai a Federico fu esageratamente truce,
visto che il mio
migliore amico mi diede un leggero pizzico sul braccio. Evitai tuttavia
di
salutarlo, mordendomi la lingua per non fare qualche battutina
sicuramente
acida e poco conveniente.
-Come sta?- Domandò Federico a Gianluca.
Quest’ultimo si strinse nelle
spalle, incupendosi.
-Coma etilico.- Una pugnalata sarebbe stata meno efficace, meno
dolorosa.
Le mie viscere di contrassero e per un momento la mia vista si
appannò. Chiusi
gli occhi e mi poggiai contro la parete, incapace di ragionare, di
parlare. Coma etilico. Le mie paure
si erano
avverate, il mio terrore era reale ora: la mia migliore amica stava
rischiando
la morte. Le mie gambe tremarono, divenendo molli e mi sentii
improvvisamente
più pesante. Sarei caduta a terra se delle forti braccia non
mi avessero
sorretta. Mi fecero sedere su un qualcosa che non riuscivo a definire e
solo
allora aprii gli occhi vedendo davanti a me il volto di Federico della
Valle.
-Tutto bene?- Mi chiese con premura, passandomi una mano sulla guancia
che
doveva essere gelida visto quanto bruciava la sua pelle a contatto con
la mia.
-Non mi toccare.- Ringhiai con tutte le poche forze che mi erano
rimaste.
–Non ti basta aver fatto andare in coma Sara?- Alzai la voce,
mentre la mia
testa ricominciava a girare con forza, facendomi per un attimo
oscillare.
Federico fu sul punto di rispondere, ma Emanuele poggiò la
mano sulla sua
spalla, facendolo ammutolire immediatamente. Gianluca passò
avanti a quei due e
mi fece stendere con delicatezza sulla barella dov’ero
già seduta.
-Chiudi gli occhi e riprenditi.- Mi intimò con estrema
dolcezza. Annuii,
cercando di rilassare tutti i miei muscoli, di sciogliere i nervi. Mi
bastarono
pochi istanti per azzerare i pensieri, per caderein uno stato di
semincoscienza che parve durare settimane, mesi.
Aprii gli occhi improvvisamente, sedendomi di scatto e guardandomi
intorno,
senza realizzare dove mi trovassi effettivamente. Furono le calde mani
di
Emanuele, che mi presero il viso, a riportarmi alla calma. Lo guardai
negli
occhi e velocemente realizzai: ricordai tutto ciò che era
successo e riconobbi
quel corridoio dalle pareti bianche ed arancioni.
-Quanto ho dormito?- Chiesi in un sussurro, mentre le sue mani si
allontanavano e lui si rimetteva dritto in piedi.
-Non più di cinque minuti.- Mi rispose sorridendo.
–Gianluca e Federico
sono andati a prenderti dell’acqua ed un caffé.-
Al secondo nome piegai il mio
volto in una smorfia. –Non credere che non gliene freghi
niente: è spaventato
come tutti noi.- Mi disse, leggendomi quasi nella mente tutti i
pensieri
negativi che rivolgevo a Federico.
-Non gli importa di Sara.- Risposi prontamente. –E’
qui solo perché ha una
coscienza!-
-Che ne sai?- Domandò, facendomi aggrottare le sopracciglia.
Cosa voleva
dire? –Lo sapevi che a Federico piace Sara da un anno? Non
è.. Non siamo i mostri
che tu pensi.- Strabuzzai
gli occhi incredula: a Della Valle piaceva Sara? Da un anno? Pensare
che lei li
considerava Off Limits, irraggiungibili. –Ed anche lui era
ubriaco, questa
sera.. Quindi non ragionava troppo quando continuava ad offrirle da
bere..-
-Ti prego non lo giustificare.- Dissi con una nota d’accidia.
