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Autore: Marco1989    21/09/2020    1 recensioni
Da un momento all'altro, la tua vita cambia all'improvviso: un istante, uno schianto, e ti trovi in un mondo che hai soltanto sognato. Ti trovi di nuovo ragazzo, e coinvolto in una avventura che mai avresti sognato di vivere. Matteo Simoncini si troverà improvvisamente catapultato ad Hogwarts, e dovrà decidere cosa fare in quel nuovo mondo, mentre una oscura minaccia si avvicina, e lui potrebbe essere il solo ad avere il potere per fermarla.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A strange, new world'
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CAPITOLO DODICI

Pochi minuti dopo l’improvvisa apparizione di Peter Minus, uno dei più insoliti gruppi di persone che avessi mai visto attraversò la porta della camera, passandomi a qualche centimetro ed iniziando a scendere le scale: Grattastinchi apriva la strada; lo seguivano Ron, con la gamba magicamente steccata, e Lupin, sui due lati di Minus, al quale erano legati con delle pesanti manette. Dietro di loro veniva il professor Piton, ancora svenuto, che Black faceva flutturare con la sua stessa bacchetta. Harry ed Hermione chiudevano il corteo. Li seguii in silenzio, ancora esterrefatto dagli eventi ai quali avevo assistito da quando il topo Crosta si era rivelato un essere umano ufficialmente morto da quasi tredici anni: le accuse mosse a Minus da Lupin e Black, i suoi disperati tentativi di difendersi, la confessione finale, la decisione dei due vecchi amici di ucciderlo. E, soprattutto, Harry, che si era imposto affinché lo risparmiassero e lo facessero arrestare. ‘Mio padre non avrebbe voluto che diventaste degli assassini’, aveva detto. Una decisione molto matura da parte di un ragazzo neanche quattordicenne che si era appena trovato di fronte la ragione per la quale era orfano.

Mentre camminavo verso il tunnel, mi sentivo allo stesso tempo soddisfatto e, in un certo senso, defraudato: le cose erano andate nel migliore dei modi senza il mio intervento. Ancora una volta, tornai a chiedermi che senso avesse avuto la mia presenza in quel luogo e in quel momento se tutto era andato al proprio posto prima che io avessi ragione di muovere un dito.

In un angolo della mia mente, però, una voce sussurrava ancora: sapevo che la storia non era finita, anche se non comprendevo in che modo le cose potessero andare storte.

“Sai cosa significa consegnare Minus?” fu la domanda che udii sollevarsi da Black in direzione di Harry mentre camminavano nel cunicolo.

“Che tu sei libero” rispose il ragazzo.

“Sì, ma… non so se nessuno te lo ha mai detto, ma io sono il tuo padrino”.

“Sì, lo sapevo” disse ancora Harry.

“Beh, i tuoi genitori mi avevano nominato tuo tutore, nel caso… beh, ovviamente posso capire se vuoi rimanere con i tuoi zii… ma… beh… se quando avranno riconosciuto la mia innocenza dovessi desiderare una casa diversa…”.

Harry sbatté la testa contro il soffitto per la sorpresa: “Vuoi dire…venire a vivere con te? Lasciare i Dursley?” esclamò.

“Certo, lo sapevo che non avresti voluto – si schermì Black – Capisco, credevo solo che…”.

“Ma sei matto? – disse Harry, la voce arrochita dalla gioia – Ma certo che voglio lasciare i Dursley! Tu hai una casa? Quando posso venire?”.

Dovetti trattenermi fisicamente dallo scoppiare a ridere alla genuina gioia del mio compagno di scuola: sapevo quanto detestasse i suoi zii, e quanto desiderasse una vera famiglia. Ora vedevo Black sotto una luce molto diversa: era un brav’uomo, Harry sarebbe stato felice vivendo la sua adolescenza insieme a qualcuno che potesse somigliare ad un vero padre.

Uscimmo dal foro sotto le radici del Platano Picchiatore non appena Grattastinchi ebbe premuto il nodo sul tronco, io appena tre o quattro metri dietro Harry ed Hermione. Le nubi coprivano ancora buona parte del cielo.

“Una sola mossa falsa, Peter” rammentò minacciosamente Lupin, puntando la bacchetta contro il petto dell’ex amico.

Avevano appena iniziato a risalire i prati verso il castello, quando le cose presero ad accadere molto in fretta: una nuvola si spostò rivelando la luna piena, il gruppo si bloccò ed il corpo di Lupin iniziò a tremare. Hermione lasciò partire un urlo strozzato: “Non ha preso la pozione stasera! Non è innocuo!”.

