CAPITOLO
DODICI
Mentre
camminavo verso il tunnel,
mi sentivo allo stesso tempo soddisfatto e, in un certo senso,
defraudato: le
cose erano andate nel migliore dei modi senza il mio intervento. Ancora
una
volta, tornai a chiedermi che senso avesse avuto la mia presenza in
quel luogo
e in quel momento se tutto era andato al proprio posto prima che io
avessi
ragione di muovere un dito.
In
un angolo della mia mente, però,
una voce sussurrava ancora: sapevo che la storia non era finita, anche
se non
comprendevo in che modo le cose potessero andare storte.
“Sai
cosa significa consegnare
Minus?” fu la domanda che udii sollevarsi da Black in
direzione di Harry mentre
camminavano nel cunicolo.
“Che
tu sei libero” rispose il
ragazzo.
“Sì,
ma… non so se nessuno te lo ha
mai detto, ma io sono il tuo padrino”.
“Sì,
lo sapevo” disse ancora Harry.
“Beh,
i tuoi genitori mi avevano
nominato tuo tutore, nel caso… beh, ovviamente posso capire
se vuoi rimanere
con i tuoi zii… ma… beh… se quando
avranno riconosciuto la mia innocenza
dovessi desiderare una casa diversa…”.
Harry
sbatté la testa contro il
soffitto per la sorpresa: “Vuoi dire…venire a
vivere con te? Lasciare i
Dursley?” esclamò.
“Certo,
lo sapevo che non avresti
voluto – si schermì Black – Capisco,
credevo solo che…”.
“Ma
sei matto? – disse Harry, la
voce arrochita dalla gioia – Ma certo che voglio lasciare i
Dursley! Tu hai una
casa? Quando posso venire?”.
Dovetti
trattenermi fisicamente
dallo scoppiare a ridere alla genuina gioia del mio compagno di scuola:
sapevo
quanto detestasse i suoi zii, e quanto desiderasse una vera famiglia.
Ora
vedevo Black sotto una luce molto diversa: era un brav’uomo,
Harry sarebbe
stato felice vivendo la sua adolescenza insieme a qualcuno che potesse
somigliare ad un vero padre.
Uscimmo
dal foro sotto le radici
del Platano Picchiatore non appena Grattastinchi ebbe premuto il nodo
sul
tronco, io appena tre o quattro metri dietro Harry ed Hermione. Le nubi
coprivano ancora buona parte del cielo.
“Una
sola mossa falsa, Peter”
rammentò minacciosamente Lupin, puntando la bacchetta contro
il petto dell’ex
amico.
Avevano
appena iniziato a risalire
i prati verso il castello, quando le cose presero ad accadere molto in
fretta:
una nuvola si spostò rivelando la luna piena, il gruppo si
bloccò ed il corpo
di Lupin iniziò a tremare. Hermione lasciò
partire un urlo strozzato: “Non ha
preso la pozione stasera! Non è innocuo!”.
Con
orrore, incapace anche solo di
pensare di intervenire, vidi il professore trasformarsi velocemente,
assumendo
tratti animaleschi. Pochi secondi dopo, un Lupo Mannaro ringhiava
contro Harry.
Black si trasformò nell’enorme cane nero e lo
impegnò in una dura lotta. Un
attimo dopo Hermione urlò, e voltando la testa dalla scena
del combattimento
vidi Minus lanciarsi sulla bacchetta di Lupin, trascinandosi dietro
Ron,
incapace di reggersi sulla gamba malandata. Due lampi di luce dopo, il
ragazzo
e Grattastinchi giacevano a terra privi di sensi.
“Expelliarmus!”
urlò Harry,
e Minus si ritrovò disarmato, ma non sembrò
preoccuparsene troppo: un attimo
dopo, si era già trasformato in topo, e stava fuggendo
attraverso l’erba dei
prati.
Fu
un lampo: nell’istante esatto
nel quale Minus schizzò via diretto verso la foresta
qualcosa sembrò
risvegliarsi dentro di me. Per la prima volta, non si trattò
di una semplice
sensazione o di un sussurro, non fu un pensiero apparentemente guidato
da una
Forza esterna, quella che udii fu una voce, chiara e distinta come se
qualcuno
mi stesse parlando a pochi centimetri dall’orecchio. Era una
voce femminile, ma
differente da qualsiasi altra avessi mai sentito nella mia vita. Era
calda,
gentile, e trasmetteva un grande senso di pace e serenità.
Ciononostante, era
anche straordinariamente decisa: “Ora! – mi disse
– Adesso è il tuo momento,
Joshua Carter! Vai!”.
