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Autore: Nao Yoshikawa    26/09/2020    4 recensioni
Crowley inizia lentamente e inesorabilmente a perdere la memoria a causa di una maledizione lanciata dai demoni. Lui e Aziraphale riusciranno a spezzarla o dovranno semplicemente rassegnarsi ad un destino già scritto?
Quanto è importante la forza di un ricordo?
«Posso azzardarmi a dire che questi oramai non sono più vuoti di memoria, giusto? Da quanto vanno avanti?» domandò stringendogli un ginocchio con una mano. Era una situazione inquietante e piuttosto spiacevole, ma l’angelo stava cercando di non pensare al peggio.
«Non saprei… una settimana, forse? Non capisco. Perché sto iniziando a dimenticare delle cose? Anche quelle più recenti…mi sono dimenticato del giorno in cui ti ho chiesto di sposarmii», Crowley si portò una mano tra i capelli, scombinandoli, con gli occhi lucidi.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Belzebù, Crowley, Gabriele
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo dodici

 
«Allora? Parla.»
Crowley non era mai stato così autoritario, quasi minaccioso. A Belzebù la cosa non piaceva per niente, non osava muoversi. Crowley aveva spalancato le ali e le agitava in modo minaccioso, pronto ad attaccare. Sembrava essere divenuto folle, era quello l’effetto della perdita di ricordi su di lui. Dagon sospirò, facendosi avanti.
«È vero, Belzebù mi ha dato l’ordine, ma sono stata io a toglierti i ricordi. Ti ho seguito che eri da solo nel bosco e ho preso i ricordi che riguardavano Aziraphale. Ma ovviamente non potevi sapere neanche questo.»
Crowley stava tremando, nervoso. Era molto diffidente. Avrebbe dovuto credere loro? Se davvero in qualche modo la sua memoria era stata compromessa, non poteva fidarsi di nessuno.
«Se è davvero così allora perché non mi ridai i miei ricordi?» domandò, ancora minaccioso.
«Perché non li posseggo. Sono da un’altra parte.»
«Allora non ho motivo di crederti. Mi avete ingannato, tutti voi. Vi siete divertiti a giocare con la mia testa, non è vero? Vi divertite a vedermi impazzire, no? Questa è la mia punizione per cosa?»
«Per aver amato un angelo», sospirò Belzebù. «Che è stata la stessa punizione inflitta a me per aver amato Gabriel», abbassò poi lo sguardo. In quel momento Crowley sentì una potente rabbia farsi largo in sé: che fine avevano fatto i suoi ricordi? Che ne era del se stesso di prima? Era davvero morto? Non sapeva cosa aveva dimenticato, ma li rivoleva indietro.
«È colpa vostra se sono ridotto in questo stato», sibilò, con le pupille serpentine sempre più dilatate, l’espressione furiosa.
«Crowley, trattieniti. Lo sai che sono più forte di te, non voglio farti male», lo pregò Belzebù. L’ultima cosa che voleva era battersi con lui per qualsiasi motivo. Se Crowley avesse avuto dell’acqua santa a disposizione l’avrebbe loro gettata addosso senza troppi problemi. Non era abbastanza lucido da potersi fermare, ma sapeva che il Principe Infernale era di gran lunga superiore a lui in forza e abilità.
«Al diavolo», sibilò prima di volare via. In qualche modo avrebbe sfogato la sua rabbia. Dagon lo osservò allontanarsi con espressione preoccupata.
«Dici che dovremmo tenerlo d’occhio?»
«Temo proprio di sì», rispose Belzebù con lo sguardo perso nel vuoto.
 
Ad annaffiare le piante di Crowley ci aveva pensato Aziraphale.
Già, il suo Crowley che aveva allontanato. Era stato uno stupido, se fosse stato un po’ più abile a mentire e a nascondere, tutto ciò non sarebbe successo. Ma adesso il cuore del demone gli sembrava irraggiungibile e le sue parole continuavano a tornargli alla mente: io non ti amo.
