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Autore: Kimando714    23/09/2020    2 recensioni
Giulia ha solo quindici anni quando impara che, nella vita, non si può mai sapere in anticipo che direzione prenderà l’indomani. Questa certezza la trova durante una comune mattina di novembre, quando il suo tragitto incrocia (quasi) del tutto casualmente quello di Filippo, finendo tra le sue braccia.
E cadendo subito dopo a causa dell’urto.
Un momento all’apparenza insignificante come tanti altri, ma che, come Giulia scoprirà andando avanti nel suo cammino, potrebbe assumere una luce piuttosto differente.
“Il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi” - (Italo Calvino)
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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CAPITOLO 58 - SUMMERTIME SADNESS




 
L’afa della mattinata del 24 agosto non gli lasciava scampo, dandogli una sensazione di soffocamento mentre camminava sotto il sole, dopo aver lasciato l’auto parcheggiata lungo il marciapiede. Alessio sbuffò piano, osservando i numeri civici ai cancelli delle case, mentre li superava lentamente per arrivare, dopo poco, a quello che era la sua meta.
Rimpianse, anche se solo per poco, l’aria fresca del ventilatore che teneva nella camera di casa sua, dove però l’avrebbero atteso solo i libri per le ultime due settimane di ripasso prima del test d’ingresso. Nulla che gli mancasse davvero: quello che l’attendeva in quella giornata poteva essere forse più pesante, ma si sentiva elettrizzato al solo pensiero di ciò che l’aspettava.
Si bloccò di fronte al cancello che corrispondeva al numero che Pietro gli aveva indicato: si trovò di fronte ad una casa a schiera, piuttosto simile alle altre che la seguivano e la precedevano lungo la via, con un giardino abbastanza curato. Lanciò un’occhiata intorno, consapevole che una di quelle case lì vicino doveva essere quella di Filippo.
Era passato fin troppo tempo dalla prima ed unica volta che aveva messo piede a casa Cadorna: i ricordi che ne conservava erano ormai sfocati, così tanto che Alessio ringraziò mentalmente di essersi fatto scrivere da Pietro l’indirizzo per essere del tutto sicuro di non finire a suonare a casa di qualcun altro.
Suonare il campanello fu la prima cosa che fece, una volta lì di fronte. Sperò di venire aperto subito: stava soffocando dall’afa e l’umidità che già c’era a quell’ora della mattina, e non voleva nemmeno ritardare ad avviarsi alla stazione per prendere il treno.
Pietro non sembrava pensarla allo stesso modo, a giudicare dal fatto che, nonostante un altro tentativo con il campanello e diversi minuti dopo, Alessio si ritrovava ancora, invariabilmente, di fronte al cancello, quando alla partenza del loro treno da Torre San Donato mancava poco meno di mezz’ora.
Soffocò qualche imprecazione: riusciva già ad immaginarsi nell’arrivare troppo tardi in stazione, arrivare quindi troppo tardi a Venezia, e mancare tutti gli appuntamenti che li aspettavano per visitare gli appartamenti che avevano puntato nell’ultima settimana. Un’immagine piuttosto catastrofista, ma che stava diventando sempre più realtà ad ogni minuto che passava.
Riportò un’ultima volta la mano al campanello, facendo una leggera pressione su quello e sperando di sentire finalmente lo scatto del cancello per aprirsi. Il risultato che Alessio ebbe fu lo stesso dei precedenti tentativi: l’immobilità più assoluta.
-Hai bisogno d’aiuto?-.
Alessio, già pronto con il telefono in mano per tentare un ultimo disperato tentativo di ricevere qualche segno vitale da Pietro, sobbalzò nel sentire la voce femminile che aveva appena parlato piuttosto vicino a lui. Si voltò: era l’unico a trovarsi in strada in quel momento, e la donna che aveva appena parlato, a pochi metri di distanza, non poteva essersi rivolta a nessun altro se non a lui. Alessio la osservò qualche secondo: aveva un aspetto piuttosto giovanile, e lo stava guardando di rimando con curiosità, rivolgendogli un sorriso gentile e disponibile. Per i primi secondi ipotizzò potesse essere una vicina di casa di Pietro, ma guardandola meglio non ebbe più alcun dubbio sul fatto che, come minimo, fosse una sua parente stretta. La somiglianza fisica era incredibilmente evidente: gli stessi tratti decisi del volto, seppur più delicati in lei, i capelli castani che le ricadevano in morbide curve sulle spalle strette, e lo stesso nero degli occhi di Pietro. Sembrava piuttosto giovane, ad una prima impressione, per essere la madre, ma non doveva esserlo neppure abbastanza per poter essere una possibile sorella di cui Alessio non aveva nemmeno mai sentito parlare. Restava il fatto certo della somiglianza pazzesca con Pietro, innegabile persino agli occhi di uno sconosciuto come lui.
-Cercavo una persona che abita qui- Alessio si schiarì la gola, facendo un cenno con il capo verso la casa a cui era di fronte – Un mio amico. Dovevamo incontrarci un po’ di minuti fa, ma per quanto abbia provato a suonare il campanello non mi ha ancora aperto-.
La donna annuì, illuminatasi:
-Sei l’amico con cui Pietro doveva andare a Venezia oggi?- gli domandò subito, avvicinandosi al cancello e tirando fuori un mazzo di chiavi dalla borsa che teneva in mano.
Alessio si limitò ad annuire, rendendosi conto che, se la donna abitava lì, non poteva essere altro che la madre di Pietro. Si sentì sollevato da quel colpo di fortuna, ed ancor di più quando, finalmente, con un giro di chiave il cancello si aprì.
-Probabilmente si sarà svegliato troppo tardi e si starà ancora preparando in bagno. E non essendoci nessun altro in casa al momento eri per forza chiuso fuori- riprese lei, rivolgendo ad Alessio un nuovo sorriso, affabile e mite – Entra pure! Puoi aspettarlo dentro, non c’è nessun problema-.
Alessio la seguì, ricambiando finalmente il sorriso, lungo il vialetto che conduceva davanti alla porta d’ingresso.
Attraversarono la soglia dell’ingresso, e percorrendo il corridoio principale dell’abitazione, giungendo finalmente al salotto della casa; ad Alessio, guardandosi intorno, non sembrò che l’ambiente fosse cambiato molto dall’ultima volta che vi era stato, pur ricordandolo a fatica. Vi erano lo stesso profumo di pulito, l’aria ordinata e le foto di Pietro con i fratelli che due anni prima si era fermato ad osservare.
-Vuoi qualcosa mentre aspetti?- la voce della donna giunse alle spalle di Alessio, avvicinatosi senza una ragione precisa ad una scaffale colmo di libri che troneggiava in un angolo del salotto – E mettiti pure comodo … ?- .
-Alessio- rispose lui, girandosi verso l’altra e realizzando solo in quel momento di non essersi ancora presentato. L’ansia di arrivare in ritardo gli stava già giocando brutti scherzi, si ritrovò ad ammettere trattenendosi a stento dallo scuotere la testa sconsolato.
-Alessio, giusto. E dire che Pietro me lo aveva detto proprio ieri sera come ti chiamavi- scosse appena il capo la donna, probabilmente rimproverandosi per la sbadataggine.
Alessio la vide allungare la mano destra: gliela strinse con la sua, aspettando finalmente di scoprire se la sua ipotesi che fosse la madre di Pietro fosse esatta.
-Io sono Alessandra- disse lei, ridendo un po’ probabilmente per il nome simile – La … -.
-Mamma, ma non dovevi tornare almeno tra un’ora?-.
La voce che l’aveva interrotta era inconfondibile, e Alessio non faticò a riconoscerla per quella di Pietro: girò il capo nella direzione da cui era provenuta, trovandolo sporto oltre il corrimano delle scale che portavano al piano superiore, a malapena visibile dall’angolo del salotto in cui lui ed Alessandra si trovavano. Dovette fare qualche passo nella direzione di Alessandra per poter finalmente distinguere meglio la figura alta di Pietro, vestito con un solo asciugamano legato in vita e probabilmente appena uscito dalla doccia – segno inequivocabile che sì, erano davvero in ritardo per il loro treno.
-Ci ho impiegato meno tempo di quel che pensavo- replicò lei, rivolgendo poi un’occhiata ad un ancora silenzioso Alessio – E per fortuna per il tuo amico, direi. Stava aspettando da un po’ che tu lo aprissi-.
-Non ero lì poi da così tanto- cercò di minimizzare Alessio, venendo ignorato e interrotto nuovamente da Alessandra, rivolta di nuovo a Pietro:
-Vuoi sbrigarti, Pietro? Sei ancora nudo e invece sareste già dovuti avviarvi!-.
Alessio si vide tolte le parole di bocca: si ritrovò a ringraziare mentalmente Alessandra per avergli risparmiato il dover far presente a Pietro che avevano il tempo contato.
