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Autore: SSnape    27/09/2020    1 recensioni
Harry incontra Piton mentre sta cercando la definizione di casa, e si ritrova coinvolto negli incarichi dell'uomo per l'Ordine. Lungo la strada, lui e Piton imparano personalmente nuove definizioni. No slash.
(Questa storia è una traduzione)
Genere: Fluff, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Potter, Severus Piton
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VI libro alternativo
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Note dell'autore: si parlerà un po' dell'abuso dei Dursley, ma non si entrerà molto nel dettaglio. Si svolge subito dopo il disastro nell'Ufficio Misteri. (Le note della traduttrice si trovano alla fine del capitolo).

 

Capitolo 1, A Sip in the Park

Era una piccola sveglia di Topolino, che Dudley aveva portato da Disney Land, a Parigi, in un'estate di tanto tempo fa, quando Harry era rimasto bloccato con la signora Figg. Aveva smesso di funzionare dopo qualche anno ed era stata gettata nella seconda camera di Dudley insieme a tutti gli altri giocattoli rotti, e ad Harry c'erano volute tre ore per ripararla quando aveva dieci anni.

Tutto per niente però, dal momento che Harry l'aveva ridotta in mille pezzi venti minuti prima.

Il battere forte della pioggia contro la finestra in un pomeriggio di inizio estate, unito al forte ticchettio della sveglia, aveva fatto venire un tic nervoso ad Harry, mentre due parole battevano nel suo cuore ad ogni ticchettio.

Ce-dric. Si-rius. Ce-dric. Si-rius. Ce-dric. Si-rius.

Sapeva che al piano di sotto Dudley, sua zia e suo zio erano seduti insieme a guardare i loro soliti programmi televisivi del giovedì. Stavano probabilmente condividendo anche un'enorme confezione di popcorn, mentre ridevano per quegli stupidi show. Avevano ignorato Harry per gran parte dell'estate in cui era stato a casa, preferendo lasciargli tenere il broncio nella sua camera. Zio Vernon lo chiamava “tenere il broncio”; zia Petunia, invece, “piangersi addosso”. Ma qualunque cosa fosse, pretendevano entrambi che finisse presto e che ricominciasse a trasportare il proprio peso in giro per la casa.

Harry fissò la sveglia che aveva rotto per la rabbia, la quale si era placata solo un po'. Il numero due sulla lista, sbuffò Harry a se stesso. Le Cinque Fasi del Dolore. Per la rabbia aveva camminato in cerchio per molto tempo.

Si sedette sul suo letto fissando un pezzo di carta che era passato così tante volte fra le sue mani, da diventare morbido. Dale street, a Stockport, in Inghilterra – era un indirizzo che aveva trovato in uno dei vecchi scatoloni di sua zia nella mansarda. Il giorno in cui era tornato da Hogwarts per la prima volta, aveva passato quattro ore a rovistare tra quegli scatoloni, alla ricerca di qualsiasi cosa lo mettesse in contatto con la sua vera famiglia, con i suoi genitori. E tutto quello che aveva in mano era un indirizzo.

Alzandosi dal letto, Harry si diresse con determinazione verso il proprio guardaroba e tirò fuori uno zaino. Che rimangano pure a ridere di sotto, la loro famigliola! Lui sarebbe andato a Stockport e avrebbe trovato la sua. Harry mise alcuni vestiti di ricambio nella sua borsa e tirò fuori la sua bacchetta da sotto un'asse del pavimento. Anche il mantello dell'invisibilità era stato messo nella borsa, e aveva liberato Edvige, dicendole di volare fino alla Tana e restare lì per qualche tempo.

Dopo aver controllato la sua camera per assicurarsi di non aver dimenticato nulla di importante che potesse essere danneggiato dai Dursley, Harry indossò velocemente una felpa con cappuccio e scese le scale con passo pesante. Dudley, com'era da aspettarsi, era incollato alla televisione. Zio Vernon era seduto al suo fianco e ignorava ancora l'esistenza di Harry. Si diresse verso la cucina, dove sapeva che sua zia stava ripulendo lo sporco che Dudley e zio Vernon avevano lasciato.

Lei diede uno sguardo alla sua borsa e incrociò le braccia con sguardo malevolo.

“Dove credi di andare, ragazzo?”

