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Autore: time_wings    24/09/2020    1 recensioni
[In revisione]
Da… un capitolo:
“Ci siamo trovati sotto un cielo – certo, era simulato, ma questo conta poco – e ti avrei raccontato la storia più bella del mondo, quella che nessuno si prende mai la briga di raccontare perché la tranquillità e la pace forse non fanno la fama. Peccato che, al crescere della gioia, cresceva la più complessa e particolare delle emozioni: la fiducia.
Questa storia è tragica e il mio più grande rimpianto resta quello di averci creduto.
Forse, semplicemente, per noi non c’era speranza."

Questa storia, come molte altre, parla di una grande amicizia, di un amore nascosto, di un fratello abbandonato, di difficili addii. Certe cose nascono alla stazione di un treno, altre finiscono nello stesso posto. Dove ci porteranno? Be', avanti.
O… la storia di come “alla fiera dell'angst per due soldi un malandrino mio padre comprò”.
Genere: Angst, Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Marlene McKinnon, Regulus Black | Coppie: James/Lily, Remus/Sirius
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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11. Guizzi nel vetro

 



Dicembre, 1995
 
La nebbia abbracciava il villaggio nel suo alito soffocante. Faceva freddo e un velo di morte si era steso assonnato sui tetti appuntiti, scivolando sulle tegole e colando come liquido sulle mattonelle della strada.
Erano diretti nel posto più tetro di Godric’s Hollow e più Remus avanzava, più aveva paura. Era la solita paura tranquilla che sapeva tenere sotto controllo e che invece quel giorno ribolliva come se qualcuno avesse avuto la brillante idea di appiccare un incendio su una ferita guarita, ma quiescente.
Non era pronto.
E come avrebbe potuto?
Affrontare il dolore una volta era normale, incolpare qualcuno anche di più, ma la verità era venuta giù di colpo, mettendo un nuovo filtro alla realtà e adesso il dispiacere straripava come se l’avesse appena scottato. Chi era mai pronto a dire addio due volte?
“È di qua,” esalò in un sussurro, il suono dei tacchi delle scarpe buone che schioccavano sulla strada come un orologio un po’ irritato. Remus udì l’ansito bagnato del cane di fianco a lui e lo prese per un assenso.
Proprio alla soglia del cimitero c’era una coltre di nebbia più densa, sembrava dissuadere chiunque dall’entrare, gridare che non era affatto il caso, che certe cose era meglio non superarle.
Ecco, che fosse proprio la nebbia a essere diventata così loquace non era sicuro, ma era decisamente più facile da incolpare.
Il cane si mosse per primo, il manto nero che sbiadiva oltre la soglia e via via più all'interno del piccolo cimitero, inglobato dalla nebbia. Remus lo seguì con un sospiro: almeno non era solo.
“Da questa parte,” lo chiamò una voce, mentre Remus si addentrava nel cimitero con la faccia di un condannato a morte.
“Non è sicuro,” ribatté duro, ma senza troppo entusiasmo. Era stanco di stare dietro a Sirius e al suo modo irritante e stupido di mettersi in pericolo.
“Chi vuoi che ci veda? È già tanto se ci vediamo a vicenda,”disse lui, un sorriso accennato a rendere vagamente più luminoso quel posto terribile.
In lontananza, un rubinetto chiuso male lasciava cadere pigro qualche goccia: era un suono assordante nel silenzio della morte.
“Brilla al buio,” osservò Sirius, poi, semplicemente, dando un’occhiata alla tomba di marmo. Era così chiara da spiccare tra le altre, quasi pura, purissima. Sotto i loro nomi, come graffi sulla pietra, c’era incisa una sola frase, essenziale: ‘L’ultimo nemico che sarà sconfitto è la morte’.
Sirius uscì dal suo mutismo possibilmente rispettoso e scoppiò a ridere di cuore. Remus lo guardò metà divertito e metà confuso, chiedendosi se Azkaban non gli avesse fatto sviluppare qualche strano tipo di reazione al dolore.
“Avanti, James puro e candido?” rise ancora, incurvando le sopracciglia ironico, “davvero è così che vuoi essere ricordato? Lily non ha avuto niente da ridire?”
Remus sollevò lo sguardo su di lui, all’erta. Certe cose le sentiva arrivare anche a distanza di anni. Sirius non era diventato improvvisamente allegro e in vena di fare battute, riusciva a percepire il suo autocontrollo raggiungere il limite.
“Oh, avanti, hai lasciato che si atteggiasse anche da morto!”
“Abbassa la voce,” avvertì Remus, dandosi una rapida occhiata attorno.
“Non me ne frega un cazzo!” Sirius rise isterico e Remus lo guardò, studiandolo e scrollando le spalle. Poteva fare quello che gli pareva, per quanto lo riguardava, non stava certo mettendo in pericolo tutti senza curarsi minimamente del dolore che poteva arrecare. Per niente, non era certo il caso. “Sapete che c’è?” continuò, la voce divertita parve spezzarsi in più punti.
“Sirius.”
“C’è che sono stato un idiota, ecco cosa!” gridò ancora, ignorando l’ammonizione dell’amico, “cambiare idea all’ultimo... oh avanti, James, non sono mai stato uno stratega.”
Remus serrò le labbra e mormorò un incantesimo silenziatore, sperando vivamente che aderisse come una bolla al cimitero, poi cacciò le mani nelle tasche e si preparò mentalmente alla vagonata di dolore a cui proprio non avrebbe voluto assistere, ma su cui non aveva alcun potere. Forse, ragionò infine, non era l’atteggiamento impulsivo di Sirius a dargli fastidio, ma il fatto che quella pentola a pressione di dolore stesse per essere scoperchiata dopo anni di soppressione.
“Sarei morto io!” gridò a quel punto Sirius, davvero, di pancia e Remus non si compiacque del suo tempismo con l’incantesimo.
Il labbro inferiore di un amico che era diventato un uomo senza di lui tremò, il sorriso scemò tutto di botto e contrasse le sopracciglia, mordendosi il labbro per smettere di farlo tremare, il dolore di Azkaban che tornava a invecchiargli il viso. “Mi dispiace davvero,” sussurrò, due lacrime ingombranti gli si poggiarono sulle palpebre; guardò quei due nomi come se avessero avuto i loro occhi, poi si inginocchiò. “Mi dispiace così tanto.” Sfiorò con un dito quelle lettere intagliate nel marmo, come se fosse stato abbastanza per sfiorar loro una guancia.
Remus si accostò a lui, sedendosi sui calcagni e inclinando la testa su un lato. Azzardò una mano sulla sua spalla. Sirius si inclinò naturalmente nella sua direzione, a cercare più contatto. “Non è colpa tua,” si limitò a dire, consapevole della debolezza di quell’affermazione.
Sirius sbuffò via una risata strozzata e un po’ di condensa. “Ma è colpa mia!” la mano che prima sembrava accarezzare le lettere dei nomi dei suoi amici a quel puntò batté forte sul marmo. L’eco di quel gesto si espanse attorno a loro in cerchi concentrici. “È interamente colpa mia! Ho proposto io di fare Peter Custode Segreto e io li ho…” quelle due lacrime in bilico persero l’equilibrio una volta per tutte. Arricciò il naso e scosse la testa, come a scrollarsele di dosso, ma non riuscì a impedire che gli scivolassero via dagli occhi, “James era mio…”
“Lo so.”
Sirius annuì, amaro, e fissò con odio la lapide, come se avesse voluto romperla e tirare via i suoi amici dalla terra. La parola ‘fratello’ vagava ancora struggente nell’aria.
“Vuoi lasciare qualcosa?”
Sirius annuì ancora, afferrando la bacchetta. La agitò appena, mogio, e il peluche di un cervo si materializzò sulla pietra gelata.
Remus rise in uno sbuffo. “Calzante,” sussurrò e, con la sua, fece comparire una cerva al suo fianco.
“Quando tutto questo sarà finito…” iniziò Sirius, un velo di imbarazzo a colorargli la voce, “dovremo portarci Harry.”
Remus annuì, deglutendo a fatica, mentre la leggerezza con cui Sirius aveva parlato del futuro gli faceva vibrare il respiro.
Quando tutto sarebbe finito, già, lui ci avrebbe aggiunto un punto interrogativo.
Quando sarebbe finito?
 
