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Autore: Saigo il SenzaVolto    27/09/2020    3 recensioni
AU, CROSSOVER.
Sequel de 'Il Pianto del Cuore' e de 'La Battaglia di Eldia'
Il Villaggio della Foglia ha una lunga serie di precedenti nella formazione di alcuni dei più pericolosi e famigerati Ninja Traditori che abbiano mai messo piede sulla Terra: Orochimaru, Kabuto, Obito, Itachi, Sasuke... era solo questione di tempo quindi prima che ne producessero un altro. Ma nessuno, specialmente Naruto, si era aspettato che il prossimo Nukenin sarebbe stato Boruto Uzumaki, il prodigio di Konoha. Questa è la conclusione della sua storia, e di tutto ciò che ha generato. Una nuova Guerra sembra aleggiare inevitabilmente all'orizzonte. La Quinta Guerra Mondiale.
Una Guerra per porre fine a tutte le Guerre.
Uno scontro tra Bene e Male. Tra Luce e Oscurità. Tra Shinobi e Guerrieri. Tra Famiglia e Famiglia.
Riuscirà Naruto a rimettere insieme la sua famiglia spezzata? Oppure la sua storia terminerà così, schiacciata sotto la morsa crudele ed implacabile del Destino?
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boruto Uzumaki, Himawari Uzumaki, Naruto Uzumaki, Sarada Uchiha, Sasuke Uchiha | Coppie: Hinata/Naruto, Sasuke/Sakura
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la serie
Capitoli:
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PER UN SOFFIO




15 Gennaio, 0022 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Torre dell’Hokage
18:00

C'era qualcosa di... liberatorio, decise Naruto, nel ritornare ad essere un semplice Ninja invece che l'Hokage. Si poteva trascorrere più tempo a casa, più tempo con sua moglie, più tempo ad allenarsi, e soprattutto più tempo a discutere di strategie militari per dare consigli a Konohamaru quando ce n’era bisogno. Ma nonostante tutti questi impegni, il suo animo era libero. Gioiosamente, concretamente, finalmente, libero. Non sentiva più quel peso schiacciante e opprimente che aveva sempre provato quando indossava il Cappello. Era… libero. Leggero, quasi.

Ovviamente però, questo non significava che la sua lealtà fosse diminuita. Naruto sarebbe sempre stato in debito con la Foglia, sempre legato all'onore di difenderla; ma questa sensazione di dovere non era più un peso come prima. Non era più un'àncora legata ai suoi piedi che lo soffocava mentre cercava disperatamente di nuotare in superficie. Era una sensazione meno opprimente, meno pressante. E questa consapevolezza lo faceva respirare di nuovo, dopo tutti questi anni.

Se solo si fosse ritirato prima, pensò Naruto, allora forse la sua famiglia avrebbe potuto risanarsi senza doversi necessariamente spezzare in primo luogo. Ma, purtroppo, quello era solo un sogno. Un sogno ormai irrealizzabile. Tuttavia, dentro di sé il biondo sperava e pregava che forse, un giorno, quel sogno potesse diventare realtà.

La sua mente si risvegliò da quei pensieri di colpo, tornando alla realtà. I suoi occhi ammiccarono per focalizzarsi. Il loro piano si era concluso senza complicazioni. La Mizukage della Nebbia, Mei Terumi, assieme all'ultima nave di Shinobi dell’Acqua, era finalmente arrivata nella Foglia. E lui, essendo il precedente Hokage nonché amico personale di Mei, doveva essere presente per salutarla insieme a Konohamaru e Shikamaru.

Naruto trasalì quando Shikamaru gli diede una gomitata nelle costole. Con un sorriso imbarazzato, si inchinò rispettosamente davanti alla Mizukage. Nonostante fosse sollevato di non indossare più il Cappello, faceva ancora fatica a scrollarsi di dosso i manierismi e la mentalità di un Kage. "Benvenuta, Mei," la salutò felicemente.

Nonostante la sua età, quella donna era incredibilmente bella come sempre. Era invecchiata bene, secondo Naruto. Capelli ramati lunghi fino alla vita e profondi occhi color verde giada. Non si era mai sposata, e nessuno sapeva il perché, anche se Shikamaru sospettava che lei e l’ormai defunto Ao fossero stati più di un semplice Kage e la sua guardia. Ma non c’era veramente modo di dirlo.

"È bello rivederti, Naruto," disse a sua volta Mei, abbassando la testa, le sue labbra increspate in quel piccolo sorriso allettante che portava sempre. "Ed è un onore incontrare anche lei, Ottavo Hokage. Congratulazioni per la sua nomina."

Konohamaru fece un piccolo cenno col capo. "Grazie, Mizukage," rispose formalmente, avvicinandosi alla donna per inchinarsi.

Il sorriso di Mei non fece che aumentare. Si allungò indietro, appoggiando la mano sulla spalla di una delle sue guardie, e la spinse enfaticamente in avanti. Il giovane che si portò affianco era alto e slanciato, di corporatura simile a quella di Boruto, con capelli biondo grano e occhi di uno strano colore rosa. Un tatuaggio, quasi simile ad un graffio, era inchiostrato sotto al suo occhio sinistro e si estendeva fino all'angolo delle labbra. Come i suoi occhi, era dello stesso colore rosa. "Lui," annunciò Mei con orgoglio. "È Kagura Karatachi. Vi siete già incontrati durante gli eventi del Summit. Sarà il futuro Settimo Mizukage, se il futuro ce lo permetterà. Era l'apprendista di Chojuro prima che..."

Un silenzio cupo calò tra tutti loro a quella menzione. Shikamaru tossì e si schiarì goffamente la gola. Giusto – si ricordò Naruto – era meglio non menzionare il fatto che suo figlio avesse accumulato una lunga lista di Kage uccisi sia con le parole che con i fatti. Kagura si inchinò davanti a Naruto. "È un onore rivederla, signore," disse, prima di rivolgersi a Konohamaru. "E anche lei, Hokage-sama."

Konohamaru rise nervosamente, ancora poco abituato al rispetto della gente. "L'onore è tutto nostro,” disse a sua volta. "Sono solo contento che siate riusciti a raggiungerci in tempo. E… senza complicazioni."

"Lo siamo anche noi," annuì Mei.

Naruto esalò un sospiro che aveva trattenuto per tutto quel tempo. Questa era la cosa più importante. L'Impero Shinobi Unito era cresciuto rapidamente in dimensioni e forza in questi pochi mesi successivi alla sua formazione, espandendosi sempre più ed esercitando il controllo in quasi tutto il Nord-Est. E ora che la Terra dei Fulmini era caduta completamente, la sua gente aveva abbracciato del tutto il nuovo governo, in una maniera sorprendentemente uniforme. Soltanto pochi dissidenti oltre a quelli che erano sempre stati fedeli alla Nuvola avevano fatto sentire le loro proteste. La gente comune, invece, sembrava completamente indifferente, come se non le importasse granché di essere governata dall’Impero o da qualsiasi altra fazione.

In ogni caso, Boruto non ci aveva messo molto a mettere gli occhi sulla sua prossima conquista: la Terra dell'Acqua. Le loro spie li avevano messi immediatamente al corrente della situazione. L’Impero aveva sollevato un esercito, un esercito molto più grande di qualsiasi armata che un singolo Villaggio potesse mai sperare di schierare. Intere legioni di uomini e donne fedeli a suo figlio. Lo aveva fatto riunire nella Terra del Vapore, mandandone metà a contrastare gli schieramenti difensivi che Konohamaru aveva ordinato di posizionare lì, trasformando il confine nord-orientale in una terra di nessuno che entrambe le parti temevano di attraversare. L'altra metà dell’esercito, invece, aveva attraversato l'oceano in una flotta di navi, raggiungendo il Paese dell’Acqua e conquistandolo completamente. 

A causa di questo, Mei e la sua gente non avevano avuto scelta. Abbandonare la Terra dell’Acqua era stata una decisione difficile, ma necessaria. Era l’unica mossa che avevano potuto fare per risparmiare alla loro gente il pericolo di dover combattere una guerra estenuante che molto probabilmente sarebbe finita con la loro sconfitta dopo una lunga e sanguinosa battaglia. Naruto era stato contento di questa decisione. Certo, la Mizukage e i suoi uomini erano stati costretti alla fuga – nessuno di loro l’aveva presa bene – ma almeno in questo modo erano rimasti in vita. Evitare inutili spargimenti di sangue era fondamentale in questo periodo di crisi mondiale.

Naruto ammiccò con le palpebre e trovò Mei che fissava con affetto Kagura e Konohamaru mentre i due giovani leader si presentavano meglio e accendevano una conversazione. Quella scena lo fece sorridere a sua volta. Vedere le nuove generazioni all’opera era piacevole. Era la prova del fatto che la speranza non era morta.

La Mizukage gli mise una mano sulla spalla. "Sarà lui a cancellare i peccati della Nebbia dalla storia, Naruto," disse, guardando Kagura con convinzione. "Gli orrori della Nebbia Insanguinata verranno oscurati dalla grandezza del futuro dei giovani. Me lo sento dentro."

Il Settimo annuì. "Lo spero anch'io," sussurrò.

Mei annuì a sua volta. "È quasi ironico, sai?" aggiunse ancora. "Il Quarto Mizukage, Yagura, veniva dal suo stesso clan. E adesso sarò il suo successore, Kagura, a rimediare e dare speranza alla gente della Nebbia."