“Stockport”, replicò Harry con un tono simile, godendo dello sguardo sorpreso sul volto della zia. Di tutte le risposte, sapeva che la risposta che meno si aspettava era proprio quella.

Petunia si accigliò e lanciò nel lavandino lo straccio che stava reggendo.

“Non capisco perché vorresti andare in quel postaccio!”

“Per vedere dove è cresciuta mia mamma”, rispose Harry, tenendo sotto controllo la propria rabbia. Zia Petunia era ancora la sua tutrice, quindi il permesso per andare era piuttosto necessario.

Petunia lo stava studiando, e non le era sfuggito che Harry stesse muovendo la sua mano sulla manica sinistra della felpa, dove immaginava fosse nascosta la sua bacchetta.

“Devi rimanere in casa, per le protezioni o per qualche sciocchezza simile”. Era una debole scusa, ed Harry sapeva che a Petunia non importava molto che partisse.

“Sto andando nel luogo dove mamma è cresciuta. Credo che sarò al sicuro là”, replicò Harry, nel suo tono più sarcastico. Anche Piton ne sarebbe stato orgoglioso.

“Bene”. Si voltò per prepararsi uno spuntino, congedando di fatto suo nipote.

Lui si diresse lentamente verso la porta, ma si fermò al richiamo della zia.

“Harry, non tornare fino a lunedì. Staremo fuori tutto il fine settimana”. Non si era presa il disturbo di guardarlo, né aveva chiesto dove sarebbe stato. L'affermazione significava semplicemente che lui avrebbe dovuto comportarsi abbastanza bene da evitare che qualsiasi gufo fosse loro inviato.

 

 

Harry prese il pullman per Londra, viaggiando alla maniera babbana per evitare di essere riconosciuto sul Nottetempo. Una volta giunto a Londra, passeggiò intorno alla stazione dei treni per un po', prima di raccogliere abbastanza coraggio per avvicinarsi a Tesco e prendere una confezione da sei lattine di birra. Acquistò anche delle patatine e un tramezzino preconfezionato per il viaggio in treno. Il cassiere di vent'anni aveva esaminato la sua carta d'identità piuttosto energicamente, ma Harry sapeva che era perfetta. Aveva impiegato un paio d'ore a scuola a modificare la data per farsi più grande, ma era piuttosto orgoglioso del risultato.

La sua borsa era leggermente più pesante ora. Harry acquistò un biglietto di sola andata e attraversò i binari di King's Cross, infilandosi tra la folla dei turisti estivi. Le sue gambe sembravano essere in pilota automatico e, silenziosamente, attese che il treno arrivasse al binario 7. Harry chiuse gli occhi mentre famiglie rumorose si riunivano attorno a lui come una tempesta in attesa. I suoi piedi si erano diretti inconsciamente verso l'ingresso del binario 9 ¾ .

Il treno arrivò dieci minuti più tardi e Harry salì su velocemente. Guardò storto chiunque guardasse verso la sua direzione, assicurandosi così che nessuno si sedesse vicino a lui mentre il treno iniziava a muoversi verso il cambio alla stazione di Euston. Il biglietto per Manchester era più costoso di quanto avesse pensato, e nonostante avesse pianificato il proprio viaggio molto meglio di quando era fuggito dopo aver gonfiato zia Marge, Harry si ritrovò a contare attentamente le proprie monete. Forse al ritorno avrebbe dovuto prendere il Nottetempo, che era più economico e più veloce da chiamare.

Harry mise un paio di cuffie nelle orecchie e accese il proprio lettore Cd o, meglio, quello vecchio di Dudley. La musica riempì le sue orecchie e lui si appoggiò contro il sedile. Pioveva ancora a Londra, e la pioggia batteva contro i finestrini del treno. Harry rabbrividì al ricordo del viaggio in treno verso Hogwarts durante il suo terzo anno. Si ritrovò a guardare verso il corridoio, a cercare Remus perché lo proteggesse di nuovo dai dissennatori, di cui non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione.

Ma Remus non c'era. Invece vide un riflesso acqueo nella finestra, ed Harry si disse che non era il volto di Sirius quello che stava vedendo.

Negazione.

Per un momento Harry volle spaccare la finestra, volle distruggere quel riflesso immaginario che lo derideva. Harry sapeva che la sua rabbia cresceva facilmente, dopo aver passato l'ultimo anno ad essere pungolato da Voldemort, ma almeno la rabbia era qualcosa che poteva provare.

