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Autore: Placebogirl_Black Stones    25/09/2020    2 recensioni
Dopo la sconfitta dell'Organizzazione, tutte le persone che sono state coinvolte nella battaglia dovranno finalmente fare i conti con i loro conflitti personali e con tutto ciò che hanno lasciato irrisolto fino ad ora. Questa sarà probabilmente la battaglia più difficile: un lungo viaggio dentro se stessi per liberarsi dai propri fantasmi e dalle proprie paure e riuscire così ad andare avanti con le loro vite. Ne usciranno vincitori o perderanno se stessi lungo la strada?
"There's a day when you realize that you're not just a survivor, you're a warrior. You're tougher than anything life throws your way."(Brooke Davis - One Tree Hill)
Pairing principale: Shuichi/Jodie
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Jodie Starling, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Shuichi Akai
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tomorrow (I'm with you)'
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Capitolo 22: Un prodigio in aula
 
 
 
Alle otto in punto si trovavano già in tribunale, pronti per entrare in aula. Lei, James, Shuichi e Camel erano seduti appena fuori dalla porta, chiusi in un silenzio quasi religioso. Si rese conto che stava agitando nervosamente una gamba, forse più del dovuto: era visibilmente in ansia e sentire gli sguardi dei suoi colleghi puntati addosso non la aiutava di certo. Probabilmente dovevano essersene accorti anche loro. Tutto intorno a lei la rendeva terribilmente inquieta, quasi infastidita.
Come per il precedente processo, Vermouth aveva scelto di farsi difendere dallo stesso, presuntuoso avvocato: comprensibile, dal momento che le aveva permesso di temporeggiare la sua condanna ufficiale. Forse questa volta sperava addirittura di farla franca e forse ci sarebbe anche riuscita. Questa era la sua più grande paura. Se si fosse avverata, non avrebbe avuto davvero più nulla in cui credere.
Il pubblico ministero aveva convocato una nuova giuria, come da prassi: non era infatti possibile riavere la stessa giuria del precedente processo, ma forse questo era un bene. Si augurava che queste persone fossero più propense delle precedenti a credere alla storia del farmaco dalle proprietà ringiovanenti.
Il suo flusso di pensieri fu distratto dall’arrivo di Hidemi, che li salutò e si sedette di fianco a loro, restando poi in silenzio. L’atmosfera era pesante, si leggeva la preoccupazione sulle facce di tutti: fu in quel momento che realizzò di non essere la sola ad avere paura o ad essere rimasta delusa dallo scorso processo. Tutti loro volevano la stessa cosa.
Mentre rimuginava su tutto ciò, dalla porta di ingresso entrò un gruppo di persone. Quando furono abbastanza vicine da riconoscerne i volti, restò senza parole. Nessuno disse nulla, due di loro si limitarono a sorriderle.
 
- Cool Guy…Shiho…- riuscì solo a dire in tono flebile, colta dall’emozione.
- Da quanto tempo , Jodie-sensei -  la salutò Shinichi.
- Non potevamo mancare- aggiunse Shiho.
 
Dietro di loro il resto del gruppo attendeva il proprio turno dei saluti, non volendo risultare troppo invadenti. I coniugi Kudo, i genitori di Shuichi e la sua sorellina. Pensò che non aveva avuto occasione di conoscere bene questi ultimi, anche se le sarebbe piaciuto conoscere a fondo le origini dell’uomo che amava.
Si alzò dalla sedia, animata da una sconosciuta forza interiore che si svegliava in lei ogni volta che vedeva quei due ragazzi.
 
- Come state?- li abbracciò entrambi, prima l’una e poi l’altro.
- Non c’è male e Lei?- rispose il giovane detective.
- Ancora con questo “Lei”?- lo rimproverò.
- Perdonalo, è un vecchio noioso e abitudinario nel corpo di un diciassettenne- non mancò di ironizzare Shiho.
- Senti chi parla!- replicò lui, borbottando e storcendo le labbra.
- Ma siete davvero venuti fino a qui solo per assistere al processo?- chiese incredula.
- Ti sbagli- sentì la voce di Akai dietro le sue spalle - Loro sono gli ospiti d’onore del processo-
 