Naruto sorrise amaramente. Già, proprio ironico. Poetico, quasi. Eppure, era la dimostrazione di ciò in cui lui e il suo maestro Jiraya credevano sin da sempre.

La dimostrazione del fatto che il bene trionfa sempre sul male.
 


15 Gennaio, 0022 AIT
Occhio della Tempesta
21:00

Boruto non sapeva cosa pensare.

Entrò nella sua camera dal letto. Eppure, per la prima volta da quando vi metteva piede, si sentiva un estraneo.

Si buttò pesantemente sul suo letto, affondando la faccia in un cuscino. La sua testa era uno schifo, oggi. Non c’era modo di negarlo. La tensione e lo spavento che gli albergavano da ore nel cuore non smettevano di tormentarlo. Era una tortura, quasi. Una sensazione di perenne timore ed incertezza che lo inondava dalla testa ai piedi. Una sensazione persino più opprimente del solito sentimento d’inquietudine che era solito provare in passato. E per la precisione, aveva questa sensazione sin da quando aveva avuto la geniale idea di parlare con la Progenitrice.

Dopotutto, quello che la prima donna del clan Uzumaki gli aveva detto questa mattina… lo aveva sconvolto.

Boruto non voleva pensarci. Non voleva ricordare quelle parole. Eppure, lo faceva. Ci pensava, si ricordava, ogni volta. Non che lo facesse volontariamente, sia chiaro; ma le circostanze che lo avevano visto coinvolto in queste ore avevano decretato tale decisione. In fondo, con la conquista totale della Terra dell’Acqua – senza nemmeno dover combattere – il giovane non aveva potuto fare altro che restarsene fermo ad impartire ordini. Ed impartire ordini e starsene fermo lo costringevano, puntualmente, a pensare.

Ed i suoi pensieri tornavano sempre e perennemente su quell’unico argomento.

Lui era il figlio della Morte. Era, letteralmente, il figlio della Morte. La sua anima era stata generata da lei. E per questo, solo ed unicamente per questo, lui possedeva il Jougan.

Era una cosa sconvolgente.

Più ci pensava, più il biondo era certo di esserselo sognato. Ma la realtà, solenne ed implacabile come sempre, lo forzava ogni volta ad ammettere la verità. E la verità era che tutto ciò che la Progenitrice aveva detto… era vero. Lui era veramente la reincarnazione del suo figlio. Lui possedeva veramente un’anima antica. E il suo Jougan era veramente la prova della sua connessione con la Morte. Tutto questo era vero.

Boruto non sapeva perché ne fosse così certo. Non sapeva perché fosse così convinto di questa cosa. Eppure… lo sapeva. Lo sapeva e basta. Qualcosa dentro di lui se lo sentiva, con una certezza solenne e cristallina; talmente corazzata e profonda da farlo sentire contemporaneamente sollevato e spaventato. E non sapere a cosa fosse dovuta lo spaventava più di quanto si aspettasse.

‘Un giorno non molto lontano… quel tuo occhio azzurro ti porterà via tutto.’

Il suo corpo rabbrividì inconsciamente. Ricordare quella frase gli faceva sempre questo effetto. L’aveva sentita diverse volte, ormai. Dapprima con Momoshiki, poi con Hikari e Yami, e adesso anche con la Progenitrice. Per cui, non poteva più ignorarla. Non poteva continuare a vivere fingendo che non esistesse, come aveva fatto fino ad ora. Non quando gli era stata ripetuta con così tanta insistenza.

Ma anche con questa consapevolezza e decisione, il terrore non diminuiva. E la cosa che lo spaventava di più non era tanto la frase in sé, né tantomeno le sue implicazioni… ma bensì la consapevolezza di essere impotente dinanzi ad essa. La consapevolezza di non sapere nulla al riguardo di questa profezia, e di non poter fare niente per contrastarla.

Lui lo sapeva, dopotutto. Già una volta nella sua vita Boruto aveva vissuto con il peso di una profezia sulle sue spalle. E già in quell’esperienza passata – prima con Momoshiki, e poi con Vrangr – era stato incapace di contrastarla. Aveva provato a non pensarci. Aveva provato a vivere seguendo sempre i suoi obiettivi, incurante di quelle parole. Ma non era servito. Ogni volta, nonostante tutti i suoi sforzi e le sue intenzioni, il Destino lo aveva sempre richiamato a compiere ciò che gli era stato predetto. Ed ogni volta, lui si era sempre riscoperto incapace di resistere alla sua morsa opprimente.

Perciò, anche questa volta sarebbe successo lo stesso?

‘Un giorno non molto lontano… quel tuo occhio azzurro ti porterà via tutto.’

Boruto si riscosse. Risollevò la testa dal cuscino ed aprì il suo occhio destro, fissandosi una mano.

Se doveva essere onesto, non sapeva cosa pensare. Non sapeva niente su questa profezia. Non sapeva nemmeno a cosa si riferisse. Quella parola – tutto – a che si riferiva? Cos’era il suo tutto? La sua famiglia? I suoi amici? Il suo Impero? Il suo Potere? La sua vita? Cosa? Non lo sapeva, non lo sapeva davvero. E, semplicemente, non aveva modo di scoprirlo.

Perciò, che cosa poteva fare?

Parlarne con Urahara ed i suoi amici era impensabile. Di questo, Boruto era certo. Se glielo avesse detto, tutti loro sarebbero impazziti. Sarebbero caduti nel panico. Sicuramente. Senza dubbio. Era già successo in passato con la profezia di Eldia e del drago, e le conseguenze di quel terrore si erano fatte vedere pesantemente durante la sua assenza. Aveva pensato che sarebbe stato facile, all’epoca. Era stato convinto che mettere a nudo le sue ferite davanti ai suoi amici sarebbe bastato a rassicurarlo; ma l’esperienza, alla fine, gli aveva negato questa rassicurazione. E sebbene avesse creduto che le ferite del suo passato fossero ormai cicatrizzate e divenute poco visibili; adesso che stava succedendo di nuovo Boruto Uzumaki si stava ritrovando, ancora una volta, incapace di resistere al terrore.

Per cui… no. Non poteva dirlo ai suoi amici. Doveva tenerselo per sé. Doveva mantenere questo segreto. Doveva tenere loro nascosta la verità a tutti i costi.

Quel pensiero gli fece pulsare dolorosamente il cuore. Ma sebbene una parte di lui soffrisse immensamente al pensiero di dover mentire a Mikasa, a Sora, a Urahara e a tutti gli altri… l’altra parte della sua anima, quella più razionale, gli imponeva di mantenere la calma ed il controllo. Dopotutto, non poteva permettere alla sua famiglia di frantumarsi. Non poteva permettere che gli altri si accollassero il suo fardello in questo modo. Non era da lui. Non era pensabile. E non era giusto. Questo era un suo problema, in fondo. Un suo dilemma.

E spettava solo a lui, quindi, risolverlo quanto prima.

Un giorno gliel’avrebbe detto, si promise il Nukenin. Avrebbe detto la verità a tutta la sua famiglia. Non oggi, non domani; ma un giorno lo avrebbe fatto davvero. Avrebbe vuotato il sacco, come aveva sempre fatto, liberandosi di questo fardello una volta per tutte. Ma non era questo il giorno per farlo.

La vera domanda, invece, era sempre e solo una sola: cosa fare?

Boruto continuò a focalizzare la vista del Jougan sulla sua mano, osservando il flusso di chakra che gli scorreva nel corpo. Dentro alla sua testa, era convinto di una cosa: se quello che la Progenitrice gli aveva detto era vero – cosa altamente probabile – allora la profezia era causata dal suo occhio destro. Il Jougan era la causa ed il motivo della profezia. O, quantomeno, era legato ad essa. Non per niente, dopotutto, era un occhio maledetto. Toneri, l’Eremita, e persino la Progenitrice glielo avevano detto molte volte, in fondo. Il Jougan ERA un occhio maledetto. Quindi, di conseguenza, la profezia doveva essere legata ad esso in qualche modo.

Per cui, cosa fare?

Rimuoversi il Jougan non era pensabile. Boruto non era così disperato da decidere di rinunciare al suo occhio solo per via di una stupida profezia. Senza contare, tra l’altro, dell’immenso vantaggio che esso gli conferiva. Il Jougan era potente, e Boruto sapeva che nessuno poteva negarlo, nemmeno lui stesso. Gli conferiva poteri che nessun’altro Dojutsu (Arte Oculare) poteva vantarsi di possedere. Poteri che lui era deciso ed intenzionato a sfruttare in battaglia, come aveva sempre fatto. Non poteva farne a meno. Non nel bel mezzo della Quinta Guerra Mondiale.

Inoltre, anche se faceva fatica ad ammetterlo, Boruto sapeva di averne bisogno. Lui faceva molto affidamento sulle sue abilità oculari. Aveva bisogno del Jougan se voleva vincere questa Guerra e sconfiggere i suoi nemici. Senza di esso non avrebbe avuto nessuna possibilità di abbattere suo padre, o Sasuke, o Hagoromo. E poi, chi gli garantiva che rimuoverlo avrebbe annullato la profezia? Come poteva essere certo che la sua causa fosse dovuta ad esso? Non c’erano mica certezze al riguardo, no?

No, decise allora. Non poteva rimuoversi il Jougan. Non ancora, almeno.