***
 
“Ma quando la finirà di fare così?” James allargò le braccia esasperato, mentre cercava qualcosa, anche se Peter non aveva ancora capito cosa. Non era davvero seccato, non avrebbe mai potuto, ma dare la colpa a Sirius, quando era lui a fare tardi, era uno sport che amava quasi quanto il quidditch.
“Ci raggiungerà in infermeria,” Peter si strinse nelle spalle, non troppo interessato alle sorti di Sirius, “o forse ti crea problemi il fatto che sia con Marlene e tu… qui con me?”
James si bloccò con le mani tra le pieghe delle lenzuola, poi alzò lo sguardo su Peter. “Ma... Pete, io adoro stare con te!” gridò, allargando le braccia e avvicinandosi a lui per stringerlo.
“No, no!” Pete si scostò, scappando dalle grinfie dell’amico, “via da me, James, non voglio i tuoi pidocchi.”
“Io non ho i pidocchi!” James si passò una mano tra i capelli, in modo che, se avesse avuto davvero i pidocchi, avrebbe fatto giusto in tempo a liberarli sui letti di tutti.
“Potresti ospitarne un branco.”
“Non so se tanti pidocchi costituiscano un branco,” considerò lui.
“Questo non lo so, ma…” Peter si interruppe, aveva già una mano sul pomello della porta del dormitorio, “mi spieghi cosa stai cercando?”
James si bloccò di nuovo, questa volta con le mani tra le lenzuola di Sirius. “Non trovo il mio mantello, giuro che se lʼha preso Sirius… Ma poi che diavolo ci deve fare di notte?” mormorò.
“Ma adesso non ti serve.” Peter lo guardò per qualche momento, mentre ragionava sulle possibili vie di fuga che il mantello poteva aver adottato in sua assenza. “È un mantello dell’invisibilità,” Peter soppresse una risata, “sarà diventato invisibile.”
James alzò uno sguardo annoiato su di lui, l’espressione quasi sconcertata dall’umorismo del suo amico, poi si lasciò andare a una fragorosa risata. “Questa te la potevi risparmiare.”
Peter ridacchiò, poi prese finalmente la situazione in mano e afferrò James per il colletto della camicia, trascinandolo fuori, “ora dobbiamo andare,” annunciò. Quando non c’era Remus tutto risultava davvero più complicato.
L’amico alzò le mani in segno di resa e si lasciò scortare fuori dal dormitorio dal povero Peter.
 
