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Autore: Ramalilith    24/09/2020    0 recensioni
Questa è una trasposizione a romanzo del videogioco "The Witcher 3 - Wild Hunt", completa di missioni secondarie, cacce al tesoro e contratti.
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ciri, Geralt di Rivia, Triss Merigold, Yennefer
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con, Violenza
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Geralt rifiutò l’offerta del fabbro e se ne andò. Preferiva allontanarsi dal pensiero di quella vicenda. Si chiese se i soldati stessero già impiccando Napp. Forse era vero che i nilfgaardiani avrebbero riportato l’ordine, anche se a un prezzo elevato.

Si fermò al crocicchio poco più avanti, raccolse soprappensiero alcuni rossi frutti di barbacane da un cespuglio a lato della strada, e poi rivolse l’attenzione alla bacheca degli annunci, che era costellata di pezzetti di pergamena più o meno ufficiali.

Un ragazzino ballava il girotondo lì vicino, ignorandolo beatamente e cantando a squarciagola “Piove, diluvia, l’imperatore Emhyr russa, ha sbattuto la testa quando si è coricato e durante la notte addosso si è pisciato!”

Un testo da far concorrenza a Dandelion, pensò Geralt, sperando tuttavia che i nilfgaardiani non lo sentissero, e iniziò a leggere gli avvisi.

Il primo era intitolato ‘Morte agli invasori’ ed era un’esortazione ai temeriani (‘nei cui cuori albergano i gigli blu e oro’) di andare nel bosco per unirsi ai ribelli contro i ‘luridi nilfgaardiani’.

Con una certa ironia, le due pergamene accanto erano state appese proprio dagli Oscuri: uno era un invito a recarsi ad ascoltare le nuove leggi per bocca del capitano Peter Saar Gwynleve, che secondo l’Imperatore avrebbero portato la luce della civiltà in quella landa barbara. L’altra avvertiva che la guarnigione avrebbe distribuito ogni settimana razioni di cibo aggiuntive ai bisognosi.

Gli ultimi tre fogli non portavano sigilli né marchi ufficiali. Una era di un certo Rogget, che aveva rotto il suo aratro contro una pietra e ne cercava uno in prestito, ma le altre due sembravano più promettenti. Geralt lesse per prima la più lunga.

Bastien, mio fratello, è andato a combattere gli Oscuri e ho motivo di credere che abbia preso parte alla battaglia che si è tenuta qui vicino. Da allora non ha mai fatto ritorno, come molti altri del resto. Ma se è morto, come è probabile, almeno potrò dargli sepoltura secondo la tradizione. Lo seppellirò nel tumulo dove riposano i nostri genitori, così che il suo corpo non venga mangiato dai necrofagi che banchettano sui campi di battaglia. Perciò cerco un uomo coraggioso, abile con la spada e pronto ad avventurarsi con me alla ricerca di Bastien. Non posso pagare molto perché sono povero, ma non sarò certo avaro di gratitudine e amicizia. Chiunque intenda aiutarmi cerchi una capanna distrutta sulla strada per Bianco Frutteto, vicino al ponte: mi sono accampato lì.

Dune Vildenvert

Geralt fece un lieve sorriso. Dunque era così che si chiamava. Strappò il foglio dalla bacheca. In futuro, era meglio che meno gente possibile andasse a impicciarsi del nucleo familiare dei Vildenvert.

Passò quindi all’ultima pergamena, sperando che non si trattasse di una preghiera, da parte del fabbro, di individuare il mascalzone che gli aveva dato fuoco alla bottega. Ma fortunatamente non lo era.

Brava gente, so che è in corso una guerra e che ognuno ha la sua croce da portare, ma forse qualcuno di voi avrà voglia di aiutare un padre in difficoltà. Tutti ricorderete il pozzo nel villaggio in rovina e il diavolo che lo sorveglia furiosamente. Se qualcuno non ne fosse al corrente, venga da me che gli spiegherò tutto. Chiunque scaccerà quel mostro dal pozzo riceverà in cambio una borsa d’oro. Ma fate presto, è una faccenda urgente!

Odolan

Il witcher rifletté. Una borsa d’oro, per quanto un po’ vaga come unità di misura, era certamente una ricompensa allettante. Una faccenda urgente. Un padre in difficoltà… di solito questo significava parecchi soldi.