Non ci fu il tempo di ulteriori spiegazioni e presentazioni, la porta dell’aula si aprì e vennero chiamati ad entrare. Mentre percorreva quei pochi metri per andare a sedersi al suo posto, fece scorrere lo sguardo sui volti di tutti e dodici i nuovi giurati, come se solo guardandoli negli occhi potesse capire se avrebbero creduto alla loro versione o a quella di Vermouth.
Sharon era seduta allo stesso posto della scorsa volta, dal lato opposto al suo. Era come se fossero tornati indietro a quel giorno di due mesi prima, come se il tempo fosse andato a ritroso per darle una seconda e ultima opportunità di realizzare l’obiettivo per cui aveva lavorato una vita. La consapevolezza di poter ottenere da un lato tutto ciò che aveva sempre voluto, ma dall’altro di poter perdere tutto con la stessa facilità non fece che accrescere quella morsa nello stomaco che dal giorno della sentenza non l’aveva mai abbandonata.
Si sedette nei posti in prima fila, insieme a James, Kir e stavolta anche Akai, che si mise accanto a lei. Con suo grande stupore, Shiho, Shinichi e la madre di Shuichi si misero subito dietro di loro in seconda fila. Di solito le prime file erano destinate ai testimoni. Guardò Akai in cerca di spiegazioni, ma tutto quello che ottenne, come la volta precedente, fu un mezzo sorrisetto di incoraggiamento. Sembrava calmo, come se nulla lo toccasse in quel momento, come se avesse la certezza assoluta di avere già la vittoria in pugno.
Si accorse che Vermouth li stava guardando uno ad uno sorridendo, divertita. Digrignò i denti, trattenendosi dall’alzarsi in piedi e andare a sferrarle un pugno in piena faccia. Si ricompose quando vide il giudice entrare, prendere posto e sancire l’inizio del processo con il colpo di martello.
Tutto si svolse come nel processo precedente: lei, James e Hidemi furono chiamati uno dopo l’altro a testimoniare, ripetendo niente di meno di quanto non avevano già detto in precedenza. Questa volta cercò di non innervosirsi troppo davanti alle domande trabocchetto di quell’azzeccagarbugli da quattro soldi che cercava di difendere l’indifendibile attrice corrotta. L’unica carta in più che l’FBI aveva messo sul tavolo in questo secondo round era la testimonianza di Shuichi. Quando il giudice chiamò il suo nome, si alzò e andò a sedersi al banco dei testimoni, il tutto con una tranquillità invidiabile.
 
- Giura di dire la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità?- fece la domanda di rito il giudice.
- Lo giuro- rispose.
L’avvocato del pubblico ministero cominciò ad interrogarlo, tenendo in mano il fascicolo con le sue informazioni.
- Signor Akai, qui c’è scritto che Lei è stato per ben tre anni un infiltrato nell’Organizzazione di cui la Signorina Vineyard faceva parte, sotto il nome in codice di Rye e l’alias Dai Moroboshi, è corretto? -
- Confermo-
- Immagino che questo le abbia dato la possibilità di vedere da vicino l’operato della Signorina Vineyard. Può raccontarcelo?-
- Non collaboravo strettamente con Vermouth, diciamo che a lei è sempre piaciuto muoversi da sola. Sapeva di poterlo fare, visto che era la favorita del Boss, ma gli altri membri dell’Organizzazione non la vedevano di buon occhio per questo motivo. Posso solo dire che sia una donna tanto affascinante quanto spietata, una autentica mela marcia-
 
L’avvocato difensore tentò subito di mettere i bastoni tra le ruote, come del resto tutti si aspettavano.
 
- Obiezione: il testimone sta usando nomignoli diffamanti nei confronti della mia assistita-
- Obiezione respinta- disse il giudice -Prego, proceda-
- Nei suoi anni da infiltrato nell’Organizzazione, ha mai visto coi suoi occhi il processo di realizzazione di questo farmaco che avrebbe proprietà ringiovanenti? Ha mai visto qualcuno assumerlo e rimpicciolire davanti ai suoi occhi?-
- Purtroppo no, ho scoperto di questo farmaco solo due anni dopo aver lasciato l’Organizzazione - ammise - Ma nell’ultimo anno ho incontrato diverse persone che sono state vittime di quel farmaco-
- Come può essere certo che queste persone avessero realmente ingerito il farmaco?-
- Perché erano tutte persone che avevo già incontrato in passato, solo con un’età biologica differente. Se dieci anni fa avessi incontrato un bambino di sei, sette anni, oggi quel bambino dovrebbe  essere un ragazzo di circa diciassette anni. Invece un anno fa ho incontrato di nuovo lo stesso bambino e sono rimasto alquanto sorpreso di vedere che aveva ancora sette anni. Peter Pan esiste solo nelle favole, giusto?-
 
Si udirono distintamente dei mormorii di stupore tra i giurati e anche fra chi stava assistendo al processo. Akai era uno che sapeva parlare oltre che agire, in certi casi sarebbe persino riuscito a vendere ghiaccioli al Polo Nord. Il che era un bene in una situazione come quella.
 