No, non era vero. Doveva essere una bugia. Aziraphale si asciugò una lacrima scivolata su una guancia. Chissà dove si trovava Crowley? Sarebbe dovuto andare a cercarlo? E a che sarebbe servito? Era sicuro che l’odiasse, che non volesse più vederlo. Ma avrebbe potuto giurarlo su Dio, gli mancava da morire, gli mancava da sempre. Sentì qualcuno battere con violenza alla porta e subito pensò si trattasse di lui. Anche se era piuttosto strano il fatto che non gli fosse apparso direttamente dentro casa.
«Crowley?» chiamò speranzoso, andando ad aprire. Ma davanti a lui ovviamente non c’era Crowley, bensì Francis.
«Lei? Come fa a sapere dove vivo?»
«Me l’ha detto Gabriel», Francis si fece avanti, guardandosi intorno con fare impaziente. «E Crowley dove si trova?»
«Cosa…? Amh… lui è … se n’è andato…»
«E l’hai lasciato andare in giro da solo? Oh no, Aziraphale. Questo non va bene.»
A quel punto l’angelo si sentì parecchio infastidito: perché un’umana che conosceva appena si atteggiava come se sapesse tutto, presentandosi in casa sua e sparando sentenze?
«Senta lei!» esclamò puntandole il dito contro. «Io non so cosa pensa di fare, ma tutto ciò non la riguarda, può uscire da casa mia?»
Francis si voltò a guardarlo, con le mani infilate nel lungo cappotto beige.
«E pensare che sei sempre stato un angelo così paziente, Aziraphale.»
Alla parola “angelo”, Aziraphale si immobilizzò del tutto. Sapeva della sua vera natura, era quindi… una di loro?
«Cosa…? Come…?» mormorò indietreggiando. «Ma tu sei…? Sei un angelo anche tu?»
«Non proprio. Sto un po’ più su di tutti gli altri, voi non mi avete mai visto.»
Aziraphale a quel punto cadde in ginocchio, capendo. Era Dio quella donna davanti a lui.
«Voi siete…?» mormorò con le lacrime agli occhi. Non sapeva perché gli veniva da piangere, ma era come se un calore lo avvolgesse e rassicurasse.
Francis si fece vicino.
«Alzati, angelo Aziraphale. Non devi inginocchiarti.»
Gli porse la sua mano e Aziraphale l’afferrò, avvertendo immediatamente un calore che  non era paragonabile a nulla che avesse mai visto.
«Io vi ho detto delle cose orribili», sussurrò con un po’ di vergogna, sentendola ridere.
«Aziraphale, davvero ti preoccupi di questo? Il mio nome viene pronunciato praticamente per tutto, non fartene un cruccio.»
Più rassicurato e con le lacrime agli occhi, il Principato la guardò.
«Ma perché avete permesso tutto ciò? Meritavo di essere punito?»
«Aziraphale, certo che no. Né tu né Gabriel lo meritate, ma a volte le cose vanno come devono andare. Questo vi servirà a capire.»
«A capire che cosa?» domandò, un po’ stupidamente in realtà, perché Dio aveva sempre un piano che non andava di certo a spiattellare così ai quattro venti.
«Credo che sia meglio se vai a recuperare tuo marito. Un demone arrabbiato può essere pericoloso, per se stesso e per gli altri.»
Aziraphale si tirò su.
«Temo che adesso mi odi. Gli ho mentito. Non proprio angelico…»
«Te ne prego, se è per questo ho mentito anche io, non molto da Dio, vero? Crowley non ti odia. Puoi avere fiducia in me, puoi star certo che non ti abbandonerò… anche se a volte potrà sembrarti così.»
Aziraphale non riusciva più a essere diffidente come lo era stato qualche ora prima. Se Dio si era palesata davanti a lui, allora non poteva averlo abbandonato. Annuì, guardando fuori. Doveva trovare Crowley.
