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Autore: Nao Yoshikawa    25/09/2020    4 recensioni
Crowley inizia lentamente e inesorabilmente a perdere la memoria a causa di una maledizione lanciata dai demoni. Lui e Aziraphale riusciranno a spezzarla o dovranno semplicemente rassegnarsi ad un destino già scritto?
Quanto è importante la forza di un ricordo?
«Posso azzardarmi a dire che questi oramai non sono più vuoti di memoria, giusto? Da quanto vanno avanti?» domandò stringendogli un ginocchio con una mano. Era una situazione inquietante e piuttosto spiacevole, ma l’angelo stava cercando di non pensare al peggio.
«Non saprei… una settimana, forse? Non capisco. Perché sto iniziando a dimenticare delle cose? Anche quelle più recenti…mi sono dimenticato del giorno in cui ti ho chiesto di sposarmii», Crowley si portò una mano tra i capelli, scombinandoli, con gli occhi lucidi.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Belzebù, Crowley, Gabriele
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo undici
 
Si trovava in un posto buio, senza luce. Forse erano rami di alberi quelli che gli graffiavano il viso. Ma di una cosa era certo: qualcuno lo inseguiva. L’ansia cresceva e le uniche cose che udiva erano il battito del suo cuore e quello delle foglie secche calpestate. Qualcuno voleva catturarlo e togliergli qualcosa di importante.
No, ti prego.
Stai indietro, indietro! Non portarmeli via!
Non i miei ricordi!
«Noooo!»
Crowley non aveva ancora aperto gli occhi, chi si era svegliato invece era Aziraphale. L’angelo si precipitò in camera da letto, accendendo la luce e scuotendolo.
«Crowley, Crowley! Svegliati, avanti!»
Aprì gli occhi e capì di aver avuto un incubo, di nuovo. E nonostante cercasse disperatamente di ricordarsene, ecco che quell’incubo iniziava a sfumare. Anche se man mano qualcosa iniziava a memorizzare.
«Aziraphale…» soffiò Crowley portandosi una mano sul viso sudato. Si sentiva piuttosto patetico. Lui, un demone che non avrebbe dovuto temere niente e nessuno, si svegliava nel cuore della notte tormentato da incubi. Crowley non sapeva e non capiva nulla di ciò che gli accadeva intorno. Avrebbe voluto, ma c’era qualcosa che gli sfuggiva e che non riusciva ad afferrare. Aziraphale gli accarezzò il viso, sentendosi in colpa.
Dopotutto lui c’entrava eccome con i suoi incubi. Era lui che gli stava nascondendo qualcosa di importante.
«Va tutto bene, è solo un altro incubo.»
Crowley tirò via le coperte, stufo.
«Beh, sai cosa? Sono stanco di  fare incubi. Adesso eviterò di dormire, tanto non è fondamentale per me. Tu torna pure a letto se vuoi.»
Aziraphale scosse il capo, invitandolo anzi ad andare in veranda per prendere una boccata d’aria. Quante volte si erano seduti lì, a tutte le ore, A parlare?
Il cielo sopra le loro teste brillava e le prime cicale iniziavano a cantare.
«Ti va di raccontarmi cosa hai sognato?» domandò Aziraphale dopo aver poggiato due fumanti tazze di tè sul tavolino in legno. Crowley si massaggiò le tempie, visto che quei maledetti incubi gli causavano anche un mal di testa orribile.
«Lo sai, non li ricordo mai molto bene, ma questa volta… sì, io correvo, ero in un bosco credo. Era buio e freddo e ricordo che qualcosa mi inseguiva, ma  non so cosa. Però voleva portarmi via… non so cosa esattamente. Ah, non lo so. Quello che sogno non ha senso, ma mi sta facendo impazzire! O forse lo sono già, può essere?»
Aziraphale scosse il capo, guardandolo con dolcezza.