Chiuse gli occhi e aumentò il volume della musica, sperando di trovare qualcosa di meglio a Stockport.

 

 

Il pullman da Manchester a Stockport era stato pieno di adolescenti fastidiosi, animati dall'eccitazione di uscire la notte. Erano già le sei di sera quando Harry era arrivato, e quando il pullman aveva scaricato lui e la sua borsa nel centro del paese, la prima cosa che aveva fatto era stata fermarsi per un altro boccone.

Tuttavia, ora che si trovava di fronte alla casa d'infanzia di sua madre, Harry desiderò non aver mai mangiato nulla per cena. Il suo stomaco si stava agitando, e il suo semplice tramezzino di pollo non stava troppo bene. Quella degli Evans era una casa a schiera ben tenuta sulla lunga strada, di mattoni rossi con bianche rifiniture attorno alle finestre e un piccolo giardino decorato da una dovizia di fiori. Il nome sulla cassetta delle lettere era cambiato, ma Harry suppose che la casa fosse ugualmente invitante quando sua madre aveva vissuto là.

Le finestre erano coperte parzialmente, ma Harry poteva vedere attraverso la vetrata principale che una famiglia si stava giusto sedendo per cena. La luce che ne veniva fuori era di un giallo caldo, e Harry vide che al piano di sopra la luce era rimasta accesa anche nella camera da letto. Pigramente, si domandò se fosse stata la stanza di sua madre.

I suoi pensieri furono interrotti da un colpo di tosse, e Harry si voltò per vedere che una macchina si era accostata al suo fianco. Harry mantenne un atteggiamento disinvolto, non volendo apparire alla polizia come uno che fosse colpevole di qualcosa. Non sembravano pensarla così, comunque, da quello che si poteva capire dal loro tono annoiato.

“Sulla tua strada allora, giovanotto?”, l'autista lo osservò con curiosità, ed Harry lo interpretò come un avvertimento a non indugiare di fronte alle case degli estranei.

“Sto tornando a casa”, replicò Harry, raccogliendo lo zaino e avviandosi, salutando amichevolmente gli ufficiali. Il suo sorriso svanì mentre girava l'angolo. Sentendosi un completo idiota. Giovedì sera al freddo, e non aveva un posto in cui stare. Harry si incamminò lungo la strada verso il parco che aveva visto prima, facendosi largo fra gli alberi e evitando le persone che portavano a spasso i cani la sera. Stava seguendo qualcosa, un tocco magico lievemente accogliente che riusciva a sentire. Harry aveva provato qualcosa del genere in passato, un piccolo conforto che era stato lì quando aveva affrontato Voldemort nel cimitero.

Per il sentiero verso il campo da calcio, Harry seguì la sensazione amichevole, fermandosi finalmente davanti a una fitta vegetazione ricca di arbusti dall'aspetto minaccioso intorno ai tronchi degli alberi. Harry puntò la bacchetta contro i cespugli, curioso di sapere perché sembrasse giusto essere lì. Dopo averli finalmente messi da parte, Harry vide che lì c'era un vecchio albero cavo, largo abbastanza da contenere una o due persone piccole. Con un sorrisino si sistemò dentro la cavità, con una coperta sopra le gambe e con una confezione di birra vicino.

Usando una torcia che aveva preso da Privet Drive, Harry ispezionò l'interno del suo nuovo rifugio, comprendendo improvvisamente perché gli fosse sembrato giusto essere finito lì. Sopra l'entrata Harry poteva leggere, graffiato nella corteccia, il nome di sua madre. Qualcos'altro era scritto sotto il nome “Lily” in grassetto, ma Harry non poteva leggerlo poiché qualcuno l'aveva reso illeggibile. Tracciò lentamente il dito sulla scritta prima di sedersi. Harry si avvolse nelle coperte che aveva portato, e tenne alta la birra in onore del nome di sua madre, facendo un breve brindisi prima di bere tutto quello che poteva in un sorso.

Un'ora dopo, nello stesso paese, quando un mago rientrò a casa sentì il lieve suono di un allarme in una camera inutilizzata nel piano più alto. L'allarme venne studiato, poi maledetto, e infine il mago lasciò la casa, chiudendo con violenza la porta d'ingresso dietro di lui e partendo a passo svelto.