***
 
Sirius alzò la testa di scatto e per poco, davvero per poco, non colpì il mento di Marlene. Cercò i suoi occhi, storcendo appena il naso insicuro e aggrottando le sopracciglia, chiedendosi se andare a tentativi fosse la scelta migliore in quel caso. Lo sgabuzzino era soffocante, ma la vicinanza era… piacevole davvero. Smise di chiedersi se stesse muovendo la mano nella maniera corretta perché aveva il braccio in una posizione troppo scomoda per preoccuparsene e poi Marlene sospirò tra i denti e si aggrappò alla sua spalla con una mano, scivolando in basso con l’altra.
A quel punto, in realtà, Sirius smise di preoccuparsi di ogni cosa.
Si lasciò sfuggire un mugolio soddisfatto e Marlene rise piano. Si tradì, però, quando sussultò e il respiro le aumentò di colpo. Non aveva mai creduto che quella cosa potesse funzionare al primo colpo.
Sirius aveva la testa leggera. Non aveva più un solo pensiero al mondo, tutto poteva essere concentrato in cinque metri quadri di spazio condiviso e forse rincorrere qualcosa di garantito e immediato era di gran lunga più facile di… tutto il resto.
“Quanto altro tempo abbiamo?” domandò Marlene, ormai ansimava e, anche solo il tono in cui lo disse, fece perdere qualche altra briciola di lucidità a Sirius. “Prima dell’inizio delle lezioni.”
“Credo mezz’ora, possiamo…”si bloccò, totalmente, il calore e l’eccitazione che si condensavano in un’unica consapevolezza fulminante. “Cazzo.”
“Che c’è?” Marlene inarcò un sopracciglio, una punta di fastidio nella voce.
Sirius lasciò vagare lo sguardo in un angolo dello stanzino, a pesare scelte e parole successive. Represse l’istinto naturale di spingersi verso la mano di Marlene, che ancora era ferma sulla patta dei suoi pantaloni. “Okay, ti giuro che questa è la cosa migliore… di sempre,” iniziò, sorridendo sul finale e annuendo a sottolinearlo, “però,” ci mise tutta la sua forza di volontà per prenderle gentilmente la mano e portarsela invece alle labbra, in una replica ironica di un baciamano, “ho dimenticato di fare una cosa importantissima e… devo davvero andare.”
“O-okay,” replicò lei, il cambio d’atmosfera una doccia gelida.
Sirius annuì pratico e si voltò, aprendo la porta di uno spiffero per controllare che nessuno fosse di passaggio.
“Ehm,” Marlene attirò la sua attenzione, prima che potesse scappare, “va tutto bene?”
“Credimi, vorrei davvero…” Sirius si concesse un’occhiata lunga a squadrarla, “continuare, ma devo… James mi uccide se...” concluse, non proprio brillantemente, con una scrollata di spalle.
 
Quando Sirius ebbe abbandonato lo stanzino, Marlene si passò una mano nei capelli, poi rise.
“Quando mai non è James.”
 
