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Autore: LysandraBlack    28/09/2020    2 recensioni
Marian è scampata al massacro di Ostagar. Garrett ha assistito alla distruzione di Lothering, mettendo in salvo la loro famiglia appena in tempo. Senza più nulla, gli Hawke partono per Kirkwall alla ricerca di un luogo dove mettere nuove radici. Ma la città delle catene non è un posto ospitale e i fratelli se ne renderanno conto appena arrivati.
Tra complotti, nuovi incontri e bevute all'Impiccato, Garrett e Marian si faranno ben presto un nome che Kirkwall e il Thedas intero non dimenticheranno facilmente.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Anders, Hawke, Isabela, Varric Tethras
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The unlikely heroes of Thedas'
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CAPITOLO 40
Chase

 

 

Un fascio di luce filtrava dalle tende tirate, esattamente sopra la sua testa. Marian si risvegliò lentamente dal torpore, allungando un braccio alla ricerca del compagno.

Sebastian le afferrò delicatamente la mano, portandosela alle labbra e sfiorandola appena. «Non volevo svegliarti.»

Accennò un sorriso, stropicciandosi gli occhi e accoccolandosi più vicino a lui, premendo la schiena contro il suo petto. «Non ho dormito granché in ogni caso.»

«Forse dovresti prenderti qualche giorno di licenza, se chiedessi a Meredith...»

Scosse il capo, affondando la testa nel cuscino all'immagine severa della Comandante. «Non posso, lo sai. Già mi sopporta a stento, Cullen continua a riprendermi per qualsiasi errore anche se non sono direttamente colpa mia e la metà dei miei colleghi mi trattano come se fossi un'appestata.» Si mordicchiò il labbro inferiore, lanciando uno sguardo contrariato al fascio di luce che entrava dalla finestra. «Se dovessi pure prendermi una vacanza, al mio ritorno passerei l'inverno fuori al freddo ad addestrare le reclute e fare la guardia al porto.»

«Quindi, più o meno quello che fai già?»

Serrò gli occhi per qualche secondo, lasciandosi sfuggire un grugnito di disapprovazione.

«Quando ti promuoveranno Comandante a Starkhaven ed io avrò la mia corona, sarà tutto un ricordo lontano.» Cercò di tirarle su il morale Sebastian, baciandole la spalla e sfiorandole il fianco, andando ad accarezzarle lo stomaco.

Marian sentì una lieve pressione dietro di sé. Sorrise divertita, accompagnandogli la mano verso il basso e muovendo il bacino in piccoli cerchi concentrici. «Sembra un sogno.» Trattenne il fiato, mordendosi il labbro mentre il compagno trovava il suo centro del piacere.

«Sarai la mia regina.» Le sussurrò all'orecchio, soffocando un gemito roco nella sua spalla quando la donna iniziò a ricambiare il favore, voltandosi un poco. «La mia splendida, fiera, inarrestabile regina.»

Marian si voltò a guardarlo, perdendosi nei suoi occhi azzurri e salendo a cavalcioni sopra di lui, guidandolo dentro di sé. «Sì, immagino perché vuoi che sia inarrestabile...»

Dalle labbra di Sebastian uscì un suono a metà tra una risatina e un grugnito di piacere. Affondò le dita nelle sue gambe sode, seguendone il rimo. Si chinò a baciarlo nuovamente, appoggiandosi alla testata del letto con una mano mentre lo guidava ad aumentare il ritmo.

Qualcuno bussò alla porta.

Chiuse gli occhi, cercando di ignorarlo, afferrando il compagno per le spalle e trattenendo a stento un altro gemito.

«Datevi una mossa a scopare, è urgente!»

«Porca puttana, Isabela!» Rantolò buttando il capo all'indietro, e in quel momento si sentì pervadere da una scossa di puro piacere, che andò ad annebbiarle la vista mentre sentiva Sebastian raggiungere il culmine dentro di lei, ringhiando qualcosa di molto poco gentile.

Si accasciò su di lui, mentre il bussare alla porta ricominciava, maledicendo la pirata, il Creatore, Andraste e qualsiasi altra entità divina o meno le venisse alla mente.

La porta si aprì di scatto, lasciando entrare tutta la luce del giorno e un'Isabela vestita di tutto punto, i suoi attrezzi da scasso alla mano, che li guardava esasperata. «Vestiti, ho bisogno di una mano.»