Con orrore, incapace anche solo di pensare di intervenire, vidi il professore trasformarsi velocemente, assumendo tratti animaleschi. Pochi secondi dopo, un Lupo Mannaro ringhiava contro Harry. Black si trasformò nell’enorme cane nero e lo impegnò in una dura lotta. Un attimo dopo Hermione urlò, e voltando la testa dalla scena del combattimento vidi Minus lanciarsi sulla bacchetta di Lupin, trascinandosi dietro Ron, incapace di reggersi sulla gamba malandata. Due lampi di luce dopo, il ragazzo e Grattastinchi giacevano a terra privi di sensi.

Expelliarmus!” urlò Harry, e Minus si ritrovò disarmato, ma non sembrò preoccuparsene troppo: un attimo dopo, si era già trasformato in topo, e stava fuggendo attraverso l’erba dei prati.

Fu un lampo: nell’istante esatto nel quale Minus schizzò via diretto verso la foresta qualcosa sembrò risvegliarsi dentro di me. Per la prima volta, non si trattò di una semplice sensazione o di un sussurro, non fu un pensiero apparentemente guidato da una Forza esterna, quella che udii fu una voce, chiara e distinta come se qualcuno mi stesse parlando a pochi centimetri dall’orecchio. Era una voce femminile, ma differente da qualsiasi altra avessi mai sentito nella mia vita. Era calda, gentile, e trasmetteva un grande senso di pace e serenità. Ciononostante, era anche straordinariamente decisa: “Ora! – mi disse – Adesso è il tuo momento, Joshua Carter! Vai!”.

Non ebbi minimamente bisogno di chiedermi che cosa intendesse: partii di corsa verso la foresta, dritto sulla scia di Peter Minus. Mi infilai tra gli alberi come un cavallo in corsa, ma dopo alcune centinaia di metri mi fermai. Sbuffando come una locomotiva, mi tolsi di dosso l’Incantesimo di Disillusione e mi appoggiai ad un albero, cercando di riprendere fiato e di mettere in ordine le idee. La voce mi aveva fatto capire perfettamente cosa dovevo fare, ma ancora una volta si era dimenticata di spiegarmi come: stavo cercando di inseguire un ratto all’interno di un intrico di alberi in piena oscurità. Era un’impresa impossibile, non ero un cane o una volpe, non potevo certo seguire una pista.

Un ricordo mi attraversò la testa, tanto improvviso da spingermi a domandarmi se fossi stato io a formularlo o se mi fosse stato suggerito: non potevo farlo? Le cose non stavano esattamente così. Rammentai una lezione di Incantesimi di alcuni mesi prima, poco dopo la fine delle vacanze natalizie: il professor Vitious ci aveva spiegato un piccolo, strano incantesimo, capace per breve tempo di incrementare le capacità olfattive di una persona al livello di quelle del miglior segugio. Al tempo avevamo riso tutti, chiedendoci quale utilità potesse mai avere una simile magia, a parte cercare tartufi senza l’ausilio di un cane. Avevamo addirittura fatto una battuta a Seamus, dicendogli che se avessimo provato ad utilizzare l’incantesimo nel nostro dormitorio, visto l’odore dei suoi calzini saremmo probabilmente morti tutti. Ci era sembrato uno scherzo. Sorrisi involontariamente: se non era destino quello, non avrei saputo come chiamarlo. Puntai la bacchetta direttamente contro il mio naso e mormorai: "Nidorum!".

La mia mente fu improvvisamente invasa da un cumulo incredibile di sensazioni: fu come entrare in una stanza nella quale erano in corso cento conversazioni differenti. Impiegai qualche secondo per capire che stavo registrando un cumulo di stimoli olfattivi mai sperimentato prima, simili ma allo stesso tempo diversissimi da quelli uditivi: sentivo il profumo dell’erba umida per la rugiada della notte, la resina dei tronchi, la terra morbida, l’odore di un’infinità di creature viventi diverse. Era inebriante, ma sapevo di dovermi sbrigare: l’incantesimo aveva una durata di pochi minuti, e io dovevo ancora individuare il mio obiettivo all’interno di quella cacofonia di stimoli. La memoria era la mia sola possibilità: era più che probabile che Minus non avesse ancora ripreso forma umana, una fuga come topo era molto più agevole, e io avevo passato dei mesi nello stesso dormitorio nel quale dormiva Crosta. Mi sforzai per ricordare il debole odore del roditore, e quando finalmente credetti di averlo ben chiaro in mente, trassi un profondo respiro. Per qualche istante credetti di essere sopraffatto dalla miriade di sensazioni che il mio cervello inesperto tentava di elaborare, poi la distinsi: davanti a me, leggermente spostato sulla destra, a non più di trecento metri di distanza… era odore di pelo di topo… e di paura.