Al diavolo, pensò. Dopotutto era il suo lavoro, e con un po’ di fortuna se la sarebbe sbrigata in fretta, prima ancora che Vesemir finisse di avvelenarsi con la vodka alla taverna.

Odolan abitava in una grande casa dal tetto di paglia, leggermente discosta dalle altre in direzione dei campi. Geralt smontò da Rutilia ed entrò senza darsi la pena di bussare. Il chiarore di un fuoco lo guidò nel locale principale, dove un uomo con indosso un cappello di paglia era chino sul focolare. A malapena sollevò gli occhi all’arrivo del witcher.

“Salve, buon uomo. Qualche problema con il pozzo? Ho letto giusto?”

L’altro annuì. “Sì. È infestato. Lo è da almeno vent’anni”.

Geralt sciolse le braccia che aveva incrociato sul petto, sorpreso. “Venti…? Allora perché avete messo l’annuncio soltanto ora?”

“Perché in passato attingevamo d’acqua dal fiume”, spiegò l’uomo scrollando le spalle. “Ma con tutti i cadaveri che vi galleggiano dopo la battaglia, è diventato infetto. Mia figlia Mandy ne ha bevuto mezza brocca e si è ammalata. Vomita tutto quello che mangia… peggiora ogni giorno che passa”.

Geralt annuì. Ora si spiegava l’odore di sudore, malattia e paura che aveva sentito provenire dalla parte più buia e interna della casa.

Dal focolare si alzavano scintille incandescenti, che turbinavano ipnotiche nell’aria come stelle cadenti prima di spegnersi.

“L’erborista sostiene che la febbre si combatte bevendo. E non birra o sidro, ma acqua. Acqua pura e cristallina. E dove la trovo, se non nel pozzo? Ma prima bisogna scacciare il fantasma… non lascia avvicinare nessuno”.

Odolan si raddrizzò e iniziò a camminare nervosamente avanti e indietro.

Prima diavolo, ora fantasma, pensò Geralt. È inutile, anche dopo averci convissuto per vent’anni, i contadini non sanno distinguere un essere dall’altro. Per forza che poi hanno bisogno dei witcher.

“Questo fantasma… descrivimelo”.

“Be’… è orribile e spaventoso. Terribile”.

Geralt evitò di alzare gli occhi al cielo. “Voglio dire, che aspetto ha?”

Odolan si allontanò di qualche passo e si appoggiò a un tavolo. Il witcher lo seguì, notando distrattamente le file di piatti di rame e terracotta rilucenti che ornavano le mensole, e la catasta ordinata di legna già tagliata alle loro spalle, sufficiente per sopravvivere a un altro inverno. L’uomo doveva passarsela bene.

“Sembra una donna”, rispose alla fine Odolan, senza guardarlo. “Ma appena uscita dalla tomba. Indossa vestiti sporchi e stracciati, con la pelle che pende dalle ossa. E urla… come se soffrisse”. L’uomo sembrava prossimo alle lacrime.

Geralt annuì. Né fantasma né diavolo, dunque, proprio come immaginava.

“Un wraith. O forse un alp” fu il suo parere professionale.

A Odolan il nome non sembrò dire molto; la sua preoccupazione era un’altra.

“Se non lo uccidi, mastro… Se non te ne occupi, verrà a uccidere mia figlia”.

“D’accordo, ti aiuterò. Dov’è questo pozzo?”

L’uomo apparve istantaneamente sollevato. “A Hovel, un insediamento sulle alture. Ora è abbandonato. Nessuno si avventura più lì per colpa del fantasma. Scaccialo, ti prego”. Odolan si girò verso la finestrella, profondamente incassata nella parete di legno, e il witcher seguì il suo sguardo. Al di là dei campi assolati, in direzione sud, poteva vedere le basse colline su cui sorgeva Hovel.

 

Bastarono pochi minuti di galoppo in groppa a Rutilia per raggiungere l’insediamento infestato. Il sole cominciava a picchiare e Geralt cercò un posto all’ombra dove legarla, prima di avventurarsi all’interno della cinta di legno decrepita.

Il villaggio non era altro che un cerchio di capanne devastate, cotte dal sole di parecchie estati e inzuppate dalla pioggia di altrettanti inverni, immerse nelle erbacce. Il silenzio era rotto solo dai versi incessanti delle cicale. Era desolato, sì, ma non più di qualunque altro paesino annientato dalla guerra.