«Ti ammazzo, Bela.» La minacciò furente, voltandosi verso la nuova arrivata, il respiro pesante. «Richiudi quella cazzo di porta.»

Sebastian si tirò su di scatto, afferrando il lenzuolo e coprendo entrambi, rosso in volto quanto i suoi capelli. «Isabela, cosa diamine ti salta in mente di-»

«Rilassati, principino, non c'è nulla che non abbia già visto.» Lo condì via l'altra con un gesto della mano, appoggiandosi allo stipite della porta e infilandosi il grimaldello nella cintura. «È una questione di vita o di morte, altrimenti non avrei interrotto il vostro esercizio mattutino, sai quanto consideri importante un po' di sano sport tutti i giorni.»

Marian si rese conto di star stringendo spasmodicamente la testiera di legno del letto, le nocche bianche. «Dacci almeno un quarto d'ora.»

«Dieci minuti, non di più, altrimenti gli darò davvero qualcosa di cui essere geloso.» La minacciò l'amica, voltandosi e sparendo lungo il corridoio, senza darsi nemmeno pena di richiudersi la porta alle spalle. Poterono sentire chiaramente la risata bassa di Fenris non molto distante.

Marian si tirò in piedi, scendendo dal letto a fatica, le gambe molli. «La ammazzo. Giuro, la ammazzo. Se non la uccide qualsiasi cosa sia questa volta, ci penso io a staccarle quella testa da cretina che si ritrova sulle spalle.» Si buttò la vestaglia da camera sulle spalle, togliendosi una ciocca di capelli sudati dal volto e raggiungendo furente il bagno. «Stronza.»

«Non ho mai conosciuto qualcuno al quale il concetto di privacy fosse più estraneo.» borbottò Sebastian seguendola, ancora imbarazzato. «Come le è saltato in mente...»

«È una bambina egoista di cinque anni, ecco come.» Si sciacquò la faccia nel catino, afferrando uno straccio e intingendolo nell'acqua. Avrebbe volentieri fatto un bagno, ma non voleva doverla affogare nella vasca per averci messo più del tempo che aveva loro concesso, l'acqua sarebbe andata sprecata. E Sebastian non avrebbe retto la consapevolezza che qualcun altro la vedesse nuda per la seconda volta di fila nella stessa mattinata. Gli lanciò uno sguardo con la coda dell'occhio, trovandolo imbronciato a fissarla. «Lo sai che è una cretina.»

Sembrò riscuotersi, scrollando le spalle e sciacquandosi il volto anche lui. «Sì, lo so, lo so.»

Si prepararono in fretta come meglio poterono, trovando Isabela e Fenris che li aspettavano in salotto.

«Quindi? Cosa c'è di così vitale importanza?» Le chiese Marian, tagliente.

«Castillon. Ho riconosciuto la sua nave al porto, è qui per me.»

Il cervello ancora mezzo addormentato della templare ci mise alcuni secondi per registrare l'informazione e fare il collegamento con il pirata a cui Isabela doveva una bella somma di denaro per avergli fatto fallire un affare anni prima. «Sei sicura che sia venuto per te?»

L'amica si strinse nelle spalle. «Non soltanto per me, magari, ma sicuramente non si lascerà sfuggire l'occasione per farmela pagare.»

«Per una volta, una sola volta in questa stramaledetta fottuta città, gradirei non essere trascinata in qualche casino.» Sputò tra i denti, massaggiandosi la tempia. Sentiva la gola riarsa, ma non era d'acqua che aveva sete. Sapeva di avere una boccetta di lyrium in borsa, per le evenienze, ma era già alla fine della sua razione mensile.

«Sì, sono due mesi che lo ripete anche Aveline.»

«Lei è stata in viaggio di nozze, almeno.»

Vide Fenris sollevare un sopracciglio nella loro direzione. Si voltò verso Sebastian, sentendosi arrossire ed affrettandosi a cambiare argomento. «Quindi, Castillon... qual è il piano?»

«Visitare il bordello, se non vi siete stancati troppo stamattina.» Isabela dovette rendersi conto di aver esagerato, perché si affrettò a dar loro una spiegazione. «Ho visto il suo quartiermastro aggirarsi alla Rosa, ieri sera. E chiedendo in giro, ha pagato per una giornata intera, quindi si starà ancora divertendo.»