- Ha la certezza assoluta che il bambino sia davvero lo stesso e non un altro che gli somigliava?-
- Beh, un conto è assomigliare e un conto è essere due gocce d’acqua. Senza contare che quel bambino, oggi, è qui seduto ad assistere al processo- dichiarò, rivolgendo lo sguardo al suo giovane amico seduto nei banchi poco lontano da lui.
 
Automaticamente, tutti iniziarono a guardarsi intorno alla ricerca del fantomatico bambino, compreso l’avvocato del pubblico ministero, ma alla fine si sentirono più confusi di prima non trovando nessuna traccia di quello che stavano cercando. Solo coloro che sapevano si guardarono gli uni con gli altri sorridendo. Akai era come sempre una carta vincente sul tavolo. Adesso cominciava a capire perché il ragazzino sveglio e Shiho fossero volati fin lì da Tokyo. Akai li stava usando come prove viventi a sostegno delle sue teorie.
- Mi perdoni ma non c’è nessun bambino in aula oggi- lo guardò confuso il giudice.
- Appunto, quindi un fondo di verità in questa storia del farmaco ci sarà pure- affermò convinto, quasi beffardo.
- Continuo a non seguirla, potrebbe essere più esplicito per favore?-
- Per ogni veleno esiste un antidoto che ne annulla gli effetti. Se il farmaco APTX4869 fa ringiovanire chi lo ingerisce, l’antidoto contro questo farmaco fa sì che la persona ritorni alla sua età originaria-
- Obiezione: perché questo antidoto non è stato menzionato nel precedente processo? Se non è frutto di una pura invenzione allora avreste dovuto dirlo subito- intervenne nuovamente l’avvocato difensore, impaziente di obiettare ogni parola che usciva dalle loro bocche.
- Obiezione respinta. Non c’è nessun divieto di trovare altre prove a sostegno della propria tesi tra un processo e l’altro. Ha portato delle prove di questo antidoto, Signor Akai?-
 
L’avvocato del pubblico ministero si avvicinò al giudice, porgendogli una busta contenente delle pillole in formato capsula bicolore. Il giudice si prese qualche secondo per esaminarle, senza però estrarle dalla busta sigillata.
 
- Questo sarebbe dunque l’antidoto al farmaco?- chiese infine, rivolgendo nuovamente lo sguardo ad Akai.
- Confermo-
- Obiezione- intervenne l’avvocato di Vermouth - Come possiamo essere certi che non siano delle normali pillole placebo senza alcun effetto?-
- Obiezione accolta. Ce lo spieghi Lei, Signor Akai-
- Semplice: li vede quei due ragazzi e quella donna seduti in seconda fila?- sorrise, indicando Shinichi, Shiho e sua madre - Diversi mesi fa erano rispettivamente due bambini delle elementari e una ragazzina quasi adolescente, può vederlo anche Lei dalle foto che l’FBI ha fornito-
 
Il giudice osservò con attenzione le foto con data e ora impresse sopra. Anche se cercò di non tradire alcuna emozione, l’espressione dei suoi occhi fece capire ai più perspicaci che era rimasto visibilmente sorpreso. Consegnò poi le foto al pubblico ministero, il quale le mostrò ai giurati: proprio come il giudice, anche loro rimasero increduli nel constatare l’effettiva somiglianza tra i bambini nelle foto e quei tre adulti seduti nel secondo banco. I loro sguardi si spostavano dalle foto a loro con un movimento quasi regolare, come se fossero stati dei robot programmati per compiere sempre lo stesso gesto all’infinito.
 