Non
ebbi minimamente bisogno di
chiedermi che cosa intendesse: partii di corsa verso la foresta, dritto
sulla
scia di Peter Minus. Mi infilai tra gli alberi come un cavallo in
corsa, ma
dopo alcune centinaia di metri mi fermai. Sbuffando come una
locomotiva, mi
tolsi di dosso l’Incantesimo di Disillusione e mi appoggiai
ad un albero,
cercando di riprendere fiato e di mettere in ordine le idee. La voce mi
aveva
fatto capire perfettamente cosa dovevo fare, ma ancora una volta si era
dimenticata di spiegarmi come: stavo cercando di inseguire un ratto
all’interno
di un intrico di alberi in piena oscurità. Era
un’impresa impossibile, non ero
un cane o una volpe, non potevo certo seguire una pista.
Un
ricordo mi attraversò la testa,
tanto improvviso da spingermi a domandarmi se fossi stato io a
formularlo o se
mi fosse stato suggerito: non potevo farlo? Le cose non stavano
esattamente
così. Rammentai una lezione di Incantesimi di alcuni mesi
prima, poco dopo la
fine delle vacanze natalizie: il professor Vitious ci aveva spiegato un
piccolo, strano incantesimo, capace per breve tempo di incrementare le
capacità
olfattive di una persona al livello di quelle del miglior segugio. Al
tempo
avevamo riso tutti, chiedendoci quale utilità potesse mai
avere una simile magia,
a parte cercare tartufi senza l’ausilio di un cane. Avevamo
addirittura fatto
una battuta a Seamus, dicendogli che se avessimo provato ad utilizzare
l’incantesimo nel nostro dormitorio, visto l’odore
dei suoi calzini saremmo
probabilmente morti tutti. Ci era sembrato uno scherzo. Sorrisi
involontariamente: se non era destino quello, non avrei saputo come
chiamarlo.
Puntai la bacchetta direttamente contro il mio naso e mormorai: "Nidorum!".
La
mia mente fu improvvisamente
invasa da un cumulo incredibile di sensazioni: fu come entrare in una
stanza
nella quale erano in corso cento conversazioni differenti. Impiegai
qualche
secondo per capire che stavo registrando un cumulo di stimoli olfattivi
mai
sperimentato prima, simili ma allo stesso tempo diversissimi da quelli
uditivi:
sentivo il profumo dell’erba umida per la rugiada della
notte, la resina dei
tronchi, la terra morbida, l’odore di
un’infinità di creature viventi diverse.
Era inebriante, ma sapevo di dovermi sbrigare: l’incantesimo
aveva una durata di
pochi minuti, e io dovevo ancora individuare il mio obiettivo
all’interno di
quella cacofonia di stimoli. La memoria era la mia sola
possibilità: era più
che probabile che Minus non avesse ancora ripreso forma umana, una fuga
come
topo era molto più agevole, e io avevo passato dei mesi
nello stesso dormitorio
nel quale dormiva Crosta. Mi sforzai per ricordare il debole odore del
roditore, e quando finalmente credetti di averlo ben chiaro in mente,
trassi un
profondo respiro. Per qualche istante credetti di essere sopraffatto
dalla
miriade di sensazioni che il mio cervello inesperto tentava di
elaborare, poi
la distinsi: davanti a me, leggermente spostato sulla destra, a non
più di
trecento metri di distanza… era odore di pelo di
topo… e di paura.
Ripresi
a correre, facendomi
guidare dal mio naso, benché il mio superolfatto stesse
già scemando. Minus era
in vantaggio, ma io avevo gambe molto più lunghe e forti
delle sue. Il problema
sarebbe stato distinguere la minuscola figura del topo nel buio della
foresta…
Invece
no. Ancora una volta, pensai
che qualcuno o qualcosa si stesse impegnando per aiutarmi, per piegare
il
destino quel tanto sufficiente a darmi una possibilità:
all’improvviso arrivai
al limite di una radura quasi circolare tra gli alberi, e a non
più di quindici
metri di distanza, perfettamente visibile nella luce della luna piena,
c’era
Minus, lanciato in una corsa disperata verso l’altro lato
dello spiazzo.
Estrassi
la bacchetta e appoggiai
il braccio destro contro un tronco per prendere meglio la mira. Non era
semplice centrare un topo nell’oscurità, ma ero
certo di poterci riuscire.