«Cosa proponi, di andare da questo tizio e costringerlo a rivelarci dove trovare il suo capitano?»

L'altra ridacchiò, scuotendo il capo. «Tesoro, ci sono modi più sottili per fregare qualcuno. No, qui entra in gioco Fenris... Velasco penserà che mi voglia consegnare per ritirare la taglia che Castillon ha messo su di me e quando ci porterà da lui, voi mi aiuterete a levarmelo dai piedi.»

Marian aggrottò la fronte. «Vuoi fingerti prigioniera?»

La pirata scrollò le spalle. «Non sarebbe la prima volta che Fenris e io giochiamo con qualche corda, vero?» Lanciò un'occhiata ammiccante all'elfo, che rispose con una smorfia. «Andrà tutto bene, basta che non vi facciate notare e che siate pronti a neutralizzare Castillon una volta che sarà uscito dalla sua tana.»

«Non potremmo semplicemente andargli a fare visita sulla sua nave? È un criminale, non penso nessuno si sconvolgerà più di tanto se verrà bistrattato un poco.» Obiettò Sebastian.

Isabela lo guardò come se dovesse spiegare ad un bambino a mangiare con le posate. «Castillon non è il solito criminale da strapazzo, è un capitano della Felicissima Armada. Se fosse così facile dimostrare i suoi misfatti, l'avrebbero già incastrato da un pezzo.» Scosse il capo. «No, se dovessimo attaccarlo in pieno giorno, sotto gli occhi di tutti, apparirebbe come un'aggressione ad un legittimo mercante antivano.»



 

La Rosa Fiorita era più vuota di come se la ricordava anni prima, ma probabilmente era solo per via dell'orario. Sebastian era l'unico a disagio, come se da un momento all'altro una delle signorine potesse saltargli addosso. Teneva lo sguardo basso, cercando di non incrociare gli occhi di nessuno e di non fissare la mercanzia in esposizione.

Isabela andò a scambiare quattro chiacchiere con una delle ragazze che lavoravano lì, la quale indicò con un cenno del capo il primo piano del locale. La pirata le schioccò un bacio sulla guancia, facendole scivolare in mano una moneta luccicante prima di strizzare l'occhio ai compagni, raggiungendoli ancheggiando.

«Rilassati un poco, principino, stiamo cercando di non attirare l'attenzione... ricordi?» Si avvicinò a Fenris con fare lascivo, porgendogli i polsi e sbattendo le palpebre. «Non dirmi che non vedevi l'ora di farlo.»

L'elfo storse un poco la bocca, spostando il peso da un piede all'altro. «Ti ho già detto che non mi piace come piano. E no, non ci tengo a fingere di essere il padrone di nessuno...» Estrasse un paio di manette che assomigliavano terribilmente a quelle di ordinanza delle guardie cittadine, mettendole ai polsi della donna.

Isabela sbuffò sonoramente, alzando gli occhi al cielo mentre sentiva scattare il meccanismo. «Siete noiosi. Tutti e due. Tesoro, cosa abbiamo fatto di male per meritarceli?»

«Oh, non lo so, ricordo chiaramente un crimine gravissimo avvenuto proprio questa mattina.» Rispose tagliente Marian, accomodandosi al bancone e prendendo un dolcetto da un vassoio a disposizione dei clienti. «Se succede qualcosa, urlate.»

Fenris sollevò un sopracciglio. «Non è proprio un posto dove le urla sembrino fuori luogo...»

«Allora mettetevi a recitare il Cantico delle Trasfigurazioni.» Li rimbeccò lei, cacciandosi in bocca l'intero dolce e faticando a masticarlo.

I due li lasciarono alla loro misera colazione, salendo al piano di sopra e fermandosi ogni tanto a pomiciare per non dare nell'occhio.

Marian si leccò le labbra dallo zucchero, porgendo un pasticcino a Sebastian e imboccandolo con un sorrisetto divertito. «Bela ha ragione, sembri fuori luogo.»

L'altro cercò di distendere le spalle, tenendo comunque lo sguardo incatenato al suo. «Non è più il mio elemento, questo, da un bel po'. Dopo anni passati nella Chiesa-»

«Lo so, ma per cinque minuti non potresti fare finta di essere un avventore assetato come gli altri?»