Pietro non rispose, limitandosi ad una smorfia seccata e ad un sospiro stressato, particolare che non sfuggì né ad Alessio né ad Alessandra, che preferì comunque allontanarsi dal salotto, scuotendo gravemente il capo. Rimasto solo in quella stanza, Alessio meditò di chiamare a Venezia per rimandare gli appuntamenti a cui, probabilmente, non sarebbero mai arrivati in orario.
-Ehi, Lentiggini, hai intenzione di rimanertene lì da solo ancora per molto?-.
Alessio alzò di nuovo il capo al suono della voce di Pietro; aggrottò la fronte al nomignolo con cui l’aveva appena chiamato.
-Vieni su, anche se non ci metterò molto!- proseguì ancora l’altro, rafforzando le sue parole con un gesto di incoraggiamento, prima di sparire di nuovo, probabilmente in camera sua per vestirsi.
Indeciso se quella fosse o no una buona idea, Alessio non poté fare altro: suo malgrado si ritrovò a percorrere di nuovo il corridoio per raggiungere le scale. Si stupì, dopo essere finalmente giunto al piano superiore, di ricordare ancora dove si trovasse la stanza dell’altro; Pietro si trovava già al suo interno, davanti all’armadio spalancato.
Neppure quella stanza non era cambiata molto durante quei due anni  in cui Alessio non ci aveva messo piede: vi regnava lo stesso ordine totalmente opposto a quello della sua stanza, gli stessi disegni appesi alle pareti, la libreria in angolo sempre piena di libri. Solo il letto appariva sfatto, con il lenzuolo arrotolato ai piedi del materasso senza cura, e con un paio di jeans già stesi sopra.
Alessio oltrepassò la soglia della stanza, fermandosi alcuni secondi nel notare Pietro, ancora con il solo asciugamano stretto invita, con un’espressione indecisa stampata in viso. Fece un’enorme fatica a trattenersi dal dirgli che doveva sbrigarsi.
-Dici che questa possa andare?- Pietro gli si rivolse subito, dopo aver estratto una maglietta rossa dall’armadio, mostrandogliela dubbioso.
-Sì, direi di sì- disse Alessio sbrigativamente – Basta che ti vesti, così potremo andare finalmente a prendere quel maledetto treno-.
La sua impazienza non fece altro che far ridere Pietro sotto i baffi. Lanciò la maglietta sul letto, esattamente come i jeans, prima di portare le mani al nodo dell’asciugamano per scioglierlo.
Alessio si girò un po’, in imbarazzo, senza che Pietro gli dicesse nulla. Con la coda dell’occhio riuscì comunque a distinguere lo stesso asciugamano che copriva Pietro, almeno fino a un attimo prima, finire sul letto. Sentì la gola seccarsi, inevitabilmente, arrossendo più di quanto non avrebbe mai voluto. Il fatto che Pietro si fosse girato di schiena non rendeva la situazione più facile, perché non gli impediva di seguire la linea delle spalle larghe, lungo la vita sottile, fino alle gambe. Lo vide muoversi sinuosamente, mentre si infilava distrattamente un paio di boxer, seguiti subito dopo dai jeans.
Alessio trattenne a stento un sospiro frustrato verso se stesso: era innegabile che Pietro avesse un bel corpo, e che lui non fosse cieco. Era piuttosto sicuro che, conosciutisi in diverse circostanze e senza essere amici, avrebbe anche potuto prendere in considerazione l’idea di provarci con lui.
-Tutto bene?- la voce di Pietro spezzò di colpo l’atmosfera che si era creata; ora era di nuovo voltato di fronte a lui, osservandolo con uno sguardo a metà tra la curiosità e l’esitazione.
-Sì, tutto bene. Solo, mi stavo domandando … - arrancò Alessio, odiandosi per l’inusuale voce rauca con cui si era sforzato di parlare, e per aver cominciato una frase a cui non sapeva dare una fine con un minimo di senso - … Da quando hai cominciato a chiamarmi Lentiggini?-.
Davanti al sorriso malizioso – e nuovamente quel senso di secchezza alla gola- che Pietro gli rivolse, Alessio non poté fare a meno di prendere in seria considerazione l’idea di andarsene sul serio.
-Da quando ho pensato si adattasse bene a te. Cioè poco fa- ammise Pietro, avvicinandosi di qualche passo verso l’altro – Si notano parecchio ora che sei abbronzato, le lentiggini. Ora che sei arrossito anche di più-.
Alessio sentì il forte desiderio di voler sprofondare in quel preciso momento: cominciava quasi a sperare di perdere sul serio il treno, e doversene ritornare a casa per il resto della giornata. O almeno il tempo che sarebbe bastato per una doccia fredda.
Pietro rise ancora, osservandolo nella sua tacita frustrazione:
-Non pensare male, non ti ho chiesto di venire qui per flirtare con te- continuò, con ironia, probabilmente ricordando un po’ troppo vividamente gli ultimi giorni passati in Puglia – Volevo chiederti un consiglio su come vestirmi. Sai, tutti i discorsi sulle prime impressioni e quelle cose lì-.
estate, Pietro- puntualizzò Alessio, grato di avere finalmente qualcosa da fare che non fosse concentrarsi sul corpo dell’altro – Una maglietta semplice come quella e dei jeans andranno più che bene. Ma non servirà a nulla se non ci muoviamo-.
Non aveva nemmeno il coraggio di guardare l’ora dal telefono, ormai piuttosto consapevole che il tempo a loro disposizione si stesse assottigliando sempre di più. Era sull’orlo di una crisi di nervi.
-Ho finito- Pietro lo mormorò mentre finalmente si infilava anche la maglietta che aveva appena scelto, finendo così di vestirsi.
Alessio non attese oltre: fece per girarsi verso la porta, ma si bloccò quando udì Pietro schiarirsi la gola a disagio. Si girò verso di lui con aria interrogativa, osservandolo in attesa.
-In realtà volevo chiederti un parere anche su un’altra cosa. Una cosa veloce, nulla di che-.
Alessio rimase fermo qualche secondo, parecchio interdetto, prima di fare qualche passo indietro ed avvicinarsi di nuovo. Non aveva idea a cosa potesse riferirsi Pietro: non si erano visti da quando erano tornati dalla Puglia, troppo indaffarati con il lavoro e la ripresa del ripasso disperato prima del test che li attendeva nei primi giorni di settembre. Avevano trovato solo il tempo per una telefonata durata almeno un paio d’ore, fatta in una notte di metà settimana, in cui si erano confrontati sugli gli appartamenti ancora rimasti liberi a Venezia e che potevano visitare. Pietro non aveva accennato a nulla fuori dall’ordinario, al contrario di quel momento. Nonostante se ne fosse rimasto in silenzio, sperando che quel giorno il treno arrivasse in ritardo come spesso accadeva, Alessio non poté fare a meno di sentirsi almeno un po’ curioso per quello che Pietro stava per chiedergli.
-Non te ne ho parlato prima perché ero ancora in preda all’indecisione- iniziò a parlare l’altro, portando una mano sull’orlo dei boxer e scostandolo appena poco più giù, l’altra mano a tenere sollevato di poco l’orlo della maglietta – Ma alla fine sono andato a farmelo giusto il giorno dopo essere tornati dalla Puglia-.
Alessio spalancò gli occhi con sorpresa quando finalmente capì quel che Pietro gli stava mostrando. Seguì le lettere in corsivo incise sull’inguine dell’altro, un semplice tatuaggio in nero e in contrasto con la pelle chiara. Our dreams will break the boundaries of our fear [1], lesse in un paio di secondi. 
-Non ti facevo tipo da tatuaggi- esclamò Alessio, scuotendo il capo, e riportando gli occhi verso un Pietro in attesa – Non ti ha dato fastidio l’ago?-.
-Ho passato di peggio- ridacchiò Pietro, leggermente rosso in viso – E poi mi fa decisamente più paura bucarmi le orecchie, come hai fatto tu-.
Alessio gli dette una leggera pacca sulla spalla:
-Non offendere il mio orecchino- borbottò, trattenendosi però dal ridere – Comunque, se volevi chiedermi cosa ne penso … Ci sta. Se ci tenevi tanto, hai fatto bene a farlo. Potrei quasi azzardare a dire che ti dona-.
Gli erano mancati quei momenti di leggero sarcasmo tra di loro, ed anche i sorrisi rilassati di Pietro, come quello che gli stava rivolgendo dopo le sue ultime parole. Aveva temuto che, dopo il loro equivoco negli ultimi giorni di vacanza, ci sarebbe voluto del tempo prima che le cose tornassero alla normalità. Si era decisamente sbagliato, perché quel momento dimostrava l’esatto contrario.
Si ritrovò a sorridere tra sé e sé a quella consapevolezza.
-Ora però andiamo sul serio- disse, stavolta avviandosi davvero alla porta – O giuro che il prossimo tatuaggio te lo farò personalmente, scrivendoti sulla fronte “ritardatario”-.
Pietro gli fu subito dietro in pochi secondi, meno di quelli che Alessio si sarebbe aspettato.
-Fa strada, Lentiggini- gli disse, con un ghigno stampato sulle labbra – Arriveremo a Venezia perfettamente puntuali. Smettila di essere paranoico-.
Alessio sospirò profondamente, rinunciando a protestare. Sperò solamente che, per una volta, Pietro avesse ragione, almeno in quella giornata che si prospettava tutt’altro che facile.
 
