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Autore: _ A r i a    27/09/2020    0 recensioni
{ sequel di Dark Necessities | au | tematiche delicate }
Il pennello danza lentamente nell’acqua, lasciando scie di colore azzurro all’interno di essa.
Jude resta ad osservarlo, come incantato. Per un momento gli sembra di dimenticare la tela davanti a sé, su cui sta dipingendo un paesaggio dai colori freddi, una spiaggia deserta, dalla sabbia grigiastra, e un mare in tempesta, onde agitate e schiuma bianca che schizza nell’aria.
È un paesaggio invernale che ha imparato a conoscere bene, in quell’ultimo periodo. Ha la mente troppo piena di pensieri, di dubbi e di dolore, così, appena può, si rifugia a Back Bay, da solo, senza che nessuno sappia nulla. Si siede alla fine di un pontile, accoccolandosi alla ringhiera in ferro, e resta lì anche per ore, incurante del vento freddo che ruggisce e gli fa sbattere i vestiti contro la pelle, ad ascoltare lo sciabordio nervoso delle onde e cercando di trarre da esso le risposte di cui sente di aver così disperatamente bisogno, in quell’ultimo periodo, ma che crudeli continuano a sfuggirgli.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Caleb/Akio, David/Jiro, Joe/Koujirou, Jude/Yuuto
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Do-Iwanna-know

Baby we both know
That the nights were mainly made for saying things
that you can’t say tomorrow day.
Artic Monkeys — Do I Wanna Know

Epilogue – one year later


Cambridge, Boston, 5th June
h. 09:02 a.m.


Un raggio di sole fastidioso penetra dalla finestra, finendo direttamente sul suo volto.
Jude mugugna pigramente, affondando il viso nel cuscino. Inspira a fondo il profumo di pulito delle lenzuola, e subito un sorriso gli compare sul volto.
Il ragazzo si ritrova a rotolare tra le lenzuola, finché non si ritrova a puntare lo sguardo sul soffitto. Travi di legno che si susseguono, in un’alternanza perfetta.
Percepisce una moltitudine di profumi: legno stagionato, il delizioso profumo della carta dei libri e, infine, l’aroma meraviglioso del caffè.
Il sorriso sul suo volto si allarga ancor di più mentre si mette a sedere sul materasso.
Non si sono trasferiti da molto tempo nel campus universitario di Harvard. Il letto è l’unico mobile che i trasportatori non hanno ancora consegnato, ma Jude non riesce a dispiacersene, in fin dei conti si trova comodissimo anche con il solo materasso poggiato a terra. Le ultime due settimane sono state piuttosto caotiche, piene di scatoloni da riempire, bagagliai di automobili da colmare, viaggi da un appartamento all’altro e poi la ricerca del posto adatto per ciascun oggetto nella loro nuova collocazione, un attico da poco ristrutturato all’interno di quello che, in pochissimo tempo, era diventato il loro nuovo mondo. Un luogo piccolo, calmo, accogliente, il migliore che potesse desiderare.
Boston è veramente dietro l’angolo, eppure Jude sente in un certo senso di essersela lasciata alle spalle. Il campus è la sua nuova dimensione: le lezioni occupano la maggior parte del suo tempo, ma quando è lontano dalle aule gli piace entrare in un caffè e prendersi un cappuccino caldo da sorseggiare.
In quella nuova dimensione si sente così a suo agio. I suoi compagni di corso lo adorano, gli esami stanno andando benissimo – ha sempre totalizzato il massimo dei voti, per ora – e le lezioni sono una più interessante dell’altra. È felice di aver scelto la facoltà di matematica e non quella di economia, come invece la sua famiglia aveva da sempre progettato per lui. Gli sembra di aver cominciato a respirare veramente solo in quell’ultimo anno di vita.
Il parquet scricchiola mentre dei passi si avvicinano a lui. Istintivamente il volto del ragazzo si illumina di gioia.
Ray tiene in mano due tazze di caffè, e ricambia subito il sorriso del ragazzo non appena lo vede seduto sul materasso.
«Oh, ti sei svegliato» commenta, sedendosi accanto a lui. «Buongiorno, tesoro.»