Sebastian assottigliò le labbra, irrigidendosi di nuovo. «Credi sia troppo pudico, solo perché non ho interesse a guardare qualche seno scoperto di una povera ragazza costretta a lavorare qui dentro, o perché non vorrei che nessuno posasse gli occhi sulla mia compagna quando-» si zittì di colpo, arrossendo violentemente. «Non volevo che ti vedesse, ma a quanto pare sono l'unico a farsene un problema.»

L'elfo al bancone allungò ad entrambi un bicchiere colmo di liquido chiaro, che si rivelò essere succo di qualche frutto tropicale. Scrollò le spalle. «È solo Isabela. Non fraintendermi, sono furiosa che si sia permessa di piombarci in camera in quel modo proprio sul più bello, ma lei stessa ammette di aver visto più corpi lei che metà delle ragazze che lavorano qui. O dei ragazzi.»

L'altro voltò appena il capo, abbassando lo sguardo. «Sì, ma con te è diverso.»

Una stretta allo stomaco la prese alla sprovvista. «Non dirmi che sei geloso?»

Il silenzio dell'altro valeva più di mille parole.

«Sebastian. Guardami.» Lo chiamò di nuovo, finché lui non alzò nuovamente gli occhi verso di lei. «Ho avuto una notte brava con Bela e Fenris, d'accordo, ma non significa niente. Semplici amici che avevano alzato troppo il gomito e si sono divertiti, non è più successo e mai riaccadrà.»

«Solo amici? L'ho visto come ti guarda, e non smette mai di ricordare a tutti come-»

Gli mise istintivamente una mano sulla gamba, sporgendosi un poco verso di lui. «Ti amo. Da quando siamo insieme, ci sei solo tu, e non penserei mai di stare con qualcun altro. Lo sai, vero?»

Sebastian non rispose, scostandosi un poco, paonazzo in volto mentre sorseggiava la sua bevanda.

«Non pensavo che avresti mai mollato la Chiesa, cosa avrei dovuto fare, mettermi una cintura di castità pure io e fare le ragnatele?» Perse la pazienza Marian, buttando giù il resto del succo e afferrando un altro pasticcino. «Lo sapevi dall'inizio che non ero vergine e pura, e manco te sei stato uno stinco di santo per tutta la vita, ma non ti ho mai fatto pesare niente!»

L'altro si riscosse, appoggiando il bicchiere vuoto e afferrandole la mano. «Non volevo dire questo. Scusami. Non vorrei mai farti vergognare di te stessa, non era mia intenzione offenderti o peggio, è solo che...» la strinse nelle sue, cercando le parole giuste «Ti amo anche io, più di quanto abbia mai immaginato di amare qualcuno, e pensarti in quelle situazioni mi fa stringere il petto da una gelosia soffocante. So che è un sentimento che dovrei rifiutare, sei una donna forte e indipendente che ho la fortuna ricambi i miei sentimenti, ma non ce la faccio, sono debole. Ogni volta che Isabela parla di quella sera, o quando Fenris ti sfiora casualmente una spalla...» scosse il capo, portandosi la sua mano alle labbra e depositandovi un bacio. «Perdonami, sono uno sciocco.»

Marian sorrise, pentendosi un poco di aver sbottato in quel modo. «Si diverte a stuzzicarci, ma non farebbe mai nulla di serio per mettersi tra noi due. È stata la prima a sostenermi e dirmi che non avrei dovuto abbandonare le speranze su un nostro possibile rapporto.»

«E Fenris...?»

Scoppiò a ridere di gusto. «Decisamente non il mio tipo. Inoltre, possono pure fingere di avere una relazione strettamente fisica, ma è da un bel po' che non rotolano tra le lenzuola di qualcun altro.»

Sebastian sembrò un poco rincuorato dalla notizia. Il suo sguardo volò però alla scalinata che portava al piano superiore, l'espressione che tornava immediatamente seria e concentrata. «Arrivano.»

Marian gli fece un piccolo cenno d'assenso, modulando una risatina più acuta del normale e sporgendosi verso di lui, accarezzandolo con la punta delle dita dal ginocchio all'inguine. Accennò col capo verso l'uscita, tirandolo in piedi e, dopo avergli stretto vistosamente il fondoschiena, lo precedette fuori dalla porta secondaria del bordello.