*
 
Pietro tirò il fiatone, dopo aver finalmente raggiunto il piano dove si trovava l’ultimo appartamento che lui ed Alessio avrebbero visitato in quella giornata. Aveva perso il conto di quante scalinate avevano fatto durante la mattinata, in palazzi più o meno recenti che si trovavano tra gli intrecci delle calli veneziane.
L’unico momento di riposo era stato il pranzo: avevano comprato un paio di panini a pochi euro in un bar dall’aria vagamente malfamata, per poi camminare fino al molo di San Marco e mangiarli seduti su una panchina che dava direttamente sulla laguna. Era stata una parentesi di quieta tranquillità che era durata troppo poco, almeno per come la vedeva Pietro.
A pomeriggio inoltrato, dopo essere passati da altri appartamenti, era finalmente giunto il turno dell’ultimo. Non aveva idea di cosa aspettarsi: fino a quel momento avevano trovato un assortimento così eterogeneo di abitazioni che non sapeva nemmeno da dove iniziare. Per quel che ne sapeva, quell’ultima visita sarebbe potuta essere un successo quanto un disastro pazzesco.
Attese, per qualche secondo, che Alessio lo raggiungesse: era rimasto poco più indietro rispetto a lui, continuando a salire le scale con decisamente più calma.
-Dovrebbe essere il piano giusto, vero?- Pietro gli chiese conferma.
Alessio annuì, finalmente raggiungendolo:
-Sì, grazie al cielo- mormorò, tirando un sospiro pesante. Era rosso in viso, la fronte leggermente sudata, e Pietro era sicuro che anche lui non doveva essere in uno stato migliore. Faceva troppo caldo, avevano camminato troppo, e c’era sempre quel velo d’ansia che si sentiva nello stomaco che non poteva far altro che peggiorare le cose.
Alessio si incamminò con fare sicuro verso la porta dell’appartamento che dava direttamente di fronte alla scalinata; Pietro lo seguì, limitandosi a rimanere in silenzio.
-Dovremmo esserci-.
Senza aggiungere altro, Alessio pigiò sul campanello accanto alla porta massiccia, in legno scuro, che si stagliava di fronte a loro. Pietro gli si affiancò, le braccia piegate contro il petto, in attesa: non aveva idea di chi trovarsi di fronte, visto che quell’appartamento l’aveva rintracciato Alessio. Ricordava solo che gli aveva raccontato di essersi messo in contatto con i due studenti che l’abitavano, e che stavano cercando nuovi inquilini dopo che loro se ne sarebbero andati di lì a poco.
Prima che potesse chiederne conferma ad Alessio, l’ebbe direttamente da chi aprì la porta: si ritrovò di fronte un ragazzo che doveva avere al massimo qualche anno più di loro, con gli occhiali ed una barba folta, i capelli lunghi tenuti legati in uno chignon disordinato che gli davano l’aria da studente un po’ hipster.
-Ciao!- esordì subito lui, così entusiasta che per un attimo Pietro si sentì preso contropiede – Alessio e Pietro, giusto?-.
-Esattamente- Alessio si fece subito avanti, ricambiando con un sorriso cortese – Tu sei Andrea, no?-.
-In persona-.
Dopo una stretta di mani collettiva, Andrea si scostò per farli entrare. Sembrava gentile, quantomeno disponibile, e al contrario delle visite precedenti Pietro si sentì a suo agio quasi subito appena messo piede nell’appartamento.
-Vi posso offrire qualcosa?- continuò a parlare Andrea, con tono così colloquiale che sembrava stesse parlando con amici di vecchia data – Mi sembrate un po’ provati-.
Pietro rise in automatico:
-Un po’ d’acqua, magari. Fuori sembra di essere all’inferno dal caldo-.
Si scambiò un’occhiata con Alessio, mentre seguivano Andrea verso la cucina: si prospettava una mezz’ora interessante, quella che li attendeva da passare lì dentro.
 


-E questa è l’altra stanza da letto, più o meno grande come l’altra- spiegò Andrea, non appena aperta la porta che dava su un’altra camera da letto, di fronte alla prima che avevano appena lasciato.
Pietro si guardò intorno di nuovo, osservando la grande finestra sulla parete di fondo, da dove entrava sufficiente luce per poter studiare i dettagli della stanza.
Avevano iniziato il tour non molto prima, tempo di bere qualcosa e rifocillarsi. Andrea aveva continuato ad essere la stessa persona entusiasta e disponibile che li aveva accolti, non risparmiandosi in dettagli sulle varie zone dell’appartamento mentre le visitavano. Aveva spiegato loro che il suo coinquilino non c’era per quel weekend, e che quindi ci avrebbe pensato lui a illustrare tutti i dettagli della casa: Pietro non se ne era potuto lamentare, perché era apparso sufficientemente esaustivo.
Avanzò all’interno della camera, quella che doveva essere del coinquilino assente, ritrovandosi ad apprezzarla: era un po’ più piccola della sua a casa, e forse anche meno di alcune trovate nel resto degli appartamenti che avevano visitato quel giorno, ma era anche la più graziosa. Aveva i muri degli stessi colori tenui e pastello che si trovavano nel resto della casa, e tende gialle che davano un tocco di vitalità.
Pietro si trovò a sorridere tra sé e sé, inconsapevolmente.
-E il tour è finito- disse ancora Andrea, dopo pochi attimi di silenzio – Se avete altri dubbi, ditemi pure-.
Alessio annuì, pensieroso. Era stato spesso in silenzio per tutta la durata della visita, osservando attentamente, rimanendo concentrato come non mai.
-In realtà mi stavo domandando se … -.
La voce di Alessio gli risuonò sempre più distante, mentre si distraeva sempre di più, fino a non ascoltare oltre. Sapeva che era un errore, che avrebbe dovuto far attenzione alla conversazione appena iniziata tra Alessio ed Andrea, ma non riuscì a tornare sui suoi passi.
Era forse una sensazione irrazionale, quella che stava provando, ma non poteva negare anche a se stesso il senso di familiarità che aveva percepito in quell’appartamento. Il palazzo in cui si trovava non era forse tra  quelli di più recente costruzione, e non era nemmeno troppo comodo per arrivare fino alla sede del Dipartimento di informatica a Mestre, ma c’erano tanti piccoli dettagli a ricordargli che, tra tutti i posti visti quel giorno, quello era di sicuro il più carino. C’era un senso di inaspettata pace che Pietro aveva provato nel visitare quell’appartamento: gli piacevano le pareti dipinte con quei colori chiari, da un giallo acceso all’azzurro marino del salotto; si era ritrovato ad ammirare il paesaggio che si poteva notare dalle finestre, una bella vista sulla cupola di San Marco che, sebbene non si trovasse particolarmente vicina, si stagliava nitida nel cielo sereno. C’era spazio sufficiente per viverci tranquillamente, in quella casa dai mobili in legno chiaro e dall’atmosfera luminosa
Riusciva ad immaginarsi a vivere lì, senza nemmeno cercare di sforzarsi. Era semplice pensare di essere lì, vivere tra quei muri, esserne soddisfatto. Era solo una sensazione, ma era anche la scintilla che immaginava si provasse quando, finalmente, si trovava il posto giusto.
 