Il guerriero richiuse l’occhio destro con un sospiro, scuotendo lentamente la testa. Per quanto si sforzasse di ragionare, non c’era una soluzione al momento. Forse, semplicemente, non esisteva una soluzione. Doveva solo abbandonarsi alla consapevolezza di dover continuare a vivere condividendo questo dubbio per sempre. Fino a quando, in un modo o nell’altro, le risposte non sarebbero arrivate da sole.

E Boruto era più che deciso ad accoglierle a braccia aperte.

Per cui, decise di smettere di pensarci. Se pensare alle profezie era impossibile, pensare al futuro e alle sue prossime azoni era, invece, doveroso. Dopotutto, adesso che la Terra dell’Acqua era finita ufficialmente sotto al suo controllo, il suo potere nel mondo era aumentato ancora una volta. E senza più la Nebbia a difenderle, la Foglia e la Sabbia restavano le uniche e sole entità che osavano sfidare la sua opera di conquista.

Le due ultime vestigie di un’epoca remota destinata a spegnersi per sempre.

Ma Boruto era un uomo paziente. Sapeva che attaccarle adesso sarebbe stato rischioso. Se voleva vincere, doveva vincere con l’astuzia, e non con la forza. Dopotutto, l’Eremita e Sarada restavano ancora a piede libero. E persino suo padre era diventato ancora più pericoloso, adesso che si era finalmente liberato del Cappello da Hokage. Per cui… doveva attendere. Attendere il momento perfetto per attaccare. Aveva i mezzi, dopotutto. Aveva un ostaggio di inestimabile valore. Un ostaggio che i nemici non potevano permettersi di ignorare. Un ostaggio che era deciso a sfruttare appieno.

Temari Nara.

Boruto sorrise velenosamente.

Doveva solo aspettare che il nemico cedesse per primo.
 


15 Gennaio, 0022 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Distretto Distrutto del Clan Nara
21:59

Anche dopo tutti questi giorni passati dalla tragedia, lo spettacolo che Sentoki si ritrovò dinanzi era raccapricciante.

Cenere, tizzoni e braci fumanti.

L’intero complesso del clan Nara, per tutta la sua estensione, era ridotto ad un cumulo di macerie. Cenere, tizzoni e braci fumanti ricoprivano tutto il distretto per miglia e miglia. Era uno spettacolo deprimente. Le case e gli edifici, una volta alti, illuminati e ricolmi di vita e speranza, adesso erano anneriti e bruciati per tutta la loro ampiezza. La maggior parte di essi, persino, non esistevano più. Ridotti completamente a cenere e tizzoni anneriti. La foresta del clan, un tempo ampia e piena animali e limpidi fiumiciattoli scroscianti, adesso era completamente sparita. Devastata e distrutta interamente dalle fiamme. Così come il complesso, un tempo pieno di vita e rumore, che ora non esisteva più. Nemmeno una persona era sopravvissuta alla furia apocalittica del mostro che aveva causato tutto questo. Nemmeno una pianta si era salvata dal fuoco degli incendi che avevano devastato ogni cosa. Ogni forma di vita che abitava questo luogo, vegetale e animale, senziente e non… era sparita. Non era rimasto nulla.

Solo cenere, tizzoni e braci fumanti.

L’anziano essere guardò la devastazione attorno a lui con uno sguardo accigliato.

Era la seconda volta che vedeva una devastazione simile. La seconda volta nella sua vita. Ed una distruzione del genere non l’aveva più vista sin da… sin dai tempi di Vrangr. Quel pensiero lo fece rabbrividire. Faceva ancora fatica a credere di star effettivamente rivedendo uno scenario del genere. Una distruzione così solenne, implacabile e mostruosa da riuscire ad annientare ed annichilire ogni cosa dinanzi ad essa, fino a quando l’unica cosa che restava erano cenere, tizzoni e braci fumanti.

Ma stavolta, a differenza del passato, tutto questo non era stato causato da un drago folle e consumato dall’odio. Era stato causato da Boruto Uzumaki. Lo stesso ragazzo che lui conosceva e ammirava. La stessa persona che aveva messo fine alla folle brama omicida del drago oscuro.

Lo stesso ragazzo che Hikari gli aveva implorato di fermare.

La sua mente si riempì di feroce determinazione.

Sentoki sapeva cosa doveva fare. Di questo passo, se fosse rimasto fermo, le cose sarebbero finite esattamente come in passato. Sarebbero finite esattamente come Eldia. E per quanto odiasse pensarlo, per quanto ammettere una cosa del genere lo facesse soffrire enormemente… ormai non poteva più negarlo. Boruto era diventato una minaccia per la vita del suo mondo. Era diventato un nuovo Vrangr. E se lo avessero lasciato indisturbato e libero di agire, la Terra e tutta la sua gente ne avrebbero sofferto inevitabilmente.

Per cui, doveva essere fermato. Doveva farlo. Per Naruto, per Sarada, e per sé stesso. E anche per Shikamaru, si ricordò. Il giovane Nara era fuori di sé per la rabbia e il dolore dopo la cattura di sua moglie e la distruzione del suo clan. E dopo tutto ciò che era successo, Sentoki non poteva permettere che perdesse un altro membro della sua famiglia, per nessuna ragione al mondo.

Perciò, doveva fare qualcosa.

E il falso monaco sapeva cosa. Non era ancora finita. La speranza non era ancora stata distrutta. Boruto poteva essere potente e scaltro come pochi, ma anche Sentoki possedeva degli assi nella manica. Non per niente, dopotutto, era l’Eremita delle Sei Vie. Per cui, c’era ancora una possibilità di riuscire a fermare il suo giovane amico senza doverlo necessariamente combattere, e lui lo sapeva. Ma per farlo, doveva farlo di nascosto.

Questa cosa era inevitabile. Non poteva agire liberamente e con troppa disinvoltura. Non poteva, o avrebbe messo a rischio la sua identità e la vita del ragazzo. E né lui, né Sarada, né tantomeno il futuro del pianeta avrebbero giovato della sua morte. Boruto era necessario per riuscire a sconfiggere gli Otsutsuki, era necessario per la salvezza del pianeta. Per cui, non poteva ucciderlo. Doveva trovare il modo di fermarlo con le buone, senza combatterlo, o la Terra e i suoi abitanti sarebbero stati spacciati.

Quindi, no, decise l’anziano. Doveva agire con saggezza e ragione, in modo da poter compiere ciò che era necessario. E così avrebbe fatto.

Boruto sarebbe stato sconfitto. E solo lui conosceva una Tecnica in grado di fermarlo. Una Tecnica pericolosa, certo – una di quelle che non aveva più usato da millenni – ma che adesso era diventata necessaria. Un Tecnica capace di costringerlo alla resta. Una Tecnica che poteva impedirgli finalmente di fare del male ad altre persone.

Una Tecnica Proibita efficace come poche.

Certo, sarebbe stato pericoloso. Sentoki non poteva negarlo. Persino lui, con tutta la sua lunga esistenza, sapeva di star scommettendo su un azzardo. Usare quella Tecnica sarebbe potuto essere rischioso sotto diversi aspetti. Era una delle abilità più potenti del Ninshū, dopotutto – la Tecnica che diede origine a tutte le Tecniche del clan Yamanaka – e il Ninshū aveva lo scopo di unire le persone, non di dividerle e farle lottare tra loro. Eppure, visto com’erano degenerate le cose, doveva rischiare. Doveva ignorare il suo timore e la sua esitazione ed agire. La posta in gioco era troppo alta.

Perciò, non aveva altra scelta. Doveva agire.

Sentoki sorrise, iniziando a sondare il mondo con le sue abilità empatiche e preparandosi mentalmente.

Era ora di rientrare in scena.
 


02 Febbraio, 0022 AIT
Occhio della Tempesta
12:15

Poco meno di un mese dopo, il nemico cedette.

Boruto sorrise. Un rotolo giaceva dispiegato sulla sua scrivania: una richiesta ufficiale – ed allo stesso tempo, “non ufficiale" – della Foglia per un incontro. Lo scopo, come aveva previsto e sperato, era esattamente quello che si aspettava: uno scambio di prigionieri. Reclamavano Temari come prigioniera di guerra, e quindi riconoscevano l'Impero Shinobi Unito come una Nazione legittima e sovrana, in maniera pubblica ed effettiva.

Questa era già di per sé una vittoria. In passato, erano stati loro ad essere costretti ad attuare un incontro pacifico per via della morte di Shizuma. Ma adesso? Costringere il nemico a riconoscere l’Impero come una Nazione vera e propria era una mossa politicamente enorme. Ed era anche il tipo di riconoscimento di cui la Rivoluzione aveva più bisogno. I Kage alleati con lui, per quanto potenti e numerosi fossero, non erano sufficienti perché il resto del mondo riconoscesse effettivamente che il suo Impero era una Nazione in sé e per sé. Ma se la Terra del Fuoco, per cui ora parlava l'Hokage, lo riconosceva a sua volta? Questa era completamente un’altra storia.

Era finalmente arrivato il momento di portare avanti la sua agenda ancora una volta. Se non poteva battere Sarada, l’Eremita e i suoi nemici nel campo della lotta, allora lo avrebbe fatto nell'arena della politica. Un’arena in cui erano molto meno potenti e avevano molta meno influenza di lui.

Boruto si alzò rapidamente, rovesciando un mucchio di pergamene nella fretta, ed indossò rapidamente il suo mantello cerimoniale da Kurokage. Nel letto, Mikasa si contrasse per l'azione improvvisa, le sue mani che si mossero automaticamente a cercare i suoi aghi, prima di rendersi conto che era solo lui e rilassarsi. "Chiama Sora e preparati per una missione," ordinò il biondo. Poi fece una pausa. "E cerca di non allertare Lucy," aggiunse. "Non è pronta per questo. Meglio se rimane qui."