«Non sei pazzo, credimi. Mi dispiace per i tuoi incubi, vorrei aiutarti in qualche modo…»
Crowley borbottò qualcosa, guardando poi il cielo stellato.
«Sai, è molto strano. Da quando sono qui non ho mai visto foto ritraenti te e tuo marito, da nessuna parte. Le hai tolte tutte? Chiedo perché… non so neanche com’è in viso e mi fa strano parlare di una persona che non ho mai visto.»
Aziraphale tossì, un po’ agitato. Crowley non aveva certo torto.
«Sì, le ho tolte perché… tenerli mi fa troppo male, ma le conservo tutte, ovviamente.»
«Mh… credi che sarò alla sua altezza? Ovviamente non miro a sposarti, ci siamo appena conosciuti. Non sono nemmeno sicuro che sia possibile.»
«Già, ma ti immagini?» domandò Aziraphale con un sorriso forzato. Stava portando avanti quella commedia e non era facile nemmeno per lui fingere. Più di una volta era stato sul punto di rivelargli tutto, ma a cosa sarebbe servito a quel punto?
«Sai, io comunque continuo ad avere la sensazione di averti conosciuto.», disse all’improvviso Crowley. «Ed è una sensazione che mi porto avanti da quanto ti ho incontrato. Il fatto è che se mi riguardo indietro, il mio passato appare così… non saprei come dire, annebbiato. Come se qualcuno avesse cercato di cancellare qualcosa. Lo so che non ha senso, però è così», rifletté ad alta voce. Le parole di Crowley erano la prova che un’eco della sua esistenza nei suoi ricordi doveva esistere ancora. E se esisteva ancora, Crowley poteva ricordare.
«Io sono.. . facilmente dimenticabile», mormorò.
«Cosa? Sciocchezze, perché mai? Io non mi dimenticherei mai di te!» disse deciso.
Aziraphale lo guardò negli occhi, triste. E allora capì che non avrebbe potuto resistere oltre. Si chinò in avanti, portandogli una mano dietro la testa e baciandolo.
Proseguire con calma, si era detto. E invece eccolo lì con le labbra premute contro le sue in un bacio disperato, con cui sperava di aiutarlo a ricordare. E Crowley in effetti non sapeva bene cosa stesse provando, ma fu come se un raggio di sole lo illuminasse dopo la tempesta. Per qualche istante la sensazione di vuoto se n’era andata. Per questo motivo strinse Aziraphale a sé più forte, non voleva che si staccasse o che finisse. Una lacrima solcò una guancia dell’angelo.
Per qualche breve attimo sembrava che fossero tornati quelli di un tempo.
«M-mi dispiace», balbettò all’improvviso, senza allontanarsi troppo. «Giuro che non era nei miei piani, però…»
«Ti prego, fallo ancora», sussurrò Crowley, senza aspettare. Lo tirò di nuovo a sé, baciandolo con più passione di prima e avvertendo qualcosa.
Quel qualcosa che aveva dimenticato. Era una strana sensazione di déjà-vu, come se lo avesse già vissuto. Eppure avrebbe ricordato un angelo meraviglioso come Aziraphale, un bacio così bello da mozzare il fiato.
«Stanotte puoi dormire con me?» domandò dopo Crowley, le labbra ancora lucide del bacio. Non aveva mai baciato un angelo. Era ancor meglio del paradiso.
«S-sì, io… tutto quello che vuoi.»
Era come ricominciare. Stavano imparando a conoscersi di nuovo, ad approcciarsi. E ciò era incredibilmente bello quanto malinconico. Crowley si alzò, afferrandolo per mano e portandolo con sé in camera. Si infilò sotto le lenzuola e Aziraphale lo seguì subito dopo. Gli era mancato così tanto dormirgli accanto, anche se adesso per lui era solo un estraneo.