*
 
L’aria che entrava dal finestrino semi aperto della carrozza bastava a malapena per rendere l’afa sopportabile. Era ormai sera, e il sole già stava tramontando, tingendo il cielo di rosso e d’arancio, con il caldo e l’umidità che però non sembravano diminuire.
Alessio osservò il paesaggio fuori dal treno passare veloce; vi era una certa quiete in quella carrozza, non troppo affollata nonostante l’ora di punta della serata.
Seduto sul sedile di fronte al suo, si sentiva lo sguardo di Pietro addosso. Non sembrava intenzionato a dire qualcosa, almeno non per il momento; erano partiti da poco dalla stazione di Venezia, e la stanchezza sembrava farsi più pesante ad ogni minuto che passava. C’era ancora tempo per parlare, prima di arrivare alla stazione di Borgo Padano e poi a quella di Torre San Donato, da dove erano partiti quella mattina.
Alessio si lasciò sprofondare nel sedile, chiudendo per un attimo gli occhi: si sentiva le gambe molli, dolorose, un ricordo lasciatogli dall’aver dovuto camminare per delle ore lungo le calli di Venezia, ed essere praticamente corsi verso la stazione quando il loro treno per Borgo Padano stava quasi per partire.
Era stata una giornata lunga, faticosa, ma non poteva negare che fosse anche stata fruttuosa per tanti motivi.
-A cosa stai pensando?-.
Alessio si sforzò di alzare le palpebre solo quando Pietro gli mormorò quella domanda. Forse si era deciso a spezzare il ghiaccio e a parlare. Non avevano avuto molto tempo per farlo durante tutta la giornata, troppo impegnati com’erano stati a cercare indirizzi, visitare appartamenti, confrontarsi con chi già ci abitava e con chi stava lasciando il posto in cui aveva abitato fino a quel momento.
-A quanto Venezia sia cara- Alessio riportò lo sguardo verso l’altro, lasciandosi scivolare sul sedile ancor di più, con fare stanco – Non abbiamo molte scelte possibili-.
-Se prima avevamo dei dubbi, ora siamo sicuri che ci servirà un lavoro part-time- replicò Pietro, con una punta d’ironia. Era la stessa identica cosa che Alessio si era sentito dire da Nicola qualche giorno prima, quando gli aveva scritto per aggiornarlo sulla ricerca sua e di Filippo per trovare un posto dove stare.
Sarebbe stata dura, non c’era alcuna incertezza su quel punto.
-Potremmo cercare ancora, magari rimangono ancora appartamenti interessanti- propose ancora Pietro, con fare esitante.
Alessio alzò un sopracciglio, lasciando accennare un leggero sorriso ad increspargli le labbra:
-E io che pensavo che avessi già adocchiato un appartamento tra quelli visti oggi-.
-A quale ti stai riferendo?- domandò nuovamente Pietro, corrugando la fronte.
-Credo tu possa già immaginarlo- Alessio gli rivolse uno sguardo sarcastico, come a volergli far capire che sapeva benissimo di cosa stavano parlando – Avevi uno sguardo talmente rapito mentre giravamo l’ultimo appartamento-.
Durante tutta la giornata avevano visitato diversi posti, distribuiti non solo sull’isola principale di Venezia, tutti più o meno con prezzi d’affitto non troppo alti.
Il primo appartamento che avevano visitato si era rivelato quello più caro di tutti, e decisamente fuori dalla loro portata: era un bel locale di diverse stanze, piuttosto spazioso per due persone, e situato in un vecchio palazzo a circa dieci minuti da piazza San Marco. Era già ammobiliato, ma anche evitando la spesa dei mobili, si sarebbero ritrovati comunque con un appartamento troppo grande e troppo costoso.
Uno degli appartamenti visti in tarda mattinata era un’opzione che Pietro e Alessio avevano scartata subito dopo esserne usciti, accordandosi con una semplice occhiata d’intesa: al contrario del primo appartamento, quello era fin troppo stretto, senza mobili già all’interno, e si trovava in una zona periferica. In suo favore aveva solamente il costo d’affitto estremamente basso, che però sembrava essere l’unico vantaggio per indurli sul serio a prenderlo in considerazione.
Le ultime tre visite pomeridiane, invece, si erano rivelate le migliori in assoluto. Tutti gli appartamenti si trovavano poco distanti dalla stazione veneziana, abbastanza ampi per poterci vivere senza ristrettezze, ed erano già ammobiliati. Sia Alessio che Pietro avevano cercato di ignorare il fatto che nel secondo appartamento si fossero trovati davanti ad un unico letto matrimoniale, ed avevano preferito tener conto degli altri vantaggi che il locale sembrava offrire.
Eppure, nonostante quello sembrasse l’appartamento più adatto alle loro esigenze, non poteva negare a se stesso che l’ultimo, se possibile, era anche meglio. Forse era stata la guida esaustiva di Andrea a convincerlo di quella cosa, ma era stata anche la tacita reazione di Pietro: anche se non l’aveva ancora detto ad alta voce, ad Alessio era bastato guardarlo per capire che era quello l’appartamento dove avrebbe voluto andare a vivere.
-Già- sospirò rumorosamente Pietro, d’un tratto sconsolato – Almeno fino a quando non mi hanno spiegato esattamente come mai era magicamente così economico-.
Alessio lo guardò scettico:
-Guarda che è solamente un appartamento ipotecato, a noi non cambia nulla che lo sia o meno- replicò piccato, sporgendosi appena in avanti – I locali ipotecati possono essere tranquillamente affittati. È un bell’appartamento, l’affitto è ragionevole, è in una buona zona. Basterà solo sperare di trovare sempre i soldi per l’affitto, e sperare che anche il proprietario paghi la banca con cui ha ipotecato la casa. Anche se in quel caso non ci potrebbero comunque cacciare, non firmando un regolare contratto-.
-Sei sicuro di quel che dici?- domandò ancora una volta Pietro, impallidendo appena non appena Alessio lo guardò con esasperazione:
-Sai una cosa? La mia ex scuola mi ha sempre fatto schifo, ma almeno qualcosa l’ho imparato, lì dentro- rispose ancora, schiarendosi la gola e cercando di apparire meno frustrato – Un contratto di locazione non è un contratto di compravendita di un immobile, Pietro. E un’ipoteca non equivale nemmeno ad un pignoramento. Non sarà il massimo, ma per la nostra situazione ci può stare-.
Gli occhi azzurri di Alessio incrociarono per pochi attimi quelli dell’altro, prima che Pietro distogliesse nuovamente lo sguardo. Sembrava ancora incerto, per quanto sapesse che, in fondo, anche lui conosceva già quale era la loro migliore opzione.
Si sporse ancora un po’ verso Pietro, posandogli una mano all’altezza di un ginocchio:
-Ormai manca poco tempo, per i primi tempi potrebbe andare bene comunque- mormorò, addolcendo la voce – E se vorremmo trasferirci il prossimo anno, nulla ci vieterà di farlo. Lo stiamo solo affittando, mica dobbiamo aprire un mutuo per comprarlo-.
-Va bene, va bene- Pietro lo interruppe, finalmente lasciandosi scappare un sorriso – Sicuro che sia io quello ad aver adocchiato quel posto? Perché sembri essere tu quello che vuole assolutamente accaparrarselo-.
Alessio sbuffò teatralmente, fintamente scocciato, nonostante stesse faticando a trattenersi dal sorridere a sua volta:
-Da qualche parte dovremo pur andare a vivere-.
Gli dette una pacca leggera con la stessa mano che fino a qualche secondo prima aveva tenuto sopra il suo ginocchio, facendo scoppiare a ridere Pietro. Riusciva a vederlo già meno agitato, più leggero mentre continuava a ridere sotto i baffi con i tratti del volto più rilassati
Lo sguardo di Pietro sembravano lasciar trasparire una sorta di fiducia verso il futuro, per la prima volta dopo un tempo che era sembrato interminabile. E forse era così anche per se stesso, si ritrovò a pensare Alessio: in quel momento, riusciva ad immaginare più concretamente quello che sarebbe stato il loro futuro di lì a poco, molto di più di quanto non era riuscito a fare nei mesi precedenti. Era un futuro che lo aveva spaventato e che aveva desiderato allo stesso tempo, e che ora stava cominciando ad assumere dei contorni più precisi, meno offuscati dal non sapere cosa sarebbe successo. E il primo passo per renderlo così era proprio quello che si stavano accingendo a compiere di lì a poco: affittare quella che sarebbe stata la casa in cui avrebbero dovuto passare almeno alcuni anni. Un porto sicuro dove approdare ogni qualvolta il  mondo esterno sarebbe stato troppo difficile da affrontare.
Alessio appoggiò la nuca al sedile più comodamente, guardando a sua volta fuori dal finestrino: il treno che scorreva veloce lungo i binari, lasciando il paesaggio sfocato, sembrava esattamente la loro stessa vita, diretta ad una meta che assumeva sempre più connotati precisi e conosciuti.
Un treno diretto ai caldi colori autunnali di settembre e alle acque torbide delle calli e della laguna veneziana.
 