Mikasa annuì. Il suo volto assunse un’espressione di vittoria. "Scambio di prigionieri?" chiese.

"Scambio di prigionieri," confermò lui con un cenno del capo, prima di andarsene velocemente e scendere nelle viscere dell'Occhio, dirigendosi verso la prigione. Una volta giunto lì, la visione di numerose celle vuote lo accolse, tutte lasciate spoglie e fredde tranne che per la barriera di Fuuinjutsu (Sigilli) che illuminava gli ingressi impenetrabili. Tutte le celle erano vuote, tranne una. Quella più a fondo.

Temari si era prontamente svegliata all’udire il suono dei suoi passi. Lo fissava con rabbia attraverso la barriera scintillante di energia bianco-blu che le impediva di usare il suo chakra. Boruto assottigliò l’occhio sinistro e si guardò intorno. Mitsuki e Kumo non si vedevano da nessuna parte, così come Urahara. Questo era strano, pensò, prima di rilassarsi quando vide che uno dei burattini di Kumo stava avanzando verso di lui, barcollando.

"Il padrone, Urahara e Mitsuki stanno riposando," gracchiò la marionetta umana.

Boruto aggrottò la fronte ma annuì, sospirando mentalmente. A volte si dimenticava che i suoi amici erano umani e che avevano a loro volta dei limiti. Persino Urahara-sensei aveva bisogno di fermarsi, ogni tanto. Ma sapeva di non poterli biasimare. Avevano costantemente osservato Temari per settimane, ininterrottamente, pressandola di Sigilli e costringendola a conferire loro informazioni sulla Foglia e sulle loro mosse. E le informazioni che avevano acquisito grazie a questo non erano inconsistenti. Cose che nemmeno Boruto, il figlio dell'Hokage, sapeva sulla sicurezza del Villaggio. Per cui, quei tre si meritavano decisamente il loro riposo.

"Molto bene," disse il Nukenin. "Riferisci a Kumo di mandare il loro ultimo rapporto sulla mia scrivania. Lo leggerò quando sarò di ritorno."

La marionetta annuì in assenso e si spostò al suo posto di guardia vicino al muro più lontano, all'ombra di una colonna. Boruto si avvicinò alla cella, mettendo la mano sul sigillo vicino all'ingresso e costringendovi dentro il suo chakra. Il sigillo reagì al suo tocco, cambiando le sue configurazioni. Subito dopo, la barriera tremolò ed iniziò a disfarsi, e il giovane si preparò ad entrarvi dentro.

Nel momento in cui la barriera cadde, Boruto si precipitò nella cella, abbassandosi sotto il pugno di Temari e sferrandole un calcio nello stomaco prima di incollarle un'etichetta sulla parte posteriore del collo. La donna rimase immobile, lottando impotentemente contro il sigillo ed agitandosi, prima che Boruto la inchiodasse al muro e le ammanettasse rapidamente le mani dietro la schiena.

"Davvero?" la rimproverò mentre la tirava per rimetterla in piedi. "Perché lottare? Anche se tu riuscissi a scappare, non c'è nessun posto dove andare. E anche se tu potessi uccidermi – cosa che non puoi – non potresti comunque fuggire. Nessuno può lasciare questo posto se non lo dico io."

Temari gli ringhiò con rabbia e tentò di attaccarlo, ma Boruto, essendo più alto e più forte di lei, la tenne facilmente a bada. Con un sospiro, il biondo la spinse con un ginocchio nella parte bassa della schiena, costringendola a camminare. Ma ebbe solo il tempo di fare tre passi prima che Temari si ribellasse di nuovo, scattando indietro col busto e tentando di sbattergli la parte posteriore del cranio sul naso. Boruto evitò l’attacco e la guardò accigliato, osservando con furia la donna che tentava debolmente di fuggire da lui.

Ma non c’era scampo. Era l'essere umano più veloce del mondo, dopotutto. Il Nukenin richiuse la distanza tra loro nello spazio tra un battito cardiaco e l'altro. Sbatté spietatamente Temari contro il muro di pietra della prigione e poté vedere le stelle lampeggiare nei suoi occhi mentre veniva stordita dal dolore. Poi le premette l'avambraccio contro il collo e iniziò a soffocarla. "Possiamo risolverla con le buone," intonò gelidamente. "O con le cattive," concluse a bassa voce, soffocandola più forte.

Temari ebbe uno spasmo ed ansimò debolmente per un momento prima che Boruto le togliesse il braccio dal collo. Poi, quando vide che non fece più alcuna mossa per attaccarlo o scappare, rimase soddisfatto della sua obbedienza.

Eppure, realizzò il giovane, quella donna non era altro che una combattente, e per poco non si lasciò cogliere impreparato quando Temari si lanciò nuovamente in avanti con uno scatto improvviso, snudando i denti nel tentativo di morderlo. I suoi denti gli sfiorarono la mascella, rischiando di scavargli in profondità nella carne. Boruto ringhiò, sferzando in avanti un palmo e colpendola allo stomaco.

Poi, però, accadde qualcosa di inaspettato.

Il suo Jougan pulsò follemente di dolore. Poi, in meno di un battito di ciglia, qualcosa apparve alle spalle di Temari. Qualcosa di etereo, incorporeo, invisibile. Qualcosa che guizzò alla vista del Jougan solo per un istante, simile ad una nuvola di fumo o di vapore, prima di entrare rapidamente nel corpo della donna prima che il biondo potesse anche solo comprendere che cosa fosse.

Gli occhi di Boruto si spalancarono per l’orrore. Subito dopo, prima ancora che il suo palmo si collegasse al ventre della donna, un filo di fumo sottile ed invisibile guizzò fuori dalle labbra di Temari, serpeggiando nell’aria ed infilandosi nelle labbra del Nukenin prima che potesse chiudere la bocca o trattenere il respiro.

La fredda e dura realizzazione lo colpì come uno dei pugni possenti di Himawari. La consapevolezza non lo salvò, tuttavia, e in un istante Boruto sentì che il controllo del suo corpo gli veniva strappato. Il panico iniziò immediatamente ad inondarlo quando prese a lottare per liberarsi dalla sottomissione e fallì. Boruto annegò nel panico, freddo e buio e divorante, mentre cercava contemporaneamente di capire cosa stava succedendo e riprendersi il controllo del suo corpo.

"Non fai tanto il presuntuoso adesso, eh?" gli ringhiò Temari, prima di sferrargli un pugno in piena faccia.

Boruto sentì i tentacoli del dolore consumargli la vista e diffondersi attraverso di essa mentre la sua mente sbiancava e lui – o meglio, il suo corpo – collassava a terra.

"Se puoi gentilmente evitare di colpirmi, per favore," disse Boruto, solo che non era veramente lui a pronunciare quelle parole. "Ho bisogno di questo corpo per farti uscire di qui."

"Sentoki!" sibilò Temari, allibita oltre ogni descrizione. "Scusa," aggiunse, aiutando frettolosamente il suo corpo a rimettersi in piedi.

Boruto sentì il terrore azzannargli prepotentemente il cuore.

Era Hagoromo. Hagoromo Otsutsuki! Il fottuto Eremita delle Sei Vie gli aveva rubato il corpo e stava aiutando Temari a scappare! La rabbia, incontrollata e ardente, incandescente come il dolore che indugiava nella sua mente, iniziò a scorrere attraverso ogni fibra del suo essere.

Temari fissò il corpo posseduto con uno sguardo perso e speranzoso tutt’assieme. “C-Come hai fatto-”

“Non adesso,” la incalzò Sentoki, parlando con la sua voce. “Ho usato un’abilità particolare del Ninshū per riuscire a controllare lui e gli altri Kara, ma non c’è tempo di spiegarti. Dobbiamo muoverci velocemente se non vogliamo destare sospetti," disse, e Boruto non poté fare a meno di rabbrividire mentalmente quando sentì la sua voce fuoriuscirgli dalle labbra, pronunciando parole non sue. "Più restiamo qui, maggiori sono le possibilità che qualcosa vada storto."

"…giusto," concordò Temari, assumendo rapidamente il ruolo di prigioniero distrutto e sconfitto mentre i due cominciavano a marciare attraverso le sale dell'Occhio.

Un terrore impotente assalì Boruto mentre continuava a combattere per riprendere il controllo del suo corpo. Ma, per quanto si sforzasse ad agitasse, era tutto inutile. La sua mente era completamente impotente per qualche motivo. Ogni passo che faceva portava Temari più vicina alla libertà e Sentoki più vicino al compimento del suo piano. Non ci volle molto prima che i due arrivassero al piano principale del castello, dove Mikasa e Sora lo stavano aspettando.

La speranza sbocciò per un istante nella mente del biondo prima che Hagoromo la distruggesse. "Ho cambiato idea," disse seccamente, freddamente, col tono di un ordine. "Voi due resterete qui."

Sora e Mikasa sbatterono le palpebre, sembrando confusi, prima di raddrizzarsi con la schiena. "Perché?" chiese la nera.