 
Un demone arrabbiato è pericoloso per gli altri, mai parole furono più sagge. Crowley non si era mai sentito così arrabbiato e furioso, non avrebbe ucciso nessuno naturalmente, questo andava contro la sua natura nonostante fosse un demone. Ma spargere un po’ di malcontento, portarli a compiere dei peccati, delle risse, delle rapine, appiccare un fuoco, quello avrebbe potuto farlo tranquillamente. Crowley non capiva cosa lo turbasse tanto, se il fatto di aver appreso la verità su Aziraphale o l’idea di aver perso tutti i ricordi. Forse entrambi. Aveva subito un’ingiustizia e non comprendeva neanche il perché.
Ed era così arrabbiato… e triste.
Stappò la bottiglietta di whisky che era riuscito a recuperare. Un demone poteva farsi passare la sbornia con uno schiocco di dita, ma lui non voleva che gli passasse, voleva non capire, non pensare, almeno per un po’. Così ne mandò giù grande sorsate, facendosi comparire un sorriso sulle labbra.
«Io non ho senso. Nulla ha senso in questa mia vita.»
Ci mancò poco che cadesse in ginocchio sull’asfalto, mentre udiva il rumore di un allarme. Forse una banca era stata rapinata o forse era scoppiato un incendio da qualche parte?
Di solito non ci andava giù così pesante, ma la depressione lo portava a dare il peggio di sé.
E poi il vento gli portò un profumo che conosceva, anche meglio di quanto pensasse: profumo angelico di vaniglia.
«Crowley!»
L’aveva chiamato. Perché era tornato da lui? Dopo come lo aveva trattato…
«Vai via, angelo. Lasciami stare», e bevve un’altra sorsata di whisky.
«Non sei in te! Coraggio, ti porto a casa!» Aziraphale lo afferrò per una spalla e, nonostante una debole resistenza da parte del demone, riuscì comunque a farlo rimettere in piedi.
«Ma insomma, guarda cosa ho combinato! Un disastro!» esclamò indicando tutto intorno a sé.
«Ho detto che non sei lucido, motivo per cui adesso ti riporto a casa… nostra», mormorò. «Andiamo.»
Crowley non protestò oltre. Forse in fondo voleva che lui venisse a salvarlo, inconsciamente lo aveva salvato. Se solo ripensava alle cattiverie, a quel non ti amo. Era poi vero?
Ben presto i rumori divennero lontani e ovattati e tutto intorno a sé scomparve. Improvvisamente tornò il silenzio, la quiete, la loro casa.
«P-perché sei tornato?» balbettò Crowley, instabile sulle proprie gambe.
«Diciamo pure che qualcuno di saggio mi ha aperto gli occhi. E poi non potevo lasciarti a combinare guai», Aziraphale lo fece sedere sul divano. «Devo toglierti la sbornia.»
«No! Non osare. Questo torpore da alcol mi permette di soffrire di meno. Non togliermela!»
«Oh, maledizione», sbottò Aziraphale con impazienza. «Almeno mi permetti di prendermi cura di te?»
Crowley annuì timido, come fosse stato un bambino. Dunque erano sposati davvero? E non era più in grado di ricordarlo? Quale destino infame era mai quello?
Aziraphale gli preparò del tè zuccherato e nonostante a Crowley non piacesse (preferiva sempre il caffè  o bevande più forti), si costrinse a mandarne giù qualche sorso.
«Nulla ha senso, nulla. Io, tutto questo. Oramai non so nemmeno più chi sono, perché mi è successa una cosa del genere?»
«Perché hai deciso di stare con me. Io ti ho rovinato la vita e questo è un dato di fatto», disse Aziraphale duramente. Oramai ce l’aveva a morte con se stesso, si vedeva come la causa principale del suo male. E in fondo non aveva torto, se non si fossero mai innamorati tutto ciò non sarebbe successo.
«Tu non potresti rovinare la vita di nessuno neanche volendo. Ed è assurdo che io dica questo, anche se non ti conosco, in realtà ti conosco eccome e questo è…» con la testa poggiata allo schienale, rimase a guardare verso l’alto per qualche istante prima di continuare. «Parlavi di me quando dicevi che tuo marito era morto?»
Aziraphale annuì lievemente.
«Perché dopotutto è così. Scomparsi i tuoi ricordi, è come se fosse morta una parte di te. Ma sai, tu hai scritto proprio tutto, su quel diario. Vorresti vederlo?»