- Erano stati costretti ad ingerire l’APTX4869- riprese a parlare Shuichi - Li ho visti coi miei occhi prendere quell’antidoto e ritornare in pochi secondi alla loro reale età. La donna è mia madre, quindi sono certo che il suo aspetto debba essere quello che vedete adesso e non quello di una ragazzina delle scuole medie. Senza contare che quell’antidoto è stato creato proprio dalla ragazzina coi capelli ramati, che Vermouth riconoscerà sicuramente: si tratta di Shiho Miyano, nome in codice Sherry. Lei era un membro molto prezioso per l’Organizzazione, nonché l’ideatrice dell’APTX-
Ci fu un mormorio generale in aula, tutti avevano gli occhi puntati su Shiho, che non appena se ne accorse abbassò la testa e si strinse nelle spalle. Non era facile per lei sopportare tutto ciò, era come trovarsi in una sorta di purgatorio dove tanti, troppi giudici la stavano condannando per le sue colpe del passato.
- Silenzio in aula- li richiamò all’ordine il giudice - Credo che a questo punto sia necessario far sedere al banco i testimoni appena chiamati in causa-
- Avrei un’ultima domanda per il Signor Akai prima che torni al suo posto- si alzò in piedi l’azzeccagarbugli maledetto.
- Prego avvocato-
- Lei ha appena detto che quella ragazzina faceva parte dell’Organizzazione ed era anche un personaggio in vista date le sue capacità- camminò con fare sicuro verso Akai -Perché avete preso come testimone un membro dell’Organizzazione? Come potete essere sicuri che vi stia dicendo il vero?-
- Perché una persona che fugge dalla prigionia e rischia la propria vita per essere libera non deve essere poi così cattiva, non è d’accordo anche Lei? A differenza della sua assistita, che ha preferito restare fino alla fine in quella gabbia dorata che le permetteva di compiere i peggiori crimini senza mai espiare le sue colpe-
- Obiezione: queste sono solo sue supposizioni-
- Dimentica che anche io ho fatto parte di quell’Organizzazione, ne conosco il modus operandi alla perfezione. Mi creda, è meglio che non sappia di cosa potrebbe essere capace la donna seduta al suo fianco-
- Può bastare così, vada a sedersi- intervenne il giudice, ponendo fine a quel dialogo destinato ad arrivare soltanto ad un punto morto.
 
Shuichi  si alzò e tornò a sedere in silenzio a fianco a lei. Non era certa del risultato che avesse ottenuto con la sua confessione, ma il suo volto gli sembrava rilassato e compiaciuto, come quando sapeva di aver fatto la mossa giusta. Lo fissò per qualche secondo, come se volesse chiedergli senza dirlo a voce se era certo di quello che stava facendo. La risposta che ottenne fu l’ennesimo sorriso enigmatico. Più quel processo avanzava e più aveva l’impressione di essere l’unica in quell’aula a non sapere cosa diavolo avevano architettato i suoi colleghi: questa consapevolezza non faceva che accrescere il suo stato di nervosismo.
 
- A questo punto direi che è il caso di ascoltare la scienziata in questione- riprese a parlare il giudice - Signorina Miyano, venga a sedersi al banco dei testimoni-
 
Si voltò a guardarla e Shuichi fece lo stesso. La videro prendere un lungo respiro, che però non servì a cancellare l’espressione preoccupata e quasi impaurita sul suo volto. Le sorrise, cercando di trasmetterle con lo sguardo tutto il supporto e la gratitudine possibili. Shinichi le mise una mano sulla spalla per incoraggiarla, Mary si limitò a guardarla senza dire nulla.
Alla fine si alzò e si diresse lentamente verso il banco dei testimoni, che in quel momento doveva sembrarle più simile a un patibolo.
 
- Signorina Miyano, giura di dire la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità?- il giudice le fece la stessa domanda che poco prima aveva fatto ad Akai.
- Lo giuro- rispose, la voce bassa.
- Lei è stata un membro dell’Organizzazione, corretto?-
- Confermo-
- E qual era il suo ruolo?-
- Ero una scienziata, come prima di me lo erano stati i miei genitori-
- Quindi tutta la sua famiglia è coinvolta nell’Organizzazione?-
- Lo era, io sono l’unica sopravvissuta- chiuse gli occhi.
- Intende dire che l’Organizzazione ha ucciso i suoi famigliari?-
- Proprio così-
- Perché hanno risparmiato Lei?-
- Perché ero troppo preziosa per loro, ero l’unica in grado di completare il lavoro che avevano iniziato i miei genitori. Ero troppo importante per loro-
- Ma perché hanno ucciso i suoi genitori se stavano lavorando a un progetto così importante?-
- Perché volevano tirarsene fuori e l’Organizzazione non perdonava chi gli voltava le spalle. Hanno pagato il desiderio di libertà a caro prezzo- chiuse gli occhi, cercando di nascondere il dolore dentro un angolo remoto del suo cuore.
 