Ripresi a correre, facendomi guidare dal mio naso, benché il mio superolfatto stesse già scemando. Minus era in vantaggio, ma io avevo gambe molto più lunghe e forti delle sue. Il problema sarebbe stato distinguere la minuscola figura del topo nel buio della foresta…

Invece no. Ancora una volta, pensai che qualcuno o qualcosa si stesse impegnando per aiutarmi, per piegare il destino quel tanto sufficiente a darmi una possibilità: all’improvviso arrivai al limite di una radura quasi circolare tra gli alberi, e a non più di quindici metri di distanza, perfettamente visibile nella luce della luna piena, c’era Minus, lanciato in una corsa disperata verso l’altro lato dello spiazzo.

Estrassi la bacchetta e appoggiai il braccio destro contro un tronco per prendere meglio la mira. Non era semplice centrare un topo nell’oscurità, ma ero certo di poterci riuscire.

Fu come se il tempo avesse rallentato fin quasi a fermarsi: vedevo le zampette di Minus muoversi freneticamente sull’erba bassa, mentre la punta della mia bacchetta lo seguiva. Sentivo che tutto ciò che avevo vissuto fino ad allora mi aveva portato a quel momento, e improvvisamente ebbi chiaro cosa la strana Forza voleva da me, a cosa mi aveva guidato: io dovevo fermare Minus. Definitivamente.

Se non fosse stato abbastanza chiaro, la voce che avevo sentito pochi minuti prima mi parlò di nuovo: “Devi farlo, Joshua – mi disse con gentilezza ma con grande decisione – Devi ucciderlo, adesso”.

Avvertii la mia mano tremare come una foglia nel vento, rendendomi difficile addirittura mantenere la mira. Sarebbe bastato un colpo solo… magari un Incantesimo Esplosivo, nel caso avessi sbagliato di poco sarebbe stato più che sufficiente per eliminare un topo… ma tra pensarlo e farlo passava parecchia strada: Minus era un traditore, Minus era uno spergiuro, Minus era un assassino… Minus era, di fronte alla mia bacchetta, un essere completamente indifeso. Quanto migliore di lui sarei diventato se davvero lo avessi ucciso a tradimento? Possibile che davvero fosse quella la ragione del mio incredibile viaggio, della mia vita ad Hogwarts, delle amicizie e degli affetti che avevo creato, di tutte le cose che avevo imparato? Prepararmi per compiere un omicidio al momento giusto?

“Lo so che è difficile – mormorò ancora la voce in tono rassicurante – Eppure lo devi fare, Joshua. Se Minus stanotte vivrà, molte persone soffriranno. L’oscurità calerà su tutto ciò che hai imparato ad amare. Solo tu hai il potere di evitarlo: la vita di Minus… per quelle di tanti altri. Fallo, Joshua… fallo, Matteo!”.

Scorretto, molto scorretto, Signora Voce. Quella presenza ultraterrena mi aveva appena caricato sulle spalle l’equivalente metaforico di un vero e proprio macigno. La cosa peggiore era che sentivo che stava dicendo la verità. Chiunque, o qualunque cosa fosse, doveva aver realmente visto gli eventi futuri, e mi stava trasmettendo un’immagine chiara e limpida come un lago di montagna: se a Minus fosse stato consentito di fuggire, qualcosa di terribile oltre ogni misura sarebbe avvenuto. Strinsi più saldamente la bacchetta: se doveva essere così, che fosse! Cercai di pronunciare l’incantesimo, ma la mia bocca si rifiutò di obbedire. Non potevo farlo, non in quel modo! Se lo avessi avuto davanti, anche lui con la bacchetta in mano, allora forse… ma in quelle condizioni era tutto inutile: non avevo l’istinto del killer, c’era poco da fare, e le più potenti e nobili motivazioni non sarebbero mai state sufficienti per spingermi a compiere un assassinio a sangue freddo. Non potevo uccidere Minus, ma poteva esserci un altro modo… potevo tentare di forzare un po’ la mano al destino. Non avevo mai creduto che tutto fosse scritto, le cose potevano essere cambiate! Potevo fermare Minus senza trasformarmi in un assassino, potevo mettere le cose a posto, forse potevo addirittura far scagionare Sirius dalle sue accuse, farlo tornare un uomo libero, restituire a Harry un pezzo di quella famiglia che non aveva mai avuto!