–Non ha
scuse.- Lui annuì, evidentemente d’accordo con
ciò che dicevo. Poi ripensai
alle sue parole ed aggiunsi con più dolcezza, con
più calma. –Non ho mai detto
che siete dei mostri.-
-Ci hai dato dei puttanieri. E credimi che non lo siamo.- Mi
ricordò lui
con una nota quasi di tristezza nella voce. Arrossii violentemente
ricordandomi
del discorso che gli avevo fatto quando Federico aveva condotto via
Sara e mi
ritrovai senza nulla da dirgli, improvvisamente. Gli avevo rinfacciato
di non
calcolarmi mai quando eravano a scuola, di parlarmi solo quando ci
ritrovavamo
noi due. Grazie a Dio quell’imbarazzante silenzio fu ben
presto interrotto da
Gianluca e Federico che tornavano parlando tranquillamente, porgendomi
poi
prima il caffé e poi la bottiglietta d’acqua.
Il caffé amaro scivolò velocemente nella mia
gola, bruciando un po’.
Strizzai un po’ gli occhi, schifata, per poi aprire in fretta
la bottiglietta
di plastica, mormorando un “grazie”, evitando
accuratamente lo sguardo di
Federico. L’acqua fresca quasi mi rivitalizzò e mi
ritrovai a respirare più
regolarmente, apparentemente più tranquilla. Alzai
finalmente lo sguardo e
guardai i tre ragazzi con un leggero sorriso, quasi a volerli
rassicurare e
proprio in quell’istante dei passi veloci, forse troppo, ci
fecero tutti
voltare in direzione della porta d’ingresso del corridoio.
Franco Rossetti e Alba Schinardi, i genitori di Sara, camminavano
velocemente verso dove eravamo seduti noi. Mi passai una mano fra i
capelli e
poi li feci un cenno con la testa, di saluto. Alba mi si
avvicinò,
abbracciandomi con dolcezza.
-Grazie per essere venuta.. Per essere venuti.- Si rivolse a tutti noi,
prima di seguire il marito nella stanza numero sette. Nel momento in
cui aprì
la porta riuscimmo ad intravedere il letto su cui era stesa Sara, prima
che la
porta sbattesse nuovamente. La paura sul viso della madre di Sara mi
fece
rabbrividire con forza.
Non si sa ancora niente?- Domandai con un filo di voce, sperando in una
buona notizia, anche se erano passati appena dieci minuti da quando me
ne ero
andata per andare in bagno.
-Sono usciti i genitori di Sara,- cominciò Gianluca,
guardandomi con aria
grave. –e ci hanno detto che è meglio se ci
accomodiamo in Sala d’Attesa, se
vogliamo restare..Altrimenti possiamo anche tornare a casa.- La sua
voce si
incupì nuovamente e a quel punto alzai lo sguardo.
–Sara non sembra avere intenzione
di svegliarsi.. sai non esistendo un "antidoto", la terapia del coma
etilico si fonda sulla correzione dell'ipotermia, dell'ipoglicemia e
dell'acidosi, ovvero la diminuzione del PH del sangue.. – Mi
spiegò,
utilizzando quei termini così precisi, così
tecnici. -..dobbiamo aspettare e
sperare.- Chiusi gli occhi e sospirai, incrociando le braccia al petto
ed
incamminandomi verso
Emanuele si sedette affianco, me ne accorsi dalla presenza di un paio
di
scarpe nuove nell’aria che stavo guardando per terra,
imbambolata. Alzai lo
sguardo ed incrociai il suo, chiudendo poi gli occhi e poggiandomi
contro lo
schienale.
-Vuoi venire a fumarti una sigaretta con noi?- Aprii gli occhi vedendo
Gianluca davanti a me che si rigirava un pacchetto di Camel fra le
mani. Scossi
la testa debolmente. Passò lo sguardo su Emanuele che a
propria volta scosse la
testa e se ne andò fuori con Federico, sorridendomi con
dolcezza.