L’intervento dell’avvocato di Vermouth però riuscì a cancellarlo molto meglio di quanto lei stessa sarebbe stata capace di fare, sostituendolo con un senso di rabbia e orgoglio ferito. Fu quello ad accendere la miccia che avrebbe bruciato fino alla fine della sua confessione.
 
- Obiezione: nel fascicolo c’è scritto che alla morte dei suoi genitori lei era solo una bambina. Perché mai l’Organizzazione avrebbe dovuto investire tanto su qualcuno che all’epoca non aveva nessuna base per portare avanti il progetto di questo farmaco dalle proprietà miracolose?-
 
Come si permetteva quel avvocatuccio da quattro soldi, la cui unica parola che conosceva era “obiezione”, di mettere in dubbio le sue capacità di scienziata?! C’erano poche persone in quella stanza con un cervello superiore alla media e di certo lei ne faceva parte. Forse sarebbe anche potuta essere la più geniale fra loro, considerando il farmaco che era stata in grado di creare. Era un genio e questo nessuno doveva metterlo in dubbio. Moralmente parlando non era fiera di quello a cui aveva dato vita, ma da scienziata era orgogliosa delle sue enormi potenzialità.
 
- Forse perché quando Lei stava ancora cercando di laurearsi ad Harvard io avevo già creato un farmaco capace di modificare il DNA di alcuni esseri viventi e di uccidere all’istante i restanti? O forse Harvard è troppo per Lei?- replicò acida, assottigliando lo sguardo.
- Signorina Miyano, la prego di portare rispetto e moderare i toni!- la riprese il giudice, alzando la voce.
- Chiedo scusa- si finse pentita, ma non mancò di lanciare un’occhiataccia all’avvocato.
 
Non si accorse che i suoi amici, compreso lo stoico Shuichi, stavano cerando di trattenere una risata.
 
- Quando ha creato quel farmaco sapeva cosa stava facendo?- chiese il giudice.
- Sì, lo sapevo perfettamente. E se si sta chiedendo perché lo abbia fatto pur sapendolo, la risposta è che non volevo fare la fine dei miei genitori e soprattutto non volevo che la facesse mia sorella maggiore. Se ubbidivo ai loro ordini come un cane ammaestrato, non ci avrebbero toccate-
- Però alla fine Lei è fuggita-
- Dopo che avevano ucciso mia sorella, venendo meno alla parola data. Ero rimasta sola al mondo, ormai non mi importava più nemmeno di morire-
- Com’è riuscita a fuggire senza farsi uccidere?-
- Ho ingerito il farmaco che io stessa avevo creato, nella speranza che mi uccidesse prima che lo facessero loro. Ma a quanto pare sono stata una dei pochi “fortunati” che invece di morire ci hanno guadagnato qualche anno in meno-
- Quindi conferma di essere Lei la bambina nelle foto?- gliene mostrò una a caso presa da quelle che aveva sul tavolo.
- Sì, quello è stato il mio aspetto fino a circa sei mesi fa-
- Obiezione- ci riprovò l’avvocato - La foto potrebbe essere di anni fa, quando la testimone era effettivamente una bambina-
- C’è la data nella foto!- replicò, alzando il tono della voce.
- Al giorno d’oggi esistono programmi per modificare le foto, una in gamba come Lei che sostiene di aver creato un farmaco miracoloso non avrà avuto difficoltà a modificare data e ora su una foto- la provocò l’avvocato, forse nel tentativo di vendicarsi della frecciatina che gli aveva lanciato poco prima.
 
Strinse i pugni per scaricare la rabbia che stava accumulando sempre più velocemente, prima di esserne sopraffatta. Chiunque l’avesse guardata avrebbe potuto facilmente intuire il suo stato d’animo in quel momento. Si chiese se era così che si era sentita Jodie al precedente processo e si augurò che non lo provasse mai più. Non era facile far credere al mondo qualcosa che agli occhi di chiunque sarebbe apparsa solamente come una fandonia. Eppure sentiva che doveva farcela, doveva dimostrare a tutti la verità, a costo di passare per la reietta della storia. Doveva fare del suo meglio per indossare ancora una volta la maschera della donna indistruttibile che aveva indossato per anni.
 