 

 

“Piccolo idiota”. L'uomo raggiunse la cavità dell'albero e afferrò quello che c'era al suo interno. Strappò via Harry e lo resse in piedi, ma il ragazzo era come un peso morto nelle sue mani.

“Alzati, Potter”.

Harry si ritrovò ad essere tirato fuori dalla piccola cavità dell'albero da braccia forti. Erano coperte da uno spesso materiale nero, e per un secondo pensò che la polizia fosse ritornata per lui. Dopo essere stato tirato in piedi, fu finalmente in grado di vedere la faccia arrabbiata e silenziosa di fronte a lui, occhi neri scintillavano di rabbia alla luce del lampione.

“Oh merda, è Piton”, disse ridacchiando, sebbene la presa di Piton sul suo braccio fosse diventata piuttosto dolorosa.

“Perché sei ubriaco?”, gli chiese Piton, calciando una lattina di birra ai piedi di Harry.

Harry gli lanciò uno sguardo buffo, prima di crollare un po' sulla presa di Piton.

“Sirius mi ha fatto ubriacare. E Cedric”, singhiozzò Harry, finalmente libero dal desiderio di ridere. Un lampo di qualcosa che Harry non aveva mai visto prima comparve negli occhi di Piton, ma prima che Harry potesse verificare se fosse preoccupazione, il corpo di Piton si irrigidì mentre guardava dietro le spalle di Harry. Qualcuno si stava avvicinando, e nel farlo stava facendo un po' di rumore. Piton raccolse dall'albero lo zaino di Harry, e con uno sguardo di gran fastidio condusse Harry verso l'entrata del parco.

Harry inciampò un bel po' di volte, mentre cercava di tenere il passo di Piton, perdendosi irrimediabilmente mentre Piton lo conduceva lungo alcuni piccoli vicoli e finalmente si fermava davanti ad una vecchia porta nera di legno. Harry vide che la piccola strada era pulita, ma malmessa, e che la piccola casa a schiera davanti alla quale si trovavano appariva completamente anonima e parzialmente inabitata. Piton aprì la porta con una chiave e mise una mano sulla spalla di Harry per spingerlo avanti.

“Dentro”, ringhiò l'uomo, davanti all'evidente riluttanza di Harry.

La confusione della mente ubriaca di Harry lo lasciò abbastanza a lungo da fargli ricordare che lui odiava Piton, non importa quanto calda sembrasse la casa paragonata alla fredda serata all'esterno.

“Neanche per idea! Proverà ad uccidermi, come ha fatto con Sirius”, farfugliò Harry a voce alta, spingendo la mano contro lo stipite della porta.

“ Bellatrix Lestrange ha ucciso Black, e se non entri in casa nei prossimi cinque secondi, Potter, ti lancerò una maledizione e ti spingerò dentro io stesso”.

Harry fece per aprire bocca di nuovo, ma la bacchetta nera di Piton fu improvvisamente puntata tra i suoi occhi e la mano nella sua schiena divenne forte come l'acciaio. Harry entrò nella casa con riluttanza ed entrò nel piccolo atrio. Deglutì di fronte alle anguste scale e lanciò a malapena un'occhiata all'ufficio alla sua destra mentre veniva spinto attraverso una piccola entrata e finiva in una stanza circondata da libri. Harry suppose che questa, originariamente, doveva essere la sala da pranzo, perché la cucina era in fondo alla stanza, con il telaio della porta del tutto aperto a collegarle.

Piton lo spinse su una vecchia sedia nella cucina, e Harry prese il bordo della sedia dove il materiale negli angoli si stava staccando. Piton era occupato a riempire un ampio bicchiere d'acqua, e spaventò Harry quando sbatté rumorosamente il bicchiere sul tavolo scheggiato della cucina.

“Bevilo, se desideri mantenere una mediocre operatività domani”

Harry strinse gli occhi guardando Piton, che era appoggiato sul piano di lavoro giallo sbiadito.

“Non ha una pozione per i postumi della sbornia? Sa, si beve, si dimentica, niente dolore”, disse Harry, agitando una mano durante la spiegazione. L'altra mano avvolgeva il bicchiere, ma non fece nessun movimento per bere l'acqua.

“Quando bevo, lo faccio per soffrire, Potter”, rispose Piton, dopo un momento di riflessione.