“Strano, nessun segno di fantasmi” mormorò il witcher. “Forse si mostra soltanto a una certa ora del giorno”. E in genere, per i wraith diurni quell’ora è il mezzogiorno, rifletté. Meglio sbrigarsi.

Il pozzo si ergeva nel bel mezzo del cerchio di case. Non era un semplice buco nel terreno, ma una costruzione robusta, dotata di una pedana, di un alto parapetto di legno ancora in condizioni discrete e addirittura di una tettoia, per impedire la caduta di detriti nell’acqua e rallentare l’evaporazione. Geralt gli dedicò un’occhiata veloce – non aveva niente di stregato – e poi iniziò a controllare i paraggi. Notò subito qualcosa di interessante. “L’erba intorno al pozzo è bruciata”. Non arsa dal sole – il che sarebbe stato comunque bizzarro per maggio – ma proprio carbonizzata. E lì accanto, ancora più inequivocabile, c’era un grosso cadavere di animale, forse un cavallo o una vacca. Non era facile da stabilire.

“Il corpo è rinsecchito” osservò esaminandolo. “Ci sono segni di bruciature”. Geralt rifletté un momento, ancora accosciato vicino al corpo, raccogliendo soprappensiero dei funghi sewant da una zolla di erba meno riarsa.

“Tutti gli indizi conducono a un wraith diurno”. Ripensò alla descrizione fornita da Odolan, che calzava perfettamente. A differenza dei comuni wraith, quelli diurni erano sempre spiriti di donne, in genere morte in modo violento appena prima delle nozze, e perciò apparivano spesso in forma di cadaveri femminili in lunghe vesti chiare. Geralt ripassò quanto sapeva su quegli esseri.

Potevano accecare gli sprovveduti che non si tenevano a distanza, e prosciugare la loro energia vitale.

Potevano moltiplicarsi, creando immagini speculari di se stessi, e rendersi incorporei, diventando così pressoché invulnerabili agli attacchi. Avrebbe dovuto usare Yrden per mantenerlo nella sua forma concreta.

E infine, la cosa più importante.

“Qualcosa lega il wraith diurno a questo luogo. Un oggetto… qualcosa che gli serve per lasciare questo mondo”.

Trattandosi di giovani spose (o promesse tali), in genere quell’oggetto di forte carica simbolica era un anello nuziale, oppure un velo, o addirittura un bouquet appassito. Sembrava improbabile che le stamberghe lì attorno potessero contenere qualcosa del genere, ma doveva controllare.

Entrò con difficoltà nella prima capanna davanti a lui. Le erbacce avevano ostruito la soglia, e il pavimento di legno all’interno era sfondato. Vecchi arnesi da lavoro e pezzi di arredamento distrutti erano sparsi qua e là, ma niente che facesse pensare a una sposa sfortunata.

La seconda catapecchia che visitò era simile, tranne che per il soffitto più basso e il focolare ancora pieno di cenere. Dalle finestre quadrate si insinuavano tralci della lussureggiante vegetazione esterna. Geralt raccolse da sotto un tavolo una pipa di tasso ancora in buone condizioni, e la intascò. Chissà se tirava ancora bene, dopo vent’anni che non vedeva tabacco. Quella sera avrebbe cercato di scoprirlo.

Cominciava a sentirsi un po’ demotivato. Se l’oggetto simbolico del wraith era davvero una fede nuziale, sarebbe stata un’impresa ritrovarla in una di quelle capanne. Neanche i sensi da witcher potevano molto contro decenni di detriti ed erbacce.

Nella terza capanna, tuttavia, trovò qualcosa – qualcosa di impossibile da non notare, anche per dei normali sensi umani. Sul pavimento di quella che sembrava una camera da letto a fianco della stanza principale, c’era uno scheletro umano.

Le ossa erano ammucchiate in modo disordinato, e qualcuna portava l’impronta netta di piccoli denti. Geralt si chinò per osservarle meglio e notò qualcosa di metallico scintillare debolmente fra i resti della gabbia toracica. “Un uomo… trafitto con un coltello, morto sul colpo. Gli animali si sono cibati del cadavere. Hanno ripulito lo scheletro”.

Si rialzò e fece un passo indietro, cercando altri indizi che potessero spiegare quella morte violenta, e lo sguardo gli cadde su un quadernetto ingiallito, abbandonato sul materasso spoglio del giaciglio. Lo raccolse e iniziò a sfogliarlo con cautela, attento a non sbriciolare la carta col tuo tocco. Notò la scrittura femminile, non molto elegante ma ordinata, e le date in cima a ogni pagina. “Un diario? Potrebbe essere utile”.