***
 
La luce filtrava pigra attraverso le inferriate a rombi dell’enorme stanza. In qualunque altro giorno o anche solo in qualunque altra ora ci sarebbe stato un silenzio immacolato, quasi sacro. Il rumore gentile delle pozioni che gorgogliavano in qualche armadietto e nient’altro.
Be’, forse gli altri frequentatori dell’infermeria lo trovavano pacifico, miracoloso, bellissimo.
Remus lo trovava agghiacciante.
Gli stringeva lo stomaco e lo angosciava nella maniera rassegnata delle abitudini.
Era un’atmosfera desolata, nel senso di dispiaciuta, come se il mondo intero volesse mettergli una mano sulla spalla e sussurrargli rammaricato a un orecchio: ‘mi dispiace, per te non c’è speranza’.
Finché qualcosa, qualcosa che fingeva di respingere e di detestare, non era accaduta.
Remus schiuse un occhio e la debole luce del mattino gli colpì aggressiva le pupille. Per un secondo si chiese agitato se avesse in qualche modo perso la vista.
“Oggi siamo più sexy che mai!” la voce allegra di James e la sua manaccia che gli si poggiava scherzosa una spalla spensero ogni paranoia. Il silenzio soffocante e all’apparenza calmo dell’infermeria era stato squarciato in un secondo da un suono che al mattino di solito detestava.
“Non posso dire lo stesso di te,” replicò Remus in un mormorio, iniziando a mettere a fuoco i volti dei suoi amici. Peter prese posto su una sedia accanto al letto e James optò per una più aggressiva invasione del suo spazio personale, costringendolo a farsi da parte con qualche lamento e piazzandosi sulla brandina.
“Non eri troppo stanco per fare battute?” ribatté James, portando una mano ad arruffargli i capelli. Remus cercò di sottrarsi al suo invadente… affetto.
“Non l’ha mai detto,” gli fece notare Peter.
James alzò gli occhi al cielo e si sistemò gli occhiali con un dito. “Sono comunque migliori delle tue, Pete.”
“Siete qui da meno di un minuto e già mi state facendo venire mal di testa.” Remus puntò i gomiti sul materasso per tirarsi un po’ più su col busto e tentò di distrarsi dal dolore lancinante al fianco continuando a parlare. “Sirius dov’è?”
Lo sguardo di James passò dal divertito all’allarmato in una manciata di secondi. Fece segno a Peter di passargli un cuscino e cercò di posizionarlo dietro la schiena di Remus, facendolo muovere il meno possibile. “È un cretino,” James scrollò le spalle e aggrottò la fronte, cercando di capire se lo stesse effettivamente aiutando, “sta arrivando, però, dovrebbe…”
“Quindi è questo che dici di me quando non ci sono?” Sirius piombò nell’infermeria con la sicurezza e la disinvoltura di chi quella stanza la possedeva e ci organizzava anche partite a poker. “Che sono un cretino?” Aveva una mano sul petto a fingere imperdonabile offesa e la bocca spalancata dallo sconcerto. A tradirlo solo un angolo delle labbra, alzato in un velato sorriso.
“Dico di peggio, quando non ci sei,” commentò James scocciato, negli occhi lo stesso guizzo che tradiva anche lui.
“Ah, ecco, per un attimo ho avuto paura che fossi diventato gentile.”
Peter inclinò la testa su un lato e ridacchiò. “Ti sei dimenticato un pezzo,” disse, accennando con un dito verso la sua camicia, infilata male nei pantaloni della divisa.
Sirius rifilò un’occhiataccia a Peter, mentre si sistemava, e diede un ceffone a James quando iniziò a complimentarsi con sentiti ‘oooh’.
“Stai bene?” indagò ignorandoli e abbassando la testa per incontrare gli occhi di Remus e arruffandogli i capelli con una mano. Lui si scostò e sospirò rassegnato.
“La smettete tutti e due?”
Sirius alzò le sopracciglia sorpreso, guardò James e gli sorrise. Il sorriso gli fu subito restituito, “ah, è così che stanno le cose?”
Remus scambiò un’occhiata confusa con Peter, poi optò per una difesa preventiva, “non il fianco sinistro, la gamba destra e le spalle.”
Sirius non ci pensò un attimo di più e si lanciò sul lato del letto lasciato libero da James. Gli mancò la gamba per un soffio e lasciò scivolare un braccio a cingergli le spalle con una delicatezza che il suo turbolento arrivo non sembrava preannunciare. Remus, dal canto suo, strizzò gli occhi e tirò un sospiro di sollievo, quando scoprì che era rimasto tutto intero.
“Vi ho portato qualcosa,” trillò Sirius, alzando una busta.
“Per l’ultima volta, Sirius, se l’hai preso dal mio comodino,” iniziò Remus, che già scuoteva la testa, “hai rubato, non hai portato qualcosa.”
“Ma come ti viene in mente? Ti sembro il tipo?”
“Sì,” lo intercettò Peter.
“Bene, voi due non avrete niente. James,” Sirius ravanò per lunghi attimi con la mano nella busta, poi lanciò una bottiglia di succo di zucca a James, che la prese al volo, “questa è per te, mio unico vero amico,” poi ne stappò una per sé e, con il contributo del suo unico vero amico, si premurò di berla non staccando gli occhi di dosso a Remus.
Lui, intrappolato tra due fuochi, sospirò e chiuse gli occhi. “Non lo voglio, il vostro succo di zucca.”
James arricciò il labbro superiore, scettico. “Muore dalla voglia,” commentò, osservando Remus come se la sua voglia di succo di zucca trasparisse da ogni fibra del suo corpo.
“Muore dalla voglia,” convenne Sirius.
Si allungò nuovamente verso la busta per un’altra bottiglia di succo di zucca. “Solo perché il lupo è ferito,” concesse poi, tendendogli una bottiglia senza guardarlo neanche.
Remus lo osservò titubante per qualche altro secondo, poi la afferrò quasi strappandogliela di mano.
“Allora,” Sirius lanciò un’occhiata complice a Peter e poi fissò James inclinando la testa di lato, “oggi studi, Jamie?”
James sospirò al nomignolo. Il fatto che venisse usato sempre quando doveva essere preso in giro spiegava perché. “Sì,” mormorò, incrociando le braccia al petto e preparandosi a quello che sarebbe successo di lì a poco.
“Ma che evento!” Sirius sgranò gli occhi e lasciò scivolare nuovamente il braccio sulle spalle di Remus, “Devi aver avuto un interessante incentivo.”
Peter ridacchiò. “Oh, l’ha avuto.”
“Che mi sono perso?” Remus indossò una versione più stanca del sorriso spavaldo degli altri due. “Ti sei già sposato?”
“Non mi conoscete, ragazzi, io non mi sposerò mai, avrò una vita da scapolo. E comunque, tu non avevi sonno?”
“Mi è passato,” Remus scrollò le spalle, il sorriso di Sirius si allargò, dietro di lui, “come per magia!”
“James si vede spesso con Emmeline Vance per studiare,” lo informò Sirius, marcando l’ultima parola e annuendo come se si stesse riferendo a un fatto di cronaca di fondamentale importanza.
James sospirò affranto, ma Remus mise in piedi il più drammatico verso sorpreso che gli riuscì in quelle condizioni. “E che studiate?”
“Anatomia,” si intromise Peter, con il tipico cenno del capo di chi ha passato ore e ore a studiare anatomia con le ragazze… o, almeno, di chi avrebbe tanto voluto. Sirius scoppiò a ridere e annuì, fiero del fatto che i suoi amici avessero deciso di reggergli il gioco.
“Non studiamo anatomia,” si difese James, mentre cedeva a un principio di sorriso, “e poi ci sono sempre anche Alice, Dorcas e Marlene, quando lei non è occupata con i suoi compiti di anatomia.”
Remus rise e si voltò a guardare Sirius. Lui scrollò le spalle disinvolto, ma, stranamente, un sorriso timido gli strisciò sulle labbra. “Secondo voi… se vi trovaste…” Sirius osservò il letto vuoto che avevano di fronte come se gli avesse potuto dare una mano a parlare, “se vi trovaste con una ragazza e la… la lasciaste così,” Sirius arricciò il labbro e aggrottò la fronte, come se si stesse concentrando in una maniera a cui non era abituato.
Non concluse mai la frase.
Ci fu un momento di silenzio, se avessero aguzzato le orecchie sarebbero riusciti a sentire il bubolare dei gufi in cima alla Torre Ovest.
Poi James si sporse in avanti, superando le gambe di Remus e cercando lo sguardo di Sirius. “Hai lasciato Marlene... “ sembrò ragionare sul termine successivo da pronunciare per qualche istante, “così?” 
Sirius alzò gli occhi come se la cosa più urgente che avesse voluto dirgli fosse stata: ‘be’, se vogliamo metterla proprio così’, poi si limitò ad annuire con una scrollata di spalle.
Remus inclinò la testa su un lato. “E tu sei rimasto così?”
Peter scosse la testa e aggrottò le sopracciglia, passando con lo sguardo da Remus a Sirius a James come se stesse assistendo a una partita di tennis a tre.
“Sì,” ammise il ragazzo, prendendo un altro sorso disinvolto dalla sua bottiglia di succo di zucca.
Remus e James si scambiarono uno sguardo veloce. “E perché?”
Sirius era addirittura più concentrato delle rare volte in cui si impegnava davvero a lezione di Pozioni. Aprì la bocca per parlare, ma Peter lo precedette con un timido colpo di tosse, per attirare l’attenzione.
“Scusate, ma…” Peter abbassò lo sguardo, sorridendo quel tanto che bastava per farlo apparire la definizione di imbarazzo, “che significa ‘così’?”
Sirius soppresse una risata nel naso e si chinò in avanti per ridere nel modo più discreto possibile. Remus, invece, fu davvero discreto e James sorrideva con la faccia di uno che la sapeva lunga. In realtà non la sapeva lunga neanche un po’.
“Pete,” iniziò, con la voce impregnata di una risata trattenuta a stento, “si vede che hai copiato i compiti di anatomia.”
 