Fu
come se il tempo avesse
rallentato fin quasi a fermarsi: vedevo le zampette di Minus muoversi
freneticamente sull’erba bassa, mentre la punta della mia
bacchetta lo seguiva.
Sentivo che tutto ciò che avevo vissuto fino ad allora mi
aveva portato a quel
momento, e improvvisamente ebbi chiaro cosa la strana Forza voleva da
me, a
cosa mi aveva guidato: io dovevo fermare Minus. Definitivamente.
Se
non fosse stato abbastanza
chiaro, la voce che avevo sentito pochi minuti prima mi
parlò di nuovo: “Devi
farlo, Joshua – mi disse con gentilezza ma con grande
decisione – Devi
ucciderlo, adesso”.
Avvertii
la mia mano tremare come
una foglia nel vento, rendendomi difficile addirittura mantenere la
mira.
Sarebbe bastato un colpo solo… magari un Incantesimo
Esplosivo, nel caso avessi
sbagliato di poco sarebbe stato più che sufficiente per
eliminare un topo… ma
tra pensarlo e farlo passava parecchia strada: Minus era un traditore,
Minus
era uno spergiuro, Minus era un assassino… Minus era, di
fronte alla mia
bacchetta, un essere completamente indifeso. Quanto migliore di lui
sarei
diventato se davvero lo avessi ucciso a tradimento? Possibile che
davvero fosse
quella la ragione del mio incredibile viaggio, della mia vita ad
Hogwarts,
delle amicizie e degli affetti che avevo creato, di tutte le cose che
avevo
imparato? Prepararmi per compiere un omicidio al momento giusto?
“Lo
so che è difficile – mormorò
ancora la voce in tono rassicurante – Eppure lo devi fare,
Joshua. Se Minus
stanotte vivrà, molte persone soffriranno.
L’oscurità calerà su tutto
ciò che
hai imparato ad amare. Solo tu hai il potere di evitarlo: la vita di
Minus… per
quelle di tanti altri. Fallo, Joshua… fallo,
Matteo!”.
Scorretto,
molto scorretto, Signora
Voce. Quella presenza ultraterrena mi aveva appena caricato sulle
spalle
l’equivalente metaforico di un vero e proprio macigno. La
cosa peggiore era che
sentivo che stava dicendo la verità. Chiunque, o qualunque
cosa fosse, doveva
aver realmente visto gli eventi futuri, e mi stava trasmettendo
un’immagine
chiara e limpida come un lago di montagna: se a Minus fosse stato
consentito di
fuggire, qualcosa di terribile oltre ogni misura sarebbe avvenuto.
Strinsi più
saldamente la bacchetta: se doveva essere così, che fosse!
Cercai di
pronunciare l’incantesimo, ma la mia bocca si
rifiutò di obbedire. Non potevo
farlo, non in quel modo! Se lo avessi avuto davanti, anche lui con la
bacchetta
in mano, allora forse… ma in quelle condizioni era tutto
inutile: non avevo
l’istinto del killer, c’era poco da fare, e le
più potenti e nobili motivazioni
non sarebbero mai state sufficienti per spingermi a compiere un
assassinio a sangue
freddo. Non potevo uccidere Minus, ma poteva esserci un altro
modo… potevo
tentare di forzare un po’ la mano al destino. Non avevo mai
creduto che tutto
fosse scritto, le cose potevano essere cambiate! Potevo fermare Minus
senza
trasformarmi in un assassino, potevo mettere le cose a posto, forse
potevo
addirittura far scagionare Sirius dalle sue accuse, farlo tornare un
uomo
libero, restituire a Harry un pezzo di quella famiglia che non aveva
mai avuto!
“Ti
prego, Matteo! – supplicò la
Voce, che doveva aver ‘sentito’ i miei pensieri e
la mia decisione – Non farlo!
Le tue intenzioni sono nobili, ma stai correndo un rischio terribile!
La vita
di un traditore omicida vale quelle che metterai in pericolo per
seguire la
linea che vuoi scegliere?”.
Un
groppo mi si formò in gola, ma
scacciai quelle parole: forse aveva ragione, ma se era così,
la Voce aveva
scelto la persona sbagliata. Matteo Simoncini non poteva agire in quel
modo, e
neanche Joshua Carter. ‘Il destino non è
scritto’, mi ripetei ancora, e mi convinsi
definitivamente: avrei fatto le cose a modo mio, ed avrei ottenuto lo
stesso
risultato senza che le mie mani si sporcassero di sangue inerme, se non
certamente innocente.
Spostai
la punta della bacchetta di
qualche centimetro e urlai: “Tonare!”.