Si nascosero dietro una delle alcove nel vicolo dietro l'edificio, aprendo in fretta la cassa dove avevano nascosto le loro armi.

«Ma che cazzo...?» Chiese Marian, trovandola vuota. Si voltò di scatto verso Sebastian, ma il movimento improvviso le diede un giramento di testa particolarmente forte, come un calo di zuccheri in piena estate. La vista annebbiata e le gambe che stentavano a reggere il suo peso, allungò un braccio verso di lui per cercare di sostenersi, ma crollò in ginocchio prima di raggiungerlo. Vide il compagno restare immobile, lo sguardo vacuo puntato di fronte a sé, impassibile.

Marian si accasciò a terra, la testa che sembrava andarle a fuoco, una serie di fitte che dallo stomaco si propagavano in tutto il corpo come centinaia di stilettate.

Nel suo campo visivo comparvero un paio di stivali bizzarramente eleganti.

«Ha funzionato tutto a meraviglia.» Disse una voce maschile dall'accento straniero, mentre tutto si faceva nero e la templare perdeva conoscenza.






 

Garrett si grattò nervosamente la barba, fermo sull'uscio della caserma aspettando che Donnic tornasse a fargli sapere che poteva seguirlo nell'ufficio di Aveline.

«Scusa l'attesa.» Lo chiamò la guardia, facendogli cenno di entrare.

L'ufficio del Capitano delle Guardie era sempre in ordine, pile di carte impilate metodicamente contenenti i registri e le direttive per i suoi uomini, ma quel giorno sembrava che qualcuno vi avesse rovesciato dentro un'intera cassa di fogli. L'amica lo stava aspettando seduta dietro la scrivania, un piccolo oggetto stretto tra le mani.

«Garrett, benvenuto. Siediti, per favore.»

La guardò confuso, accomodandosi sulla sedia di fronte al tavolo. «Sto iniziando a preoccuparmi...»

Aveline prese un respiro profondo, intrecciando nervosamente le dita davanti a sé. «Sappiamo dove sono stati visti l'ultima volta, una ragazza che lavora alla Rosa ha detto di aver parlato con Isabela, a quanto pare cercava un tale dall'accento antivano, Isabela e Fenris sono andati a parlargli e poi sono usciti tutti e tre dall'edificio. Marian e Sebastian sono rimasti qualche minuto al bancone, hanno parlato, mangiato qualcosa e poi se ne sono andati.»

«Cosa ci facevano alla Rosa?» Chiese Garrett, litigando con la fibbia d'argento della manica. «Capisco Isabela, Fenris se si fosse lasciato trascinare da lei, ma Marian e Sebastian? Non è da loro andare in un bordello di prima mattina. Questo antivano, chi era?»

Aveline scosse il capo. «La ragazza che era con lui non ha voluto rivelarci niente, è ancora in cella. Pensiamo abbia paura di lui, chiunque sia.»

«Fateci parlare me.»

«Garrett, non sei una guardia né un templare-»

Sbattè violentemente il pugno sulla scrivania, una scarica di scintille che sfuggiva dal suo controllo. «Sono passati due giorni, dannazione!»

Aveline sussultò, tirandosi istintivamente indietro. Garrett si rese conto che Donnic si era irrigidito con la mano sulla spada solo quando intercettò lo sguardo che l'amica lanciò al marito. «Lo so, sono in pena quanto te, credimi. Ma ci sono delle procedure-»

«All'Oblio le vostre procedure!» Ringhiò alzandosi in piedi e dandole le spalle. Donnic gli si parò davanti, e per un secondo sembrò che volesse fermarlo di peso. «Spostati.»

«Se non avete altro di utile-»

«Abbiamo trovato questo, in uno dei vicoli lì vicino.» Parlò di nuovo Aveline, allungandogli il piccolo oggetto che teneva in mano.

Con un sussulto al cuore, Garrett riconobbe l'anello della madre col sigillo degli Amell, che Marian non aveva mai più tolto dal funerale di Leandra. Sentì le forze venirgli improvvisamente meno, il Velo che tremava assottigliandosi, una morsa gelida dietro lo sterno. «Dobbiamo trovarla.» Rantolò nel panico, sforzandosi di mantenere la calma. «Non c'è tempo.»