-Se vuoi, vai..- Dissi ad Emanuele, guardandolo. -..non devi farmi da
babysitter- aggiunsi, cercando di buttarla sul ridere.
-Non fumo.- Rispose molto semplicemente lui, ricambiando il mio sorriso
e
rilassandosi sulla sediola, alzò lo sguardo sul soffitto.
Non dissi nulla,
limitandomi a guardare dritto davanti a me, senza in realtà
vedere nulla,
troppo concentrata a sciogliere i nodi dei miei pensieri. Fui tanto
presa da
quella complicata impresa che mi addormentai senza nemmeno
accorgermene,
scivolando con dolcezza fra le braccia di Morfeo. Le braccia che mi
accolsero,
tuttavia, non furono esattamente quelle della divinità greca
ma di una divinità
in carne ed ossa che sedeva al mio fianco. Nel sonno sentii Emanuele
Benassi
abbracciarmi con dolcezza, portando la mia testa sul suo petto e
poggiando la
sua guancia contro essa. Beandomi di quella posizione, del calore del
suo corpo,
riuscii a dimenticare per una frazione di secondo tutto: Sara, il coma
etilico,
Federico.. Come se mi fossi fatta una doccia che avesse lavato via le
mie
impurità, le mie preoccupazioni, lasciandomi soddisfatta nei
confronti del
mondo per quel brevissimo istante.
Gianluca parcheggiò lontano dalla salita e dal baretto e
quando scendemmo
mi guardò negli occhi, capendo evidentemente cosa li turbava.
-Semplicemente non ti curar di loro.- Mi disse, finendo poi di mettere
la
catena al motorino. –Fregatene.. Se ti chiedono qualcosa,
rispondigli e basta,
senza prolungare il discorso.- Continuò, alzandosi in piedi
e prendendo lo
zaino che aveva lasciato poggiato sulla sella.
-Io me ne frego.- Cercai di sembrare convinta. –Ma non posso
pensare al
menefreghismo della gente..- Scossi la testa, passandomi poi una mano
fra i
capelli.
-La gente sarà sempre menefreghista e vorrà
sempre avere qualcosa di cui
parlare.- Disse serio, cominciando ad incamminarsi. –Se ti
butti giù per i
coglioni dell’Umberto Eco, cosa farai più avanti?-
Abbozzai un sorriso, seguendolo.
Passando davanti al baretto notai come una ventina di teste si
girò a
guardarci, parlottando poi rumorosamente. La storia di Sara Rossetti
era un
gossip succulento, che si poteva spolpare per bene, fino in fondo senza
annoiarsi. Io ero la migliore amica, la famosa Ginevra
“quella roscia” e
Gianluca “quello figo”, era il suo migliore amico..
Eravamo al centro di quel
gossip quasi quanto lei e quanto Federico “quello che
Rossetti s’è fatta” ed
Emanuele “quello con cui la roscia è andata in
moto”. Nel momento in cui ci
fermammo davanti l’imponente entrata del Liceo la stessa
ochetta con la bocca
da aspirapolvere di sabato sera, venne a salutare Gianluca con due baci
sulle
guance, ridacchiando come una deficiente. Mi guardò di
sbieco, mormorando un
“ciao” nella mia direzione.
-Come sta l’alcolizzata?- Domandò con una risatina
a Gianluca. Lo vidi
irrigidirsi ed io strinsi i denti.
-L’alcoliz..- Una mano si posò dolcemente sulla
mia bocca, invitandomi in
quel modo al silenzio. Non riuscivo a girarmi per vedere
l’autore di quel gesto
e restai immobile, lanciando un’occhiata a Gianluca.
-L’alcolizzata è in coma etilico. Ora che hai lo
scoop corri a raccontarlo
e levati dalle palle.- Lo sconosciuto allentò la presa e mi
voltai,
ritrovandomi davanti Emanuele Benassi. Non so se sorrisi per
ciò che aveva
detto a quella gallinella o perché finalmente mi stava
guardando, mi stava
parlando, mi stava considerando.