Il
potente Incantesimo Esplosivo
sprizzò dalla punta come un fiotto di luce arancione ed
andò a schiantarsi due
metri davanti al topo, provocando uno scoppio fragoroso ed aprendo un
piccolo
cratere nel terreno. Minus venne scaraventato indietro, ma si
risollevò
immediatamente, alzandosi sulle zampe posteriori ed iniziando a voltare
freneticamente la testa nel tentativo di capire da dove fosse arrivato
l’attacco prima di riprendere la fuga.
“Non
muoverti, Minus! – urlai con
la voce più dura che fui capace di emettere – Se
ti azzardi a fare soltanto un
altro passo, ti giuro su Merlino in persona che ti faccio saltare in
aria! Tu
sei piccolo, ma io ho un’ottima mira, quindi non fare
stupidaggini!”.
Il
topo si paralizzò sul posto,
tremante. Lentamente voltò la testa nella mia direzione, e
perfino da quella
distanza vidi il terrore nei suoi occhi, ma non osò tentare
di scappare.
“Bene,
vedo che hai capito –
continuai, uscendo dalla linea degli alberi, sempre tenendo la
bacchetta
puntata contro di lui – Se fai esattamente quello che ti
dico, è possibile che
tu riesca a vedere il sole di domani. Per prima cosa, torna
immediatamente
umano!”.
Vidi
il topo rimanere interdetto
per qualche secondo, come se stesse soppesando le
possibilità che avrebbe avuto
di fuggire prima di essere ridotto in polvere, poi ci fu un piccolo
scoppio di
luce, e Peter Minus, a quattro zampe, giacque sul terreno della radura.
Faticosamente, quasi come se le gambe si rifiutassero di reggerlo, si
trascinò
in piedi: “C…Chi sei?
P…perché ce l’hai con me?”
chiese con voce tremante.
Il
mio volto si deformò in una
smorfia cattiva: “Se proprio ti interessa, mi chiamo Joshua
Carter, ma in
questo momento puoi considerarmi il tuo peggiore incubo. Le mie
motivazioni
sono unicamente mie, ma credo che non serva molto per trovare dei buoni
motivi
per avercela con te, sporco assassino!”.
Credetti
che a Minus sarebbe venuto
un infarto: non riusciva a smettere di tremare, né a
staccare gli occhi dalla
bacchetta puntata contro il suo petto. Ormai ero a meno di cinque metri
da lui.
Mi fermai.
“C…che
cosa vuoi?” chiese ancora a
fatica.
“Una
domanda interessante. Quello
che vorrei veramente, con ogni probabilità, è
vederti morire urlando, ma non
sono un macellaio come te. Quindi ti dico quello che
succederà adesso: tu ti
avvierai verso il castello, camminando davanti a me. Se solo ti azzardi
a
tentare di fuggire, oppure a trasformarti nella tua forma Animagus, se
vedo
spuntare anche solo un baffo, ti ritroverai nella schiena un buco
grosso come
una Pluffa. Una volta arrivati ad Hogwarts, andremo dritti dritti da
Silente.
Ci penserà lui a farti arrivare nel posto al quale veramente
appartieni:
Azkaban! Ci sono Lily e James Potter che attendono di avere giustizia,
così
come tutti i poveri Babbani che hai assassinato per salvare la tua
sporca
pellaccia, e Sirius Black, che ha passato dodici anni in galera per
colpa tua!”.
La
mia esposizione, che conteneva
informazioni note solo allo stesso Minus e a pochissimi altri,
colpì il
traditore come una mazza, ed il lampo nei miei occhi dovette rincarare
ulteriormente la dose. Smise perfino di tremare, tanto era lo stupore,
e rimase
a fissarmi con occhi vacui. Alla fine riuscì ad articolare
la domanda che si
era formata nella sua testa: “Chi sei tu veramente? Sembri
uno studente, ma non
è tutto qui, vero? Come fai a sapere queste cose? Non sei un
normale ragazzo,
ho ragione?”.
Risi,
con una risata senza
allegria: “Bravo, hai fatto centro. Suppongo che serva un
bugiardo per
scoprirne un altro. Chi io sia, però, non è cosa
che ti riguardi: quello che ti
serve sapere è che io sono colui che in questo momento ha su
di te diritto di
vita o morte. Puoi scegliere: andare verso il castello, essere
arrestato e
vivere, oppure restare dove sei o tentare di scappare e morire. A te la
decisione”.