«Ho la sensazione che dormirò molto meglio, questa volta», Crowley si accoccolò ad Aziraphale, il viso poggiato sul suo petto. Forse si stava lasciando andare troppo, non era da lui, non con un angelo. Ma non si controllava. Non controllava niente di tutto ciò, stare con lui gli piaceva, lo faceva sentire un po’ più completo.
E così si ritrovarono schiena contro schiena, ma Aziraphale non riuscì a prendere subito sonno. Avrebbe voluto abbracciarlo, toccarlo. Gli mancava da morire, eppure doveva trattenersi. Avrebbero potuto ritrovare ciò che avevano perso?
Aziraphale non lo sapeva. Ma non appena sentì il respiro di Crowley farsi più tranquillo, si rilassò addormentandosi accanto a lui.
 
Belzebù si era resa conto di aver sì perso i ricordi, ma non le sensazioni, ancora vive sulla sua pelle. Quelle causate dai baci e dalle carezze di Gabriel, ad esempio, capì di ricordarle ancora.  Come quella volta di duecento anni prima, si erano ritrovati ad amarsi su un prato umido di rugiada, lontani da occhi indiscreti. Era cambiato tanto e allo stesso tempo non era cambiato nulla.
Belzebù si coprì con la camicia di Gabriel, ancora scossa dall’orgasmo raggiunto, chiedendosi come avesse fatto a vivere fino a quel momento senza di lui.
«Quindi è questo che significa fare sesso con un angelo. Adesso capisco bene Crowley», sospirò, passandosi una mano tra i capelli scuri e poggiando poi il viso sul petto di Gabriel. «E che succede adesso?»
«Cosa intendi?» domandò lui accarezzandole la schiena.
«Beh, mi hanno cancellato la memoria per separarci. Però eccoci qui. Quindi che succede ora? Ci puniscono di nuovo? Mi cancelleranno la memoria ancora? Preferirei non dover perdere i miei ricordi ogni volta. Anche perché quelli che ho perso non mi torneranno più indietro», sospirò un po’ malinconica. Era triste sapere di aver amato e vissuto con lui senza essere in grado di ricordare.
«Ti racconterò io tutto ciò che hai dimenticato. So che  non è la stessa cosa…ma se dovessero cercare di separarci ancora, questa volta non lo permetterei. Non di nuovo», la strinse a sé protettivo, chiedendosi quanto tempo sarebbe passato prima che li scoprissero. Forse sarebbero potuti fuggire da qualche parte, ma in ogni dove li avrebbero sempre trovati. Erano gli unici, eccetto Aziraphale e Crowley, a voler sfidare ancora il destino in quel modo.
«Credi che si arrabbieranno? Quelli della nostra fazione, intendo.»
«Della tua non lo so, della mia posso dire con certezza che Dio sembra star facendo il tifo per noi… o almeno credo», ammise, ricordandosi del suo incontro con Francis, che si era poi dimostrata essere tutt’altra persona.
«Che intendi, scusa?» chiese Belzebù.
«Quella donna… la donna con cui mi hai visto parlare. Mi chiedevo come fosse possibile ritrovarmela sempre ovunque, come fosse possibile che mi sentissi così compreso e poi… ho capito. Lei è… insomma…» e dicendo ciò alzò gli occhi al cielo.
«CHE COSA?!» Belzebù si mise seduta, scoprendo il seno. «Vuoi dirmi che quella donna è Dio? E me lo dici così? Perché non mi hai avvertito prima? Le avrei proprio detto quattro cose che mi premono tanto.»
«Amh…» Gabriel rimase un attimo attonito a fissarla. «Non sono sicuro sarebbe stato una buona idea. Comunque non so, credo che questo faccia tutto di un suo piano ineffabile o una cosa così.»
Belzebù si accasciò sull’erba, guardando verso l’alto. Certo, un piano ineffabile era stata farla cadere, oramai tanti anni prima. Era stata farla avvicinare a Gabriel, toglierle i ricordi e poi riavvicinarli di nuovo. Più che un piano ineffabile, sembrava un crudele scherzo.