Ray gli posa un bacio sulle labbra, e Jude sente il cuore battere ancor più veloce. Quella convivenza è l’esperienza migliore della sua vita, sul serio.
«Buongiorno» ricambia, lasciandosi passare la tazza che Ray gli sta porgendo.
«Spero di non averti svegliato io mentre litigavo con i fornelli» commenta, infilando una mano tra i capelli arruffati del ragazzo e scompigliandoli ancor di più.
«Nah» lo rassicura Jude. «Diciamo piuttosto che è stata colpa di un raggio di sole dispettoso…»
Ray si prende il mento in una mano, pensieroso. «Mh, in effetti forse dovremmo prendere delle tende…»
Jude sospira, ma un sorriso si forma comunque sul suo volto. Sgattaiola piano lungo il letto fino a raggiungere la figura dell’uomo, per poi accoccolarsi tra le sue gambe.
Ray Dark è l’uomo più straordinario che esista al mondo, di questo Jude ne è convinto da molto tempo. Dopo che Jude era tornato da lui, Ray gli aveva raccontato di aver consegnato le dimissioni dal Cambridge Ringe già prima della cerimonia dei diplomi. In inverno, dopo la loro separazione, Ray aveva mandato il suo curriculum ad Harvard, certo che i dottorati che aveva conseguito ai tempi del college e le varie ricerche che aveva pubblicato su diverse riviste letterarie nel corso degli anni fossero delle referenze più che valide. La verità è che avrebbe potuto fare quel passo già molto tempo prima, solo che fino ad allora non aveva avuto il coraggio né, soprattutto, una valida motivazione per farlo. Certo, la paga come insegnante in un liceo non sarebbe mai equivalsa a quella che una delle migliori università americane avrebbe potuto offrirgli, tuttavia nella piccola e quieta dimensione liceale non s’era mai trovato male.
Da quando Zoolan aveva ottenuto la cattedra del liceo in cui così a lungo aveva insegnato, tuttavia, la sua vita aveva ricominciato ad essere un incubo. Credeva di essersi liberato di quell’individuo una volta terminati gli studi, e invece no, era tornato direttamente dal suo passato per rendergli ancora una volta la vita un inferno. Quella volta, tuttavia, Ray aveva deciso di non rimanere spettatore. Non voleva più osservare immobile tutto ciò che nel tempo e con molti sacrifici aveva costruito andare in frantumi, così s’era mosso prima che fosse troppo tardi.
Il rettore Raimon si era dimostrato entusiasta al pensiero di assumere uno dei più brillanti ex studenti dell’università come nuovo professore. Ray aveva ottenuto la cattedra di letteratura inglese moderna, e per lui era stata una vera e propria benedizione. Nel momento in cui aveva cominciato ad insegnare ad Harvard, a Jude gli era parso di vederlo rinascere: di rado lo aveva mai visto così felice prima.
È tutto perfetto. Compreso il fatto che tutti sono a conoscenza della loro relazione. Stanco di nascondersi, Ray prima di accettare l’incarico aveva parlato con il rettore della loro relazione. La sua risposta era stata semplice quanto spiazzante.
“Finché non interferisce con il tuo insegnamento, non vedo che problema possa esserci.”
Ed era vero. Jude frequenta la facoltà di matematica, Ray insegna in quella di letteratura. Due mondi che non avranno mai modo di collidere e di influenzarsi dal punto di vista professionale. Così era cominciata la loro nuova vita, fatta di passeggiate mano nella mano lungo i viali del campus e pomeriggi passati a sorseggiare insieme tè verde in una caffetteria. Felici, innamorati, sotto agli occhi di tutti.
Il sogno che avevano sempre conservato si era finalmente realizzato.
Ray osserva accigliato il ragazzo, che gli si è stretto al petto in cerca di protezione. Gli accarezza piano i capelli, scivolando verso la spalla.
«Oggi è il giorno» mormora, intuendo le sue preoccupazioni.
Jude si abbandona alle sue carezze. «Mh mh» mugola, ancora intrappolato nei suoi pensieri.
Ray si china piano su di lui. Gli tiene il volto tra le mani, e lo bacia con tutta la dolcezza del mondo. Percepisce la paura crescere piano dentro di lui, e adesso vorrebbe solo poter alleggerire un poco il peso che gli grava sul cuore.