Minus
rimase fermo sul posto,
mentre i suoi occhi guizzavano da una parte all’altra della
radura alla
disperata ricerca di un modo per scappare, ma alla fine
sembrò rendersi conto
di non poter in alcun modo sfuggirmi senza essere colpito, quindi, la
testa china
sul petto, lo sguardo rassegnato, si avviò nella direzione
dalla quale era
arrivato.
“Cammina
lentamente, e fermati se
te lo ordino, o ti assicuro che ti ritroverai un buco dalla schiena
fino al
petto – ringhiai, cercando di sembrare più
convinto di quanto realmente fossi
di essere capace di ucciderlo se avesse tentato la fuga – Non
credere solo
perché sono un ragazzo di potermi prendere
in…”.
Mi
bloccai all’improvviso: avevo
avvertito qualcosa, uno strano cambiamento nell’aria della
notte: i colori già scuri
della foresta iniziarono come a sbiadirsi, a ingrigirsi, mentre un
freddo
sempre più intenso parve penetrarmi nelle ossa. Udii un
rumore nelle orecchie,
per il momento lontano e indistinguibile, ma apparentemente sempre
più vicino.
Le gambe iniziarono a tremarmi.
Minus
si bloccò come una statua,
senza che gli avessi dato ordini, ma in quel momento non pensai neppure
di
colpirlo: il freddo stava diventando sempre più intenso,
l’aria si stava
oscurando, come se una fitta nebbia stesse calando sulla foresta, le
stelle
praticamente non si distinguevano più tra le chiome degli
alberi. Per qualche
secondo mi domandai che cosa stesse succedendo, anche se avevo un
terribile
sospetto, poi il mio prigioniero emise un acuto squittio, degno del
topo che
era stato fino a poco prima, e lo vidi irrigidirsi come un palo per il
terrore.
Guardai davanti a lui, e una coltre di paura appiccicosa
calò sul mio cuore:
attraverso gli alberi vidi due alte figure avvolte in mantelli grigi
avvicinarsi a noi, fluttuando a qualche centimetro dal terreno come i
più
orribili trai fantasmi. Il freddo sembrò aumentare man mano
che si
avvicinavano, quasi lo stessero portando con se. Feci una terribile
fatica ad
ingoiare il groppo che si era formato nella mia gola: avevo
già visto quelle creature
mentre oltrepassavo i cancelli della scuola diretto verso Hogsmeade, e
non
avrei mai potuto confondere i Dissennatori con qualsiasi altra cosa.
Dalla
gola di Minus fuoriuscì un
gorgoglio strozzato, che andò a trasformarsi in una sorta di
acutissimo grido,
dal quale traspariva un orrore inesprimibile. Un istante dopo, senza
nessun
preavviso, scattò di lato e si lanciò in una
pazza corsa, completamente
dimentico della bacchetta puntata contro la sua schiena. Un attimo
dopo, si
stava già trasformando in topo.
“Ah,
no! Non ci provare, carogna! Tonare!”.
In
quel momento non stavo
minimamente riflettendo, tutti i miei dubbi
sull’opportunità di uccidere Minus
erano stati letteralmente obliterati dalla situazione: la paura che mi
aveva
colto mi impediva di ragionare, e la velocità con la quale
le cose stavano
precipitando mi aveva spinto ad una reazione estrema. Non aveva
però
contribuito a migliorare la mia mira: l’Incantesimo Esplosivo
centrò il terreno
ad un paio di metri dal topo, che squittì di dolore e venne
scagliato di lato,
rotolò alcune volte, poi si rimise sulle zampe e
schizzò via, infilandosi nei
cespugli.
Avrei
voluto inseguirlo, ma
compresi subito di non esserne in grado: il gelo mi opprimeva ormai
come una
coperta, faticavo addirittura a respirare l’aria fredda, e
dovetti faticare per
mantenere l’equilibrio. Nella mia mente i suoni indistinti
avevano assunto
caratteristiche fin troppo riconoscibili: una disperata frenata,
lamiere che si
deformavano con violenza, vetri infranti, poi uno schianto che sembrava
invadere tutto il mondo. Deglutii: i Dissennatori, mentre banchettavano
con le
tue emozioni positive e la tua felicità, erano capaci di
farti rivivere i
momenti peggiori della tua vita, i terrori che infestavano i tuoi
incubi, ed
era fin troppo facile capire quali fossero i miei.
Una
scarica di rabbia mista ad
adrenalina mi attraversò il corpo: se quelle due schifose
creature pensavano di
fare uno spuntino di mezzanotte a mie spese, si sbagliavano di grosso!