***
 
Quel pomeriggio Lily era distratta.
Era passata una settimana da quando una strana sensazione le si era posata sull’animo come un velo della più fine fattura.
Si sentiva un po’ soffocare, a dire la verità. Non per come si erano messe le cose negli ultimi tempi, ma per la quantità di ragioni che la spingevano a non potersi sfogare davvero con nessuno. Qualche volta aveva finito addirittura per parlare al suo gufo ed essersene tornata alla Sala Comune con una punta di imbarazzo a tingerle le guance, quando qualcuno era entrato nella Guferia; doveva essergli sembrava davvero fuori di testa.
Fissava il cielo e faceva seguire ai suoi occhi la traiettoria di Marlene sulla scopa, senza però riuscire davvero a concentrarsi sugli allenamenti, né sulle azioni. Aveva pensato che assistere a un allenamento le avrebbe dato una scusa facile e incontestabile per lasciare nel castello i suoi pensieri e godersi un po’ di aria fresca.
Ecco, forse un po’ troppo fresca.
Lassù, tra gli spalti, si gelava.
Si strinse nelle spalle per farsi calore il più possibile, quando lo sguardo le cadde da qualche parte alla sua sinistra. La penultima persona che avrebbe voluto vedere in quel momento si era lasciata cadere poco elegantemente sul suo stesso gradino, ma mantenendo una distanza di almeno tre metri. Penultima, infatti, perché l’ultima la stava già vedendo da una quantità insostenibile di minuti e le sfrecciava davanti di tanto in tanto, commentando qualcosa che – fortunatamente – si perdeva nel vento prima che potesse afferrarla. L’ultima era James Potter, chiaro.
Sirius non disse una parola e puntò gli occhi sul campo, come se non l’avesse neanche vista.
“Cazzo, che freddo,” mormorò, scuotendosi sull’onda di un brivido e affondando le mani nelle tasche dei pantaloni. Soffiò uno sbuffo d’aria condensata e Lily gli rifilò un’occhiata di sottecchi.
Di colpo quel piano le sembrò una grandissima presa in giro. Aveva davvero pensato che passare delle ore da sola, al freddo, a guardare un allenamento di quidditch l’avrebbe distratta dai suoi pensieri? Era praticamente il modo migliore per passare del tempo da sola senza dovere spiegazioni a nessuno! Quale sarebbe stato il prossimo colpo di genio? Affidarsi a un pensatoio per non pensare?
Il problema era questo: Severus continuava ad allontanarsi ogni giorno sempre un po’ di più, i suoi legami con i compagni Serpeverde erano più che ovvi. Il che sarebbe stato anche un bene, se solo non fossero stati gli stessi che se ne andavano in giro per la scuola a insultare qualunque studente di sangue non puro. Era uno scherzo che non era mai stato divertente e che era diventato per giunta anche aggressivo, negli ultimi tempi.
E poi, Lily aveva smesso di credere alle uscite di James Potter più o meno nel momento in cui aveva esordito, ma, alla luce dei nuovi eventi, trovava plausibile che fosse stato Severus a inventare quell’incubo di incantesimo Levicorpus, anche se in cuor suo sperava che fosse l’ennesimo attacco infondato di James.
Era frustrata, ecco cosa. Parlare con Severus era inutile: era sfuggente e le diceva che era semplicemente paranoica, che si stava lasciando influenzare dalle idee strampalate dei suoi amici e che il loro rapporto non era cambiato di una virgola. Dall’altra parte, se solo provava ad aprirsi con Mary, Dorcas o Marlene, la risposta restava sempre una: ‘Ti prego, liberati di lui, è inquietante,’ il che non era molto d’aiuto. Alice, per quanto si mostrasse aperta all’ascolto, si mostrava comunque silenziosamente in accordo con le altre.
“Evans.”
Lily, così assorta nei suoi pensieri, si voltò di scatto verso Sirius senza alcuna espressione già annoiata piantata in viso. Lui lo prese per un invito a continuare.
“Conosci un modo per ascoltare musica babbana… qui?”
“Hai un disco?” e lui annuì. “Conosci la Stanza delle Necessità?”
Sirius aggrottò la fronte, forse soppesando le parole successive, perché la sua approfondita conoscenza di Hogwarts era stata appena messa alla prova. Scivolò sulla panca per avvicinarsi e, suo malgrado, scosse la testa mesto, con la lentezza di uno a cui quel gesto pesava da morire.
Lily annuì. “Si dice sia da qualche parte al settimo piano. Appare solo per quelli che ne hanno davvero bisogno. Credo ti basti… desiderare di poterlo ascoltare.”
Sirius si mosse a disagio sulla panca, poi sospirò, come se l’intera conversazione lo stesse mettendo a dura prova. “E… di preciso cosa cerco?”
Lily si voltò a guardarlo del tutto e sgranò gli occhi, poi scoppiò a ridere.
“Evans, non provare…”
“Cerchi un giradischi,” lo informò lei, i residui di un sorriso a mettere in evidenza le fossette. “Ci metti il disco sopra e sposti il braccio sul solco… il braccio del giradischi, non il tuo.”
Sirius annuì, cercando di tenere lo sguardo fisso sugli allenamenti. Non la ringraziò, ma le risparmiò la solita battutina sgradevole.
A Lily bastò.
 