Sentoki sferrò una ginocchiata a Temari sulla schiena e la costrinse a camminare in avanti. Non c'era vera malizia nell'azione. Era semplicemente parte dell'atto. "Perché," disse l’anziano, imitando la sua voce ed il suo comportamento in un modo talmente perfetto che Boruto non pensava fosse possibile. "Ho bisogno che voi restiate qui e teniate d'occhio Lucy. Non deve sapere che stiamo per scambiare Temari col nemico. È troppo emotiva, e lascerà che le emozioni la controllino durante i negoziamenti. Voi due siete gli unici a cui posso chiedere di tenerla sotto controllo. E poi, in caso di problemi o dello scoppio di un combattimento, mi basterà uccidere Temari e fuggire usando il Jougan."

“No!" urlò Boruto, intrappolato nella sua mente mentre osservava, impotente, tutto ciò per cui aveva lavorato sgretolarsi dinanzi ai suoi occhi. "Mikasa! Non è vero! Non cascarci!"

Mikasa esitò, fece una pausa, e poi annuì. "Va bene," concordò dolcemente. "Stai attento," aggiunse, premendo un bacio sulla sua guancia.

"Lo farò," giurò Sentoki.

Boruto sentì una rabbia divorante e apocalittica esplodere nel suo petto. Era un inferno furioso, che stava bruciando e consumando tutto ciò che incontrava, anche lui stesso, incurante del danno. Sentì la sua mente pulsare di dolore, furia e rabbia. Non era mai, MAI, stato così arrabbiato in vita sua. Così tanto accecato dalla rabbia da non riuscire nemmeno a pensare, a vedere, fino a quando il significato di ‘vedere rosso’ non gli fu bruciato nell'anima. Gli bruciò dentro, trasformandolo in cenere, senza lasciare altro che resti carbonizzati.

"Sora, continua ad allenarti mentre sono via. Ho in mente diverse missioni per te e per gli altri, una volta tornato," comandò Sentoki.

"Come vuoi," annuì lui, sfoggiando un sorriso dentato.

"Molto bene," disse allora l’anziano possessore del suo corpo, sorridendo senza allegria. "Ci vediamo dopo."
 
Boruto sentì il cuore precipitargli nello stomaco. "Mikasa! Sora!" gridò. "Urahara! Chiunque! Aiutatemi! Fermatelo!"

Ma fu tutto inutile. Le sue urla gli echeggiarono nel cranio e non fecero altro. Il biondo guardò, impotente, mentre l’Eremita attivava il potere dell’anello ed il suo corpo e quello di Temari scomparivano dalla dimensione artificiale. Poi ammiccò con le palpebre, e adesso il suo corpo era in piedi su un poggio erboso da qualche parte nella zona occidentale della Terra del Fuoco. Erano a qualche decina di chilometri dal Villaggio, realizzò, e di questo passo sarebbero arrivati nella Foglia in poche decine di minuti.

All'interno del suo stesso corpo, Boruto tremò di una rabbia sfrenata e – per quanto odiasse ammetterlo – di paura.

Temari strillò di gioia e iniziò a ballare allegramente per la sua ritrovata libertà. Sentoki si fece avanti e la aiutò a liberarsi dalle manette che Boruto le aveva posto. Le manette caddero sull'erba, scartate, e Temari sorrise mentre si massaggiava i polsi contusi.

"Dovremmo sbrigarci," disse lui, guardandosi nervosamente attorno.

Boruto ruggì nella sua mente. Si scagliò contro le catene che gli impedivano di controllare il suo corpo, invano. Questa Tecnica, qualunque cosa fosse, era estremamente simile a quella del Controllo della Mente usata da Annie. Ma come aveva fatto quell’Otsutsuki ad intrappolarlo in una Tecnica simile? Ad una tale distanza, per di più? Non lo sapeva, non c’erano risposte, e non le avrebbe mai ricevute lo stesso. L’unica cosa che contava veramente era riuscire a liberarsi. Ma adesso che era finito a sua volta vittima di un Jutsu del genere, Boruto non poté evitare di pensare a quanto fosse orribile la sensazione che stava provando.

Non si era mai sentito così impotente prima d’ora. Non c’era niente di peggio che sentire i segnali elettrici viaggiare lungo le sue membra e tuttavia farle rimanere immobili. Era… Era orribile. Terrorizzante. Inquietante. Non c'era sensazione più terribile di questa. O, almeno, Boruto non ne aveva mai provato una simile.

Incuranti del suo odio e della sua rabbia, Sentoki e Temari iniziarono una rapida corsa attraverso le pianure erbose mentre si dirigevano ad Ovest, verso il Villaggio della Foglia.

I minuti passarono e Boruto continuava a lottare per riprendersi il controllo del suo corpo. E mentre i minuti passavano, lui continuava a fallire, fino a quando non fu costretto ad ammettere che non c'era modo di sfuggire alla Tecnica dell’Eremita senza nessuna assistenza esterna. Non sapeva come fosse possibile, non sapeva come avesse fatto, ma non c’era modo di liberarsi. Era intrappolato, indifeso, solo… e stava per essere consegnato di nuovo ai suoi nemici. E questa volta, a differenza della prima, non ci sarebbe stato sicuramente scampo. Hagoromo, Sarada e suo padre se ne sarebbero assicurati. Il suo movimento ribelle sarebbe continuato, debole e senza leader, combattendo fino all’ultimo respiro prima della sua sconfitta definitiva...

Era esattamente la realizzazione del suo peggiore incubo.

"perché?" chiese Boruto. La sua voce uscì rotta e disperata, e Boruto si odiò per questo. "Perché? Perché tradirmi? Perché adesso?! Quando sono così vicino alla vittoria?! Perché fermarmi adesso che stavo per portare la Pace in tutto il mondo?! Avevi detto che eravamo amici!"

Il suo corpo fece una pausa. "...Perché," rispose Sentoki dopo un momento, parlando ad alta voce. "Sei diventato esattamente ciò che avevi giurato di distruggere, Boruto. Sei diventato la cosa che odio di più al mondo."

Temari lo guardò in modo strano mentre parlava. Hagoromo scrollò le spalle. "Sei diventato Vrangr, Boruto," disse gravemente. "La sperimentazione umana e il tuo disprezzo per la vita di innumerevoli persone ti ha portato alla follia, proprio come ha fatto con quel drago. Lo sterminio del clan Nara? Uguale alla distruzione che Vrangr ha causato in diversi mondi. So che sei contrario al sistema Ninja, ragazzo mio, ma quello che stai facendo è sbagliato. Tu non stai cercando di distruggere il vecchio sistema per portare la pace nel mondo… stai solo costruendo un nuovo sistema totalitario per riuscire a controllarlo."

Boruto tremò di una rabbia a malapena repressa. "Io non sono affatto come Vrangr!" gridò furiosamente. "Quello che faccio è necessario! Sto costruendo un mondo migliore! Un mondo che nessun altro tranne me potrebbe costruire!"

"...sono sicuro che anche quel drago abbia pensato di essere nel giusto, quando ha iniziato a percorrere il sentiero della follia," ribatté lentamente Hagoromo. “Dovresti saperlo meglio di chiunque, giovane Boruto. La strada per l’Inferno è lastricata da buone intenzioni.”

Come una candela che bruciava troppo intensamente, così la mente di Boruto bruciò di rabbia e dolore, mentre il suo Destino gli crollava prepotentemente sulle spalle. Era impotente, solo, e sconfitto; e non poteva fare altro che guardare il suo corpo e Temari che continuavano la loro marcia costante verso il Villaggio. Verso la fine. Verso la sconfitta.

E, lentamente, come un vulcano pronto all’eruzione, la sua rabbia crebbe e crebbe, senza sosta. E dove un tempo c'era stata una cupa accettazione, adesso nacque una nuova resistenza. Era ardente, furiosa, possente; qualcosa di feroce e determinato che sbocciava nel suo petto come un fuoco indomabile… e Boruto sentì che il suo cuore sarebbe scoppiato se non avesse agito. Perciò, in un ultimo atto disperato, il giovane guerriero fece l’unica cosa che poteva fare in quel momento di terrore e sconfitta totale.

Reagì con tutto sé stesso.

Chiuse gli occhi, e si raccolse per un'ultima carica. Un'ultima spinta, un ultimo tentativo, un’ultima resistenza. Una resistenza che sarebbe finita nella sua libertà o nella sua morte. Tutto ciò che era venne messo in moto: ogni speranza e sogno, ogni paura e ogni amore, ogni vittoria e ogni sconfitta… tutto. Tutto ciò che era venne messo assieme per quest’ultima carica. Agì con tutto quello che aveva dentro. Usò il suo chakra e la sua forza di volontà, la sua collera e la sua decisione; forgiando la sua determinazione in una lama affilata e guidandola poi in profondità nella barriera della sua mente, escludendola dal corpo.

La barriera si frantumò come una lastra di vetro. E come quando ci si getta contro una lastra di vetro per piombare nel vuoto, così Boruto ruzzolò fuori nel mondo, la sua anima libera e incontrastata ancora una volta. Solo… che non era il mondo che conosceva. Era un mondo feroce, sfocato e indistinto. Un mondo vuoto, con un vento eterno e ululante. Un mondo in cui non poteva vedere a più di una manciata di piedi davanti a lui. Un mondo in cui la pioggia turbolenta scendeva di lato con una forza pungente.

Ed era un mondo bellissimo, dipinto di oro e luci abbaglianti.
 

. . .
 