Alzai la
bacchetta e la puntai contro quello più vicino:
“Lontano da me, essere immondo!
– urlai – Depulso!”.
Il
raggio di energia dorata eruppe
con violenza dalla punta della bacchetta, si scagliò contro
il mostro a gran
velocità, lo centrò in pieno petto… e
scomparve, senza nessuna apparente
conseguenza. La creatura non ebbe la minima reazione,
continuò soltanto a
fluttuare verso di me.
Per
un istante rimasi a fissare,
come inebetito, l’essere che si avvicinava. Ormai era solo a
sette o otto
metri. Una coltre di sudore gelido e appiccicoso copriva la mia pelle,
le mie
gambe tremavano. Involontariamente, feci un passo indietro, poi mi
riscossi:
l’Incantesimo di Esilio non aveva funzionato, quindi era il
caso di togliersi i
guanti bianchi! Raccogliendo disperatamente le forze che minacciavano
di
abbandonarmi, presi nuovamente la mira: “Percutio!”.
La sola volta che
avevo sperimentato l’Incantesimo Perforante, avevo fatto in
un banco un buco
molto simile a quello che avrebbe potuto provocare una pallottola
calibro 50, e
non ci avevo messo neanche tutta la mia forza. Era un incantesimo
cattivo,
fatto per ferire se non per uccidere. Il suo uso ingiustificato contro
un altro
essere umano poteva costarti diversi anni di galera, ammesso che il tuo
bersaglio sopravvivesse. Sul Dissennatore, però, ebbe meno
effetto di una
pallina da tennis: quello semplicemente lo ignorò,
continuando ad avanzare.
“Cazzo,
NO! – urlai, una punta di
panico nella voce – Lacero! Impactus!
TONARE!”.
Era
quanto di meglio avessi nel mio
repertorio: tre potenti incantesimi da combattimento lanciati in
catena, in
modo che i movimenti dell’uno si incastrassero in quelli del
successivo per una
esecuzione più rapida. Perfino un mago adulto di discreta
abilità avrebbe avuto
dei grossi problemi a respingerli tutti e tre. Non volevo, non potevo
credere
che non avrebbero funzionato, se lo avessi fatto avrei dovuto ammettere
di
essere nei guai fino al collo.
Il
mostruoso essere non sembrò
neanche accorgersi di essere stato centrato.
Ormai
terrorizzato, indietreggiai
ancora, e dopo due passi avvertii dietro la schiena una superficie
ruvida. Ero
appoggiato contro un albero. Ero in trappola, incapace di scappare e
incapace
di difendermi. Una parte di me aveva saputo dall’inizio che
nessuna delle mie
magie avrebbe potuto salvarmi, che c’era un solo incantesimo
in grado di
mettere in fuga un Dissennatore… l’unico tra
quelli che avessi provato che mi
ero dimostrato incapace di eseguire!
Il
mostro era ormai a cinque metri,
e la pressione sulla mia testa era divenuta insostenibile. Avevo tanto
freddo,
come se improvvisamente fossi stato teletrasportato
nell’Artico, e le mie
ginocchia minacciavano di cedere da un momento all’altro. La
scena
dell’incidente era chiara nella mia mente, come se fossi
stato di nuovo
all’interno della macchina che si stava disintegrando: i
rumori, le sensazioni,
perfino il dolore si ripetevano in un loop apparentemente infinito.
Cercai
disperatamente di
riscuotermi, sapendo che altrimenti sarei stato condannato: con ogni
probabilità era tutto inutile, ma dovevo almeno provarci.
‘Un
pensiero felice…mi serve un
pensiero felice!’ urlava la mia mente, ma era difficilissimo
trovare qualcosa
nel mare di disperazione che mi aveva invaso. Non mi aiutava il ricordo
di
quanto male avesse funzionato in una situazione tranquilla: quante
speranze
avevo di riuscire a produrre un Incanto Patronus in quelle condizioni?
Eppure
non potevo arrendermi. Alla fine, scelsi la festa sul campo da
Quidditch dopo
la vittoria della Coppa: era stato il primo momento nel quale mi ero
sentito
veramente di casa in quello strano, nuovo mondo, poteva essere
abbastanza
potente. Puntai la bacchetta e urlai: “Expecto
Patronum!”.
Una
nebbia perlacea si materializzò
tra me e il Dissennatore, che per la prima volta si arrestò.
Benché il
cappuccio impedisse di vedere la sua espressione, ammesso che ne avesse
una,
ebbi l’impressione che fosse leggermente sorpreso.