 
“Potter.”
Marlene si avvicinò a James con una borraccia in mano e tutta l’aria di una che, più che bere, si era appena fatta una doccia. La coda bionda rimbalzava a ogni passo.
“Volevo chiederti una cosa.”
James alzò un sopracciglio e osservò Gudgeon, in lontananza, radunare la squadra per riprendere l’allenamento. “Dimmi,” annuì pratico, mentre iniziava a fiutare, suo malgrado, dove volesse andare a parare prima ancora che aprisse bocca.
“Hai notato Sirius un po’ strano, ultimamente?”
Bene. Marlene era una che andava dritta al punto. Finse di non avere idea di cosa parlasse e di non sapere nulla sull’incidente di un paio di mattine precedenti. “Non mi pare, no, cretino come al solito,” mentì.
Marlene si morse un labbro e annuì, ma non parlò, anzi, gli fece segno di avvicinarsi al centro del campo, dove Gudgeon si era messo a urlare che avevano passato in pausa sette minuti e trentasei invece che cinque e che avrebbero perso contro i Corvonero, se avessero continuato così.
“Perché?” James le fu dietro, richiamando la sua attenzione. Proprio non ce la faceva a non immischiarsi!
“No, per nessun motivo in particolare, domandavo.”
Lui annuì e alzò lo sguardo sugli spalti. Scosse la testa, chiedendosi cosa diavolo stesse combinando Sirius e, soprattutto, perché fosse così stupido.
“Ah, e… James?” Marlene si voltò nuovamente, ma questa volta un sorriso furbo le alzava un angolo della bocca. “Emmeline voleva sapere se sei interessato a…” Si prese una pausa. Evidentemente aveva fatto qualche faccia che dimostrava che era caduto nella sua trappola, perché poi sorrise vittoriosa. “Se sei interessato a studiare con lei anche domani,” concluse poi, forse James si sarebbe aspettato una piega diversa.
Dissimulò in un attimo, però. “Perché no,” disse, issandosi sulla scopa. Poi si portò una mano tra i capelli e li arruffò, come se non fosse stato in procinto di volare.
 
***
 
La notte di Halloween, 1981
 
Questione di un attimo, stava tutto lì.
L’ostinazione aveva più o meno lo stesso valore della speranza. Zampillava fragile ma inesorabile, scivolava lenta ma inarrestabile. Restava però inutile, quando si trattava di vincere.
Quando si accettava di combattere, di brandire lance, spade e archi, non si metteva mai in conto di tornare vivi, non si assicurava mai e non si prometteva. Neanche ai compagni. Eppure, nonostante gli avvisi, i promemoria continui sulle lettere esili che componevano la parola ‘perdita’, a certe cose non ci si abituava. Certe cose non si mettevano neanche in conto.
Perché sarebbe stato semplicemente troppo demoralizzante abituarsi all’idea di una perdita prima ancora che si verificasse.
Era un’idea disumana.
Non importa a cosa si gioca, la Morte segna sempre in contropiede. La si guarda sconcertati rubare la palla e correre come una forsennata alla rete; la si osserva segnare mentre si corre a perdifiato cento metri indietro.
Questione di qualche attimo, in fin dei conti, stava tutto lì.
Sta tutto lì.
Sirius aveva studiato poco, nella sua vita, ma aveva sempre saputo quello che faceva.
Sapeva come funzionava un Incanto Fidelius, l’aveva visto eseguire, l’ultimo grande scherzo tramato.
Era al cortile, la staccionata bianca appariva tetra, spenta e gelida. Inospitale, in fondo, come non lo era mai stata. La guardava come si guardava il confine di un nemico. E lo era, ormai, perché poteva toccare la staccionata e, si accorgeva con orrore, la poteva anche superare.
L’Incanto Fidelius prevedeva due sole eccezioni: si sarebbe spezzato qualora l’informazione fosse stata rivelata e resa pubblica o avrebbe fatto Custodi Segreti tutti coloro a conoscenza dell’incantesimo, nel caso in cui il Custode Segreto fosse morto.
Sirius non ne era sicuro, ma aver trovato il nascondiglio di Peter in ordine era stato un indizio inquietante sulla fine che aveva fatto l’incantesimo.
 
Remus si sedette sul tappeto del dormitorio e vi poggiò una pergamena grande, piena di segni nei punti in cui era stata ripiegata. “Al di sotto del piano terra ci sono i sotterranei, la classe di Pozioni, lo sgabuzzino con gli ingredienti, la Sala Comune Serpeverde e l’ufficio di Lumacorno. Le stanze dei sotterranei sono numerate, ma non sono potuto entrare ovunque.”
Sirius annuì e prese la pergamena di Remus tra le mani. “Per adesso andrà bene, entreremo nelle stanze per mapparle più avanti. Se abbiamo un po’ di fortuna…” scambiò uno sguardo con Peter e James. Con un po’ di fortuna la forma da Animagus di uno di loro sarebbe risultata utile nella mappatura del castello.
“Mettiamo i sotterranei in basso a destra…” Peter mosse la pergamena di Remus sul tappeto, mordendo distrattamente la punta della sua bacchetta.
“Poi ripieghiamo e passiamo al piano terra,” continuò James, sporgendosi accanto a Peter e posando un’altra pergamena poco più sopra quella di Remus.
Sirius annuì e alzò lo sguardo su James. Aveva i capelli che puntavano in mille direzioni e gli occhi stanchissimi, ma sorrise complice quando, nei suoi occhi, si accese la solita complicità.
 