«Ad ogni modo io non intendo mai più allontanarmi da te», disse Belzebù guardando verso l’alto. «Questa volta non permetterò a nessuno di separarci.»
Era stata ingannata, ferita, umiliata. E questo non lo avrebbe più permesso, non lei, il Principe Infernale. Avrebbe preso il coraggio, si sarebbe ribellata fino alla fine.
E Gabriel fu felice di sapere che la pensavano allo stesso modo.
 
La mattina seguente, Crowley  fu il primo a svegliarsi. Alla fine era riuscito a dormire e la presenza di Aziraphale si dimostrava come al solito piacevole e rassicurante. Anche se lo stare con lui, lo scegliere di frequentarlo lo stava allontanando dai suoi doveri di demone. Davvero non ci sarebbero state conseguenze?
Si avvicinò, afferrando il suo cellulare. Senza un vero motivo andò sulla galleria e quando vide delle foto scattate insieme ad Aziraphale, rimase molto sorpreso e confuso: quando avevano scattato quelle fotografie? Alcune erano anche molto intime, ad esempio quelle in cui si baciavano. 
Lo sapeva che c’era sotto qualcosa.
Guardò Aziraphale, dandogli un calcio.
«Tu, sveglia!» borbottò. L’angelo si lamentò, per poi aprire gli occhi.
«Ma insomma, ti sembra il modo?»
Non ebbe nemmeno il tempo di mettere a fuoco ciò che aveva davanti, che Crowley gli posò davanti il suo telefono con delle foto.
«E queste cosa sarebbero? Quando lo avremmo fatte? Spiega, perché sono un po’ confuso!»
Aziraphale sentì il respiro mancargli. Quello era un problema a cui non aveva pensato e di conseguenza non aveva una risposta pronta.
«Amh… Crowley…»
«Amh Crowley che cosa? Insomma, ho sempre pensato che fosse sospetto, ma adesso inizio a pensare che avevo ragione. A che gioco stai giocando, Aziraphale? Ti stai divertendo con la mia memoria?»
«Cosa…? No, io… non è come pensi!» esclamò alzandosi senza neanche guardarlo negli occhi. Non ci voleva, proprio adesso che stava iniziando ad andare tutto bene
«E allora spiega cosa vuol dire? A che gioco stai giocando? Chi sei tu?»
«Io sono io, Crowley! Sono Aziraphale!» disse avvicinandosi.
«Ma davvero? Questo l’ho capito. Io voglio sapere cosa sei tu per me! Perché mi pare tutto fin troppo strano! Allora…? Cosa?!»
Aziraphale non resistette più. Avrebbe preferito che avvenisse in un altro momento, ma alla fine aveva agito d’istinto. Lo afferrò, baciandolo, tenendolo stretto a sé, le labbra sulle sue, in un disperato tentativo di trasmettergli qualcosa questa volta. E in effetti, qualcosa Crowley avvertì. Fu come cadere nel fuoco senza però bruciare, come farsi abbracciare da qualcosa di caldo e piacevole. E poi una forte sensazione di malinconia, di ricordi dimenticati. Provò tutto questo mentre Aziraphale lo teneva a sé con un contatto deciso ma non invadente. E non si staccò, non aveva intenzione, voleva assaporare quella dolce sensazione ancora un po’.
Rimase attaccato a lui per istanti che parvero infiniti e quando si staccò avvertì qualcosa di umido nelle guance. Erano lacrime.
«Cosa…? Cosa è stato…?» sussurrò, sfiorandosi le labbra. «Che cosa mi hai fatto?»
«Io non ti ho fatto niente, Crowley», sospirò Aziraphale. «Tu… hai sentito qualcosa?»
«Certo che ho sentito qualcosa! È per questo che non capisco! Oramai è chiaro, tu mi nascondi qualcosa, tutti qui mi nascondono qualcosa. A che gioco stai giocando?!» esclamò verso l’alto, un po’ come se stesse parlando a Dio stesso.