«Stiamo facendo tutto il possibile...»

Si voltò verso Donnic, afferrandolo per il bavero della giacca e portandosi a muso duro ad un soffio da lui. «Fatemi parlare con quella.»

«Già fatto.»

Sussultarono tutti e tre, mentre la porta dell'ufficio si apriva nuovamente e lasciava entrare Macsen Trevelyan, l'armatura lucida come uno specchio e un filo di barba di qualche giorno ad adombrargli i lineamenti scolpiti, i capelli sciolti sulle spalle ad incorniciarne l'espressione vittoriosa. Dietro di lui sgusciò una guardia cittadina, che si inchinò profondamente verso Aveline squittendo una serie di scuse.

«La vostra indagine è appena diventata un affare dell'Ordine, Capitano.» Annunciò il templare con un mezzo inchino di scherno. «E la vostra graziosa testimone ha cantato come un uccellino, a quanto pare abbiamo a che fare con un pirata.»

«Un... pirata?» Ripetè smarrito Garrett, senza capire. «In che bordello li ha cacciati Isabela stavolta?»

Trevelyan sogghignò. «Il bordello l'hanno lasciato incolumi, a quanto pare... l'antivano è arrivato in città qualche giorno fa, dai cinque ai tre direi, ci basterà controllare i registri del porto per ridurre i sospettati.»

Il mago avrebbe voluto togliergli quel sorrisetto dalla faccia, ma si limitò a stringere i denti, annuendo. «Abbiamo una pista, almeno.»

«Ho mandato Andrew a fare qualche ulteriore domanda al bordello, magari scoprirà qualcosa in più dei vostri uomini, Capitano... intanto, volete accompagnarci o preferite stare dietro la scrivania ad arrovellarvi?»

Aveline gli lanciò uno sguardo di disprezzo feroce, per poi rivolgersi a Donnic. «Se trovate qualcosa, manda qualcuno al porto ad avvisarmi. Ti lascio il comando, qui.» Raggiunse il Trevelyan, scostandolo in malo modo e precedendoli fuori dall'ufficio. «Non osate insinuare che non stia facendo il massimo per ritrovare la mia migliore amica.» Sibilò furente.

All'esterno, trovarono un Anders che si aggirava inquieto davanti all'ingresso. «Novità?»

Garrett scosse la testa. «A quanto pare c'è di mezzo un pirata, non lo so, erano alla Rosa Fiorita e sono stati... rapiti, immagino.»

Il compagno gli strinse il braccio, chinandosi un poco verso di lui. «Li troveremo.»

Annuì, un nodo alla gola che non lo abbandonò per tutto il tragitto verso la città bassa e il porto.

Di fronte all'ufficio della capitaneria di porto, Garrett dovette fermare Trevelyan per un braccio. «Conosco Maverick, forse è meglio che ci parli da solo. Se vedono arrivare un templare e il Capitano delle Guardie, nasconderanno la metà dei registri.»

Aveline sospirò di nuovo. «Fai quello che devi.»

Garrett annuì, lasciandoli indietro ed entrando nel piccolo edificio, l'odore di salsedine e muffa che impregnava le pareti scrostate dal tempo e dall'incuria.

Il Capitano Maverick, un vecchio lupo di mare sempre intento a fumare la pipa, sollevò lo sguardo da un libro dalla copertina bisunta, lanciandogli un sorrisetto d'intesa. «Messer Hawke, qual buon vento...» Fece segno ai due colleghi poco fuori dal suo ufficio di levare le tende, aspettando che fossero fuori portata d'orecchi per proseguire. «Allora, sei venuto a chiedere o riscuotere?»

«Stavolta è personale, Capitano, ho bisogno di vedere i registri di tutte le imbarcazioni arrivate tra i sei e i due giorni fa, nomi, provenienza, trasporto dichiarato... tutto quello che avete.»

L'uomo mordicchiò con i denti che gli restavano, gialli e storti, il bocchino della pipa. «Hawke, capisci anche tu che non posso certo divulgare queste informazioni a cuor leggero, fosse per me te lo farei come favore personale, ovviamente, ma il segreto professionale-»

«Non ho tempo da perdere, oggi, Maverick.» Lo fermò, appoggiando la mano sul tavolo di legno macchiato e segnato. «Quanto vuoi?»