Crowley annuì, quasi impercettibilmente. Non sapeva esattamente di cosa avesse paura. Aziraphale prese il diario dalla copertina nera, porgendogliela e allora il demone iniziò a sfogliarla lentamente, dall’inizio alla fine. Immediatamente fu tutto più chiaro e quel vuoto senza senso acquistó finalmente un senso: durante la prima pioggia, Aziraphale c’era. E c’era anche durante il diluvio universale, nel medioevo, c’era quando insieme avevano affrontato l’Apocalisse, impedendola. Ecco perché gli appariva tutto confuso e vago, perché Aziraphale aveva fatto parte di ogni istante della sua vita.
E poi il matrimonio e il viaggio a Parigi.
«Allora è vero… è tutto vero. Quei sogni cercavano di dirmi questo… che tu, Aziraphale, ci sei sempre stato.»
L’angelo fu quasi commosso. Non ricordava nulla, ma almeno era consapevole, almeno Crowley non lo attaccava più accusandolo di strani complotti, era già qualcosa.
«Sì, Crowley. E come puoi ben immaginare, questo non andava bene alla mia fazione quanto alla tua. Siamo scampati alla morte ma in compenso guarda cosa ti è toccato. Cosa ci è toccato.»  
Crowley richiuse il diario, guardandolo.
«Quella fede, allora…adesso ha senso… mi legava a te.»
Ci mancò poco che Aziraphale non scoppiasse a piangere.
«Proprio così, Crowley. Sei subito tornato da me perché in fondo sapevi che ero io.»
«Già, ma comunque sia… queste per me rimangono solo parole scritte. Non ricordo nulla e non va bene. E cosa succederebbe se per qualche motivo ricordassi o provassi a costruirmi nuovi ricordi? Andrebbero via anche quelli?» domandò con una smorfia di fastidio sul dito. La sbronza stava lentamente passando, ma la testa pulsava ancora.
Aziraphale avrebbe fatto qualsiasi cosa per farlo stare bene. Avrebbe perfino rinunciato a lui se questo gli avesse reso la vita migliore.
Anche se faceva male, un male assurdo.
«Crowley, dato che sono io il problema, dovrei lasciarti andare…»
Si ricordò di tutte le volte in cui  suo marito gli aveva detto “vai” e “costruisciti una nuova vita”. E ora si sentiva un po’ ipocrita, ma non lo stava facendo per se stesso, bensì per lui.
«Oramai non posso andare da nessuna parte. Non adesso che so tutto», sospirò, massaggiandosi la testa. «Che cosa ne sarà di noi? Continueremo a essere due estranei che si conoscono molto bene? Rivoglio i miei ricordi, e li rivoglio davvero, non mi basta che tu mi dica ciò che c’è stato…»
«Lo so. Lo so, hai ragione. È che Belzebù ha detto che è una maledizione irreversibile. »
Crowley assunse un’espressione concentrata e accavallò le gambe.
«Ma Belzebù ha detto che i ricordi cancellati finiscono da un’altra parte.»
«Un’altra… parte?» domandò Aziraphale improvvisamente più reattivo. «Cosa intendeva?»
«Non so, non credo che parli a vanvera. E se fosse davvero così, se ci fosse davvero un posto dove tutti i nostri ricordi finiscono? Forse potremmo recuperarli in qualche modo!»
Si alzò, su di giri. L’idea di affrontare una pericolosa missione per riavere i suoi ricordi lo faceva gasare molto, facendogli per qualche attimo dimenticare i suoi problemi.
«Crowley, calma, okay? Non sappiamo niente di questa cosa, sono solo supposizioni. Poi non sappiamo neanche se è possibile arrivarci…»
«Beh, ma dovremo provarci! Sì, noi dobbiamo… Devo mettermi in contatto con Belzebù. E con Dagon. Tu chiama Gabriel, torno subito!»
«Aspetta, cosa? Crowley, cosa…?»
Crowley però era già sparito dalla sua vista. Era la prima volta che lo vedeva così entusiasta e in effetti un po’ di speranza era appena nata anche in lui, quindi lo lasciò fare.