Quando spinse la porta già socchiusa, un cigolio terrificante rimbombò nel silenzio di Godric’s Hollow. Era una sentenza di morte, una campana di un funerale. Il suo, forse, che si era concesso una famiglia ed era a un passo dallo scoprire di averla persa.
Sulle labbra aveva poggiata una frase che scalpitava per uscire, la necessità di sbuffare con sollievo, di piangere addirittura e di abbracciare James e Lily fino a stritolarli e sussurrare: “Mi avete fatto prendere un colpo”.
Quel sussurro gli rimase bloccato in gola per i successivi quattordici anni, incastrato tra respiri che avrebbero sempre avuto qualcosa in meno. Quel sussurro rimase sospeso nell’ombra di una scintilla un po’ più accesa che sperava gli illuminasse ancora lo sguardo e che, invece, gli brillò negli occhi solo un'altra volta, un attimo prima di morire.
E poi lo vide.
L’intesa era una cosa inspiegabile. Una sorta di condanna, un legame che si stringeva al collo e tirava fino a non poter far altro che accettarla e, in fondo, godersela dal primo istante. Con un pizzico d’egoismo non poté evitare di pensare che, se si fosse concesso di andarsene anche lui, avrebbe evitato di soffrire.
A Sirius non ‘venne un colpo’, come gli sarebbe tanto piaciuto definirlo.
Sperò che il tempo di reazione del suo cervello si allungasse all’infinito, che, semplicemente, si limitasse a non capire, che si stabilizzasse sulla coscienza che aveva di sé e del mondo solo al mattino, in quegli attimi precedenti al vero e proprio risveglio, in cui niente ha senso e ogni morto può rivivere.
Il suo tempo di reazione scadde prima che potesse pensare di afferrarlo e saldarlo in testa. Scosse il capo e forse smise di battere anche le palpebre, poi incrociò le braccia al petto, come se gli fosse toccato un lavoro sporco che non voleva fare. Bisognava essere pratici, in queste situazioni, a quanto pareva.
Gli venne da ridere.
In queste situazioni bisognava essere pratici? L’ultima cosa che gli venne in mente fu quella di essere pratico.
A quel punto, nella sua vita, ne aveva viste tante e mai una volta si era concesso il lusso dell’autocommiserazione. Pensò che non fosse proprio il caso di mettersi a piangere, che doveva mostrarsi forte e immune a qualunque dolore, anche se a guardarlo non c’erano altri che lui.
“Secondo te,” iniziò, in un sussurro, perché non era certo di poter usare la sua voce. Superò James come se non l’avesse neanche visto, come se avesse iniziato a parlare da solo e si diresse verso le scale come aveva fatto mille altre volte. Si tradì soltanto quando gettò l’occhio sul divano e sulla bacchetta inutile lasciata lì, “io adesso come faccio senza di te?”
E, quando per la prima volta da quando aveva incrociato il suo sguardo su quel treno, nessun tono ironico gli rispose di andare a farsi fottere, nessuna mano si alzò ad arruffare i capelli e nessuna risata derisoria diede inizio all’ennesima lotta al miglior duellante, Sirius pensò che avrebbe fatto davvero meglio a stendersi accanto a lui e lasciarsi morire.
Questo finché un pianto non gli raggiunse le orecchie.
Sirius annuì un po’ come a rassicurare James del fatto che se ne sarebbe occupato lui, che non c’era alcun problema, che sarebbe stato responsabile, per una volta, che sarebbe stato adulto.
Poi si preparò alla successiva visione dolorosa.
 
“Per eseguire un incantesimo Homunculus ci vuole del tempo e tanta pratica,” annunciò Remus, dando una rapida occhiata alla quantità imbarazzante di pergamene disposte sul pavimento. Se la professoressa McGranitt le avesse viste, senza leggere cosa vi era scritto sopra, era certo che si sarebbe complimentata con loro. “Ma mostrerà sulla mappa dove si trova ogni persona presente nel castello. Dobbiamo esercitarci su planimetrie più piccole, sia per scongiurare ogni errore sia per verificare che funzioni e mostri tutti.”
James alzò un sopracciglio e l’angolo opposto della bocca. “Sirius, siamo fregati,” annunciò, scuotendo la testa, mentre un sorriso sveglio si faceva largo sul suo viso.
“Proprio fregati.”
Remus aggrottò la fronte, in attesa di spiegazioni.
“L’allievo ha superato i maestri,” James giunse le mani davanti al petto come in profondo rammarico.
“L’attività criminale gli ha dato alla testa.”
“È irrecuperabile.”
“E io, allora?” Peter si inserì nella conversazione fingendo offesa.
“Zitto, Peter,” scherzò Sirius.
“Macché zitto?” si intromise James, con una risata. “Pete è il criminale più pericoloso, qui.”
A quelle parole, un’ondata d’orgoglio gli travolse il petto. Il fatto che fosse stato James a pronunciarle, anche se con una punta di ironia, diede loro molto più valore.
 
Quando salì l’ultimo gradino, il dolore che stava soffocando come una pentola a pressione non scoppiò. Sentiva, in fondo, dolore? Aveva capito che alla sua vita, da quel momento in poi, sarebbe mancata una delle cose che lo teneva in piedi?
Qualunque cosa stesse provando fece posto a un’infinita rabbia. Quello che aveva visto in un primo momento, la casa, la staccionata, la porta e… James, gli erano parse unicamente per quello che erano: disgrazie, immagini strazianti che gli sarebbe toccato processare. Quelle cose non ebbero un nome né un motivo né un mandante, fino a quel momento.
Peter.
Peter era il motivo per cui lui si trovava lì, Peter era il motivo per cui il suo nascondiglio era vuoto.
Svoltò veloce nella stanza da cui proveniva il pianto e si rifiutò categoricamente di abbassare lo sguardo sul secondo amore freddo: aveva bisogno di continuare a essere arrabbiato.
Si diresse come su un binario verso Harry, zigzagando tra pezzi di mobili distrutti e detriti del tetto esploso. Lo prese in braccio, aggrottando la fronte alla vista di una lunga cicatrice insanguinata sulla sua fronte. Non ebbe modo di soffermarsi a esaminarla più di tanto, perché un rumore di passi pesanti echeggiò tra le mura vuote, costringendolo a sfoderare la bacchetta e puntarla verso la cornice della porta.
I passi si avvicinavano di secondo in secondo. Lenti e cadenzati, scandivano il tempo come lancette d'orologio.
In un attimo di lucidità lanciò uno sguardo in basso, per capire dove mettere i piedi e, ignorando la fitta al petto per quello che aveva appena visto, si voltò quasi completamente a dare le spalle alla porta, per fare da scudo a Harry. Non smise di fissarla, però, né di tenere alta la bacchetta.
Era questione di secondi, il cuore gli martellava nel petto, i passi aumetarono di intensità e…
 
“Mi hai fatto prendere un colpo!” gridò James e Remus lasciò cadere la testa all’indietro, prendendo fiato dopo lo spavento e appoggiandosi contro il muro dietro cui era appena sbucato.
“Che ci fai qui?” domandò invece Remus, dando un’occhiata alla pergamena su cui stava mappando il castello.
James tirò fuori la sua e la consultò rapidamente. “Oh, giusto, io ho il terzo piano!” notò, arricciando un labbro e studiando il lato del secondo piano che aveva già ispezionato. “Scusa, mi sono distratto.” Scrollò le spalle e sorrise. “Be’, questo lato è già fatto, prendi questa.”
Remus accettò la pergamena che gli porse James e sorrise a sua volta. “Aspetta che Peter e Sirius sentano come hai gridato quando ci siamo scontrati.”
James sgranò gli occhi e lo fissò, ponderando le sue possibili vie di fuga da quella minaccia. “Non vuoi farlo.”
“Credimi, voglio,” ribatté Remus, “è stato… virile.”
“Remus Lupin.”
“Riesci a farlo di nuovo? Com’era, precisamente?”
James scosse la testa minaccioso, ma consapevole anche di non avere nessun asso nella manica da giocare.
Risultò anche poco credibile, perché in realtà gli stava sorridendo.
 