02 Febbraio, 0022 AIT
Terra del Fuoco
Tempio del Fuoco
12:30

Era passato molto tempo da quando i Cinque Abbati si erano riuniti, pensò Erit, mentre si inginocchiava davanti al tavolo basso su cui erano seduti tutti gli altri. Ovviamente, però, non erano tutti e cinque presenti. L'Abbate del Tempio del Vento, Benkei, era ancora assente, incapace di riprendere i suoi doveri mentre la sua Nazione era assediata dall’Impero. Così, toccava a lui e ai suoi fratelli continuare a sostenere i valori della Confraternita fino a quando non fosse riuscito ad unirsi a loro.

"Non credo che sarebbe saggio per noi unirci a questa Guerra," disse Inei, Abbate del Tempio della Terra. Era un uomo di corporatura e statura media agli occhi di Erit, con la testa priva di capelli e gli occhi di un marrone caldo e gentile. Ironia della sorte, era un amante della pace, alquanto diverso dalla precedente Tsuchikage, feroce e combattiva.

"Sono d'accordo," disse Tajima, Abbate del Tempio dell'Acqua, con un saggio cenno del capo. Era il più anziano tra loro – fisicamente, comunque – alto e flessuoso con una barba bianca come la neve che gli arrivava al ventre. Tuttavia, quegli occhi azzurri come il ghiaccio che li fissavano sotto palpebre cadenti parlavano di una forza di volontà che Erit aveva visto solo raramente. "Non sono convinto che questo nuovo arrivato sia la grave minaccia di cui parla il vecchio Sentoki."

Erit sospirò interiormente. Tajima, proprio come la gente della sua patria, seguiva il flusso dell’indifferenza, e Erit aveva sperato che sarebbe stato in grado di convincerlo a votare per l’intervento nella guerra che imperversava in tutto il continente.

"Comunque," borbottò Meishu, Abbate del Tempio del Fulmine. "La Confraternita è rimasta inattiva per troppo tempo. Non importa se questo Boruto Uzumaki sia o meno un falso utilizzatore del Ninshū. Noi non possiamo permetterci di continuare a lasciarlo agire indisturbato, permettendogli di fare a pezzi il mondo. Gli spiriti sono irrequieti, fratelli miei. Sicuramente anche voi l’avrete sentito, no?"

Erit era certo che Meishu fosse l'uomo con cui meno avrebbe voluto combattere. L'Abbate del Tempio del Fulmine era un modello del suo popolo: alto e corpulento, con la pelle abbronzata e le braccia larghe quanto la vita di un uomo muscoloso. Sembrava che potesse spezzare a metà un uomo con un solo braccio. Dei cinque di loro, era stato l'unico a scegliere di non radersi la testa. Aveva una lunga criniera di capelli biondo grano. Storicamente, poi, era il più forte degli Abbati, avendo combattuto in molte grandi battaglie nel corso di quasi due secoli.

Ed era anche, prevedibilmente, un sostenitore della guerra. Era su questo fattore che Erit faceva più affidamento. Insieme, loro due avrebbero potuto convincere Tajima ad unirsi nel voto per andare in guerra.

Erit si schiarì la gola. "Per favore, fratelli miei," disse. "Vi supplico, se non vi fidate delle mie parole, fidatevi del mio spirito. Guardate Boruto come l'ha visto Sentoki, comprendetelo come lo comprese lui. Allora, e solo allora, vedrete la verità."

Inei, Tajima e Meishu chiusero gli occhi, le teste ciondolanti, e Erit si unì a loro, protendendosi con il suo spirito mentre tutti e quattro diventavano uno. Erit si concentrò sulla battaglia, su quanto ferocemente combatterono Sentoki e Boruto, su quanto Sentoki avesse surclassato Boruto, e poi su come – lentamente – la battaglia si era trasformata, su come il cacciatore divenne preda, su come Boruto iniziò a capire Sentoki nel modo in cui Sentoki lo capiva: un guerriero affamato di anime, una persona affamata di connessione, desiderosa di attaccarsi a qualsiasi anima sfortunata che osasse vagare troppo vicina a lui.

Aprirono gli occhi all'unisono e i loro volti cupi rispecchiavano quello di Erit. "Ora lo comprendete, vero?" chiese a bassa voce.

"Q-Questo è molto... angosciante," disse Inei.

"Una ragione in più per andare in guerra," ringhiò Meishu.

"Sono... d'accordo," disse Tajima, portandosi finalmente al loro fianco.

Erit sorrise. Il più del lavoro era stato fatto. "Credo che sarebbe meglio se offrissimo la nostra alleanza alla Foglia," suggerì alla fine. "Insieme a loro, ci sarebbe ben poco che l'Impero potrebbe fare per sfidare-"

Le parole morirono sulle labbra di Erit non appena un'increspatura solenne prese ad echeggiare nell'eternità, pizzicando le corde che collegavano ogni anima e creando un doloroso canto di disperazione e risentimento. Erit trasalì, così come tutti gli altri Abbati, e guardò nell'abisso sbadigliante, chiedendosi cosa potesse aver turbato in tale modo gli spiriti.

"…una distorsione spirituale?"  mormorò Tajima, pensieroso.

"Un novizio," lo schernì Meishu. "Si sta trasmettendo a chiunque abbia un minimo di consapevolezza spirituale. Uno dei tuoi allievi, presumo, Inei?"

Inei ignorò la battuta e scosse la testa. "No, non è uno dei miei," disse. "Nessuno dei miei noviziati è ancora al livello necessario per poter eseguire un cammino spirituale."

"Neanche uno dei miei," aggiunse Tajima, accarezzandosi la barba.

Erit impallidì. Anche lui doveva ancora insegnare ai suoi studenti la disciplina e la consapevolezza spirituale necessarie per tentare in sicurezza una Tecnica avanzata e pericolosa come il cammino spirituale, quindi sapeva che non poteva essere uno dei suoi novizi. E, a giudicare dallo sguardo di Meishu, non era nemmeno uno dei suoi. Ma allora...

"…chi è?" chiesero all'unisono tutti e quattro gli Abbati.

Quella, pensarono tutti, era proprio una bella domanda.
 


. . .
 


Boruto incespicò alla cieca attraverso il mondo dorato, le braccia tenute davanti al viso e le mani davanti agli occhi per proteggersi dal vento ululante e dalla pioggia pungente. Era perso, solo e terrorizzato dalla paura dell'ignoto e dalla rabbia per il tradimento dell’Eremita. E più si addentrava nella tempesta, più si perdeva dentro di essa, e più Boruto sapeva che se non fosse fuggito presto si sarebbe perso e avrebbe ceduto agli elementi. Aveva bisogno di trovare un percorso, un modo per guidarsi attraverso la tempesta. Una destinazione.

Ma, in cuor suo, il ragazzo sapeva di essersi perso in un modo molto più grave di quanto pensasse l'ambiente circostante. Poteva sentirlo, in qualche modo – non sapeva come – ma Boruto sapeva di non essere nel suo corpo fisico. No, era... da qualche altra parte. Esisteva come... qualcos'altro. E questo era ciò che era più allarmante. Boruto temeva che se si fosse allontanato troppo si sarebbe perso per sempre. Perso in un modo più sinistro rispetto che al perdersi in qualche foresta.

Vagò per quelle che sembrarono ore con nient'altro che il vento lamentoso come unica compagnia. E ad ogni passo, Boruto diventava sempre più esausto, fino a quando mantenere in movimento un piede dopo l'altro divenne quasi impossibile.

Alla fine il suo "corpo" – per mancanza di una parola migliore – cedette, ed il giovane non poté più camminare. Era vuoto, bruciante per la stanchezza, esausto, arrabbiato, solo e spaventato. E, soprattutto, aveva paura. Paura del fallimento, paura di essere imprigionato, paura della sconfitta dopo tutto quello che aveva fatto e sacrificato. Paura che il suo sogno non si sarebbe realizzato mai, paura della morte, paura di non rivedere mai più i suoi amici, paura di non rivedere mai più Mikasa e Sora…

…c'era molta paura in lui, si rese conto Boruto.

Sospirò, e chiuse gli occhi, sdraiandosi. Il vento e la pioggia gli lambivano la pelle e Boruto lasciò vagare la sua mente mentre pensava a Mikasa e Sora, a Urahara e Toneri, a Gray e Juvia, a Shirou e Kairi, a Mitsuki e Kumo, e a Lucy. Pensò alla sua famiglia, ai suoi amici, a tutti coloro che lo seguivano e credevano in lui.

Fino a quando, per qualche motivo, accadde qualcosa.

"Non mi piace, ragazzi," disse Mikasa. L’occhio sinistro di Boruto si aprì di scatto. "Qualcosa non va."

Boruto balzò in piedi, con l’occhio spalancato, e si ritrovò in piedi in una delle arene di addestramento sotterranee dell'Occhio della Tempesta. Shirou stava lottando contro Sora e Gray, le sue mani che stringevano saldamente l'elsa di una spada, mentre Kairi e Juvia li osservavano assieme a Toneri. Più in disparte, Mikasa camminava nervosamente avanti e indietro.

"Mikasa! Ragazzi!" gridò il biondo, felice.

Nessuno dei suoi amici lo sentì. Sora continuò ad allenarsi con Gray e Shirou, e Mikasa continuò a camminare avanti e indietro. Boruto calmò il suo cuore che gli batteva freneticamente nel petto e corse davanti alla sua ragazza. Adesso il mondo era diverso, notò, e la tempesta dorata era passata. Boruto si rese conto di essere più distinto. Si sentiva solido, reale, ancorato in un modo che non aveva mai sentito prima. E libero dalla tempesta, si rese anche conto che l’aria e il cielo non erano le uniche cose dipinte d'oro. Lo era anche lui. Si guardò le mani, incorporee ed eteree, con un sottile velo di luce dorata che brillava sotto la pelle traslucida.