Harry penso di aver visto un atteggiamento di sfida dietro la dura occhiata di Piton, e decise di bere l'acqua. Aveva sete, ma immaginava che chiedere un'altra birra probabilmente non sarebbe stata la cosa migliore da fare.

“Spiega come sei arrivato al parco”, chiese Piton in tono pratico, dopo che Harry aveva ingoiato due enormi sorsi d'acqua.

“Ho preso un pullman”, rispose velocemente Harry, sulla difensiva. Questa volta bevve l'acqua per il fastidio.

“Perché hai preso il pullman fino a qui, Potter?”, l'enfasi sull'ultima parola fece sobbalzare Harry.

“Conosce la definizione di casa?”

Piton si fermò e fissò Harry, cercando di seguire la conversazione. “Un luogo in cui una persona vive in un momento preciso”. La risposta di Piton venne lentamente, e attese di vedere cosa Harry ne avrebbe fatto.

“No, non è quello che sto cercando”. Harry scosse tristemente la testa, urtandola quasi sul tavolo. Riguardò in alto quando Piton tamburellò sul tavolo.

“Perché, Potter”.

“Volevo vedere dove mia mamma era cresciuta”, disse Harry, cercando di focalizzare i due Piton sfuocati che erano improvvisamente apparsi di fronte a lui. Un'espressione acida apparve sul volto di entrambi.

“Missione compiuta. Quando sarai sobrio, prenderai il pullman e ritornerai da dove sei venuto”, disse Piton con tono di scherno, facendo schioccare le dita di fronte al viso di Harry per attirare l'attenzione del ragazzo.

“Andrò ora, dal momento che sono un tale fastidio”, sputò Harry, prima di fare per alzarsi. Scoprì improvvisamente di non riuscirci, poiché Piton lo aveva incollato alla sedia con un incantesimo aderente. “Che diavolo significa?”, borbottò Harry, tirando i jeans sulle sue gambe.

“Sobrio, Potter. Non ti farò vagare, da ubriaco, per l'intera Inghilterra. Domani i tuoi parenti potranno andare a prenderti alla fermata del pullman”. Le sopracciglia di Piton si erano ristrette e Harry poteva vedere che teneva in mano la bacchetta senza stringerla troppo.

Harry iniziò a ridacchiare nuovamente. “Questa è bella!”.

Il sopracciglio di Piton si alzò ulteriormente e sembrava che stesse ponderando qualcosa.

“Qual è il tuo numero di telefono, Potter?”. Si mosse sul lato dell'armadietto della cucina, dove un piccolo telefono babbano era attaccato alla presa della corrente sulla parete. Harry lo guardò come un pesce che fosse appena stato intontito.

“Come fa a sapere cos'è un telefono?”

“Sono un uomo misterioso”, rispose Piton, con un'espressione imperturbabile. Era una dichiarazione che Harry trovò assurdamente divertente. Dopo aver smesso di ridere, gli diede il suo numero e, nella sua mente, cercò di immaginare Piton che teneva un telefono, mentre sapeva che Ron non gli avrebbe mai creduto.

Non ci fu nessuna risposta al numero, e Harry sapeva che non ci sarebbe stata, così riposò la testa sul tavolo mentre Piton riempiva un altro bicchiere d'acqua.

“Sono una scocciatura. Lei mi ha detto di non tornare fino a lunedì”. Harry stava parlando alle sue mani, sentendosi improvvisamente molto stanco.

“Di che cosa stai parlando adesso, Potter?”, chiese Piton, con esasperazione nella sua voce.

“Sono andati via per il fine settimana. Mi hanno detto di non tornare”. L'acqua venne spinta nelle sue mani, ma si sentì improvvisamente pieno, troppo pieno. Piton lo stava osservando attentamente, ma Harry non avrebbe potuto mentire neanche se avesse voluto, e sospettava che Piton lo sapesse. Ad ogni modo, tutto quello che adesso voleva fare era dormire, e non gli importava che il suo nemico tanto detestato si trovasse nella stessa casa.

“Hai quindici anni. Vai a casa e aspetta finché non ritornano”, disse Piton, stando attento alla reazione di Harry.

“Non mi hanno mai dato una chiave”, disse Harry, come se fosse una cosa ovvia. Il volto di Piton rimase impassibile, quindi Harry alzò appena le spalle. Questo si rivelò essere un errore, perché la stanza iniziò ad assumere un'inclinazione insolita.