Il ghigno dell'altro si allargò ulteriormente. «Trenta casse in un mese, e per il tuo segreto professionale mi dimenticherò temporaneamente del mio.»

Garrett si limitò ad annuire, tendendo la mano perché gli consegnasse il registro che il Capitano aveva preso ad accarezzare con cupidigia.

Sfogliò febbrilmente le pagine, trovandovi un paio di nomi di imbarcazioni che avevano tutta l'aria di essere antivane, con registri di carico che ad occhio esperto non sembravano così cristallini.

«È un piacere fare affari con voi, Messere!» Lo salutò Maverick mentre usciva senza curarsi di salutare, sbattendo la porta dietro di sé.

Trovò Andrew ad aspettarlo assieme agli altri, in abiti civili, l'espressione tesa come la propria. «L'elfo che serviva al bancone due giorni fa è sparito nel nulla, ma so dov'è la sua ragazza.»

Garrett si grattò la barba, analizzando rapidamente la situazione. «Qui al porto mi conoscono tutti, se andassi a fare qualche domanda sarebbe sospetto...» lanciò uno sguardo di disprezzo all'armatura da templare di Trevelyan, anche quella non sarebbe passata inosservata. «Andrew, cercate informazioni sull'Estrella de Mar e la Bruja Callada

Si scambiarono le poche informazioni che avevano, e in breve il gruppo si separò di nuovo: Garrett, Anders e Trevelyan diretti all'Enclave, Aveline a fornire del supporto da lontano ad Andrew in caso di necessità.

Arrivati alla piazza del Vhenadahl, scrutarono per qualche secondo le bancarelle del mercato, cercando un'elfa che corrispondesse alla descrizione che le signorine del bordello avevano dato ad Andrew. Fu Anders ad individuarla per primo, indicando una ragazza magrolina con un paio di grandi orecchie a punta che spiccavano da sotto una zazzera di capelli corti color topo, che offriva agli avventori pentole, piatti, scodelle e altro per la cucina.

Quando vide avvicinarsi il templare, sbiancò dalla paura, sgranando gli occhi scuri e facendo cadere un contenitore di coccio, che si spaccò per l'impatto. Si prostrò a terra, tremando come una foglia senza osare alzare lo sguardo su di loro.

Garrett notò con una punta di disgusto che improvvisamente attorno alla bancarella della ragazza non sembrava esserci più anima viva.

«Alzati, vogliamo solo farti qualche domanda.» Cercò di parlare il Trevelyan, non curandosi del trambusto che aveva creato la sua sola presenza.

«Signore, non so nulla di maghi, signore, davvero.» Balbettò terrorizzata quella, la fronte premuta sul terreno fangoso. «Non abbiamo contatti con quelli, signore, ve lo giuro...»

«Non stiamo cercando dei maghi!» Sbottò Macsen, abbassandosi sui talloni. La prese per una spalla, facendola guaire e tremare ulteriormente. «Dannazione, non vogliamo farti del male, stiamo solo-»

«Lasciatela!»

Garrett ed Anders si voltarono di scatto, riconoscendo la voce di Merrill. La dalish sopraggiunse con un cipiglio fiero, piazzandosi di fronte al templare che la guardava con un sopracciglio sollevato, leggermente sorpreso. «Non avete il diritto di- oh!» Vide solo in quel momento i due amici, e la sua espressione risoluta mutò in confusione. «Cosa ci fate qui con...?»

«Un templare?» Concluse la frase Anders, lanciando al Trevelyan un'occhiata di profondo disgusto. «Anche se non sembra, sta cercando di aiutarci. Volevamo solo fare qualche domanda a questa fanciulla, ma a quanto pare nell'Ordine insegnano a terrorizzare chiunque gli si pari davanti.»

«Le ho ripetuto più volte che non avevamo intenzioni ostili!» Ribattè piccato Trevelyan, allontanandosi però dall'elfa. «E tu chi saresti, comunque?» Chiese, squadrando Merrill dall'alto in basso.