- Signor giudice, c’è un’altra foto nel fascicolo- riprese a parlare, dopo aver ritrovato una calma solo apparente - Ci sono io insieme a dei bambini. Può mostrarla all’avvocato e ai giurati?-
 
Il giudice acconsentì alla sua richiesta e fece girare la foto in aula, in modo che tutti gli interessati potessero vederla. Nessuno sembrò capire l’intenzione dietro a quella richiesta, ma in fondo era una reazione legittima.
 
- E con questo, cosa vorrebbe dimostrare?- chiese l’avvocato, quasi beffeggiandola.
- Se la data su questa foto fosse stata truccata e in realtà l’immagine fosse stata immortalata anni fa, allora anche gli altri bambini ad oggi dovrebbero avere all’incirca la mia stessa età, giusto? - chiese rivolgendosi al giudice.
- Dove vuole arrivare?-
- Posso avere un telefono cellulare?-
- Per fare cosa?-
- Vorrei fare una telefonata per dimostrare che la data nelle foto non è stata modificata-
- Una telefonata?- sorrise l’avvocato, felice di potersi prendere gioco di lei ogni volta che apriva bocca - Davvero pensa che una telefonata possa essere una prova?-
- Obiezione respinta- lo fermò il giudice - Se ha un telefono può fare questa chiamata-
- Posso anche collegare il telefono al monitor?- indicò lo schermo già presente in aula, di cui ci si serviva per le testimonianze video - Vorrei mostrare a tutti le immagini della videochiamata-
 
Ottenuto il consenso del giudice, si alzò dal banco e prese il suo cellulare dalla tasca dei pantaloni, collegandolo al monitor e accedendo quest’ultimo. Sentiva gli sguardi di tutti puntati addosso, ma ormai era riuscita ad andare oltre e non prestarci più attenzione. Anzi, forse era meglio così: tutti dovevano vedere, tutti dovevano sapere.
Cercò nella rubrica il numero del Dottor Agasa e fece partire la videochiamata. Poco dopo apparve sul monitor la faccia del Dottore.
 
- Pronto? Shiho? Ma avete già finito il processo?- chiese incredulo.
- No, in realtà è collegato in diretta con l’aula del tribunale-
- Cosa?!- si allarmò.
- Mi ascolti bene Dottore, è importante: i bambini sono lì con lei?-
- Beh sì, però stanno dormendo. Non dimenticarti che qui in Giappone sono le undici di sera-
- Mi spiace, ma deve svegliarli-
- Ma Shiho, cerca di capire…-
- Niente ma, mi serve che riprenda i bambini con la fotocamera!- alzò il tono di voce.
- Non posso semplicemente riprenderli senza svegliarli?-
- D’accordo- sospirò - Ma si sbrighi-
 
Restò in silenzio a guardare il Dottore che si spostava in un’altra stanza, dove probabilmente aveva messo i bambini a dormire. Nell’attesa ne approfittò per guardarsi intorno con la coda dell’occhio, ma vide solo facce confuse intorno a sè. Il fatto che stesse parlando in giapponese non li aiutava a capire il contenuto della telefonata.
Finalmente Agasa mostrò i bambini che stavano dormendo sui futon. Perfetti, proprio come le serviva che fossero. Sorrise soddisfatta: tutto era andato secondo i piani. Lei stessa aveva chiesto al Dottore che quella notte li facesse dormire da lui, in quanto aveva previsto di doversi “servire” di loro per dimostrare che anche lei, fino a pochi mesi prima, aveva avuto il loro stesso aspetto. Non lo aveva detto a nessuno, nemmeno a Shinichi; voleva che la reazione di stupore di tutti fosse il più credibile possibile. E così fu: quando i giurati e tutti i presenti videro che i bambini ripresi dalla videocamera del cellulare e quelli sulle foto erano identici, il loro vociferare divenne un brusio che accresceva sempre più, mentre sui loro volti si dipingevano espressioni incredule. Si girò a guardare l’avvocato di Vermouth e lo vide deglutire a fatica, mentre nella sua testa cercava disperatamente una spiegazione plausibile. Sorrise compiaciuta: adesso capiva come si sentiva Shinichi ogni volta che una delle sue deduzioni si rivelava corretta. Solo una persona sorrideva insieme a lei: Vermouth. Non l’aveva mai capita, non aveva mai capito se amasse o odiasse quell’Organizzazione e ora, dopo anni, continuava a non capire. Ma in fondo andava bene così, non le importava. Se era felice di trascorrere il resto dei suoi giorni dietro le sbarre, buon per lei.
 