Cercò in fretta le ultime annotazioni. La data riportata risaliva a più di vent’anni prima.

 

27/3/1250

Ormai è fatta. Volker ha inviato le nostre lamentele contro il lord alla corte di Vizima e ha elencato al giudice tutti i torti che ha commesso. Ha raccontato di come ha ucciso Johann solo perché non si era tolto il cappello abbastanza in fretta, di come ha devastato i nostri campi mentre era ubriaco senza nemmeno risarcirci, e ancora di come ha fatto irruzione alle nozze di Pieter pretendendo lo ius primae noctis. Finalmente Melitele ha ascoltato le nostre preghiere! Il giudice ha accolto le nostre richieste e ora il lord non può più imporci la sua volontà. Siamo liberi!

 

12/4/1250

Il primo giorno di libertà! Hovel non è nemmeno un vero villaggio, ma nella mia testa è meglio della più scintillante delle città. Volker ha bruciato del legno di noce in casa nostra per scacciare gli spiriti maligni e ha sepolto una faina davanti alla porta per assicurarsi che nessun ladro osi varcare la nostra soglia. E poi mi ha regalato un braccialetto! Mamma dice che è stupido sprecare soldi in queste sciocchezze quando non abbiamo nemmeno un aratro e vuole che lo riporti al mercante, ma non se ne parla! Non me lo toglierò mai. Così mi ricorderò sempre di Volker e di quanto siamo stati felici insieme.

 

23/4/1250

Sembra che il lord stia venendo qui. Pare che voglia trovare un accordo, implorandoci di tornare al villaggio. Dicono che sia cambiato da quando è morto suo figlio e che non dà più in escandescenze come un tempo. Staremo a vedere. In ogni caso, non ho intenzione di muovermi da qui.

 

Geralt richiuse il diario. Come testimoniava il cadavere accoltellato ai suoi piedi, il villaggio non era stato abbandonato. Qualcuno doveva aver fatto strage dei suoi abitanti, e lui avrebbe scommesso le sue ultime corone su quel lord. Altro che trovare un accordo. Volker e la sua giovane moglie erano stati ingenui.

Ma un’altra cosa aveva attirato la sua attenzione. “Quel braccialetto” mormorò. “Potrebbe essere ciò che lega  lo spirito della donna a questo luogo”. Ora, perlomeno, aveva una pista. Supponendo che quella in cui si trovava fosse la casa di Volker e di sua moglie, il bracciale non poteva essere lontano.

Diede un’occhiata più attenta al resto della stanza e vide qualcosa che prima non aveva notato. “Altre macchie di sangue laggiù. Ma non è il sangue di lui”. Il tratto di pavimento che le separava dal cadavere, infatti, era pulito – per quanto possa considerarsi tale il pavimento di una catapecchia abbandonata da due decenni.

Il witcher seguì la nuova traccia, che portava nella stanza principale dell’abitazione. “Macchie di sangue… appena visibili. Qualcuno è stato trascinato qui. Qualcuno che era ancora vivo”.

Le macchioline disegnavano una scia serpeggiante in direzione della porta di entrata. Alcune erano un po’ più grandi, simili a monete color ruggine, altre poco più di capocchie di spillo. Era quasi impossibile che un uomo normale le notasse, soprattutto dopo tutto quel tempo. Ma il witcher, aiutato dai suoi sensi potenziati, dal suo istinto e da anni di esperienza, poteva quasi vedere la scena svolgersi davanti ai suoi occhi, mentre osservava le tracce intorno alla soglia e agli stipiti.

“Impronte insanguinate di mani. Mani piccole… di donna”. Fece una smorfia. La moglie di Volker? “Qualcuno l’ha trascinata fuori… era ferita”.

Uscì dalla capanna e diede una rapida scorsa al terreno circostante. “Nessun corpo… ma potrebbero esserci delle tracce. Con le giuste condizioni, le macchie di sangue possono restare visibili per decenni…” Ovviamente, non era realistico pensare che potessero essersi conservate sul terreno, che veniva calpestato dagli animali selvatici, spazzato dal vento e lavato dalla pioggia. Ma forse… in qualche punto sopraelevato, al riparo dalle intemperie…

Alzò gli occhi di scatto e la vide, proprio dove aveva immaginato. “Un’altra impronta vicino al pozzo”. Si avvicinò. La mano imbrattata di sangue doveva essersi stretta intorno a una delle travi che sorreggevano la tettoia. Osservò il punto con attenzione professionale. “Macchie di sangue… quasi svanite”. Ma quasi subito, qualcos’altro attirò il suo sguardo. “La corda è tesa… qualcosa non va”.