«Ho scelto di non dirtelo ed evidentemente ho fatto bene», proferì Aziraphale lapidario.
«Oh, no. No! Non pensarci neanche, non puoi tenermi nascosto ciò che riguarda me. Ma d’accordo, ti rifiuti di dirmi cosa sta succedendo? Perfetto, allora!» dicendo ciò insaccò i vestiti, desiderava andare via, allontanarsi, ma Aziraphale non voleva.
«Io e te ci conoscevamo già!» esclamò, senza riuscire a fermare le parole. Crowley si immobilizzò, guardandolo poi con sospetto.
«Questo l’ho capito, mi sembra evidente. E perché non lo ricordo?»
Aziraphale abbassò lo sguardo. Aveva promesso a se stesso di non dire nulla, ma se gli avesse nascosto ogni cosa Crowley se ne sarebbe andato.
«Ti hanno… cancellato la memoria…»
«Cosa? Chi?» tuonò. «Chi è stato e perché? In quelle foto ho visto che ci baciavamo e…» Ad un tratto si zittì, come se avesse fatto la più grande scoperta al mondo. Ed in effetti per lui era un po’ cos’. Ora tornava tutto, ora tornava la fede cha aveva  conservato. «Tuo marito non è morto…»
E in quel momento Aziraphale si rese conto che Crowley doveva aver capito. Gli si avvicinò ancora, afferrandolo per un polso.
«In un certo senso sì, posso assicurarti che è così. Perché gli sono stati tolti i ricordi», proclamò infine. Crowley sollevò lo sguardo verso di lui, iniziando a scuotere il capo. Doveva essere tutto un grosso scherzo ben architettato. Loro non potevano essere stati insieme, lui non poteva aver perso tutti i ricordi, era ridicolo.
«Mi stai mentendo… mi stai mentendo!»
«Non ti sto mentendo! Ho le prove, insomma, le fotografie, ne ho tante conservate! E il diario, quella è la tua calligrafia!»
«Per Satana, ma non è possibile una cosa del genere!» Crowley si era portato le mani sulla testa, completamente in panico. Tutto aveva senso eppure al contempo non ne aveva neanche un po’.
«Sì che è possibile! Non ti chiedi come mai tu avverta un vuoto?  C’è qualcosa che manca nei tuoi ricordi, no? Il motivo sono io!»
Oramai Aziraphale aveva mandato al diavolo ogni cosa. Oramai gliel’aveva detto, tanto valeva provare fino in fondo. Ma Crowley stava reagendo esattamente come aveva temuto: con paura, panico, allontanandosi. Perché gli veniva così difficile accettarlo?
«Sei un bugiardo!» esclamò cercando di sovrastare il suo tono di voce.
«Non sono un bugiardo! Perché non mi vuoi credere, perché?!» Aziraphale aveva perso la pazienza e allora lo afferrò, scuotendolo appena. «Tu mi amavi!»
Crowley si staccò da lui.
«Di qualunque cosa tu stia parlando, di qualsiasi tempo o persona, io sono io e io non ti amo!»
Aziraphale credeva che non potesse esserci niente di peggio che averlo vicino e sentirgli dire quelle parole. Io non ti amo.
Non era vero. Una bugia, Aziraphale ne era certo, eppure non ebbe il coraggio di rispondergli. Vide Crowley finire di vestirsi e prendere poi le chiavi dell’auto e gli occhiali.
«Dove stai andando adesso?»
«Non ne ho idea, d’accordo?»
Crowley si sentiva in colpa. Prima gli rispondeva male e poi avvertiva l’orribile senso di colpa. Ma perché? Dopotutto era la verità, no?
Aziraphale non disse più nulla, lo lasciò andare, sentiva che qualsiasi cosa sarebbe stata inutile. Si era bruciato la sua possibilità di far andare le cose nel verso giusto. Si era bruciato la possibilità di farlo innamorare di nuovo di sé.