- Silenzio in aula- invitò tutti all’ordine il giudice.
 
Ormai soddisfatta di aver raggiunto il suo scopo, ringraziò il Dottore e chiuse la telefonata, scollegando il cellulare dal monitor e tornando a sedersi al banco dei testimoni.
 
- Bene Signorina Miyano, dopo questa dimostrazione ha altro da dirci?- le chiese il giudice.
- Non so se qualcuno se n’è accorto, ma nella foto c’è un altro bambino che mancava all’appello. Lo vede quello con il papillon rosso? Ebbene, quel bambino è seduto tra i testimoni di oggi. Sto parlando di Shinichi Kudo- si girò a guardarlo, facendogli spalancare gli occhi.
- Il Signor Kudo potrebbe alzarsi in piedi?- lo invitò il giudice.
 
Cercando di apparire come sempre spavaldo e sicuro di sé, Shinichi obbedì all’ordine e si alzò in piedi, tra gli sguardi ancora esterrefatti della gente. Gli si leggeva un velo di imbarazzo in faccia, nonostante fosse abituato a stare al centro dell’attenzione. D’altra parte quella era pur sempre l’aula di un tribunale americano e lui era stata colto alla sprovvista.
 
- Signor Kudo, Lei conferma quanto appena detto dalla Signorina Miyano?-
- Posso confermare che è tutto vero Signor giudice. Anche io sono stato costretto ad assumere il farmaco creato dalla Signorina Miyano ed è così che il mio aspetto è diventato quello del bambino della foto-
- La ringrazio, può accomodarsi- lo fece risedere, in attesa di poterlo interrogare meglio dopo - Quanto a Lei Signorina Miyano, ci parli di come avrebbe creato questo farmaco-
- I miei genitori avevano lavorato per anni ad un altro farmaco, chiamato Silver Bullet. La formula per crearlo è andata persa nell’incendio che l’Organizzazione appiccò al laboratorio per eliminare le prove insieme ai miei genitori. Prima di morire, mia madre mi lasciò una registrazione in cui diceva di essersi pentita di aver lavorato a quel farmaco, perché era davvero terribile. Non ne ho mai conosciuto gli effetti e da quanto so Vermouth è l’unica ad averlo assunto, quindi posso dedurre che uno di questi sia il bloccare definitivamente il processo naturale di invecchiamento di una persona-
- Quindi anche Lei sostiene che Sharon e Chris Vineyard siano la stessa persona?-
- Questo è un fatto certo, le prove che l’agente Starling ha portato al precedente processo sono sufficienti a confermarlo. Le impronte digitali non mentono. Inoltre, Vermouth mi ha sempre odiata per quello che i miei le avevano fatto, non lo ha mai nascosto-
 
L’avvocato si risvegliò improvvisamente dallo stato di tranche in cui era caduto, nel tentativo di recuperare i punti persi.
 
- Obiezione: non ci è dato sapere se i motivi dell’odio siano proprio quelli appena indicati dalla testimone-
- Obiezione accolta: è certa che l’imputata la odiasse a causa dei suoi genitori?-
- Le sue testuali parole sono state “Non odiarmi Sherry, odia i tuoi genitori per quello che hanno fatto”. Lei come interpreterebbe questa frase?-
- Le ricordo che le domande sono io a farle, Lei si limiti a rispondere. Proceda con la sua esposizione dei fatti-
- Dopo che i miei furono eliminati, l’Organizzazione mi mandò in America a studiare fino a quando non compii diciotto anni. Quando fui abbastanza preparata per continuare quello che i miei avevano lasciato indietro, mi riportarono in Giappone a completare l’opera. Ma io non avevo nessuna idea di cosa avessero progettato i miei genitori e nel tentativo di emularli ho dato vita all’APTX 4869, il farmaco che poi ho assunto io stessa e che anche Shinichi Kudo e Mary Akai sono stati costretti ad ingerire. Il resto lo conoscete già- concluse.
- Può fornirci delle prove concrete a dimostrazione del fatto che il farmaco da Lei creato può davvero far ringiovanire una persona?-
- La prova è dentro quella chiavetta USB- indicò con un cennò del capo la piccola chiavetta contenuta nel fascicolo recante il suo nome - Può mostrane a tutti il contenuto-
 