“La smetta! Gira tutto”, protestò Harry. Si ritrovò ad essere duramente tirato su dalla sedia da un professore di pozioni molto silenzioso, spinto attraverso la libreria nella stanza e fatto salire su una serie di scale di legno traballanti. Nel piccolo secondo piano Piton lanciò lo zaino di Harry dalla porta di una camera prima di condurlo verso il bagno.

Harry iniziò a protestare sotto la presa di Piton, da una parte per il desiderio di controllare i propri passi, dall'altra perché sentiva di stare per rimettere a causa delle vertigini. Ciononostante, venne spinto nel bagno prima di aver avuto l'occasione di guardare l'oscuro corridoio del piano superiore attraverso cui erano passati.

Il bagno non era migliore comunque, visto che era dipinto dello stesso colore cupo del corridoio, e Harry fissò la vecchia porcellana color crema delle rifiniture della vasca da bagno. Se il bagno fosse stato blu chiaro, Harry avrebbe giurato di essere finito in una di quelle orribili vecchie riviste di decorazione d'interni dagli anni settanta di sua zia Petunia. Il mobile del bagno era un vecchio specchio con uno scaffale dietro di questo, e stranamente Harry trovò che l'oggetto più sconcertante nella stanza fosse la vista dello spazzolino di Piton all'interno di un bicchiere. Piton, il suo crudele professore e mangiamorte, si lavava i denti ogni notte, come le persone normali. Harry si sentì turbato.

La sensazione, con lo spazzolino, non durò a lungo. Harry notò appena quando questo venne spostato nella camera, o da qualche parte fuori dal bagno, prima di essere improvvisamente travolto dall'odore di cipolle fritte. Guardando follemente indietro nella direzione di Piton, che stava in piedi all'entrata con una bolla d'aria piccolissima attorno al naso e alla bocca, Harry sentì che il suo stomaco iniziava a contrarsi per l'odore. Cadde sulle sue ginocchia e ignorò lo sguardo disgustato di Piton mentre tutto ciò che aveva bevuto quella sera veniva improvvisamente fuori un'altra volta. La testa di Harry aveva iniziato a pulsare, e non capiva se stesse per svenire o continuare a rimettere, e all'improvviso aveva iniziato a pentirsi di aver mangiato qualsiasi cosa quel giorno. Sembrava che il suo stomaco avesse una capienza più ampia di quanto avesse mai pensato, e dopo dieci minuti i suoi occhi lacrimavano e il suo naso pizzicava, proprio accanto alla gola.

Pareva che anche Piton pensasse che fosse abbastanza, perché all'improvviso Harry scoprì che l'odore di cipolle era scomparso, e che Piton aveva aperto la finestra del corridoio. Tuttavia l'odore nel suo naso era orribile e, invece di un fazzoletto, Harry si stava sforzando di trovare la carta igienica per soffiarsi il naso. Sapeva che Piton lo stava guardando, e Harry ignorò la vocetta nella propria testa che gli stava ricordando come questo episodio fosse senz'altro un suo errore.

Dopo essersi seduto sul coperchio del water ed essersi ripreso per un momento, Harry saltò quando sentì che il rubinetto della doccia aveva iniziato a far scorrere l'acqua. Piton era ancora nell'entrata, ma non aveva detto una parola da quando Harry aveva iniziato a ripulirsi.

“Dentro la doccia, Potter”. La voce di Piton era fredda e imperiosa, con lo stesso tono che Harry aveva sentito con regolarità allarmante durante le punizioni.

La testa di Harry scattò in alto, cosa di cui si pentì all'istante. “Non voglio fare una doccia!”. Le parole “mentre lei sta lì” rimasero sottaciute, ma Piton le sentì ugualmente e lo schernì.

“Non mi importa se vuoi affogarti. Puzzi, e farai una doccia. Lascia i tuoi indumenti intimi se sei tanto pudico”.

Piton fece un passo verso Harry e alzò la bacchetta, arrestando il movimento quando Harry saltò su e si tolse la felpa.

“D'accordo! Non capisco perché a lei, fra tutti, dovrebbe importare...”, bofonchiò Harry, cercando di slacciare le scarpe, senza avere però tanta fortuna. Tutte le volte che si piegò per toglierle, finì quasi per sdraiarsi a terra sulla pancia.