Il Nukenin ammiccò, confuso, ma non ebbe tempo per riflettere sulla sua nuova esistenza. In qualche modo, per qualche strano motivo, aveva trovato un'opportunità per salvarsi e non aveva intenzione di perdere tempo a pensare. "Mikasa!" gridò, avvicinandosi a lei. "Aiutami!"

"Se vi ha detto di restare qui, avrà avuto i suoi motivi," disse Shirou, mentre si muoveva per evitare un pugno di Gray.

"…lo sappiamo," sibilò Sora. "Ma dovremmo comunque essere con lui. Sapete com’è fatto Boruto..."

Boruto si lanciò in avanti e afferrò Mikasa per le spalle. Le sue mani attraversarono completamente le sue vesti e la sua pelle, trapassandola in modo innocuo, anche se il suo occhio la vide tremare come se avesse freddo. Mikasa lanciò uno sguardo acuto verso di lui, come se stesse cercando un avversario invisibile, e un'idea sbocciò nella mente del Nukenin. "Mi spiace se questo ti farà male, tesoro," le sussurrò. "Ma ho davvero bisogno di te. Ora più che mai."

Poi, senza più esitare, il biondo le affondò i pugni nel petto e Mikasa si ritrasse visibilmente. "Mikasa!" gridò, imprimendo quanta più urgenza possibile nella sua voce. "Aiutami!"

La nera sembrò riscuotersi, allarmata. "Qualcosa non va," disse di nuovo lei. Tutti si voltarono a guardarla. "Qualcosa non va. Me lo sento."

Boruto la guardò mentre correva fuori dalla stanza e lanciò un grido vittorioso, prima di inseguirla a sua volta. Sora, Shirou e Gray la guardarono, ammiccando, e presero a seguirla a ruota assieme a Kairi, Juvia e Toneri, allarmati.

La cavalleria stava arrivando, e questa cosa portò un sorriso sulle labbra di Boruto.

Mikasa si fece strada attraverso le tortuose sale del castello finché non arrivò al piano dedicato agli alloggi dell’Organizzazione. Urahara aveva la camera più lontana da tutti loro, tranne Kumo che sostanzialmente viveva nei laboratori.

La nera bussò alla porta. "Sensei!" gridò, sbattendo un pugno contro il legno rinforzato dal Fuuinjutsu (Arte dei Sigilli). "Sensei! Apri! È importante!"

Quando Mikasa – che aveva un'enorme forza fisica – picchiava su qualcosa, bisognava essere sordi per non sentirla. Ma Urahara non rispose, e Mikasa, come anche Boruto e tutti, comprese immediatamente che qualcosa non andava. La ragazza fece un passo indietro, inspirò con forza e poi buttò giù la porta con un calcio. La porta, rinforzata dai sigilli, resistette, ma il muro di pietra a cui era attaccata non fu così fortunato. La porta e il muro di cinta furono lanciati a razzo nella stanza di Urahara per quasi mezzo piede. Boruto annuì, impressionato, e prese nota di risolvere quel difetto in un secondo momento.

L'interno della stanza era buio e puzzava di marcio. Boruto arricciò il naso. Mikasa s’inginocchiò accanto a Urahara che giaceva in coma sul suo letto. Le sue mani brillarono di chakra verde cristallino mentre le faceva scorrere sul corpo dell'uomo. "Veleno," annunciò agli altri che indugiavano vicino alla porta, tutti tesi ed in guardia. "Una neurotossina della Terra del Fuoco. Posso curarlo."

Juvia si fece avanti. Estrasse un antidoto da uno dei sigilli di stoccaggio che si era tatuata sui palmi delle mani e lo costrinse nella gola di Urahara. L'uomo dai capelli spettinati tossì e sputò, ma Boruto poté vedere un po' di colore tornare e il suo pallore innaturale svanire quasi immediatamente. Mikasa mise un palmo sulla fronte del suo maestro e lasciò che il Palmo Mistico facesse il suo lavoro. Dopo alcuni lunghi, agonizzanti secondi, gli occhi dell’uomo si aprirono. Erano annebbiati dal dolore, ma coscienti.

"Urahara!" sibilò Toneri, teso come non mai. “Che cosa è successo?”

“N-Non lo so,” esalò affannosamente lui, tossendo e tremando. “I-Il mio corpo… mi è stato rubato.”

Kairi e Juvia impallidirono. Gray si fece subito avanti. “Che stai dicendo?”

Urahara fece due rapidi respiri affaticati prima di rispondere. “Q-Qualcuno ha preso il controllo del mio corpo,” spiegò, ansimando. Tutti quanti trattennero il respiro all’udire ciò. “Mi… Mi ha costretto a lasciare le prigioni e bere u-un veleno che avevo nascosto in camera. C-Credo che abbia fatto lo stesso con Kumo e Mitsuki. Se ne sono andati prima di me per qualche motivo, prima che il mio corpo mi venisse rubato.”

Quella notizia li fece riscuotere di colpo. Toneri si voltò immediatamente verso gli altri. “Gray!” urlò.

Il Signore del Gelo annuì prontamente. “Io e Shirou andremo a controllarli!” esclamò, scattando assieme al samurai verso le altre stanze.

Mikasa serrò ferocemente i denti, voltandosi verso la ragazza alla sua destra. "Kairi, ho bisogno che controlli immediatamente la posizione di Boruto. Penso che sia successo qualcosa di terribile. Presto!" ordinò con urgenza.

Kairi annuì, chiudendo gli occhi, e Boruto sentì qualcosa indugiare su di lui, prima che la sensazione passasse velocemente. "È... vicino al confine della Terra del Fuoco," esclamò con orrore. "Si sta dirigendo verso Konoha! Ed è con... Temari Nara... e... un altro?"

Mikasa sbatté un pugno nel terreno vicino al letto di Urahara e la pietra andò in frantumi. Toneri assunse un’espressione gelida.

"Fanculo!" imprecò a gran voce Juvia. "Boruto non avrebbe mai preso Temari e qualcun altro al nostro posto. Men che mai per dirigersi al Konoha. Ciò significa..."

"-che anche lui è caduto in una trappola," realizzò Sora con rabbia. Boruto sorrise. Se c'era una cosa che il suo fratello odiava di più, questa era un combattimento disonorevole. Da parte dei nemici, ovvio. "Ma com'è possibile?! Come hanno fatto a raggiungerci qui?"

Mikasa fece dei rapidi respiri irregolari per calmare il suo tumulto interiore. Adesso non era il momento delle domande. "Merda. Okay. Sensei, ascoltami," disse velocemente, con urgenza. "Starai bene. Ti abbiamo già dato l'antidoto e ho prestato il primo soccorso. Toneri resterà qui ad aiutare te, Mitsuki e Kumo, e io e gli altri andremo a salvare Boruto. Resta qui e riposati, okay?"

L’uomo solitamente allegro annuì debolmente e chiuse gli occhi, addormentandosi, anche se Boruto poteva ancora sentire lo sguardo spettrale di qualcosa – o qualcuno – fissato su di lui. O meglio, sul suo chakra.

"Io raggiungo gli altri!" gridò allora Toneri, correndo per il corridoio e lasciando da soli Mikasa, Sora, Juvia e Kairi. "Voi usate gli anelli e teletrasportatevi vicino al confine della Terra del Fuoco. Boruto è nei guai!"

I suoi amici annuirono e Boruto allungò una mano per afferrare Mikasa. La vide rabbrividire di nuovo, guardandosi freneticamente da una parte all'altra. Il biondo sorrise affettuosamente e la accarezzò in modo rassicurante. Un attimo dopo, furono teletrasportati in un piccolo villaggio agricolo che si affacciava su una foresta tentacolare. Insieme, tutti e quattro iniziarono a correre verso Nord, verso la direzione dove avrebbero dovuto incontrare il Villaggio. Boruto li seguì a sua volta, e poté solo sperare e pregare che potessero raggiugerlo in tempo prima che l’Eremita e Temari lo consegnassero alla Foglia.

Il Nukenin li seguì, anche se più a lungo correvano e più durava il silenzio, più il mondo diventava sfocato e indistinto. Poteva sentire di nuovo il vento ululante di prima, e questa cosa gli faceva battere pesantemente il cuore nel petto, come un uccello in gabbia spaventato di tornare a perdersi nella tempesta.

Raggiunsero la cima di una collina dopo un paio di minuti. In lontananza, Boruto poteva vedere due ciuffi di capelli dorati muoversi attraverso la campagna. Mikasa scattò alla carica come un razzo, Sora subito dietro di lei con Juvia e Kairi al suo fianco; e Boruto li inseguì. La sua esistenza – qualunque cosa fosse – non sembrava essere veloce come il suo corpo fisico in carne e ossa, quindi Boruto era a pochi passi di distanza quando i suoi amici irruppero in un boschetto di alberi, entrando in una piccola radura. D'altra parte, però, i suoi occhi avevano una vista abbastanza eccellente. Perciò riuscì chiaramente a vedere il momento in cui Mikasa si impennò e sferrò un pugno sul suo corpo con quella che, secondo la sua stima, era una buona parte della sua forza. Il suo corpo, stravolto e allibito, volò in aria e andò a sbattere contro il tronco di un grande albero, frantumandone la corteccia, prima di cadere esanime a terra. Nel frattempo, Sora si avventò su Temari con rabbia, inchiodandola al terreno mentre Kairi la intrappolava in un Genjutsu (Illusione).