Col sinistro presentimento di sapere già quello che avrebbe visto, si affacciò al parapetto e guardò giù. Fece una smorfia. “Un cadavere… impiccato con la corda del secchio”. Lo scheletro ondeggiava lentamente, reso verdastro dal tempo e dal riflesso dell’acqua sottostante, tra le pareti di terra finemente tappezzate di radici. “La donna a cui apparteneva il diario… dev’essere lei”.

Issò fuori il corpo servendosi della corda, e lo distese a terra a fianco del pozzo. Le ossa erano fredde e viscide, sgradevoli al tocco.

“Bacino largo, mascella piccola… una donna” stabilì, osservando i poveri resti. “Sulla trentina, a giudicare dai denti. Le manca il braccio sinistro”. Anche quello era un particolare inquietante. Geralt sospirò e si risollevò dalla posizione accosciata. Ormai non c’erano dubbi. Giovane donna, sposa novella, morte violenta nel pozzo… questo era il wraith che infestava il villaggio.

“Devo cremare i resti… Ma prima di farlo, devo trovare l’oggetto che la lega a questo posto”. Si guardò intorno, poi i suoi occhi furono attratti di nuovo dallo scheletro ai suoi piedi, e gli venne in mente qualcosa. “Indossava il braccialetto di suo marito? Forse è per questo che le è caduto il braccio…” A quel punto non restava molta scelta. Si girò verso il pozzo. “Devo saltare là sotto… spero di non rompermi le gambe”.

Per fortuna, l’acqua era profonda diversi metri, e attutì il tuffo. Era anche molto fredda. Geralt riemerse senza difficoltà e si diede un’occhiata intorno. Le pareti erano decorate da lunghe radici pallide e spettrali, e rientravano in diversi punti, creando nicchie che conducevano probabilmente ad altre caverne e tunnel. La luce che pioveva dall’apertura lo avrebbe aiutato a trovare il braccialetto, se c’era davvero.

Prese fiato e si immerse, spingendosi in profondità con un colpo di reni. Il fondale sembrava composto di limo e argilla sottile, che probabilmente contribuivano a filtrare l’acqua rendendola salubre. Fu fortunato; quasi subito, un riflesso metallico gli permise di individuare un oggetto semisepolto.

Una volta raccolto, risalì in superficie e con due bracciate raggiunse una nicchia nella parete che gli avrebbe permesso di issarsi all’asciutto. Quando fu di nuovo in piedi, prese l’oggetto che aveva trovato e lo girò in modo da poterlo osservare alla luce.

“Che fortuna non uscirne a mani vuote. Un braccialetto… con un’iscrizione”. Lo ruotò lentamente per leggerla nella sua interezza. “ ‘A Claer, da Volker’. Il braccialetto doveva appartenere alla donna nel pozzo…” Rigirò la fascia di metallo fra le mani. Era grazioso, decorato con un motivo a treccia alle due estremità, anche se il tempo e l’acqua lo avevano reso opaco. “Di pregevole fattura… ma dovrò bruciarlo insieme al corpo per eliminare una volta per tutte il wraith diurno. Meglio farlo vicino al pozzo”. Mise in tasca il bracciale, e a quel punto si rese conto che non aveva pensato a fissare una corda al pozzo per risalire. L’unica corda era quella a cui era stata impiccata la donna – Claer – e l’aveva lasciata accanto allo scheletro.

Impossibile scalare le pareti di terra umida. Anche posto di riuscire ad aggrapparcisi, avrebbe rischiato di far collassare l’intero pozzo, rimanendo sepolto nel fango. Non gli restava che cercare un’altra uscita. Dopotutto, l’acqua doveva pur arrivare da qualche parte, e l’unico sbocco visibile sembrava proprio la rientranza su cui era salito.

Si accorse che la cavità proseguiva alle sue spalle, trasformandosi in un breve tunnel che dava su un altro specchio d’acqua. Ci si tuffò senza indugio, immergendosi per dare un’occhiata sotto la superficie. Come si aspettava, vide l’ingresso di un cunicolo, forse un fiume sotterraneo da cui proveniva l’acqua. Prese un bel respiro e andò giù.