*
 
La pioggia con cui settembre era iniziato sembrava non finire più: dopo quasi una settimana di giornate piovose e cielo plumbeo con cui sembrava essersi chiusa la breve estate di quell’anno, anticipando l’autunno con l’odore d’erba bagnata e l’asfalto lucido delle strade, nemmeno quel sabato sera sembrava far eccezione. Giulia alzò gli occhi al cielo: aveva smesso di piovere da poco, ma era piuttosto probabile che entro la mezzanotte avrebbe ricominciato.
Per un attimo ebbe il timore concreto che sarebbero dovuti scappare all’interno del Babylon molto prima di quel che si stava prospettando, per evitare di finire completamente bagnati al ritorno della pioggia – dalle cui grinfie Pietro, ritardatario ancora nemmeno in vista, forse si sarebbe salvato decidendo di ritardare ancor di più per ripararsi restando in auto.
-Quindi ci siamo tutti sistemati, no?- stava dicendo Filippo, con aria allegra, vagamente brillo – O almeno, sappiamo tutti dove studieremo il prossimo anno-.
-Peccato non sapere anche dove vivremo- lo rimbeccò Nicola, con calma estrema, che si mal posava totalmente con quel che aveva appena affermato.
Giulia sgranò gli occhi, voltandosi verso Filippo, seduto di fianco a lei, così di scatto da sentire il proprio collo scricchiolare pericolosamente:
-Ma non mi avevi detto che avevate dato conferma per un appartamento?-.
Le ultime settimane, dopo il ritorno dalle vacanze, erano state pressoché piuttosto monotone: Giulia aveva passato diversi pomeriggi a casa di Filippo, aiutandolo alternativamente a ripassare per il test e a cercare annunci per appartamenti su qualsiasi sito o social network possibile. La settimana prima lui e Nicola erano partiti alla volta di Venezia, un po’ come avevano fatto Alessio e Pietro – come avevano raccontato loro qualche sera prima, in una delle rare volte in quelle settimane in cui si erano visti tutti insieme. Dagli ultimi aggiornamenti con cui Filippo l’aveva tenuta informata sui loro progressi, Giulia era convinta che, finalmente, avessero trovato l’appartamento giusto dove stare. Ed era anche ora, visto che mancavano solo nove giorni all’inizio dei corsi universitari.
-Sì, è che Nicola non sembra essere tanto d’accordo- borbottò Filippo, in imbarazzo, scrollando le spalle.
Caterina si lasciò andare ad uno sbuffo esasperato, voltandosi poi verso Nicola:
-Tra una settimana iniziate le lezioni- sbottò, esausta – Firmate il contratto e basta!-.
Nicola annuì stoicamente:
-Ci toccherà, se non vogliamo finire sotto un ponte-.
-Non che vi manchi la scelta a Venezia- Giulia non seppe trattenersi, ridendo appena mentre abbassava gli occhi sul proprio cocktail, perfettamente consapevole dell’occhiataccia che si era appena guadagnata da Nicola e da Filippo.
Sperò davvero che le cose fossero a posto, e che le lamentele di Nicola fossero solo segno di un po’ d’ansia prima del trasferimento e dell’inizio di una nuova vita. Giulia non avrebbe potuto dargli torto, perché sebbene per lei – così come per Caterina- non sarebbe cambiato nulla così tanto a livello scolastico, era altrettanto vero che per tutto il resto si sentiva disorientata allo stesso modo.
Bevette un sorso abbondante dell’alcool che aveva ordinato da poco, un drink il cui nome aveva già scordato e che aveva un insolito colore azzurrino. Il Babylon, quella sera, era gremito di gente come al solito, per nulla scoraggiata dalle giornate di pioggia che avevano preceduto la serata. Mancavano ancora diversi minuti all’inizio del concerto, l’ultimo di Alessio: quel solo pensiero le fece pervenire una sensazione di caducità che per un attimo la rese meno allegra di quanto non fosse all’arrivo lì a Piano.
Era solo un’altra delle tante cose che stavano finendo: fine dell’estate, fine delle serate al Babylon, fine di un periodo durato anni e che ora le sembrava essere durato un battito di ciglia.
C’erano momenti in cui non riusciva a soffocare del tutto la paura di quel cambiamento. L’aveva accompagnata anche quando, il giorno prima, ad orari diversi, aveva appreso che Filippo, Nicola, Pietro ed Alessio avevano superato tutti i test ai quali si erano iscritti. Sembrava essere il segnale inequivocabile di come fossero pronti, finalmente, a voltare pagina, e lei con loro – seppur a distanza, seppur in modo diverso ed eguale allo stesso tempo.
-Siete pronti a diventare ufficialmente studenti universitari?-.
Le era sfuggita quella domanda quasi senza pensarci, forse in un tentativo inconscio di avere conferma che anche loro erano sulla sua stessa barca: ugualmente terrorizzati per quel che li attendeva nel giro di poco più di una settimana.
Filippo sospirò a fondo:
-Prossima domanda?-.
-Se ne sta già pentendo- commentò Nicola, ridendo appena, bevendo un sorso della birra che aveva ordinato.
-Esattamente- annuì subito Filippo, senza tentare nemmeno di negare.
-Comincio ad avere paura per il prossimo anno- mormorò Caterina, seduta di fronte a Giulia ed evidentemente già in preda all’ansia. Giulia annuì tra sé e sé:
-A me fa più paura questo-.
Si sentì subito egoista per averlo detto. Non era lei quella che stava per andare a vivere altrove, per iniziare un percorso duro e che di sicuro avrebbe richiesto impegno ed energia, ma non poté fare a meno anche di provare il peso di chi rimaneva. Era qualcosa che non poteva nascondere, e che non poteva nemmeno cambiare.
Percepì Filippo muovere la sedia, avvicinandosi a lei; passarono pochi secondi prima di avvertire il suo braccio cingerle le spalle, e fu in quel momento che Giulia ebbe la forza sufficiente per alzare lo sguardo. Lo vide sorridere rassicurante, e nonostante avessero già parlato di quel che li aspettava innumerevoli volte, sapeva che Filippo avrebbe cercato di dirle che sarebbe andato tutto bene senza farsi problemi di farlo una volta in più.
-Tornerò nei weekend, lo sai. Almeno una volta alla settimana ci vedremo- le disse, allungandosi per lasciarle un bacio sulla fronte – E in ogni caso esistono le videochiamate-.
Giulia preferì non concentrarsi su quel “una volta alla settimana”, quanto al fatto che, perlomeno, avrebbero avuto almeno quella volta ogni sette giorni.
Prima che Filippo potesse allontanarsi da lei, gli prese gentilmente il volto tra le mani, baciandolo e sorridendo nel farlo.
Quando si staccarono, ancora sorridenti, si sentì confusa nell’osservare Nicola e la sua espressione scettica.
-Lo sai, vero, che devi anche studiare in tutto questo?- disse dopo qualche secondo, rivolgendosi unicamente a Filippo – Tornare ogni weekend ti porterà via tempo-.
Prima che l’altro potesse replicare, fu Caterina a parlare:
-Quindi stai dicendo che tu non hai intenzione di tornare?- chiese lei, d’un tratto rabbuiata. Sembrava essere stata colta totalmente di sorpresa da quell’uscita di Nicola, e tutt’altro che rassicurata.
Giulia immaginò che, al posto suo, avrebbe probabilmente reagito anche peggio.
Nicola la guardò con fare più incerto, alzando le spalle:
-Non lo so, dipenderà dal momento … Magari un weekend ogni due settimane- mormorò, abbassando gli occhi – E poi vorrei anche lavorare un po’, e potrei doverlo fare nel weekend-.
Caterina tacque per diversi secondi, mordendosi il labbro inferiore. Giulia ebbe la sensazione che quella fosse la prima volta che tra di loro era emerso l’argomento – forse perché un po’ si rifiutava di pensare che Nicola potesse averla illusa precedentemente, ed aver cambiato improvvisamente idea.
-Quindi ci rimarranno le chiamate- la sentì mormorare infine, freddamente.
Nicola annuì debolmente:
-Sì, se riusciamo ad organizzarci-.
Non ci sarebbe voluto in genio per intravedere il lampo di frustrazione ed irritazione che attraversò lo sguardo di Caterina in quel momento, mentre lo rivolgeva al suo ragazzo.
Prima che la situazione potesse degenerare, Giulia agì d’istinto:
-Beh, in ogni caso troveremo tutti un modo per far combaciare studio e vita sociale. Non disperiamoci- cercò di calmare gli animi, afferrando la mano di Filippo come per trovare un po’ di sicurezza.
Sentì la gola dello stomaco chiudersi: le sembrava di essere tornata ai primi giorni di vacanza, quando tra Nicola e Caterina le cose si erano fatte tese. Sperò solo che fosse solo una sensazione passeggera, nulla che sarebbe rimasto, e nulla che potesse rovinare la tranquillità che sembravano aver ritrovato.
-Godiamoci l’ultimo concerto di Alessio, per il momento- Filippo le diede man forte – Se penso a cosa ci aspetta tra una settimana mi viene la nausea-.
“Anche a me”.
Giulia sospirò a fondo: un’ultima serata tra loro in pace, era l’unica cosa che desiderava. Un’ultima serata in quell’estate ormai agli sgoccioli, prima del nuovo inizio che li attendeva.
 