Immediatamente sentii le mie
forze calare ulteriormente, tanto che dovetti abbandonarmi contro il
tronco per
non cadere, mentre il Patronus malformato drenava una vera e propria
ondata di
energia dal mio corpo. Il Dissennatore sollevò le braccia,
armeggiò qualche
secondo con la forma biancastra, poi parve strapparla letteralmente a
metà. La
nebbia perlacea si dissolse. L’essere riprese ad avanzare.
Era a meno di
quattro metri. Il suo compagno era poco più indietro, ma non
sembrava avere
fretta: dovevano aver deciso silenziosamente che toccava al primo
nutrirsi con
le mie emozioni.
Maledizione,
non era abbastanza
potente! Mi serviva un ricordo migliore, qualcosa di più
efficace! Scavai a
fondo nella mia mente sempre più obnubilata dalla
sofferenza, ma stava
diventando un’impresa quasi impossibile. Qualsiasi esperienza
piacevole,
qualsiasi bel momento avessi vissuto dall’altra parte era
inutile: facevano
parte di un passato perduto, e proprio la sua scomparsa li rendeva
inefficaci,
non mi avrebbero aiutato in quel mondo. Restavano solo i mesi ad
Hogwarts, ma
c’era qualcosa di abbastanza felice in quel periodo da
potermi salvare?
Una
illuminazione mi colpì: il mio
primo incantesimo nella classe della McGrannitt! Quanto mi ero sentito
entusiasta e soddisfatto di me stesso quando il porcospino si era
regolarmente
trasformato in un puntaspilli e mi ero reso conto di possedere davvero
la
magia? Poteva essere sufficiente?
Concentrandomi
con tutte le mie
residue forze sulle sensazioni che avevo provato, urlai di nuovo: “Expecto
Patronum”!
La
nebbia uscì dalla punta della
bacchetta, ma seppi subito di aver fallito ancora: sembrava addirittura
più
vacua e indistinta della precedente, e mi stava letteralmente
risucchiando. Il
Dissennatore più vicino si arrestò di nuovo, ma
dopo neanche due secondi spostò
con una mano coperta di croste il mio patetico tentativo di Patronus e
tornò a
dirigersi verso di me.
Ero
spossato, distrutto, quasi
annientato. Solo il tronco dell’albero mi consentiva di
rimanere in piedi.
Seppi di essere condannato: dubitavo di avere le forze per ritentare, e
comunque a cosa sarebbe servito? Avevo fallito. Nella mia mente la
scena
dell’incidente fu sostituita da una lapide bianca, mentre una
voce priva di
corpo mi sussurrava: ‘Tu sei morto, Joshua Carter’.
A
due metri di distanza l’essere
sollevò le braccia, afferrò falde del cappuccio e
lo tirò indietro. Un terrore
impossibile da descrivere mi avvolse: era cieco, una pelle
dall’aria putrefatta
si tendeva su due orbite vuote. Sotto, una bocca simile ad un buco
informe,
spalancata a risucchiare l’aria in un rantolo. Presi a
tremare in maniera
incontrollata: non voleva solo nutrirsi delle mie emozioni, voleva
letteralmente distruggermi, divorare la mia anima. E io non potevo
farci
niente.
L’essere
orribile si tese verso di
me, l’antro cavernoso della bocca che sembrava spalancarsi
come un abisso. La
mia vista si stava rapidamente offuscando, stavo rischiando di svenire,
ma
compresi che avrei visto abbastanza da assistere all’orribile
spettacolo del
mio destino. Era finita: non solo non avrei mai più rivisto
il mio mondo
natale, ma avrei perduto anche tutto quello che avevo trovato ad
Hogwarts. I
miei amici…non avrei potuto neanche dire loro
addio… Seamus… Dean… Ginny…
Mary…
All’improvviso
l’oscurità che
avvolgeva la mia mente parve squarciarsi, e mi apparve, chiara come se
fosse
stata proiettata su uno schermo, l’immagine di Mary che mi
abbracciava sotto il
faggio davanti alla riva del lago. Sentii un’ondata di calore
salirmi lungo la
schiena: il freddo si attenuò, e una grande
serenità mi avvolse. Poche ore
prima non me ne ero reso veramente conto, ma l’importanza di
quel momento aveva
letteralmente spazzato via ogni altra cosa accaduta da quando avevo
ripreso i
sensi all’interno dell’infermeria. Forse mi ero
sentito per la prima volta a
casa sul campo di Quidditch, ma era stato l’affetto di Mary a
farmi capire la
cosa più importante: che se anche non fossi mai riuscito a
tornare nel mio
mondo, non sarebbe stata la fine di tutto, perché
c’era una vita vera per me in
quel magico universo. Non era una vacanza, non era neanche una
missione: era
una svolta. Forse non avrei mai dimenticato ciò che avevo
lasciato, ma i
sentimenti sinceri di Mary mi avevano fatto comprendere cosa avevo
trovato. E
non avevo nessuna intenzione di lasciarmelo strappare via dal demone
che avevo
di fronte!