Il giudice diede la chiavetta al pubblico ministero perché la collegasse al monitor che avevano utilizzato poco prima per la videochiamata. Una volta fatto, premette il tasto play dal telecomando.
Gli occhi di tutti erano puntati sull’immagine della gabbia con i sette topi, data e ora fisse a lato dell’inquadratura. Quando il video raggiunse la scena principale, le bocche degli spettatori si spalancarono, come se le loro mascelle volessero toccare terra per effetto della forza di gravità. Chi sapeva si limitò a sorridere, pregustando una vittoria che si stava facendo attendere fin troppo.
 
- Obiezione- ruppe il silenzio di sgomento la solita voce irritante dell’avvocato, che a ben guardarlo sembrava al limite della disperazione - La data e l’ora del filmato potrebbero essere state falsate, così come il contenuto! La testimone avrebbe avuto tutto il tempo di sostituire il topo nella gabbia!-
 
Era ovvio che avrebbe cercato di attaccarsi a quello, tutti i dubbi che aveva espresso la sera prima a casa di Shuichi si stavano rivelando fondati. Al contrario, pregò che la sua paura di non vincere il processo si rivelasse infondata: Jodie non lo avrebbe sopportato di nuovo.
 
- Obiezione respinta- disse il giudice, senza riuscire a togliere lo sguardo dal monitor che ormai mostrava solo un velo nero, segno che il video era giunto al termine - Se anche la data e l’ora fossero state modificate, non c’è alcun presupposto per pensare che il filmato lo sia. Non ci sono tagli nel video, la scena procede in modo lineare-
- Ma Signor giudice, si rende conto che siamo di fronte a un fenomeno scientificamente inspiegabile e impossibile?!- lamentò l’avvocato.
- Silenzio!- lo zittì -Penso sia sufficiente così. Può andare a sedersi Signorina Miyano- la congedò il giudice, guardandola come se stesse cercando di capirne la reale natura.
 
Probabilmente da quel momento in poi e fino alla fine del processo, molte persone in quell’aula l’avrebbero vista come il diavolo in persona, altre come una sorta di dio capace di dare vita a qualcosa che i comuni mortali non potevano nemmeno comprendere. Qualunque fosse stato l’esito del processo, nel bene e nel male, probabilmente nei giorni successivi tutti i giornali avrebbero parlato di lei e di quel farmaco. O forse avrebbero insabbiato tutto, poiché divulgare una scoperta simile significava presentare agli occhi del mondo una sorta di arma letale.
 Camminò fino al suo posto sostenendo gli sguardi di tutti, a testa alta. Non si chiese nemmeno cosa stessero pensando, non le importava. Una parte di lei, in un angolo remoto del suo essere, si stava pentendo di quello che aveva fatto, consapevole che per il resto della sua vita avrebbe dovuto convivere con l’etichetta che le era appena stata assegnata. L’altra parte, invece, quella che stava mostrando a tutto il mondo, era fiera di essere l’ideatrice del farmaco che aveva sconvolto le frontiere della scienza. Se essere la reietta del mondo scientifico era il prezzo da pagare per aiutare Jodie a riscattarsi sulla donna che le aveva rovinato la vita, allora poteva pagare il conto dieci, venti, cinquanta volte. Era come far nascere il bene dal male, trasformare un errore in qualcosa di giusto.
La voce del giudice interruppe i suoi pensieri.
 
- Per oggi può bastare così, la corte si aggiorna domani-
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
Come sempre in ritardo mostruoso con gli aggiornamenti ma vabbè!
Questo capitolo da inizio al secondo processo, che sarà anche l’ultimo perché un terzo… anche no! XD la prima parte è narrata dal punto di vista di Jodie, poi a circa metà capitolo il punto di vista diventa quello di Shiho, che è il personaggio fulcro di tutto.
Spero non vi abbia annoiato e grazie a tutti quelli che leggeranno e vorranno lasciare un comento!
Al prossimo capitolo!
Baci
Place
   
 
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