 
Belzebù non fu molto felice di essere chiamata da Crowley, specie dopo che quest’ultimo aveva tentato di attaccarla, ma le era sembrato molto urgente, quindi alla fine era andato senza troppi problemi.
Lei, Dagon e Gabriel si erano ritrovati nel giardino del cottage.
«Ha chiamato anche te?» domandò Belzebù all’Arcangelo.
«Mi ha chiamato Aziraphale. Non ho idea di cosa quei due vogliano combinare», ammise incrociano le braccia al petto.
Poco dopo Crowley e Aziraphale li raggiunsero, l’angelo non sapeva proprio come avrebbe spiegato loro gli intenti che avevano.
«Amh, intanto grazie per essere venuti qui. C’ una cosa di cui dobbiamo parlare.»
E dopodiché lasciò la parola a Crowley, il quale sapeva bene invece cosa dire. Si rivolse subito a Belzebù.
«Mi è rimasta impressa una cosa che hai detto. Che i miei ricordi,  e suppongo anche i tuoi, si trovano da un’altra parte.»
Belzebù arrossì, facendo poi un cenno con il capo.
«Sì, è vero. Si trova in un posto all’Inferno, è uno dei luoghi tenuti sotto controllo da Satana. Ma che idea avete in mente? Vi dico già da ora che non ho idea di come arrivarci.»
«Però esiste. Quindi non è vero che i nostri ricordi sono perduti, si trovano semplicemente da un’altra parte. Basterà andare lì e riprenderseli!»
Gabriel era sconvolto davanti tanta tranquillità. Certo, sarebbe piaciuto anche a lui poter recuperare i ricordi di Belzebù, ma davvero poteva essere così facile?
«E tu saresti disposta ad affrontare perfino il signore dell’Inferno?» domandò Dagon. «Rischi di farti ammazzare.»
«Per quanto mi riguarda, una parte di me è già morta quando mi hai strappato i ricordi. Se vuoi sentirti meno in colpa, allora potresti aiutarci.»
Belzebù era a dir poco sorpresa. Quei due pazzi volevano davvero fare una cosa del genere. E chi era lei per impedirglielo? Le sarebbe piaciuto avere i suoi ricordi.
«Temo che se va male, questa volta le conseguenze potrebbero essere ancora più gravi», mormorò infatti, assumendo poi un’espressione più determinata. «Ma al diavolo, non ho paura della morte, ho capito che c’è anche di peggio.»
Gabriel la guardò sconvolto, rendendosi conto che lì nemmeno Aziraphale era disposto a tirarsi indietro.
«Voi siete tutti pazzi, ma… sono con voi in questa cosa, qualsiasi sarà il risultato.»
Aziraphale fece un cenno con il capo, come a volerlo ringraziare. Una missione suicida? Sì, probabilmente lo era, ma chi se ne importava.
 
«UNA MISSIONE SUICIDA ALL’INFERNO? Aziraphale, hai forse perso la ragione?»Anathema era sconvolta. Sapeva che Aziraphale fosse coraggioso, ma addirittura arrivare a tanto.
«Missione suicida è per modo di dire, non è che moriremo davvero. Almeno spero», l’angelo fece spallucce.
Anathema si tolse gli occhiali, un po’ stravolta.
«Immagino che questo sia l’unico modo. Sei sicuro che sia l’unico modo, vero?» domandò preoccupata. Aziraphale annuì.
«Ho voluto dirtelo perché potremmo non tornare.»
«Non dire queste cose neanche per scherzo! Avete fermato un’Apocalisse, siete scampati alla morte già una volta, perché adesso dovrebbe essere diverso?»
Le sue labbra tremarono appena. Era spaventata e Aziraphale poteva capirla.
«Perché adesso abbiamo altrettanto altro da perdere  e perché le conseguenze potrebbero essere davvero irreversibili questa volta. Ti prego, se non dovessi tornare, prenditi cura di questa casa. È qui che io e Crowley abbiamo vissuto» e dicendo ciò si guardò attorno con malinconia. L’idea di non tornare lo faceva stare male. Ma se fosse andato tutto bene, sarebbe tornato con Crowley e i suoi ricordi.