-Perché frequenti quella deficiente?- Chiese Emanuele a
Gianluca mentre si
stringevano la mano.
-Per avere quattordici anni è molto.. sveglia, la ragazza.-
Rispose
sorridendo. Eccolo il vero stronzo che nascondeva dentro di lui!
-Basta che ve la da e
siete subito
ai suoi piedi!- Ridacchiai, notando che Emanuele non si era mosso di un millimetro, standomi
ancora
vicinissimo.
-A me non basta.- Disse tranquillo guardando prima me e poi Gianluca.
-Questa è la tecnica che usiamo per rimorchiare quelle che
non ce la
danno!- Disse quest’ultimo, facendoci scoppiare tutti a
ridere. La tensione era
alta, certo, ma cercavamo tutti di mascherarla, giocando a quel gioco
delle
maschere abilmente, nonostante sapessimo tutti come fosse la sua
conclusione.
-Come sta?- La voce cupa di Federico interruppe quella
falsità e ci fece
precipitare tutti insieme nel burrone rappresentato dalla vita reale.
Ci
guardammo tristemente negli occhi, rispondendoci già da soli.
-Non ci sono miglioramenti.- Dissi sospirando, fissandomi poi le punte
degli stivali marroni che portavo. Nessuno disse nulla e continuammo a
stare
così in piedi senza sapere cosa dire, cosa fare.. Qualsiasi
parola sembrava
troppo sbagliata, qualsiasi gesto sembrava troppo banale.
–Oggi pomeriggio ho
intenzione di andare all’ospedale.- Disse ad un tratto,
risollevando gli
sguardi di tutti.
-Qual’è orario delle visite?- Domandò
Emanuele.
-Dalle sei alle sette.- Risposi prontamente, guardandolo.
-Vengo con te.. –
-Anche io.- Disse Federico, affrontando il mio sguardo..
C’era da dire che
era rimasto un po’ intimorito dopo l’ultimo sfogo
che avevo avuto con lui.
-Io vengo, ovviamente..- Concluse Gianluca. –Però
vi raggiungo alle sei e
mezza, che fino le sei ho gli allenamenti di calcio.-
-Io non so come venire allora!- Intervenii. Gianluca era
l’unico che
abitava vicino a me e che mi dava sempre passaggi quando la macchinetta
si
rompeva. Quindi spesso.
-Ti passo a prendere io alle sei meno dieci e ci vediamo
all’entrata
principale alle sei. Ok?- Emanuele parlò così
chiaro e conciso da non avere
neanche il tempo di stupirmi. Mi limitai ad annuire, assecondata da
Federico.
La campanella della prima ora suonò, facendoci sbuffare
tutti all’unisono.
Stava per iniziare l’ennesima, pesante giornata scolastica.
Sei ore di curioso
vociare, sei ore di domande, di risposte da dare.
-Ci vediamo a ricreazione.- Con quel saluto Emanuele e Federico si
allontanarono, lasciando me e Gianluca soli. Quest’ultimo
passò il braccio
intorno alle mie spalle e ci incamminammo nella direzione
dell’ingresso, pronti
ad affrontare, insieme, quella mattinata.
Scesi
dalla
moto di Emanuele tremando per il freddo. Mi strinsi nel
cappotto e nascosi il viso fino l’altezza del naso nella
sciarpa che portavo.
Ma non tremavo solamente per il freddo: nella mia mente il pensiero
principale
era Sara. Sara stesa su un lettino, con delle macchine che la
monitoravano. Sara
stesa nel bagno della villa di Marika. Sara che continuava a bere.
Rabbrividii
a quelle immagini e mi strinsi nelle spalle, mentre con Emanuele mi
incamminavo
verso l’entrata dell’ospedale. Attraversammo la
strada e raggiungemmo Federico
che già ci aspettava, bruciando l’attesa fumando
una sigaretta.