“Ti prego, Matteo! – supplicò la Voce, che doveva aver ‘sentito’ i miei pensieri e la mia decisione – Non farlo! Le tue intenzioni sono nobili, ma stai correndo un rischio terribile! La vita di un traditore omicida vale quelle che metterai in pericolo per seguire la linea che vuoi scegliere?”.

Un groppo mi si formò in gola, ma scacciai quelle parole: forse aveva ragione, ma se era così, la Voce aveva scelto la persona sbagliata. Matteo Simoncini non poteva agire in quel modo, e neanche Joshua Carter. ‘Il destino non è scritto’, mi ripetei ancora, e mi convinsi definitivamente: avrei fatto le cose a modo mio, ed avrei ottenuto lo stesso risultato senza che le mie mani si sporcassero di sangue inerme, se non certamente innocente.

Spostai la punta della bacchetta di qualche centimetro e urlai: “Tonare!”.

Il potente Incantesimo Esplosivo sprizzò dalla punta come un fiotto di luce arancione ed andò a schiantarsi due metri davanti al topo, provocando uno scoppio fragoroso ed aprendo un piccolo cratere nel terreno. Minus venne scaraventato indietro, ma si risollevò immediatamente, alzandosi sulle zampe posteriori ed iniziando a voltare freneticamente la testa nel tentativo di capire da dove fosse arrivato l’attacco prima di riprendere la fuga.

“Non muoverti, Minus! – urlai con la voce più dura che fui capace di emettere – Se ti azzardi a fare soltanto un altro passo, ti giuro su Merlino in persona che ti faccio saltare in aria! Tu sei piccolo, ma io ho un’ottima mira, quindi non fare stupidaggini!”.

Il topo si paralizzò sul posto, tremante. Lentamente voltò la testa nella mia direzione, e perfino da quella distanza vidi il terrore nei suoi occhi, ma non osò tentare di scappare.

“Bene, vedo che hai capito – continuai, uscendo dalla linea degli alberi, sempre tenendo la bacchetta puntata contro di lui – Se fai esattamente quello che ti dico, è possibile che tu riesca a vedere il sole di domani. Per prima cosa, torna immediatamente umano!”.

Vidi il topo rimanere interdetto per qualche secondo, come se stesse soppesando le possibilità che avrebbe avuto di fuggire prima di essere ridotto in polvere, poi ci fu un piccolo scoppio di luce, e Peter Minus, a quattro zampe, giacque sul terreno della radura. Faticosamente, quasi come se le gambe si rifiutassero di reggerlo, si trascinò in piedi: “C…Chi sei? P…perché ce l’hai con me?” chiese con voce tremante.

Il mio volto si deformò in una smorfia cattiva: “Se proprio ti interessa, mi chiamo Joshua Carter, ma in questo momento puoi considerarmi il tuo peggiore incubo. Le mie motivazioni sono unicamente mie, ma credo che non serva molto per trovare dei buoni motivi per avercela con te, sporco assassino!”.

Credetti che a Minus sarebbe venuto un infarto: non riusciva a smettere di tremare, né a staccare gli occhi dalla bacchetta puntata contro il suo petto. Ormai ero a meno di cinque metri da lui. Mi fermai.

“C…che cosa vuoi?” chiese ancora a fatica.

“Una domanda interessante. Quello che vorrei veramente, con ogni probabilità, è vederti morire urlando, ma non sono un macellaio come te. Quindi ti dico quello che succederà adesso: tu ti avvierai verso il castello, camminando davanti a me. Se solo ti azzardi a tentare di fuggire, oppure a trasformarti nella tua forma Animagus, se vedo spuntare anche solo un baffo, ti ritroverai nella schiena un buco grosso come una Pluffa. Una volta arrivati ad Hogwarts, andremo dritti dritti da Silente. Ci penserà lui a farti arrivare nel posto al quale veramente appartieni: Azkaban! Ci sono Lily e James Potter che attendono di avere giustizia, così come tutti i poveri Babbani che hai assassinato per salvare la tua sporca pellaccia, e Sirius Black, che ha passato dodici anni in galera per colpa tua!”.