Rubeus Hagrid sbucò in tutta la sua stazza oltre l’orlo laterale della porta. Aveva gli occhi gonfi e bagnati e la bocca semiaperta come se qualcosa lo avesse sorpreso.
Sirius esalò un respiro pesante e abbassò la bacchetta. Sentì distintamente l’adrenalina scivolargli dalle vene, lasciandolo vagamente… secco.
“È vivo,” pronunciò, voltandosi completamente verso Hagrid e mostrandogli Harry. Poi inclinò la testa su un lato e alzò entrambe le sopracciglia, infastidito: il naso gli pizzicava da morire.
Hagrid aggrottò la fronte e soppresse un singhiozzo. “Lo so, sono qui per lui.”
Sirius si accigliò e strinse Harry inconsciamente un po’ più a sé. “In che senso?” domandò, conducendo Hagrid fuori da quella stanza e scegliendo il corridoio per parlare. Gli sembrava decisamente più dignitoso.
“Ordini di Silente. Starà con i suoi zii.” Hagrid era costernato, come se provasse lo stesso dolore di Sirius nel pronunciare quelle parole, come se non le capisse e si fosse deciso a ripeterle per lealtà.
Sirius rise, una risata alta, forse appuntita. “Toglitelo dalla testa.”
“Lo so che tu… però...” Hagrid si guardò attorno, come se qualcuno o qualcosa avesse potuto dargli una mano a spiegarsi.
“È quello che avrei dovuto fare in caso…” Sirius alzò la voce, ma si bloccò, “In questo caso!”
Hagrid parve un po’ in difficoltà. “Silente…”
“Silente non ha capito cosa è appena successo!”
“Lo sa, mi ha mandato per questo.” Hagrid scosse la testa e unì le sopracciglia in una smorfia dispiaciuta.
“Ascolta,” Sirius scosse la testa pratico, muovendo una mano come a scacciare una mosca, “non ho tempo per stare qui a discutere, devo…”
Hagrid aggrottò la fronte e inclinò il viso su un lato.
“Devo… fare una cosa,” concluse Sirius, evasivo. “Dici a Silente che ho tutto sotto controllo, me ne occupo io, starà con me.”
Sirius si mosse per ridiscendere le scale, ma Hagrid gli si parò davanti dispiaciuto, scuotendo la testa e impedendogli di superarlo. “Lo sai come funziona l’Ordine.”
Il ragazzo lasciò vagare lo sguardo sulle pareti per un attimo, ponderando le sue possibilità a quel punto.
Una loro foto era appesa, un po’ inclinata, a un chiodo al muro. Quattro sorrisi felici lo accolsero in quel ricordo, poi i protagonisti della foto caddero rovinosamente a terra, trascinati da un passo maldestro di Peter.
Trascinati da Peter.
“Va bene,” concesse, accomodando Harry tra le braccia grosse di Hagrid. “tu portalo all’Ordine, io devo andare. Appena finisco questa faccenda parlo con Silente.”
Hagrid annuì e lo lasciò passare.
“È pericoloso andare in giro con lui,” continuò Sirius, scendendo le scale ed evitando un altro paio di occhi di vetro, “prendi la mia motocicletta, è a due passi da qui,” comandò, non lasciandogli troppo tempo per replicare, perché infilò un paio di chiavi nel taschino della camicia di Hagrid, battendogli due volte la mano sul petto, mentre già fissava la porta per varcarne la soglia con il sangue che bolliva nelle vene. Forse avrebbe potuto rimandare ancora un po’ il momento in cui avrebbe fatto la cosa che peggio gli riusciva e che si era sempre rifiutato di fare: elaborare. Forse ammazzare Peter gli avrebbe dato sollievo, pensieri freschi in cui non ristagnare.
“Sirius,” lo richiamò Hagrid, afferrandolo per un braccio e trascinandoselo addosso. “Mi dispiace tanto.”
Fece male i suoi calcoli, purtroppo, perché passò i successivi dodici anni in una testa in cui avrebbe potuto solo ricordare.




 

 


Note di El: ...
Ciao e scusate. Cioè, questo è il primo (e l'ultimo) capitolo in cui i "futuri", non so come chiamarli, eguagliano per quantità i passati. Però sono gli ultimi, vi giuro mi dispiace, mi spavento sempre a piazzare questa roba perché il fandom evita le storie sui malandrini proprio per questo, quindi sorry, però garantisco proprio che mancano due capitoli e poi la storia cambia proprio olè. E comunque la roba futura nei prossimi capitoli non è così, non odiatemi, aaaaaaaa perché mi sto scusando?!
Allora, io non lo so se ci possono stare oggetti babbani nella stanza delle necessità, però non l'ho trovato specificato da nessuna parte e, onestamente, non c'è proprio altro modo, quindi ECCO QUAAA! Va bene, giuro che ricontrollo questo capitolo domani (non ci crede nessuno) perché adesso sto morendo, mi si incrociando le parole mentre le leggo, quindi temo ci sia qualche schifezza, però per ora YEEEE non è ancora mezzanotte e sono in orario!
Grazie per aver letto, davvero <3
Adieu,

El.


 
   
 
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