“Ti dispiacerebbe elaborare quel commento, signor Potter?”. Il tono di Piton era pericoloso e all'improvviso Harry si ricordò dell'udito eccezionale dell'uomo.

“Non sono così ubriaco”, replicò Harry, socchiudendo gli occhi e tirando finalmente via le scarpe con fatica. Essendo ancora infastidito, si alzò in piedi con un ondeggiamento poco dignitoso e si abbassò i jeans, lasciandosi i boxer. Con un sorrisetto compiaciuto, andò a sbattere il piede sul bordo della vasca prima di entrare e posizionarsi sotto lo spruzzo dell'acqua, tenendosi con le braccia sulle piastrelle di ceramica della parete per restare vivo. Oltre la tendina del bagno poteva sentire i movimenti di Piton, che stava togliendo qualcosa da un pacco.

Harry chiuse l'acqua, dopo esserci stato sotto per qualche minuto, e per poco non si fece togliere la testa da un asciugamano quando riaprì la tendina. Gliel'aveva lanciato Piton, ma Harry lo aveva solo fissato stupidamente mentre si librava in aria e lo colpiva in faccia. Intontito, Harry aveva combattuto contro l'asciugamano come se fosse un Letalmanto*, realizzando finalmente di doversi asciugare con questo dopo averlo minacciato e non aver ottenuto nessuna risposta dal materiale di cotone.

“Affascinante”, osservò Piton ironicamente, osservando Harry mentre rabbrividiva nell'asciugamano e nei suoi boxer bagnati. “Informerò il Signore Oscuro che per metterti fuori combattimento deve solamente acquistare asciugamani per il bagno. Lavati i denti dopo, e poi vieni verso la porta accanto che troverai aperta”.

Dopo queste parole lasciò la stanza, e Harry vide uno spazzolino nuovo all'interno di un secondo bicchiere sopra il lavandino.

Dopo essersi lavato e risciacquato i denti, Harry si avviò goffamente verso la porta della camera dove vide Piton frugare nel suo zaino, apparentemente alla ricerca di qualcosa.

“Hey, quello è mio!”, farfugliò Harry, lasciando cadere le scarpe ai piedi del letto.

“Hai idea di come si fanno i bagagli, Potter?”, chiese Piton, non preoccupandosi di riconoscere quello che Harry aveva detto.

“Dormo con i miei vestiti”, disse Harry, ancora un po' brillo per sembrare veramente indignato. Piton scosse a malapena la testa, lanciando ad Harry la sua miglior occhiata per dargli dell'idiota. Poi si alzò e spalancò l'armadio nell'angolo, dando uno sguardo ai vestiti che erano appesi, prima di tirar fuori una maglia lunga fino alla coscia e lanciarla ad Harry.

“Indossa questa”. Piton gli lanciò un'occhiata tagliente.

“Non mi guardi mentre mi sto cambiando”.

“Non hai niente che io voglia vedere, Potter. E credimi, sei ubriaco. Non ricorderai niente domani mattina”.

Harry incontrò il suo sguardo e avrebbe potuto giurare di aver visto divertimento in quegli occhi. Come risultò poi, aveva avuto bisogno di aiuto dopo esser quai caduto sul suo sedere tentando di cambiarsi i boxer. Quasi sul punto di perdere la pazienza, Piton aveva accostato la camicia da notte alla testa di Harry, borbottando sottovoce quanto tempo avrebbe impiegato per strangolarlo con questa.

“Perché mi ha fatto rimettere?”, biascicò Harry, salendo sgraziatamente sul letto che si trovava contro la parete.

Piton fece un incantesimo asciugante sull'asciugamano e sui boxer bagnati di Harry, prima di sistemarli sopra la sedia della scrivania che si trovava sull'altro lato della piccola stanza. Si voltò a guardare Harry, che era restio a sdraiarsi sulla schiena e così si era seduto puntellando la propria testa su un angolo scomodo della testiera. Gli occhi di Harry si stavano sforzando di restare aperti, e stava borbottando sottovoce.

“Strozzarti col tuo vomito nel bel mezzo della notte è un modo poco dignitoso di morire, Potter. Sono certo che anche tu puoi essere più creativo di così”. Piton alzò dal letto la coperta e la sistemò con delicatezza sopra Harry, facendo apparire anche un secchio da mettere di lato al letto sul pavimento.