*
 
You can dance if you like
You can sing every line of every song
No, you don’t have to steal the show
It was your show all along
 
C’era ancora odore di pioggia nell’aria, nonostante il temporale si fosse quietato quasi un’ora prima. Era lo stesso odore che Alessio aveva respirato a pieni polmoni quando, il giorno prima, con gli occhi appiccicati allo schermo del pc aveva scorso la graduatoria del test d’ingresso per la facoltà di informatica, uscita a nemmeno una settimana di distanza dal giorno della prova.
Era stato un giorno di pioggia anche quello in cui lui, Nicola e Pietro si erano ritrovati a Venezia per il test, così come era toccato a Filippo un giorno più tardi. C’era sempre stata la pioggia ad accompagnarli, anche mentre leggendo le rispettive graduatorie si scoprivano tutti regolarmente ammessi.
Sospirò a pieni polmoni anche in quel momento, l’aria pregna di pioggia che gli pizzicò le narici. Probabilmente avrebbe ricominciato a piovere, magari ancor prima di riuscire a finire il concerto – l’ultimo che avrebbe fatto.
Standosene seduto ad uno dei tavoli all’interno del bar, ancora a qualche minuto da quello che sarebbe stato l’ultimo concerto, in uno dei pochi momenti in cui la pioggia aveva smesso di cadere, non poteva fare a meno di pensare a come quell’anno fosse letteralmente volato. Gli parve strano pensare, per la prima volta dopo quel tempo che in certi momenti gli era parso infinito, come con la fine dell’estate stesse finendo anche il suo tempo al Babylon. Ricordava il se stesso diciannovenne sfiduciato e del tutto disorientato, pervaso da quel senso di abbandono e tradimento in cui si era ritrovato cullato a malincuore, che aveva varcato quella soglia per prendersi quel lavoro. Era strano persino pensare che, con quell’ultimo weekend, si chiudeva quella parentesi per lasciare posto a tutt’altra vita in poco più di una settimana.
Sospirò a fondo, cullato da quella malinconia, che gli stringeva lo stomaco, mista alla speranza e all’euforia che provava al solo pensiero che, il weekend dopo, si sarebbe trovato a Venezia, nell’appartamento che lui e Pietro avevano affittato, in attesa del lunedì che avrebbe segnato l’inizio dei corsi. Sembrava che le cose, dopo tutto il dolore, cominciassero ad andare per il verso giusto.
Sfiorò con i polpastrelli gli spartiti posati sulla superficie del tavolo, un sorriso amaro a increspargli le labbra: tutto quello che era stato il suo mondo in quell’anno gli appariva davanti agli occhi, al contatto con le dita appena infreddolite dalla brezza che aleggiava e che entrava dalla porta d’ingresso del locale, lasciata aperta.
-E tu che ci fai qui?-.
Alessio sobbalzò di colpo, alzando gli occhi all’istante per scontrarli con la figura alta di Pietro, in piedi a poco più di un metro dal tavolo dove se ne stava seduto da solo. Rimase confuso per qualche secondo: ricordava di aver individuato, seduti ad uno dei tavoli esterni, Caterina, Nicola, Filippo e Giulia nemmeno mezz’ora prima, e ricordava altrettanto bene di non averci visto Pietro. Doveva essere arrivato da poco, indipendentemente dalla ragione che lo aveva portato a ritardare. Sembrava che nessuno di loro fosse intenzionato a perdersi quel suo ultimo concerto.
-Sto ripassando- rispose, dopo aver sospirato pesantemente, alzando gli spartiti per renderli più visibili – E tu che fai qui dentro?-.
Pietro gli lanciò un ghigno divertito:
-Ammiravo la tua autorevole e augusta figura- lo canzonò, visibilmente a rischio di scoppiare a ridere da un momento all’altro – In realtà sono arrivato in ritardo, e prima di sedermi con gli altri sono venuto direttamente a ordinare qualcosa da bere-.
Alessio annuì, distrattamente. Temeva di perdere la concentrazione necessaria con la presenza di Pietro, ma allo stesso tempo non poté negare di esservi anche confortato: era uno di quei momenti in cui avrebbe voluto rimanere solo, ed in contemporanea avere qualcuno accanto per sentirsi meno isolato dal mondo.
Un ossimoro con ben poche soluzioni razionali.
Pietro sembrò intuire qualcosa, perché i secondi dopo si fece più serio, avvicinandosi maggiormente:
-Tutto ok?- gli chiese, incerto – Il ripasso sta andando bene?-.
-All’incirca- mormorò Alessio. Si morse il labbro inferiore, indeciso, prima di buttarsi:
-Vuoi farmi da supporto morale per gli ultimi cinque minuti?-.
-Anche se non so nulla di musica?- lo incalzò Pietro scherzosamente, più rilassato rispetto a qualche attimo prima; gli lasciò una pacca leggera sulla spalla, in un gesto che si avvicinava più ad una carezza.
Alessio scrollò le spalle, vagamente in imbarazzo:
-Basta che te ne stai qui- si ritrovò a borbottare a mezza voce, lo sguardo già abbassato di nuovo sulla pila di spartiti.
Pietro si sedette sull’altra sedia lasciata libera, accanto a quella occupata da Alessio, lanciando un’occhiata curiosa verso i fogli che stava ancora leggendo. Forse, si ritrovò a pensare Alessio, non si era poi così stupito del disordine sovrano che regnava anche sugli spartiti, colmi di note dagli eleganti svolazzi e dalle rotondità nere ed accompagnate da appunti che, in alcuni punti, apparivano più come scarabocchi che come parole sensate.
-Come ti senti alla tua ultima serata da incitatore di folle?-.
La voce di Pietro, che aveva di nuovo spezzato il silenzio dopo un po’, costrinse Alessio ad alzare gli occhi dagli spartiti – su cui non stava comunque riuscendo a concentrarsi come avrebbe voluto, la mente che vagava altrove e lontana dalle note scribacchiate sul pentagramma.
-Domandamelo dopo il concerto- Alessio lo mormorò a mezza voce, quasi temesse di farsi sentire – Forse avrò una risposta adatta, che ora, invece, credo di non avere-.
Vide di sottecchi Pietro alzare un sopracciglio, guardandolo con aria fintamente sorpresa:
-È per caso tristezza quella che percepisco?-.
Alessio si limitò a sbuffare, consapevole di star lievemente arrossendo. Non gli sarebbe bastata l’intera serata per rispondere davvero a quel quesito. Si sentiva in tanti modi diversi: felice per aver finalmente realizzato ciò che voleva da anni, impaurito per tutto ciò che di nuovo doveva affrontare, sollevato dal fatto che non sarebbe stato solo, rabbuiato per dover lasciare un lavoro a cui, volente o nolente, aveva cominciato ad affezionarsi. Tutti quei concerti, le nottate passate a cantare per poi ritrovarsi la mattina dopo senza un filo di voce, i polpastrelli ormai callosi e graffiati dalle corde della chitarra usata quasi ogni giorno: era un mondo a parte, quello, il suo mondo, che inizialmente aveva rifiutato con tutto sé stesso, ma che faceva comunque parte di lui. Era un po’ grazie anche alla musica, effettivamente, se si trovava ad essere così in quel preciso momento della sua vita. Si era rialzato pian piano anche grazie a quelle notti passate a cantare fino a perdere il fiato, a quelle mattine passate con la gola dolorante e le corde vocali che si rifiutavano di emettere alcun suono, e alle mani indolenzite e arrossate.
Troppi sentimenti da riassumere in poche parole e in poco tempo.
Di nuovo Pietro sembrò intuire più di quel che Alessio stava lasciando trasparire a voce. Addolcì di nuovo lo sguardo, sporgendosi appena verso di lui:
-Sicuro sia tutto ok?- gli chiese ancora.
Per un attimo Alessio ebbe la tentazione di dirgli tutto ciò che gli era appena passato per la testa, anche se ormai mancavano pochi secondi al momento in cui si sarebbe dovuto alzare da quella sedia per uscire e iniziare quella sua ultima serata. Era il tempo che mancava, e anche il coraggio di mettersi così a nudo di nuovo.
-Va tutto bene- disse infine, alzando lo sguardo a fatica – È la mia ultima serata perché poi dovrò trasferirmi a Venezia, quindi va tutto bene-.
Pietro lo guardò scetticamente per qualche attimo:
-Anche se lo stai dicendo con una faccia da funerale-.
Alessio non replicò nemmeno, consapevole che negarlo non sarebbe poi stato così credibile. Lasciò cadere la conversazione, preferendo tornare a far finta di leggere gli spartiti, pur sentendosi addosso ancora lo sguardo di Pietro.
Ci volle solo poco altro tempo prima che l’ora di alzarsi arrivasse per davvero, a toglierlo da quella situazione e a fargli saltare il cuore in gola dall’agitazione.
-Devo andare- iniziò a dire, alzandosi in piedi facendo strisciare appena la sedia, e raccogliendo alla rinfusa tutti i fogli che aveva sparso sulla superficie del tavolino. Anche se non lo stava guardando, solo vagamente di sottecchi, Alessio sapeva che Pietro gli stava sorridendo.
-Ti rifarò quella domanda dopo il concerto, allora- gli disse, prima di alzarsi a sua volta e posargli di nuovo una mano sulla spalla – Buona fortuna-.
La fortuna era esattamente ciò che gli sarebbe servito per dopo, quando il concerto sarebbe finito, pensò Alessio. Gliene sarebbe servita parecchia per non crollare troppo, o farlo senza troppi occhi addosso.
 
As the orchestra plays
The people take the seats
There’s no room left in this house

It’s only you and me
And if life is your stage
I'll be watching
 
*
 
As we start, rehearsing every scene
The words to everything
We realize that the crowd is listening
 