Non fu piacevole nuotare sotto il basso soffitto di roccia, ma fu un affare di breve durata. Dopo poche bracciate, il witcher si accorse dell’aumento di luce proveniente dall’alto, e decise di arrischiarsi a risalire per riprendere fiato. Il tunnel si era aperto in un laghetto sotterraneo, appena più grande del pozzo da cui era partito. Dopo una breve pausa per orientarsi, trovò che il cunicolo riprendeva sul lato opposto, e si immerse nuovamente.

Questa volta, il tratto da percorrere in apnea fu molto più lungo. Al witcher non dispiaceva nuotare – i suoi occhi vedevano bene sott’acqua, e i suoi polmoni avevano una capacità notevole – ma era vestito di tutto punto, e gli abiti inzuppati lo tiravano verso il basso. Inoltre lo tormentava il pensiero di starci impiegando troppo tempo. Aveva contato sul fatto di sbrigare il contratto in fretta, per poter tornare sulle tracce di Yen prima di sera; ma potendo scegliere avrebbe preferito evitare di affrontare il wraith a mezzogiorno, quand’era al massimo del suo potere.

Finalmente, proprio quando l’ossigeno cominciava a scarseggiare, si accorse di essere arrivato alla fine del tunnel. Le pareti si allargarono e sparirono in lontananza, e la luce che pioveva dall’alto iniziò a disegnare riflessi sfuocati di nuvole e alberi sulla superficie.

Geralt raggiunse in fretta la riva dello stagno e salì sulla sponda infestata di canne di palude e mazzesorde, scuotendosi l’acqua dai capelli e riprendendo fiato. Si guardò intorno per stabilire dov’era – non poteva essersi allontanato troppo dal villaggio abbandonato – e una volta stabilita la direzione ci si incamminò di gran fretta. “Dovrei prepararmi per questo scontro. Creare dell’unguento anti-wraith… bere delle pozioni…” mormorò pensieroso. In realtà non avrebbe potuto fare niente di tutto ciò. Non aveva gli ingredienti necessari, né il tempo e i soldi per comprarli. Avrebbe dovuto fare affidamento solo sulla sua spada, e magari su un Segno. I wraith sono sensibili a Yrden, ad esempio, che impedisce loro di diventare incorporei.

Ritrovò lo scheletro dove lo aveva lasciato. Sembrava davvero piccolo e patetico, e sentì un po’ di pena per quella donna assassinata tanti anni prima. La sua priorità, però, era impedire che lo spirito di quella stessa donna causasse altri guai.

Si mise carponi per sistemare il corpo in una posizione più dignitosa. Era un peccato che mancasse un braccio; probabilmente era sepolto nel limo sul fondo del pozzo. Gli sarebbe piaciuto congiungere le mani su quello che una volta era stato il grembo. Proteso sul corpo come un amante, diede gli ultimi tocchi con gesti delicati.

“E il braccialetto…” Lo depose in mezzo alle ossa, e poi fece un rapido gesto con le dita. “Igni”.

Il fuoco avvampò come se le ossa umide fossero state un mucchio di paglia. Non fece in tempo a rallegrarsene, però, che qualcosa gli fece stringere gli occhi, le pupille sottili come quelle di un gatto all’erta. “Ehi… credo che abbia funzionato”.

La luce del fuoco si era fatta verde. Fu l’unico preavviso che ebbe prima che dal pozzo emergesse il wraith diurno in tutta la sua furia, circondato da una nuvola di polvere.

Assomigliava allo scheletro che lui aveva ricomposto, ma a differenza di quello non ispirava compassione. Faceva orrore. Dalle ossa pendevano brandelli di carne mummificata, nei lunghi capelli verdastri erano impigliati fiori e sterpi ammuffiti, e dalla bocca priva di mandibola pendeva una lunga lingua simile a un serpente. Gli stracci che le turbinavano intorno sembravano appartenere a un vestito da sposa bianco.