Con
una determinazione che non
credevo più di possedere, alzai per la terza volta la
bacchetta, la sensazione
di calore che mi correva lungo il braccio. Il Dissennatore era talmente
vicino
che la punta quasi lo toccava.
“EXPECTO PATRONUM!”.
La
creatura venne letteralmente
sbalzata indietro, volò per alcuni metri e cadde
violentemente di schiena,
mentre un’ondata di energia perlacea lo colpiva con la forza
di un treno merci.
Questa volta non era solo una nebbia informe: a toccare terra fu un
animale,
straordinariamente ben definito. Stupefatto, mi resi conto di avere
davanti un
grande lupo d’argento, le zampe eteree ben piantate sul
terreno, il pelo ritto
sulla schiena, le zanne snudate contro i due mostri in un silenzioso
ringhio di
minaccia.
Il
Dissennatore appena atterrato
cercò di rialzarsi, ma il lupo lo assalì
immediatamente, scagliandolo al suolo
per la seconda volta. La creatura sembrò decidere di averne
abbastanza: non
appena riuscì a sfuggire ai denti dell’animale, si
allontanò fluttuando. Il
lupo si voltò verso il secondo Dissennatore, ma quello non
sembrava avere
alcuna voglia di affrontare le sue zanne: dopo una breve esitazione,
seguì il
compagno in direzione del lago. Il Patronus rimase immobile per qualche
istante, poi trotterellò verso di me con fare rassicurante e
lentamente si
dissolse.
Scivolai
in ginocchio,
improvvisamente svuotato da ogni energia. Il mio corpo
iniziò a sussultare:
sarebbe stato difficile dire se stessi piangendo o ridendo. Il sollievo
mi
invase: ero vivo! Senza neanche saperlo, Mary mi aveva salvato: io
ormai mi ero
arreso, era stato il suo sincero amore di ragazzina a restituirmi la
volontà di
combattere, e allo stesso tempo a darmi i mezzi per farlo. Avvertii una
potente
sensazione di orgoglio: ero riuscito a produrre un vero Patronus,
un’impresa
che perfino molti maghi adulti non riuscivano a compiere! Ero a dir
poco fiero
di me stesso.
Ero
talmente felice che impiegai qualche
istante per rendermi conto che il freddo non era completamente sparito:
lo
avvertivo ancora, anche se lontano e debole. Alzai gli occhi, e
ciò che vidi mi
apparve come un incubo: Dissennatori, a decine, forse centinaia.
Strisciavano
attraverso gli alberi, silenziosi come fantasmi, tutti diretti verso la
sponda
del lago. Non sembravano avermi notato, o se lo avevano fatto si erano
disinteressati a me. Per un attimo pensai che potessero addirittura
essere
spaventati, che i loro due compagni avessero riferito ciò
che avevo fatto, poi
ogni riflessione scomparve di fronte ad una fondamentale domanda: dove
diavolo
stavano andando i mostri neri? Poi, quasi in risposta al dubbio
inespresso, un
uggiolio si levò sopra il silenzio della foresta: un cane
che soffriva, più
avanti, nella direzione verso la quale si stavano muovendo i
Dissennatori.
Un
pensiero folgorante mi
attraversò: Sirius Black! Non ebbi bisogno di farmi altre
domande, non mi
chiesi se era veramente il caso di fare una cosa del genere, quante
forze mi
rimanessero, se avessi degli istinti suicidi malamente repressi. Non
attesi
neanche di sentire l’opinione della
‘voce’, ammesso che ne avesse una:
semplicemente, cercando di non farmi notare e allo stesso tempo di
muovermi
alla massima velocità possibile, mi mossi verso il lago,
pregando di arrivare
in tempo.
Ecco
qui, miei
cari lettori. Come promesso, siamo tornati all'azione. Spero veramente
che
questo capitolo vi sia piaciuto, personalmente aspettavo di scriverlo
da quando
ho iniziato questa fiction! Vi chiedo per favore di farmi sapere cosa
ne
pensate! Alla prossima!