Nonostante fosse mattino, Crowley sentiva il bisogno di ingerire alcol, quella era una delle poche cose in grado di distrarlo dal dolore. Purtroppo non avrebbe potuto trovarne da nessuna parte a quell’ora, così se n’era andato al parco, si era seduto e aveva scacciato un paio di papere che gli si erano avvicinate. Non capiva neanche perché avessero litigato. Forse perché Aziraphale aveva iniziato a blaterare una serie di stupidaggini senza senso? E i suoi vuoti e il senso di familiarità allora? Anche quelli erano senza senso.
Aziraphale non aveva torto. Se Crowley si sforzava di ricordare, c’era sempre qualcosa che mancava, come se fosse stato cancellato con una gomma. Ma un alone rimaneva sempre, anche con una cancellatura. Che stesse dicendo il vero?
L’idea di aver vissuto una vita e averla dimenticata lo stava facendo andare di matto. Così lui avrebbe trascorso l’esistenza assieme ad Aziraphale, lo avrebbe sposato? E poi cos’era successo?
«No, no. Ridicolo, assurdo! Tutto questo non può star accadendo a me. Non ha senso, la mia esistenza a questo punto non ha senso! Non è bastato farmi cadere e rendermi un demone, non era stato abbastanza doloroso? Adesso anche questo? Maledetti tutti quanti!» esclamò, colpendo con un pugno la panchina.
Una donna che si ritrovava a passare di lì, forse per una corsa mattutina a giudicare dalla tuta che indossava, lo vide struggersi.
«In effetti sentivo un po’ troppo caos per essere solo le otto del mattino. Ti senti male?»
«Lei che dice? La mia vita è un inferno, non capisco nulla, sto perdendo la testa e…» sollevò finalmente lo sguardo, corrucciato. «Aspetti, ma io l’ho già vista. Sì, sono piuttosto sicura di averla vista.»
«Problemi con il tuo Aziraphale?» domandò Francis.
Crowley a quel punto si alzò, scuotendo il capo.
«Eh no, eh. No! Anche lei fa parte di questo stramaledetto gioco? Chi l’ha mandata? Vuole sapere se ho problemi? Ne ho eccome, perché un giorno mi sono svegliato ed è stato come svegliarmi da un sogno durato seimila anni! Ed era un bellissimo sogno, ma non me lo ricordo! Poi incontro un angelo che mi è familiare e, dopo un po’, quell’angelo mi dice che eravamo sposati e tutta una serie di idiozie… tutto questo non ha senso, vero che non ha senso?»
Stava cercando disperatamente qualcuno che gli desse retta, ragione, che gli dicesse “no, non ha senso”. Forse anche un’estranea avrebbe potuto farlo, ma Francis lo guardava in un modo che Crowley avrebbe definito imperscrutabile.
«Tu credi che non abbia senso?» domandò in tono quasi solenne, al che il demone fu per qualche istante incapace di distogliere lo sguardo.
«Ma certo che non ha senso! Insomma, perché dovrebbe averne? Io lo sapevo, ho sbagliato tutto. Sapevo che c’era qualcosa sotto. Non posso stare qui, devo tornare all’Inferno.»
Crowley non apprezzava particolarmente la sua casa d’origine, ma sentiva che avrebbe trovato pace più lì che stando sulla terra. Solo dopo si accorse di aver detto la parola “inferno” davanti ad un’umana.
Eppure Francis non sembrava sorpresa.
«Gli eventi seguiranno comunque il suo corso. Stai a vedere e abbi fede.»
Ancora una volta, Crowley avrebbe voluto chiederle cosa diamine volesse dire, ma prima che potesse farlo ecco che Francis era già sparita, come se fino a quel momento se lo fosse immaginato.
«Sono stufo di gente che si prende gioco della mia mente.»