La mia esposizione, che conteneva informazioni note solo allo stesso Minus e a pochissimi altri, colpì il traditore come una mazza, ed il lampo nei miei occhi dovette rincarare ulteriormente la dose. Smise perfino di tremare, tanto era lo stupore, e rimase a fissarmi con occhi vacui. Alla fine riuscì ad articolare la domanda che si era formata nella sua testa: “Chi sei tu veramente? Sembri uno studente, ma non è tutto qui, vero? Come fai a sapere queste cose? Non sei un normale ragazzo, ho ragione?”.

Risi, con una risata senza allegria: “Bravo, hai fatto centro. Suppongo che serva un bugiardo per scoprirne un altro. Chi io sia, però, non è cosa che ti riguardi: quello che ti serve sapere è che io sono colui che in questo momento ha su di te diritto di vita o morte. Puoi scegliere: andare verso il castello, essere arrestato e vivere, oppure restare dove sei o tentare di scappare e morire. A te la decisione”.

Minus rimase fermo sul posto, mentre i suoi occhi guizzavano da una parte all’altra della radura alla disperata ricerca di un modo per scappare, ma alla fine sembrò rendersi conto di non poter in alcun modo sfuggirmi senza essere colpito, quindi, la testa china sul petto, lo sguardo rassegnato, si avviò nella direzione dalla quale era arrivato.

“Cammina lentamente, e fermati se te lo ordino, o ti assicuro che ti ritroverai un buco dalla schiena fino al petto – ringhiai, cercando di sembrare più convinto di quanto realmente fossi di essere capace di ucciderlo se avesse tentato la fuga – Non credere solo perché sono un ragazzo di potermi prendere in…”.

Mi bloccai all’improvviso: avevo avvertito qualcosa, uno strano cambiamento nell’aria della notte: i colori già scuri della foresta iniziarono come a sbiadirsi, a ingrigirsi, mentre un freddo sempre più intenso parve penetrarmi nelle ossa. Udii un rumore nelle orecchie, per il momento lontano e indistinguibile, ma apparentemente sempre più vicino. Le gambe iniziarono a tremarmi.

Minus si bloccò come una statua, senza che gli avessi dato ordini, ma in quel momento non pensai neppure di colpirlo: il freddo stava diventando sempre più intenso, l’aria si stava oscurando, come se una fitta nebbia stesse calando sulla foresta, le stelle praticamente non si distinguevano più tra le chiome degli alberi. Per qualche secondo mi domandai che cosa stesse succedendo, anche se avevo un terribile sospetto, poi il mio prigioniero emise un acuto squittio, degno del topo che era stato fino a poco prima, e lo vidi irrigidirsi come un palo per il terrore. Guardai davanti a lui, e una coltre di paura appiccicosa calò sul mio cuore: attraverso gli alberi vidi due alte figure avvolte in mantelli grigi avvicinarsi a noi, fluttuando a qualche centimetro dal terreno come i più orribili trai fantasmi. Il freddo sembrò aumentare man mano che si avvicinavano, quasi lo stessero portando con se. Feci una terribile fatica ad ingoiare il groppo che si era formato nella mia gola: avevo già visto quelle creature mentre oltrepassavo i cancelli della scuola diretto verso Hogsmeade, e non avrei mai potuto confondere i Dissennatori con qualsiasi altra cosa.

Dalla gola di Minus fuoriuscì un gorgoglio strozzato, che andò a trasformarsi in una sorta di acutissimo grido, dal quale traspariva un orrore inesprimibile. Un istante dopo, senza nessun preavviso, scattò di lato e si lanciò in una pazza corsa, completamente dimentico della bacchetta puntata contro la sua schiena. Un attimo dopo, si stava già trasformando in topo.

“Ah, no! Non ci provare, carogna! Tonare!”.

In quel momento non stavo minimamente riflettendo, tutti i miei dubbi sull’opportunità di uccidere Minus erano stati letteralmente obliterati dalla situazione: la paura che mi aveva colto mi impediva di ragionare, e la velocità con la quale le cose stavano precipitando mi aveva spinto ad una reazione estrema. Non aveva però contribuito a migliorare la mia mira: l’Incantesimo Esplosivo centrò il terreno ad un paio di metri dal topo, che squittì di dolore e venne scagliato di lato, rotolò alcune volte, poi si rimise sulle zampe e schizzò via, infilandosi nei cespugli.