-Mi lasci due tiri?- Gli chiesi quando arrivammo, dopo esserci
salutati. Mi
guardò sorpreso, per quell’incredibile
“voglia di conversare” che avevo nei
suoi confronti. Gli avevo rivolto già troppe parole per i
miei gusti. Lui si
limitò ad annuire, passandomi la sigaretta. Fumai lentamente
assaporando il
sapore del tabacco, buttando poi il mozzicone a terra.
Entrammo nell’ospedale e dopo essere passati per
l’accoglienza, salimmo al
terzo piano ed andammo nella
stanza dov’era
ricoverata Sara. Arrivando ci ritrovammo di fronte i suoi genitori.
-Buonasera..- Esordimmo quasi in coro, per poi salutare personalmente i
due. Guardai Alba e Franco con un po’ di rancore, per non
avermi più chiamata,
per non avermi più fatto sapere nulla.
-Come sta?- Chiese gentilmente Emanuele, mantenendo un tono di voce
basso,
che lasciava trapelare tutte le emozioni che il suo cuore sperimentava.
-E’ stabile, ma non migliora. – Disse secco Franco,
tamburellando
nervosamente con le dita sulla propria gamba.
-Entrate, dai ragazzi..- Alba guardò con dolcezza il marito,
con amore,
cercando di risollevare il suo morale ormai a terra, le sue speranze
perse. Un
sorriso di circostanza si dipinse sul nostro volto ed entrammo nella
camera. Il
mio cuore si ghiacciò: Sara era stesa, immersa nella
solitudine di quella
singola che i genitori le avevano preso affinché stesse
sola, senza condividere
il proprio spazio con nessun’altra persona. Era pallida,
stesa quasi come una..
morta. Il suo petto si alzava e si riabbassava impercittibilmente, ed
il
monitor al fianco del letto ticchettava, scandendo i battiti del cuore
di Sara.
Sentii Federico al mio fianco espirare sonoramente e mi voltai,
vedendolo
per la prima volta sotto una luce diversa. Era affranto, enormemente
spaventato, pallido. Chiuse gli occhi e si portò la mano
alla bocca,
avvicinandosi poi lentamente al letto. Cercai di imitarlo ma la mano di
Emanuele, posandosi dolcemente sulla mia, mi trattenne.
-Dagli un secondo..- Mi disse, indietreggiando fino a poggiarsi con la
schiena sulla parete, in attesa.
-Scusami, Sara.. Scusami per essere stato uno stronzo, scusami per
essermi
approfittato della tua ebrezza ieri, per non essermi fermato. Scusami
se ti ho
ridotto in questo stato, se ti ho portato a questo. Pagherei per
rivederti come
ti vidi l’anno scorso per la prima volta.. Ero affacciata
alla finestra del
bagno, durante la ricreazione, e tu ridevi in cortile, con Ginevra. Eri
felice
della vita, eri felice.. e la tua risata mi è rimasta
talmente impressa che
eccomi, dopo un anno, che ti confesso il mio.. amore.- Sussultai a
quell’ultima
parola, volgendo la testa nella direzione di Emanuele che serio
guardava dritto
davanti a sé, quasi senza respirare. –Scusami..-
Lo sentii mormorare un’ultima
volta per poi girarsi verso di noi. I suoi occhi erano lucidi, sinceri,
ed il
mio cuore si strinse in una morsa che mi fece sussultare. Mi ero sbagliata
così tanto su Federico della
Valle? Osservai la sua frangia bionda, i suoi occhi verdi, e mi chiesi
come
aveva fatto quel ragazzo che stava in piedi davanti a me a fare, a dire
ciò che
lui aveva fatto e detto il giorno precedente. Federico uscì
dalla stanza ed
Emanuele lo seguì, e io restai così sola. Mi
avvicinai a Sara lentamente,
prendendo poi una sedia e sedendomi accanto a lei, prendendole la mano.