Aveva bevuto due bottigliette d’acqua di fila, assetato come poche altre volte gli era capitato. Alessio si passò la mano libera, quella che non doveva reggere l’ultima bottiglia ormai quasi del tutto vuota, tra i capelli e sul viso, imperlati da minuscole goccioline di sudore.
Sentiva ancora l’adrenalina in corpo, la stessa che gli era corsa nelle vene appena si era posizionato davanti a quel microfono. Nonostante il tempo pessimo dei giorni precedenti e del pomeriggio, almeno per quell’ora e mezza non si era rimesso a piovere. Era andato tutto bene, fin troppo: il Babylon era ancora piuttosto affollato, e ormai, a concerto finito, Alessio poteva dirsi totalmente distrutto.
Aveva evitato di fermarsi dentro al locale, come invece avevano fatto i suoi compagni del gruppo: lo trovava troppo pieno di gente in quel momento, quando tutto ciò che stava cercando era un po’ di calma solitudine. Aveva preferito rimanersene ancora un po’ all’aria aperta; la strada stretta che si trovava sul retro del locale appariva come il posto ideale per restarsene un po’ in pace, e per ascoltare allo stesso tempo la musica proveniente dall’interno del bar, che andava ora a sostituire quella suonata dal vivo che aveva impregnato l’aria fino ad una decina di minuti prima.
Tutto sommato, nonostante la stanchezza, la gran sete, e la gola dolorante, si sentiva meglio di quanto non si sarebbe aspettato: era andata bene, e probabilmente era stata una delle serate migliori in tutto quell’anno. Rivedeva ancora davanti a sé tutti i tavoli del Babylon occupati, sentiva ancora le corde della chitarra graffiargli i polpastrelli, e il respiro calmo che era riuscito a mantenere fino a poco prima dell’inizio di tutto. Si era meravigliato della tranquillità con cui aveva iniziato a cantare: in quell’istante gli era sembrata la cosa più semplice del mondo, la più rilassante, quella che gli dava più soddisfazione.
Aveva intravisto di nuovo i suoi amici, nei pochi istanti prima dell’attacco della prima canzone:  pur non essendo ad un tavolo troppo frontale, era riuscito a distinguere chiaramente Caterina, Nicola, Giulia, Filippo e Pietro seduti su quelle sedie, in attesa di ascoltarlo. Un  secondo prima di aprir bocca per articolare le parole da cantare, aveva realizzato che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui li avrebbe visti lì, in quel posto, seduti su quei tavoli in una qualsiasi serata d’estate.
Il cigolio improvviso della porta che dava all’interno del bar fece voltare Alessio nella sua direzione: non fu comunque una sorpresa quando vide Pietro uscire fuori, con lo stesso ghigno di quando era arrivato al Babylon quella stessa sera.
-Sei piuttosto malmesso, sicuro di riuscire a tornare a Villaborghese sano e salvo?-.
In pochi passi Pietro lo raggiunse, mantenendo lo stesso sorriso malizioso e facendo cenno al viso stralunato di Alessio.
-Mi stai per caso offrendo un passaggio? O direttamente un soggiorno a casa tua?- Alessio articolò quelle parole un po’ a fatica, la voce roca e la gola che gli doleva ancora. Aveva davvero dato tutto se stesso per quell’ultima serata, su quello non c’erano dubbi. Non ricordava di essersi distrutto così nessun’altra volta. Bevve un altro sorso d’acqua, finendo definitivamente anche quella bottiglia. Rimase a fissarla con il cuore infranto per qualche secondo, prima di decidersi a tornare con gli occhi su Pietro.
-Non ho un letto libero su cui farti dormire, e il divano è piuttosto scomodo- riprese lui, appoggiandosi con fare scanzonato contro il muro, dopo averlo affiancato – Visto che ci è bastata l’esperienza della Puglia del dormire insieme sullo stesso letto, direi che rimane solo il passaggio come soluzione-.
Nonostante il tono ironico con cui aveva parlato, Pietro non era del tutto nel torto: Alessio stesso si sentiva più che stanco, e il solo pensiero di dover guidare fino a Villaborghese per tornare a casa non lo allettava per niente. Fu seriamente tentato di accettare la proposta.
-A me va bene, basta che non ti fai pagare- gli rispose, facendolo scoppiare a ridere.
Rimasero in silenzio per un po’, la sola musica proveniente dal bar a spezzare in parte l’atmosfera del momento. Era un silenzio rilassante, diverso da quello che aveva preceduto il concerto, si rese conto Alessio. In un modo o nell’altro era riuscito a disfarsi di tutta l’ansia che prima l’aveva reso inquieto.
-Comunque, se non sbaglio mi dovevi rispondere ad una certa domanda- la voce di Pietro fu la prima a rompere la barriera di silenzio, cosa che non sorprese affatto Alessio – Come ti è sembrata la tua ultima serata?-.
Alessio alzò le spalle, incerto:
-Meglio del previsto?-.
Si era quasi scordato di quella domanda che Pietro gli aveva fatto prima del concerto, e a cui non aveva risposto. E sì, probabilmente era davvero andata meglio del previsto, ma rimaneva sempre quella nota di malinconia che non se ne voleva andare.
-Detto con così tanta convinzione- Pietro lo prese in giro con ironia evidente – Sicuro di volerti licenziare?-.
-Sì, ovvio- stavolta la voce di Alessio non incespicò.