«Ehi» lo chiama piano. «Sarò lì accanto a te, non hai nulla di cui temere. Ho intenzione di tenere la tua mano stretta e di non lasciarla nemmeno per un secondo…»
Ray si interrompe, avvertendo il ragazzo affondare il volto contro il suo petto e strusciarsi sul tessuto candido della camicia che indossa.
«Lo so» ammette. «Tu sei l’unico motivo per cui sento di potercela fare…»
Ray gli posa piano un bacio tra i capelli. Ce la farebbe comunque, perché per quanto Jude si ostini a non volerlo comprendere lui è probabilmente la persona più forte che abbia mai conosciuto in vita sua, ma se il suo supporto può essergli in qualche modo d’aiuto Ray è determinato a non farglielo mai mancare in alcun modo.
«Partiamo solo quando te la senti» conclude, continuando a tenerlo stretto a sé.


L’autostrada si schiude davanti a loro come una lunga lingua di asfalto grigio.
Jude preme la suola delle sue scarpe contro il cruscotto dell’auto. Ray ha perso il conto delle volte in cui gli ha chiesto di non farlo, ma ormai si è arreso.
E poi quello non è un giorno come un altro. È tutto diverso, e lo sanno bene entrambi.
«Hai più sentito tuo padre?» domanda soprappensiero.
Jude cambia stazione radio e Ray si morde la lingua, certo di aver combinato un casino. Apparentemente, però, non è così.
«No» si limita a rispondere Jude.
Il ragazzo volta lo sguardo di lato, mettendosi a fissare le auto che scorrono accanto a loro lungo la strada. È una giornata calda, e il sole è alto nel cielo. Una strana discordanza, considerando che esattamente un anno fa quello stesso giorno si era scatenato un violento temporale.
A ripensarci bene, forse si era trattata di un’avvisaglia di quello che sarebbe successo poche ore dopo.
Jude viene rapito nuovamente dai suoi pensieri. No, non ha più sentito suo padre da quando, quel pomeriggio a Brookline, ha scelto Ray. Sinceramente, la cosa non gli ha mai pesato per nulla, perché alla fine lui ha sempre voluto passare il resto della sua vita con Ray, e ora che finalmente c’è riuscito sente di non avere alcun rimpianto. Non sa se un giorno lui e suo padre torneranno a parlarsi, per ora si accontenta di quella nuova normalità che così tanto ama.
Più si avvicinano alla loro meta, e più Jude sente quel peso che già dal mattino s’è fermato nel suo petto crescere ancor di più. Non c’è nulla di bello nel momento che si stanno apprestando a vivere, lo sa bene.
Ray svolta a destra, e la macchina imbocca un ampio viale. Fin da lì, Jude riesce a vedere le mura alte che si stagliano verso il cielo.
La macchina s’arresta. Jude comprende che sono arrivati. Scende piano dall’auto, mentre Ray recupera dai sedili posteriori ciò che hanno portato.
Non appena lo raggiunge, Jude lo sente stringergli la mano, e gli è così grato per quel gesto.
Non è da solo. Sono insieme. Affronteranno insieme ciò che sta per accadere.
S’incamminano assieme verso i cancelli, e Jude riesce ad individuare fin da lì le tre figure che li stanno attendendo.
Non vede i ragazzi dall’estate precedente, ed è grato di averli finalmente ritrovati, anche se si sarebbe auspicato delle circostanze più liete.
David si era iscritto all’università di San Francisco. Joe, chiaramente, l’aveva seguito, e aveva trovato lavoro presso un’officina in città. I due sembrano il ritratto della felicità, e la loro relazione procede a gonfie vele.
Caleb, invece, era rimasto a Boston. Si manteneva trovando di tanto in tanto qualche lavoretto saltuario, tuttavia nessuno di loro aveva informazioni precise al riguardo.
Non appena lo vede avvicinarsi, David gli rivolge un sorriso smagliante.
«Jude» lo saluta. «Sono felice che siate venuti.»
«Ciao, ragazzi» ricambia Jude, incerto.