«Preferirei che tu tornassi sano e salvo. Quand’è che andate?» domandò Anathema.
«Beh, noi… adesso. Troviamo che sia inutile aspettare.»
La ragazza fece una smorfia e Aziraphale le si avvicinò, posandole un bacio sulla fronte.
«Giuro che andrà tutto bene.»
«Ah, potresti metterci la mano sul fuoco?» domandò, facendolo sorridere.
«Ecco, no. Ma la parola di un angelo dovrebbe contare qualcosa, no?»
Poco dopo Crowley entrò in cucina, guardando Aziraphale.
«È arrivato il momento, andiamo.»
Dopodiché raggiunsero gli altri tre, che erano rimasti in giardino.
«Detesto l’Inferno… non è proprio il posto per un angelo», sussurrò Gabriel scosso da un brivido.
«Non piagnucolare, non è posto per nessuno», affermò Belzebù, guardando Crowley e Aziraphale. «Quando arriveremo potremmo sicuramente attirare l’attenzione. Voi angeli non parlate, non guardate nessuno e non dite una parola. Ci toccherà distrarli mentre Aziraphale e Crowley cercano il luogo dei ricordi o quel che sia.»
«Bene, adesso devo fungere da esca. D’accordo», disse Gabriel. «E facciamo questa cosa.»
Aziraphale si strinse a Crowley, guardandolo. Mai nella vita avrebbe pensato di ritrovarsi a fare una cosa del genere, eppure eccolo lì. Si strinsero l’un l’altro e poco dopo non avvertirono più la terra sotto i piedi né la luce sulla loro pelle: si erano spostati all’Inferno buio e claustrofobico, sembrava un luogo così stretto a angusto. Aziraphale e Gabriel furono scossi da un brivido, avvertirono subito che quella non era il loro luogo.
«Bene, Satana si trova nella parte più profonda dell’Inferno e forse è lì che i vostri ricordi si trovano, considerando che li tiene d’occhio. Non tutti sono in grado di arrivare fin lì, quindi vi guiderò io», proferì Belzebù, in quanto lei Principe Infernale sapeva bene come e dove muoversi.
«Io vengo con te», aggiunse subito Gabriel, che non voleva assolutamente lasciarla andare da sola.
«Preferirei di no, daremmo troppo nell’occhio. Dagon, occupati di lui», raccomandò all’altra demone, la quale annuì.
«Assurdo, e se dovesse succederti qualcosa? Non potrei aiutarti!» si lamentò nervoso. Belzebù non ebbe chissà quale reazione: per lei non esisteva l’opzione di fallire, anche perché altrimenti le conseguenze sarebbero state gravissime.
«Se dovesse accadermi qualcosa, lo saprai.»
«Già, e comunque non preoccuparti!» esclamò un Crowley attraversato dall’adrenalina. «Siamo in tre e siamo duri da far fuori.»
Gabriel non avrebbe mai pensato che si sarebbe ritrovato ad affidare a quei due la cosa più importante della sua vita. Ma si sarebbe fidato, dopotutto.
«D’accordo. Fai attenzione», disse semplicemente, posando un bacio sulla fronte di Belzebù.
Nessuno le fece notare il rossore sulle sua guance, anche se Crowley non poté fare a meno di sorridere.
«Va bene. Andiamo», Belzebù tossì, facendo segno agli altri due di seguirlo. Attraversano una porta arrugginita e mal messa che provocò un rumore stridente e fastidioso: dentro era buio pesto e non si vede nulla.
«Allora… facciamo questa cosa?» domandò Aziraphale con un sussurro impaurito ma intenzionato ad andarsi avanti.
Crowley annuì, ritrovandosi a stringergli la mano. Non era strano che lo avesse amato, che lo amasse ancora. Aziraphale era l’unico che sarebbe andato all’Inferno solo per lui.
Annuì e qualche istante le loro figure scomparvero nel buio.

 
 

   
 
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