Boruto si portò vicino a Mikasa. Vide un fumo sottile ed invisibile che scivolava fuori dalle labbra del suo corpo e lo guardò mentre esso iniziava a disperdersi rapidamente nell’aria. Mikasa lanciò inutilmente un pugno alla nuvola di fumo, prima di rendersi conto che avrebbe fatto poco o nulla. Juvia la raggiunse, inspirò dalle labbra e sputò fuori un'ondata d'acqua che catturò alcuni ciuffi di fumo ma poco altro. L'acqua assorbì quel poco fumo che era rimasto, appiattendolo e facendolo affondare sotto la terra.

Boruto esalò un sospiro. Sperò che questo potesse essere sufficiente per allontanare l’Eremita e la sua influenza, ma aveva poca fiducia di ciò. Probabilmente avevano solo annullato il controllo della Tecnica, e nient'altro.

Mikasa imprecò ad alta voce e si precipitò al suo fianco. "Boruto? Boruto!" esclamò, inginocchiandosi e scuotendolo dolcemente per la spalla. Le sue mani brillarono di verde per la seconda volta nello stesso giorno. "Andiamo, Boruto. Svegliati! Non ti ho colpito così forte! Torna da me..."

Fu in quel momento che il Nukenin si rese conto di una cosa. Stava fissando il proprio corpo dall’esterno, e non aveva idea di cosa avrebbe dovuto fare per... rientrarvi.

"Beh… merda," mormorò.

"Non si sta svegliando..." notò Sora, teso.

Boruto girò intorno a Mikasa e al suo corpo mentre si scavava il cervello in cerca di una soluzione. Il suo ricordo di ciò che aveva fatto prima di inciampare nella tempesta d'oro era caotico nella migliore delle ipotesi. Non era sicuro di poter replicare la stessa impresa per ripetere il processo, figuriamoci poi invertirlo per tornare al suo corpo. Fino ad adesso aveva pensato di aver – in qualche modo – sciolto il suo chakra dal corpo fisico. Ma ora, stando in piedi davanti al suo corpo, Boruto poteva sentire il ronzio elettrico del suo chakra appena fuori dalla sua portata. Quindi no, non era quello il caso.

Una seconda opzione era che in qualche modo, per puro istinto, avesse eseguito una Tecnica simile a quelle del clan Yamanaka. Tuttavia, Boruto non sapeva molto di quel clan, e non aveva mai sentito parlare di un qualche Yamanaka – per non parlare di altri Ninja in generale – in grado di proiettare la loro mente così lontano dal corpo senza che si disfacesse come una corda sfilacciata.

Ma questa consapevolezza era... per quanto ridicolo ed estraneo suonasse... un'opzione valida. In mancanza di una parola migliore, Boruto aveva "rigurgitato" la sua anima fuori dal suo corpo. Questa cosa era strana. Decisamente strana. Aveva letto in diverse pergamene antiche di Tecniche che discutevano sulla natura del chakra e dell’anima. Il chakra era la fusione delle energie Yin e Yang. L’energia Yang, come quasi tutti i rotoli erano d'accordo nel descrivere, proveniva dal corpo fisico. Sull’energia Yin, invece, c'era dissenso. Alcuni saggi teorizzavano che provenisse dalla mente, che fosse la sensibilità che diede vita al chakra. Sostenevano la loro argomentazione affermando che gli umani, in quanto creature più senzienti del normale, avevano un chakra più potente, mentre le creature meno senzienti, come ad esempio i cani Ninja del clan Inuzuka, avevano un chakra meno potente. Altri invece sostenevano che l'energia Yin fosse l'energia dell'anima, dello spirito; immortale, immateriale e indistruttibile.

Il dibattito infuriava da innumerevoli secoli. Ma, fino ad ora, a Boruto non era mai importato particolarmente. In passato, la sua unica preoccupazione era stata studiare quei temi per capire cosa poteva fare con il suo chakra. Ma, tra le due, era sempre stato portato a credere che la teoria secondo cui l’energia Yin era derivante dalla sensibilità fosse quella più probabile. Ora, data la possibile prova del contrario e le esperienze passate con la sua "Luce", non ne era più così sicuro. Ma di certo detestava considerare la nozione di "fantasmi", e la possibilità che la sua attuale esistenza potesse essere descritta come tale. Doveva esserci una spiegazione logica.

"Andiamo, Boruto..." sussurrò Mikasa, sempre più tesa e disperata.

Un’idea gli balenò in testa. Facendo un atto di fede – letteralmente – Boruto scrollò le spalle e balzò in avanti, veleggiando nell'aria, prima di cadere pesantemente nel suo corpo privo di sensi.

I suoi occhi si sgranarono di colpo. Il Nukenin barcollò e si raddrizzò di scatto, la sua fronte che sbatteva contro il mento di Mikasa. I due sibilarono per il dolore e si ritrassero inconsciamente, ma Boruto non riuscì ad impedire ad una risata vittoriosa di sfuggirgli dalle labbra mentre il dolore gli ricordava che era tornato nuovamente nel suo corpo. E, cosa ancora più importante, ne aveva il controllo.

I suoi occhi si riempirono di lacrime di sollievo.

"Boruto!" esclamò Mikasa, abbracciandolo immediatamente. "Stai bene? Cos'è successo?!"

Il biondo riusciva a malapena a risponderle tra gli esilaranti scoppi di risate che lo squassavano. Poi, tuttavia, si ricordò quello che era successo. "Hagoromo," sibilò, balzando in piedi.

Ci fu un rumore di passi nella boscaglia e tutti e cinque si voltarono verso la fonte del rumore mentre Lucy, accompagnata dal corpo senza vita di Danzo Shimura – una delle marionette di Kumo – irruppe nella radura a sua volta. Lucy era arrossata e aveva il respiro affannoso, ma sembrava estremamente sollevata di vederlo sano e salvo. Lo Sharingan del burattino di Kumo, invece, scrutava la radura con diffidenza.

“Kumo e Mitsuki stanno meglio,” riferì alla fine la marionetta umana con la sua voce profonda. “Toneri e gli altri li hanno trovati. Hanno subìto lo stesso trattamento di Urahara.”

Boruto serrò i pugni con rabbia. “Quel dannato Otsutsuki!” ringhiò ferocemente. “Ha osato ferire me, il mio maestro ed i miei amici! Giuro che gliela farò pagare, un giorno!”

Sora lo guardò con preoccupazione. “Aspetta, è stato l’Eremita delle Sei Vie a causare tutto questo?” domandò.

Boruto annuì. “Non so come abbia fatto, ma si è impossessato dei nostri corpi per riuscire a liberare la prigioniera e consegnarmi alla Foglia,” spiegò, fissando con odio l’orizzonte verso la direzione del Villaggio. "Voglio che venga trovato," aggiunse alla fine, rivolgendosi alla marionetta. "Spargi la voce in lungo e in largo. Contatta l'associazione dei cacciatori di taglie della Nebbia e dì loro che l'Impero offre un miliardo di Ryo per la testa dell’Abbate Sentoki. Voglio il suo nome e la sua faccia in ogni Libro Nero dei Ricercati, dalla Terra dell'Acqua alla Terra del Vento!"

La marionetta di Danzo annuì, avvicinandosi lentamente. "Ti chiedo scusa," disse invece Lucy, la voce bassa e roca per la vergogna. "Non sapevo quale fosse la situazione e ho agito in ritardo..."

"Va tutto bene," la rassicurò il biondo. “È finita, per adesso. Ora faremmo meglio a fuggire da qui prima che il Settimo o qualche sensore della Foglia ci scopra.”

Detto ciò, con un cenno collettivo del capo, tutti loro assieme a Temari scomparvero in una nuvola di fumo.







 

Note dell’autore!!!
 
Questo capitolo è un pò più diverso dal solito. In esso ho inserito degli accenni a spiegazioni che vi ho già mostrato in passato, sul Ninshū e sull’immortalità dell’anima. Ovviamente, col tempo verranno approfonditi sempre più. Però non dateci troppo peso. Non saranno informazioni molto rilevanti per il futuro o per lo sviluppo della storia, né ho intenzione di rendere la vicenda estremamente complicata o contorta. Volevo solo dare approfondimento a domande lasciate in sospeso nei capitoli precedenti e a questioni accennate in passato, per essere preciso e completo.

La scena degli Abbati riuniti assieme è più una piccola parentesi secondaria che un’evoluzione seria degli eventi. I monaci Ninja avranno poco da dire nella storia e nella guerra. Prendete quella scena semplicemente come una curiosità per gli appassionati, e nient’altro.

Detto questo, come avete visto Boruto l’ha rischiata grossa, oggi. Il Ninshū ha delle abilità davvero pericolose dalla sua parte – abilità tra l’altro citate anche nei film di Shippuden e quindi non inventate da me – e volevo assolutamente inserirle nella mia storia. La Tecnica usata dall’Eremita è una di queste. Ma Hagoromo e il suo Ninshū non saranno l’unico ostacolo che Boruto dovrà superare durante la Guerra. Vedremo presto che cosa significa.

Vi invito, come sempre, a leggere e commentare. Semmai ci fossero degli errori, vi prego di farmeli notare così da poterli correggere quanto prima. Grazie a tutti in anticipo.

A presto!
   
 
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