Avrei voluto inseguirlo, ma compresi subito di non esserne in grado: il gelo mi opprimeva ormai come una coperta, faticavo addirittura a respirare l’aria fredda, e dovetti faticare per mantenere l’equilibrio. Nella mia mente i suoni indistinti avevano assunto caratteristiche fin troppo riconoscibili: una disperata frenata, lamiere che si deformavano con violenza, vetri infranti, poi uno schianto che sembrava invadere tutto il mondo. Deglutii: i Dissennatori, mentre banchettavano con le tue emozioni positive e la tua felicità, erano capaci di farti rivivere i momenti peggiori della tua vita, i terrori che infestavano i tuoi incubi, ed era fin troppo facile capire quali fossero i miei.

Una scarica di rabbia mista ad adrenalina mi attraversò il corpo: se quelle due schifose creature pensavano di fare uno spuntino di mezzanotte a mie spese, si sbagliavano di grosso! Alzai la bacchetta e la puntai contro quello più vicino: “Lontano da me, essere immondo! – urlai – Depulso!”.

Il raggio di energia dorata eruppe con violenza dalla punta della bacchetta, si scagliò contro il mostro a gran velocità, lo centrò in pieno petto… e scomparve, senza nessuna apparente conseguenza. La creatura non ebbe la minima reazione, continuò soltanto a fluttuare verso di me.

Per un istante rimasi a fissare, come inebetito, l’essere che si avvicinava. Ormai era solo a sette o otto metri. Una coltre di sudore gelido e appiccicoso copriva la mia pelle, le mie gambe tremavano. Involontariamente, feci un passo indietro, poi mi riscossi: l’Incantesimo di Esilio non aveva funzionato, quindi era il caso di togliersi i guanti bianchi! Raccogliendo disperatamente le forze che minacciavano di abbandonarmi, presi nuovamente la mira: “Percutio!”. La sola volta che avevo sperimentato l’Incantesimo Perforante, avevo fatto in un banco un buco molto simile a quello che avrebbe potuto provocare una pallottola calibro 50, e non ci avevo messo neanche tutta la mia forza. Era un incantesimo cattivo, fatto per ferire se non per uccidere. Il suo uso ingiustificato contro un altro essere umano poteva costarti diversi anni di galera, ammesso che il tuo bersaglio sopravvivesse. Sul Dissennatore, però, ebbe meno effetto di una pallina da tennis: quello semplicemente lo ignorò, continuando ad avanzare.

“Cazzo, NO! – urlai, una punta di panico nella voce – Lacero! Impactus! TONARE!”.

Era quanto di meglio avessi nel mio repertorio: tre potenti incantesimi da combattimento lanciati in catena, in modo che i movimenti dell’uno si incastrassero in quelli del successivo per una esecuzione più rapida. Perfino un mago adulto di discreta abilità avrebbe avuto dei grossi problemi a respingerli tutti e tre. Non volevo, non potevo credere che non avrebbero funzionato, se lo avessi fatto avrei dovuto ammettere di essere nei guai fino al collo.

Il mostruoso essere non sembrò neanche accorgersi di essere stato centrato.

Ormai terrorizzato, indietreggiai ancora, e dopo due passi avvertii dietro la schiena una superficie ruvida. Ero appoggiato contro un albero. Ero in trappola, incapace di scappare e incapace di difendermi. Una parte di me aveva saputo dall’inizio che nessuna delle mie magie avrebbe potuto salvarmi, che c’era un solo incantesimo in grado di mettere in fuga un Dissennatore… l’unico tra quelli che avessi provato che mi ero dimostrato incapace di eseguire!

Il mostro era ormai a cinque metri, e la pressione sulla mia testa era divenuta insostenibile. Avevo tanto freddo, come se improvvisamente fossi stato teletrasportato nell’Artico, e le mie ginocchia minacciavano di cedere da un momento all’altro. La scena dell’incidente era chiara nella mia mente, come se fossi stato di nuovo all’interno della macchina che si stava disintegrando: i rumori, le sensazioni, perfino il dolore si ripetevano in un loop apparentemente infinito.

Cercai disperatamente di riscuotermi, sapendo che altrimenti sarei stato condannato: con ogni probabilità era tutto inutile, ma dovevo almeno provarci.

‘Un pensiero felice…mi serve un pensiero felice!’ urlava la mia mente, ma era difficilissimo trovare qualcosa nel mare di disperazione che mi aveva invaso. Non mi aiutava il ricordo di quanto male avesse funzionato in una situazione tranquilla: quante speranze avevo di riuscire a produrre un Incanto Patronus in quelle condizioni? Eppure non potevo arrendermi. Alla fine, scelsi la festa sul campo da Quidditch dopo la vittoria della Coppa: era stato il primo momento nel quale mi ero sentito veramente di casa in quello strano, nuovo mondo, poteva essere abbastanza potente. Puntai la bacchetta e urlai: “Expecto Patronum!”.