Joe accenna un saluto a mezza voce, mentre Caleb si limita ad osservarlo. In quegli occhi verdi Jude ci legge un mare di emozioni, da troppo tempo tuttavia vi vede albergare una tristezza che mai avrebbe immaginato di attribuire all’ex capo della banda. Purtroppo però è evidente che nel corso dell’ultimo anno le cose non sono cambiate poi molto.
«Andiamo?» domanda Joe, e sa già che la risposta rimarrà sospesa nell’aria.
Varcano i grandi cancelli di ferro in un silenzio inviolabile. Jude continua a tenere la mano di Ray serrata nella propria, e gli pare l’ultimo contatto che ancora gli rimane con la realtà. David sta tutto stretto al corpo di Joe, e fatica già a trattenere i singhiozzi.
Caleb è imperscrutabile. Più Jude ci pensa, e più non riesce a fare a meno di chiedersi se lasciarlo da solo in quei mesi sia stata la scelta giusta. I primi tempi ha fatto la spola tra Boston e l’università, cercando di rimanergli vicino quanto più possibile. Ora che però la vita universitaria l’ha risucchiato del tutto, non può che chiedersi se le cose siano migliorate.
Il cimitero di Boston è una continua alternanza tra piccole lapidi e mausolei imponenti. Jude lo ricorda ancora dall’unica altra volta in cui è entrato lì, circa un anno prima. Quel luogo riesce ad infondergli uno strano senso di soggezione, che lo porta ad affondare il capo nella felpa e le mani ancor più a fondo nelle tasche. Ray tiene tra le mani un mazzo di piccoli fiori azzurri, non ti scordar di me. È sembrata loro la scelta floreale migliore: nel nome risiede tutto ciò che hanno da dire.
L’idea di quell’incontro è stata di Caleb, ma a contattarlo ci ha pensato David. Per un po’ Jude si è chiesto il perché di quell’anomalia, ed è giunto alla conclusione che, forse, Caleb non avrebbe avuto le forze per pensarci da solo.
Si fermano solo una volta raggiunta una lapide in particolare. È di pietra, bianca e lucida, e sembra spiccare tra le altre che la circondano.
In alto al centro compare la foto della persona sepolta là sotto: una ragazza dai capelli violetti, che nello scatto tiene gli occhi chiusi mentre un sorriso le solca il viso.
Jude non avrebbe saputo scegliere una foto migliore per rappresentare Camelia: una ragazza dolcissima, sempre sorridente, altruista e leale. Era stata il collante delle anime di quei quattro ragazzi disperati, la luce nella loro miseria.
No, non è riuscita a vincere la sua battaglia. Ma l’ha condotta fino alla fine con una grande perseveranza, e forse questo è ciò che conta di più.
David e Joe sono i primi a deporre i fiori accanto al sepolcro.
«Me lo ricordo ancora il giorno in cui Caleb ci ha presentati» racconta David. «Avevi un sorriso delizioso, ed è lo stesso che ti è rimasto sempre in volto. Anche quando passavo ad aiutarti con lo studio, negli ultimi mesi, non hai mai smesso di sorridere. Senza di te non so dove saremmo oggi. Ci hai aiutati a ritrovare la strada, e d‒di questo te ne saremo sempre grati…»
La voce di David si spezza verso la fine. Le lacrime bagnano copiose il suo volto, e Joe lo aiuta ad allontanarsi pacatamente, cercando di provare a fargli riprendere fiato.
Jude sa che ora tocca a lui. Non lascia la mano di Ray nemmeno per un momento, e si avvicinano assieme alla lapide. Posa i non ti scordar di me accanto ai fiori di David e Joe, e poi, lentamente, comincia a parlare.
«Siamo sempre state quattro navi perse nel mare» ammette. «Cercavamo una via, la luce di un faro che c’indicasse la rotta da percorrere, senza però riuscire a trovarla. Se c’era qualcosa su cui fossimo tutti d’accordo, tuttavia, era il fatto che tu stessa fossi una luce di salvezza. Quando Caleb ci parlava di te, vedevamo i suoi occhi illuminarsi, e per un attimo ci sembrava di averla trovata, la via per fuggire dal baratro che ci aveva inghiottiti. Ci avevano definiti “giovani senza speranze”, senza un futuro, ma credo che se adesso quel futuro l’abbiamo trovato sia solo merito tuo. Caleb è letteralmente tornato alla vita grazie a te, noi abbiamo ricominciato a studiare, ci siamo diplomati… tutto per merito tuo. Questo non significa che non ci siano stati altri momenti bui. Mi ricordo che l’anno scorso mi ero letteralmente perso, mi guardavo allo specchio senza riconoscermi. Quando ne ho parlato con te, però, tu sorridendo sei stata in grado di farmi aprire gli occhi. Finalmente ho capito quello che avrei dovuto fare, e se oggi sono la persona che sono non esagero dicendo che il merito è quasi tutto tuo. Sei stata una delle migliori amiche che potessi desiderare...»