E dicendo ciò schioccò le dita, sprofondando sotto terra.
Non tornava all’Inferno da un pezzo, forse per questo i suoi colleghi demoni sembrarono molto sorpresi di vedere il traditore lì. Ma Crowley non sapeva di essere un traditore, perché per lui il suo matrimonio con Aziraphale non c’era mai stato. E non sentiva nemmeno i sussurri alle sue spalle.
«Quello è Crowley.»
«Sì, quello che sta con l’angelo. Che fa qui?»
«Perché è tornato?»
Crowley borbottò qualcosa, facendosi spazio in quel lungo posto angusto e affollato. Voleva solo un angolino per starsene in pace, ma evidentemente il destino aveva in mente altri programmi.
«CROWLEY? TU QUI?!»
Ad averlo chiamato era stata Dagon, la quale si era avvicinata, afferrandolo e toccandolo come se non potesse credere che fosse lì.
«Si può sapere perché non posso essere lasciato in pace?» si lamentò, ma Dagon lo ignorò.
«Mi dispiace, è che… Belzebù non è riuscita a…»
«A fare cosa? Mi state punendo per qualcosa? Togliti dai piedi!» sbottò togliendosi gli occhiali, lì non aveva bisogno di portarli. Sentiva di non essere in sé, aveva la testa pesante, nervi a fior di pelle. E Dagon non capiva. Era stata lei stessa a togliergli i ricordi, eppure adesso, forse anche a causa dell’influenza di Belzebù, non ci vedeva niente di giusto. Decise che sarebbe andata a parlare proprio con quest’ultima.
 
Belzebù oramai si faceva vedere poco, delegando tutto proprio a Dagon. Se Satana in persona avesse saputo delle sue fughe romantiche con Gabriel l’avrebbe punita con qualcosa di ben peggiore della morte. Ma non gliene importava nulla, aveva già perso oltre duecento anni della sua vita. Non avrebbe più permesso a nessuno di portarglieli via.
Dagon entrò tutta ansimante in quella che si poteva definire una sorta di sala del trono dove il Principe Infernale stava seduta.
«Ebbene? Perché sei così agitata?»
«Crowley…. Crowley è qui», ansimò. Belzebù si alzò di scatto, senza porre domande. Si limitò a passarle davanti e a dirle:
«Portami da lui.»
 
Crowley si era poggiato ad una parete, udendo un rumore, come di gocce d’acqua che cadevano contro la roccia. Finalmente il silenzio, finalmente nessuno che se ne andava in giro dicendogli cose strane.
Senza Aziraphale.
Avvertì un profondo senso di vuoto. Che fosse vero ciò gli altri affermavano con tanta insistenza?
Oh, come avrebbe voluto dell’alcol, in quel momento.
Udì dei passi e capì subito che la sua pace era già finita.
«Fatemi indovinare, il Principe Infernale in persona con il suo galoppino», disse annoiato.
«Galoppino a chi, eh?!» esclamò Dagon, ma Belzebù le fece segno di tacere. 
«Cosa sei venuto a fare qui?»
«Beh? Sono un demone e i demoni stanno all’Inferno.»
«Sai cosa intendo!»  disse lei impaziente. «Perché hai lasciato Aziraphale?»
«E tu perché tifi tanto per noi?» Crowley si fece minaccioso. «Dovresti impedirlo. O forse è perché hai una storia con Gabriel? Il nostro capo lo sa?»
«Osi forse minacciare me?» domandò Belzebù sorpresa. Tutto ciò stava avendo un effetto strano su Crowley, non lo rendeva lui.
«Non è saggio sfidarmi», commentò Belzebù. «Rimani calmo e ti verrà spiegato tutto.»
Crowley spiegò le ali, rimanendo però immobile. Se quello che avrebbe sentito non gli fosse piaciuto, avrebbe attaccato eccome.
 
 
 
   
 
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