Una nebbia perlacea si materializzò tra me e il Dissennatore, che per la prima volta si arrestò. Benché il cappuccio impedisse di vedere la sua espressione, ammesso che ne avesse una, ebbi l’impressione che fosse leggermente sorpreso. Immediatamente sentii le mie forze calare ulteriormente, tanto che dovetti abbandonarmi contro il tronco per non cadere, mentre il Patronus malformato drenava una vera e propria ondata di energia dal mio corpo. Il Dissennatore sollevò le braccia, armeggiò qualche secondo con la forma biancastra, poi parve strapparla letteralmente a metà. La nebbia perlacea si dissolse. L’essere riprese ad avanzare. Era a meno di quattro metri. Il suo compagno era poco più indietro, ma non sembrava avere fretta: dovevano aver deciso silenziosamente che toccava al primo nutrirsi con le mie emozioni.

Maledizione, non era abbastanza potente! Mi serviva un ricordo migliore, qualcosa di più efficace! Scavai a fondo nella mia mente sempre più obnubilata dalla sofferenza, ma stava diventando un’impresa quasi impossibile. Qualsiasi esperienza piacevole, qualsiasi bel momento avessi vissuto dall’altra parte era inutile: facevano parte di un passato perduto, e proprio la sua scomparsa li rendeva inefficaci, non mi avrebbero aiutato in quel mondo. Restavano solo i mesi ad Hogwarts, ma c’era qualcosa di abbastanza felice in quel periodo da potermi salvare?

Una illuminazione mi colpì: il mio primo incantesimo nella classe della McGrannitt! Quanto mi ero sentito entusiasta e soddisfatto di me stesso quando il porcospino si era regolarmente trasformato in un puntaspilli e mi ero reso conto di possedere davvero la magia? Poteva essere sufficiente?

Concentrandomi con tutte le mie residue forze sulle sensazioni che avevo provato, urlai di nuovo: “Expecto Patronum”!

La nebbia uscì dalla punta della bacchetta, ma seppi subito di aver fallito ancora: sembrava addirittura più vacua e indistinta della precedente, e mi stava letteralmente risucchiando. Il Dissennatore più vicino si arrestò di nuovo, ma dopo neanche due secondi spostò con una mano coperta di croste il mio patetico tentativo di Patronus e tornò a dirigersi verso di me.

Ero spossato, distrutto, quasi annientato. Solo il tronco dell’albero mi consentiva di rimanere in piedi. Seppi di essere condannato: dubitavo di avere le forze per ritentare, e comunque a cosa sarebbe servito? Avevo fallito. Nella mia mente la scena dell’incidente fu sostituita da una lapide bianca, mentre una voce priva di corpo mi sussurrava: ‘Tu sei morto, Joshua Carter’.

A due metri di distanza l’essere sollevò le braccia, afferrò falde del cappuccio e lo tirò indietro. Un terrore impossibile da descrivere mi avvolse: era cieco, una pelle dall’aria putrefatta si tendeva su due orbite vuote. Sotto, una bocca simile ad un buco informe, spalancata a risucchiare l’aria in un rantolo. Presi a tremare in maniera incontrollata: non voleva solo nutrirsi delle mie emozioni, voleva letteralmente distruggermi, divorare la mia anima. E io non potevo farci niente.

L’essere orribile si tese verso di me, l’antro cavernoso della bocca che sembrava spalancarsi come un abisso. La mia vista si stava rapidamente offuscando, stavo rischiando di svenire, ma compresi che avrei visto abbastanza da assistere all’orribile spettacolo del mio destino. Era finita: non solo non avrei mai più rivisto il mio mondo natale, ma avrei perduto anche tutto quello che avevo trovato ad Hogwarts. I miei amici…non avrei potuto neanche dire loro addio… Seamus… Dean… Ginny… Mary…