“Ha ha. Perché le interessa?”, borbottò Harry, non pienamente consapevole di quello che stava dicendo. “Non è come se lei fosse mio babbo, comunque. Hah. Harry Pitooooon. No, Harry Piiiiiiton. Come un serpente.**Qualcuno l'ha mai chiamata Serpente da bambino?”.

“Potter”, disse Piton, con tono severo, “Se io fossi tuo padre, tu saresti stato sulle mie ginocchia non appena fossimo arrivati a casa stanotte”.

Gli occhi di Harry si allargarono dallo shock quando ne comprese il significato, e la sua mente corse con una raffica di pensieri mentre tentava di convincersi che no, il suo professore non poteva sculacciarlo.

“Non sono un bambino!”, farfugliò Harry, facendo una mossa per fuggire dal letto. Ma il suo corpo era fiacco e si sforzò per mettersi a sedere completamente.

“Il tuo comportamento è atroce, indipendentemente dalla tua età”, rispose Piton, posando una mano ferma sulla spalla di Harry, spingendolo completamente indietro sul letto in una posizione supina. Quando la sua testa toccò il cuscino, Harry venne sopraffatto da una sensazione spiacevole dovuta al movimento e per pochi secondi il panico attraversò il suo volto mentre cercava di combattere l'urgenza di rimettere di nuovo. Invece, si tenne forte al materasso come se fosse un'ancora di salvezza e svenne.

Piton scosse la testa e si raddrizzò di nuovo, rimuovendo gli occhiali dal viso di Harry e appoggiandoli sul comodino. Chiuse le tende nella stanza e si guardò intorno, ricordando tutte le notti in cui era rimasto sveglio in quella stessa stanza, evitando gli effetti che l'alcool aveva sugli altri. Domani avrebbero avuto una lunga discussione, che Potter lo volesse o meno.

Piton si fermò di nuovo accanto al letto, appoggiando la mano su una di quelle di Harry e mormorando un basso incantesimo con voce melodiosa. La bacchetta pulsò contro il suo palmo, e dopo pochi minuti lasciò andare Harry. Le protezioni erano state sistemate, il ragazzo sarebbe stato invisibile per tutte le carogne che avessero osato visitare Spinner's End.

Dall'entrata, Potter sembrava piuttosto giovane e perso mentre si raggomitolava sul fianco e piagnucolava nel sonno. Piton lanciò un incantesimo veloce su di lui per assicurarsi che se si fosse sentito male durante la notte, lui avrebbe sentito l'allarme. Non aveva senso lasciare che il moccioso si facesse fuori da solo, dal momento che la predica che il preside gli avrebbe fatto sarebbe stata troppo lunga e piena di affermazioni colpevoli che avrebbero colpito la sua coscienza.

Dopo aver spento la luce, Piton si diresse verso la porta del bagno per esaminare il caos che il ragazzo aveva lasciato.

 

*Il Letalmanto o Velo Vivente è una creatura oscura e molto rara, che abita unicamente nei climi tropicali.

**Piton è la traduzione di Snape. Nell'originale Harry dice “Ssssssnape”, notando la somiglianza del suono iniziale con quello del serpente. Per questo Harry chiede a Piton se qualcuno l'abbia mai chiamato serpente.

 

 

 

 

 

Note della traduttrice: ciao a tutte e a tutti. Come avrete già capito, questa storia non mi appartiene, come non mi appartengono i personaggi e il mondo descritti al suo interno. Mi appartiene unicamente la traduzione. Per leggere la storia originale – “The Definition of Home” di oliver.snape – dovete andare su fanfiction.net o su AO3. Questa è la mia prima traduzione, quindi perdonatemi per gli errori che troverete; ho cercato e cercherò di fare del mio meglio. Ho deciso di tradurla perché è una delle storie più belle che io abbia mai letto su Severus e Harry e perché vorrei condividerla con chi non è in grado di capire bene le storie scritte in inglese. Questa prima parte consta di quattordici capitoli, così come la seconda (The Definition of Family), mentre la terza e ultima parte (The Photo Album) è composta da quattro capitoli. Vi invito a leggere tutte le storie di questo autore, incentrate sempre su Harry e Piton (alcune sono slash, per chi fosse interessato).

Buona lettura!

   
 
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