Lasciare quel lavoro era una cosa necessaria, ora come ora; era un gesto di cui non si sarebbe pentito. Non si sarebbe guardato indietro, nonostante in quel momento gli sembrasse più difficile di quel che si era sempre immaginato. Era stata un’epoca, quella passata al Babylon, che aveva sempre saputo fosse destinata a finire; con tutto quello che aveva imparato, con le serate passate a bere e cantare fino allo sfinimento.
Nessun rimpianto e nessuna aspettativa diversa rispetto a ciò che aveva realmente vissuto.
Gli sarebbe semplicemente mancato tutto quel che aveva vissuto quel momento, quella era l’unica cosa che potesse racchiudere appieno ciò che stava provando.
-È solo che ogni volta che arrivi ad un traguardo, uno qualsiasi, non puoi fare a meno di guardarti indietro per guardare un’ultima volta tutto quello che hai dovuto passare per arrivare fino a lì- si ritrovò a mormorare a mezza voce, con gli occhi che si facevano lucidi – Ma questo non vuol dire che non voglia più andare avanti-.
Alessio lasciò che un altro sorriso gli nascesse in viso, rilasciando un altro sospiro profondo; si sentiva lo sguardo interrogativo di Pietro su di sé, ma non si voltò comunque.
-Quanto sei saggio. Si vede che stai diventando vecchio-.
La sola risposta che Pietro ricevette da Alessio, dopo quell’uscita ironica che aveva spezzato l’atmosfera, fu un pugno diretto, senza troppa forza, alla sua spalla, ed evitato solo per pochi secondi facendo qualche passo indietro.
-Il vecchio può ancora farti un occhio nero. Ricordatelo- Alessio fece finta di minacciarlo, pur, trattenendo a stento una risata maliziosa, e facendo a sua volta qualche passo avanti. Non doveva comunque risultare affatto credibile, perché il sorriso di Pietro sembrava ribadire la sua totale tranquillità.
-Questo tuo impeto orgoglioso mi rallegra, in un certo senso- Pietro gli si avvicinò di nuovo, appoggiandogli una mano sulla spalla – Non sei del tutto depresso-.
-Solo un po’- Alessio lo ammise con un po’ di esitazione, continuando a sorridere – Ma passerà. Stavolta passerà-.
Continuo a sorridere, quando nel silenzio rilassato e naturale che era calato tra lui e Pietro, la musica proveniente dall’interno del Babylon si era fatta più udibile e più viva.
Più vicina ed allo stesso tempo più lontana.
La stessa musica che aveva sentito scorrere dentro di sé ogni singolo giorno di quell’anno, nelle serate di pazzia nel lungo inverno passato, e nelle malinconiche serate estive. Quella musica che lo aveva accompagnato e risollevato nel momento più buio della sua vita, e che, in un certo senso, lo stava ora spingendo a riprendersi tutto ciò che aveva rimpianto fino ad allora.
Era difficile da dire, ma era il momento giusto per dire quell’addio.
 
On every street tonight
You can see all lovers dancing round
I’ll be watching
Hold up a light for me
Hold up a light for me
I’ll be watching you

I’ll be watching you*
 
 



[1] dal testo di "Crossfire" (Brandon Flowers)
*il copyright della canzone (Take That - "Hold up a light") appartiene esclusivamente alla band e ai suoi autori.
NOTE DELLE AUTRICI
Siamo davvero tornati alla vita di tutti i giorni, tra ripassi pre test universitari e ricerche per appartamenti... Ed è proprio quest'ultimo punto l'obiettivo della giornata di Pietro ed Alessio, i cui passati equivoci sembrano perlomeno essersi attenuati: andare a Venezia per cercare di capire quante possibilità avranno per trovare un posto decente dove stare (dopo essere miracolosamente riusciti a prendere quel benedetto treno 😂). 
I pensieri e le sensazioni di Pietro ci mostrano come un appartamento in particolare sembra aver già attirato la sua attenzione. Analizzando poi, con maggiore calma e attenzione, i pro e i contro, i primi sembrano convergere proprio nella preferenza di Pietro. La scelta dei due sembra quasi fatta ... Ci saranno, però, altri appuntamenti, oppure la ricerca è già terminata?
E come i capitoli della vita, anche questo capitolo si chiude con una seconda parte dove ritroviamo tutti i nostri protagonisti a due settimane di distanza dagli avvenimenti visti nella prima parte. 
Sembra ormai confermato che ormai siano tutti pronti ad intraprendere l'inizio dei corsi universitari (compresi Nicola e Filippo, nonostante le lamentele del primo 😂). Sì chiude con una Giulia super preoccupata, ma prontamente sostenuta da Filippo e il suo affetto, che promette di esserci sempre per lei, e con Caterina che, invece, non trova esattamente lo stesso comportamento in Nicola. Guai in vista? Chissà!
Si conclude poi anche con Alessio e Pietro. Il primo, nello specifico, sembra avere qualche difficoltà ad andare oltre e cambiare, e lo si nota d'ultima sera di lavoro, pur avendo al suo fianco Pietro, pronto a sostenerlo (e ad accompagnarlo a casa 😂).
Per scoprire invece cosa accadrà nel prossimo capitolo della vita dei nostri protagonisti (e con qualche ritorno di qualche vecchia conoscenza), vi diamo appuntamento a venerdì 16 ottobre!
Kiara & Greyjoy


 
   
 
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