-Non avevi ragione su Emanuele come io non avevo ragione su Federico.
Te lo
devo confessare.. Avevi ragione sui miei sentimenti nei confronti di
Benassi
quella mattina dopo il compito di greco. Mi piace, sì.. Te
lo dico
sinceramente, te lo dico perché quando ti sveglierai ti
farò una testa enorme
per dirti “perché per lui non esisto”,
“perché non mi parla”, “non
gli piaccio”,
e mi odierai così tanto che vorrai farmi finire su un
lettino di questo genere
con tante contusioni alla testa.- Ridacchiai da sola, sperando che le
lacrime
non cominciassero a scendere. –Perché è
così. Io per lui non esisto.. Fa finta
che io non ci sia, si volta altrove invece di salutarmi.. E poi diventa
così,
così incredibilmente ambiguo.. Con quei sorrisi che possono
voler dire una come
mille altre cose, con quei suoi gesti gentili, dolci.. –
Scossi la testa..ma
cosa stavo dicendo? Mi alzai, mettendo la sedia a posto, pronta ad
uscire
quando un leggero colpo di tosse mi fece voltare.
-Sei una deficiente..- Il mormorio che uscì dalle labbra di
Sara mi fece
strabuzzare gli occhi. –E’ innamorato perso.- La
guardai immobile come una
statua a metà fra dove avevo posato la sedia ed il letto.
Quando il mio
cervello realizzò mi precipitai dalla mia migliore amica e
vidi i suoi occhi
leggermente aperti ed un leggerissimo sorriso sulle labbra.
-Sei sveglia!- Dissi con le lacrime agli occhi. –Emanuele!
Federico! E’
sveglia!- Urlai voltandomi, ma Emanuele era già
lì e Federico stava entrando
con Alba e Franco. Emanuele da quanto si trovava lì affianco
alla porta? Aveva
forse sentito il mio monologo, il mormorio di Sara?
Alba si precipitò vicino alla figlia con Franco al proprio
seguito. La
gioia che lessi nei loro occhi fu imparagonabile a qualsiasi altra
espressione
di felicità io avessi visto nella mia vista. Alba piangeva a
dirotto e Franco a
stento tratteneva le lacrime, troppo concentrato a preservare la sua
maschera
di uomo duro e incommovibile. In quel momento entrò
Gianluca, con un pacchetto
di dolcetti in mano e per poco non li lasciò cadere quando
vide una Sara
sveglia guardarlo dal letto. Gianluca si avvicinò, lasciando
il pacco su di un
tavolino, e strinse la mano della ragazza con delicatezza,
osservandola,
sorridendo, per poi allontanarsi e lasciare il posto a Federico. Lo
sguardo che
si scambiarono probabilmente non me lo scorderò mai: avete
presente quegli
sguardi pieni di parole, pieni di sentimenti che ti restano impressi?
Ecco. Sara
gli regalò il suo sorriso più bello, schiarendosi
poi la voce e spostando lo
sguardo con Emanuele.
-Ho bisogno di riposare ora.- Disse piano, beandosi ancora delle nostre
espressioni che fra lo stupito e l’infinita gioia
probabilmente erano tanto
irripetibili quanto l’evento che era appena accaduto. Si era
svegliata dopo due
giorni di coma, di coma etilico.. Si era svegliata ed era lì
davanti a noi che
sorrideva, ci guardava, cancellando con quei suoi piccoli gesti
l’incubo in cui
eravamo precipitati tutti quel sabato sera. Era finita. Dopo averla
salutata
ancora, uscimmo tutti dalla stanza mentre i medici la visitavano.
Uscimmo dall’ospedale,
ci allontanammo il più possibile da quel posto dove per due
giorni avevano
versato le nostre lacrime, svelato i nostri timori. Ognuno
tornò nella propria
casa a parte Alba e Franco che restarono con la figlia.