Jude si ferma. Respira a fondo e tira su col naso, cercando di non crollare proprio all’ultimo.
«Ti voglio bene, Camelia. Riposa in pace, ovunque tu sia» conclude.
Un brivido gli corre lungo la schiena. Ray lo stringe forte a sé, e insieme si allontanano di qualche passo.
L’ultimo ad essere rimasto davanti alla lapide è Caleb. Per un momento un sorriso triste gli compare sul volto: è fin troppo evidente che gli altri gli abbiano voluto lasciare un po’ di tempo da solo.
Si avvicina alla lapide, inginocchiandosi a terra. Posa i propri fiori tra quelli di David e gli altri portati da Jude, per poi passare le dita lungo la pietra candida e gelida. Stacca piano alcuni fili d’erba che sono cresciuti in prossimità del sepolcro, infine si perde per un momento ad accarezzare la foto di quella che è stata la sua ragazza.
L’ha amata. L’ha amata con tutto se stesso, e l’ama tutt’ora. Non riesce ad immaginare di poter amare un’altra persona tanto quanto ha amato lei.
«Beh, è stato un bel viaggio» commenta. «Penso che non ti dimenticherò mai.»
Un soffio di vento si alza, carezzando la pelle di Caleb, e per un momento gli occhi del ragazzo si riempiono di lacrime. Caleb le ricaccia subito indietro, troppo l’orgoglio che gli arde dentro per mostrarsi più vulnerabile di quanto già sia, e volta la testa di lato.
Si rimette in piedi, piano. Non riesce a fare a meno di pensare che quel soffio di vento sia stato l’ultimo saluto di Camelia.
Caleb tossisce, cercando di ricacciare quelle lacrime che, nel mentre, gli sono di nuovo salite agli occhi. Volta lentamente le spalle alla tomba, per poi cominciare a raggiungere gli altri.
David e Jude gli sorridono. Insieme, un passo alla volta, cominciano ad avviarsi nuovamente verso i cancelli del cimitero.
Prendono ancora una volta tre strade differenti: Ray e Jude s’incamminano verso Harvard, David e Joe partono in direzione San Francisco, e a Caleb infine non resta che avviarsi verso il suo appartamento, lì a Boston.
Anche se adesso vivono lontani, sanno che il legame che li unisce non si spezzerà mai del tutto.
È quello che Camelia avrebbe voluto per loro.


The end.



Angolo autrice

È strano mettere la parola "fine" a questa storia. Penso a quando l'ho cominciata, ormai quasi tre anni fa, e a tutte le volte in cui sono stata certa che no, non l'avrei mai conclusa. E invece no, ecco che adesso siamo qui, all'epilogo. Do I wanna know ha voluto dire tanto per me, è stata una compagna di viaggio per lungo tempo e adesso che è arrivato il momento di salutarci penso a quante cose sono cambiate nel frattempo. Lo stile che è mutato non è che la punta dell'iceberg; sto letteralmente per affacciarmi a una nuova fase della mia vita, e probabilmente la ragazza che aveva così tanto bisogno di fuggire da questo fandom una volta finita Dark Necessities adesso non c'è più. Ed è un grande passo avanti, aver compreso che fuggire non serve a niente e che, in fondo, io qui mi sento un po' come a casa. Una casa da cui sono scappata a lungo, perché di colpo per me non era più ospitale, ma è bello vedere che, di tanto in tanto, le cose cambino anche in maniera positiva.