All’improvviso l’oscurità che avvolgeva la mia mente parve squarciarsi, e mi apparve, chiara come se fosse stata proiettata su uno schermo, l’immagine di Mary che mi abbracciava sotto il faggio davanti alla riva del lago. Sentii un’ondata di calore salirmi lungo la schiena: il freddo si attenuò, e una grande serenità mi avvolse. Poche ore prima non me ne ero reso veramente conto, ma l’importanza di quel momento aveva letteralmente spazzato via ogni altra cosa accaduta da quando avevo ripreso i sensi all’interno dell’infermeria. Forse mi ero sentito per la prima volta a casa sul campo di Quidditch, ma era stato l’affetto di Mary a farmi capire la cosa più importante: che se anche non fossi mai riuscito a tornare nel mio mondo, non sarebbe stata la fine di tutto, perché c’era una vita vera per me in quel magico universo. Non era una vacanza, non era neanche una missione: era una svolta. Forse non avrei mai dimenticato ciò che avevo lasciato, ma i sentimenti sinceri di Mary mi avevano fatto comprendere cosa avevo trovato. E non avevo nessuna intenzione di lasciarmelo strappare via dal demone che avevo di fronte!

Con una determinazione che non credevo più di possedere, alzai per la terza volta la bacchetta, la sensazione di calore che mi correva lungo il braccio. Il Dissennatore era talmente vicino che la punta quasi lo toccava.

“EXPECTO PATRONUM!”.

La creatura venne letteralmente sbalzata indietro, volò per alcuni metri e cadde violentemente di schiena, mentre un’ondata di energia perlacea lo colpiva con la forza di un treno merci. Questa volta non era solo una nebbia informe: a toccare terra fu un animale, straordinariamente ben definito. Stupefatto, mi resi conto di avere davanti un grande lupo d’argento, le zampe eteree ben piantate sul terreno, il pelo ritto sulla schiena, le zanne snudate contro i due mostri in un silenzioso ringhio di minaccia.

Il Dissennatore appena atterrato cercò di rialzarsi, ma il lupo lo assalì immediatamente, scagliandolo al suolo per la seconda volta. La creatura sembrò decidere di averne abbastanza: non appena riuscì a sfuggire ai denti dell’animale, si allontanò fluttuando. Il lupo si voltò verso il secondo Dissennatore, ma quello non sembrava avere alcuna voglia di affrontare le sue zanne: dopo una breve esitazione, seguì il compagno in direzione del lago. Il Patronus rimase immobile per qualche istante, poi trotterellò verso di me con fare rassicurante e lentamente si dissolse.

Scivolai in ginocchio, improvvisamente svuotato da ogni energia. Il mio corpo iniziò a sussultare: sarebbe stato difficile dire se stessi piangendo o ridendo. Il sollievo mi invase: ero vivo! Senza neanche saperlo, Mary mi aveva salvato: io ormai mi ero arreso, era stato il suo sincero amore di ragazzina a restituirmi la volontà di combattere, e allo stesso tempo a darmi i mezzi per farlo. Avvertii una potente sensazione di orgoglio: ero riuscito a produrre un vero Patronus, un’impresa che perfino molti maghi adulti non riuscivano a compiere! Ero a dir poco fiero di me stesso.

Ero talmente felice che impiegai qualche istante per rendermi conto che il freddo non era completamente sparito: lo avvertivo ancora, anche se lontano e debole. Alzai gli occhi, e ciò che vidi mi apparve come un incubo: Dissennatori, a decine, forse centinaia. Strisciavano attraverso gli alberi, silenziosi come fantasmi, tutti diretti verso la sponda del lago. Non sembravano avermi notato, o se lo avevano fatto si erano disinteressati a me. Per un attimo pensai che potessero addirittura essere spaventati, che i loro due compagni avessero riferito ciò che avevo fatto, poi ogni riflessione scomparve di fronte ad una fondamentale domanda: dove diavolo stavano andando i mostri neri? Poi, quasi in risposta al dubbio inespresso, un uggiolio si levò sopra il silenzio della foresta: un cane che soffriva, più avanti, nella direzione verso la quale si stavano muovendo i Dissennatori.

Un pensiero folgorante mi attraversò: Sirius Black! Non ebbi bisogno di farmi altre domande, non mi chiesi se era veramente il caso di fare una cosa del genere, quante forze mi rimanessero, se avessi degli istinti suicidi malamente repressi. Non attesi neanche di sentire l’opinione della ‘voce’, ammesso che ne avesse una: semplicemente, cercando di non farmi notare e allo stesso tempo di muovermi alla massima velocità possibile, mi mossi verso il lago, pregando di arrivare in tempo.

Ecco qui, miei cari lettori. Come promesso, siamo tornati all'azione. Spero veramente che questo capitolo vi sia piaciuto, personalmente aspettavo di scriverlo da quando ho iniziato questa fiction! Vi chiedo per favore di farmi sapere cosa ne pensate! Alla prossima!

  
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