Emanuele mi accompagnò a casa e sorprendentemente scese
dalla moto, fermandosi
a chiaccherare con me. Inutile dire che mi torturavo chiedendomi se
effettivamente avesse sentito o meno ciò che avevo detto a
Sara, se aveva
sentito i miei sentimenti essere svelati così apertamente.
-Non riesco a smettere di sorridere.- Dissi guardandolo, giustificando
il
sorriso ebete che avevo stampato sulle mie labbra senza riuscire a
toglierlo.
-Non farlo.- Rispose lui ridacchiando. No, non avrei smesso di
sorridere
per nulla al mondo, assolutamente. –Ciò che
è successo merita tutti i sorrisi
di questo mondo.- Aggiunse.
-Forse mi ero sbagliata su Federico.- Ammisi, incrociando le braccia al
petto. Sì, dopo ciò che avevo sentito, dopo aver
visto quello sguardo, i suoi
occhi lucidi, ero certa del fatto che mi fossi sbagliata.
-Non avevi tutti i torti, in fondo..- Mi ricordai le scene di quel
sabato
sera ed annuii, ricordando anche l’odio nei suoi confronti,
gli scatti nel
pronto soccorso.
-Già..- Guardai un attimo per terra, per poi riaffrontare i
suoi occhi. Pessima
idea: mi persi in quel castano così intenso, così
affascinante, e mi ritrovai
ad imbambolarmi come una stupida ancora. Mi schiarii la voce e distolsi
lo
sguardo, ormai chiaramente consapevole del fatto che ero arrossita
completamente. -..Grazie per avermi accompagnata, comunque..
– Dovevo recuperare
il mio contegno, dannazione! Anche il mio colorito se possibile! -..ora
devo
proprio andare.- Ecco,
così magari avrei
posto termine alle orribili figure che mi ero probabilmente procurata
quel
pomeriggio. Lui annuì, sembrando per niente scosso da quel
fatto.. Certo, come
mai si sarebbe dovuto comportare? Non gli interessavo, assolutamente.
-Ci vediamo domani a scuola?- La sua domanda retorica mi
evitò un altro
giro fra i miei pensieri contorti. Annuii, aprendo poi il portone.
Quando fui
ormai sul punto di entrare, la sua mano prese la mia con delicatezza
come
prima, nell’ospedale. Lo guardai stupita, chiedendo una
spiegazione, una
giustificazione di quel suo gesto improvviso. –Perdona i miei
silenzi,
Lentiggini.- Mi disse con estrema dolcezza, lasciando poi la mia mano e
voltandosi, andando alla propria moto. Indietreggiai, chiudendomi il
portone
alle spalle e poggiando la schiena contro di esso. Socchiusi gli occhi
e li
riaprii solo quando lui partì ed il rombo del motore della
sua moto fu solo un
ricordo lontano. Cosa voleva dire? Perché dovevo perdonare i
suoi silenzi? Come
faceva a sapere di quanto mi avevano fatto patire quei suoi silenzi?
Aveva
sentito, sicuramente, indubbiamente, il mio monologo. E’
innamorato perso. Le parole di Sara, tuttavia, mi fecero
gioire il cuore. Mi
ritrovai così a sorridere stupidamente guardando il cielo.
Emanuele Benassi in due
settimane aveva conquistato la mia mente, i miei sogni. Sì,
io Ginevra Sforza per
la prima volta nella mia vita, desideravo ardentemente un ragazzo.
x_Mokona, swettlove, grillomylife: Grazie infinitamente per le recensioni e per i complimenti! Spero di non deludervi con il passare dei capitoli :P
Inoltre ringrazio coloro che mi hanno aggiunta alle preferite e alle seguite, ed anche tutti i lettori silenziosi.
Silvia.