Parlo. Parlo tanto, tantissimo, e so che lo sto facendo per tergiversare. Rileggere quest'epilogo mi ha fatto male, profondamente. L'ho scritto a fine maggio e, esattamente un mese dopo, ho vissuto un lutto che mi ha segnata, e mi segna tutt'ora.
È stato tutto così strano, soprattutto rileggere la scena finale, in cui Caleb sente quel soffio di vento sfiorargli la pelle, a distanza di mesi, perché mi sono resa conto che, quest'estate, è accaduta la stessa identica cosa a me. Ho perso qualcuno, qualcuno a cui sono stata profondamente legata. La notizia mi è arrivata il giorno in cui ho pubblicato il secondo capitolo di questa long, infatti non so con quale forza io sia riuscita a farlo. Poi, il giorno del funerale, ho sentito quello stesso vento alzarsi, e più ci penso e più mi convinco del fatto che non sia una coincidenza. Un paio di settimane fa, dopo aver editato lo scorso aggiornamento, ho riletto per la prima volta l'epilogo, dopo averlo scritto a maggio, e ritrovare quella scena, quella stessa scena che avevo vissuto in prima persona a fine giugno m'ha provocato un dolore simile a una coltellata, perché per me è stato come essere di nuovo lì, a quel funerale. Fa così strano, è come se avessi anticipato gli eventi della vita reale, e anche se so che non è così non riesco a non sentirmi in colpa per questo.
Quando ho finito la storia non avevo ancora idea di cosa significasse perdere qualcuno a cui hai voluto così tanto bene. Ora ce l'ho, e posso assicurarvi che ogni dolore è amplificato.
Perché sì, per quanto possa aver lasciato la cosa sul vago alla fine dello scorso capitolo, Camelia è morta, non c'è più. A distanza di un anno, la banda si riunisce, e le porge ancora una volta i suoi saluti.
Jude e Ray vivono insieme, e io, ovviamente, sono felice. Stanotte m'è venuto in mente che ci sarebbe potuta stare bene una scena in cui Ray aiutava Jude a prepararsi, ma non l'ho messa, sia a causa della mia innata pigrizia, sia perché ormai era troppo tardi per aggiungerla e sia perché, essendo io scema, ogni volta che modifico a posteriori una scena che ho già scritto tutto il risultato finisce per non soddisfarmi più. E così penso che ci limiteremo a gioire perché la mia coppietta preferita finalmente può vivere insieme felice e contenta, facendo ciò che amano e soprattutto senza Zoolan, Victoria o signor Sharp vari ed eventuali a rovinare loro la vita, yaay.
Per i motivi di cui vi ho parlato sopra faccio fatica a commentare la scena del cimitero. Penso che mi limiterò a lasciarvi una chiosa finale.
Diwk ha sempre voluto dire molto per me e, dopo quello che è successo quest'estate, significa ancora di più. Non m'importa del mancato riscontro, questa storia resterà online, a imperitura memoria, perché è giusto che sia così, perché dopo tre anni è bene che la storia si concluda e resti qui col suo epilogo. Poi chissà, magari un giorno qualcuno in preda alla noia finirà per imbattersi in questa ff, deciderà di leggerla e io non potrò che esserne più lieta. A tal proposito, ringrazio chiunque abbia deciso di leggerla e chi lo farà in futuro, chi ha inserito la storia tra le preferite o anche chi si è solo limitato a seguirla. Per me è un sostegno che vale più di quanto possiate immaginare, sul serio.
E adesso? Non lo so. Ho scritto una flash che dovrebbe partecipare ad un contest e che dovrei pubblicare tra una decina di giorni, ma vi confesso che non so ancora se lo farò, visto che non sono particolarmente soddisfatta del risultato. Dopodiché, penso che mi prenderò una pausa un po' da tutto, compreso il mondo delle ff. Ho scritto e pubblicato tanto, quest'anno, e forse con la chiusura di questa long a cui ho lavorato tanto a lungo ci sta che riprenda fiato. Per un folle attimo ho pensato di partecipare al writober, ma... nah, siete salvi ahahah.
E
così siamo all'epilogo di questo capitolo della mia vita. Da domani dovrei anche cominciare le lezioni all'università, per cui sì, ci siamo.
Grazie a chiunque ci sia stato, e anche a chi non c'è più.

Aria
   
 
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