Ma per quanto orribile, non era il primo wraith che il witcher incontrava nella sua vita, e sapeva benissimo cosa fare. Aspettò che fosse abbastanza vicino e poi tracciò il segno Yrden; un circolo di brillanti glifi violacei comparve sul terreno. Il mostro trasalì ed emise un urlo spaventoso prima di lanciarsi su di lui. Geralt era pronto. Il segno aveva creato una specie di trappola magica; entrando nel cerchio, il wraith era diventato corporeo, e lo sarebbe rimasto finché il Segno reggeva. Era ancora pericoloso, ma almeno era vulnerabile. Geralt aveva già estratto la spada d’argento, e si affrettò a colpire il wraith prima che questo capisse di essere in svantaggio. Lo spettro si contrasse, ferito, urlando orribilmente, e si lanciò di nuovo in un attacco, che Geralt fu pronto a schivare. Bastarono altri due fendenti ben assestati, e all’improvviso il mostro deflagrò, dissolvendosi all’istante in una nuvola di  fuoco. La polvere si posò. Il sole tornò a brillare sul villaggio abbandonato, come se niente fosse successo.

Geralt ripose la spada. “Se n’è andata… per sempre” borbottò. Trovò sul terreno il punto esatto in cui il wraith era scomparso, e raccolse in un’ampolla un po’ dell’essenza che si era lasciato dietro. Si diede un’ultima occhiata intorno. Lo scheletro della donna era bruciato fino a ridursi in cenere. Le capanne erano di nuovo avvolte nel silenzio; forse era solo la sua immaginazione, ma ora gli sembrava un silenzio pacifico, e non sepolcrale e inquietante.

Recuperò Rutilia fuori dalle mura e tornò galoppando dal suo cliente.

 

Odolan lo aveva aspettato ansiosamente, e lo accolse nell’ingresso della sua casa.

“Lavoro compiuto” esordì Geralt, asciutto. “Il pozzo era infestato dal fantasma di una donna uccisa lì. L’ho scacciato”. L’uomo annuì con aria impressionata, poi aggrottò la fronte. “Spero solo che tutte le vittime senza sepoltura non inizino a infestarci, altrimenti quel campo di battaglia ci darà parecchi problemi…”

Geralt avrebbe potuto spiegargli la differenza fra un soldato morto in battaglia e una sposa uccisa sull’altare, o fra un wraith e un wraith diurno; avrebbe potuto dirgli che avrebbe fatto meglio a preoccuparsi dei ghoul attratti dai cadaveri… ma a Odolan non sarebbe interessato. A lui importava solo che sua figlia ora fosse al sicuro. Perciò tagliò corto. “Se succederà, sai chi contattare. Nel frattempo… Claer, Volker… questi nomi ti dicono qualcosa?”

Gli occhi bovini dell’uomo si fecero ancora più tondi, e Geralt pensò che stava sprecando il suo tempo, ma si sbagliava. “Non li conosco. Ma una volta ho sentito la nostra erborista… Tomira… nominare una Claer. Che sia la stessa?” Poteva essere, pensò il witcher, ringraziandolo con un cenno. Se mai la sua strada si fosse incrociata con quella dell’erborista, avrebbe potuto chiederle notizie in merito. Nel frattempo, Odolan gli stava porgendo un sacchetto.

“La tua ricompensa, mastro witcher. L’oro che avevo nascosto per la dote di Mandy. Senza di te, non sarebbe comunque vissuta fino a sposarsi”. Fece un sorriso triste. “Ora, almeno, c’è qualche speranza”.

Geralt fece per tendere la mano, poi esitò, incerto. Sconfiggere il wraith era stato un lavoraccio… l’uomo sembrava discretamente benestante, a giudicare dalla sua casa… lui aveva un gran bisogno di soldi… ma nonostante tutto, non poté costringersi ad accettarli. Sospirò. “Alla mia età, dubito che mi sposerò mai… Tieni il denaro per Mandy. Per il suo matrimonio. Quando accadrà, brinda alla mia salute”.

“Grazie, mastro witcher. Sono parole gentili, hai un buon cuore. Ma non posso lasciarti andar via a mani vuote…” Odolan ripose il sacchetto col denaro in tasca, poi frugò fino a estrarre un oggettino che gli premette nel palmo della mano. “Almeno, prendi questo. Come portafortuna”.

Solo quando fu uscito di casa Geralt aprì la mano per scoprire la sua ricompensa. Era un’ametista, grande come un uovo di pettirosso. Sbalordito, la tenne sollevata per osservarne i riflessi viola al sole, simili allo scintillio della sua trappola Yrden. Poi sorrise e la mise in tasca prima di montare su Rutilia. Una gemma di quel valore? Non c’era dubbio che gli avrebbe portato fortuna.

   
 
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