«Ser Trevelyan, Merrill è una nostra cara amica.» Tagliò corto Garrett, frapponendosi tra lui e la compagna con fare protettivo. «Stiamo causando una scenata.» Lo redarguì abbassando la voce.

L'altro sembrò rifletterci per qualche istante, capitolando. Indicò l'elfa a terra con un cenno stizzito del braccio. «Allora occupatevene voi, forza.»

«Lena, possiamo andare a casa tua a parlare?» Le chiese Merill, ignorando il templare e avvicinandosi alla ragazza, prendendole le mani e sorridendo incoraggiante. «Nessuno ti farà del male, puoi fidarti di me e Garrett è una brava persona.»

Dopo un attimo di esitazione, l'elfa lanciò un ultimo sguardo spaventato al Trevelyan, riportando poi gli occhi su Merrill e annuendo.

Fece loro strada fino ad una stanzina minuscola al secondo piano di un edificio di legno, così piccola che dovettero stringersi per starci in cinque, e non avevano nemmeno abbastanza spazio da muoversi senza rischiare di urtare il poco mobilio che la arredava.

Trevelyan, dopo una breve ispezione dell'ambiente, arricciò il naso. «Vi aspetto fuori, dato che comunque non sono gradito.»

Attesero che richiudesse la porta e chiesero all'elfa dove fosse il suo compagno.

«Non è tornato.» Rispose lei, torcendosi le mani. «Non lo vedo da tre giorni, era andato a lavoro e poi non si è fatto più sentire, a volte succede che si ubriaca, o che finisce con qualche ragazza che lavora lì, ma non è mai stato lontano per così tanto...» Tirò su col naso, gli occhi lucidi. «Credo che stavolta mi abbia lasciata davvero, mi dice sempre cose orribili.»

«Non dovresti stare con uno del genere!» Saltò su Merrill, accarezzandole la schiena. «Quando lo troveremo, gli diremo di starti lontana, non ti meriti un-»

«No, per favore!» Squittì l'altra, portandosi una mano al ventre. Solo allora Garrett notò un leggero rigonfiamento. «Porta a casa molti soldi, dal lavoro, ne abbiamo bisogno...»

I tre si scambiarono uno sguardo di compassione.

«Faremo il possibile per trovarlo.» Le disse Garrett, e il suo sguardo si posò su un coccio a terra, incrostato di quello che sembrava sangue secco. Lo indicò con un cenno. «È stato lui?»

L'elfa annuì. «Non mi ha mai colpita, però. Rompe le cose, a volte, e poi deve ricomprarle...»

Merrill si chinò a raccoglierlo, passandoci sopra il polpastrello con attenzione. «Grazie, Lena, ti terremo informata. Non preoccuparti, tu e il bambino sarete al sicuro.»

Uscirono all'aperto, trovando Trevelyan appoggiato al Vhenadahl che scrutava torvo i passanti, i quali si tenevano il più lontano possibile da lui.

«Allora?»

«Un buco nell'acqua, parrebbe.»

Il templare sferrò un pugno al tronco dell'albero, staccandovi con i guanti ferrati un pezzo di corteccia. «Maledizione!»

«Il Vhenadahl è sacro, non fatelo un'altra volta.» Lo redarguì Merrill, gonfiando il petto. «Gradireste forse che qualcuno colpisse una delle vostre statue dorate che avete nella Chiesa?»

Lui la guardò sorpreso, abbassando poi lo sguardo sul pugno chiuso. Si limitò a scrollare le spalle, precedendoli verso le scale che portavano al porto. «Andiamo, magari Andrew e il Capitano hanno avuto più fortuna.»

Garrett ne approfittò per chinarsi un poco verso Merrill, restando indietro di qualche metro. «Riesci ad individuarlo tramite quel sangue?» Le chiese con un filo di voce.

«Non con due templari tra i piedi!» Rispose lei con una smorfia, la punta delle orecchie che si abbassava infastidita. «E nemmeno il tuo vhenan gradirebbe.»

«Per Marian e gli altri, sono disposto a tutto.»

«Dillo a loro...» borbottò lei mentre seguivano il templare e Anders su per le scale.



 

«La Bruja è ancora nel porto, ma non ci è parsa sospetta.» Spiegò Andrew appoggiato al muretto di una delle terrazze che davano sui moli, indicando una tre alberi dalle vele un tempo scarlatte e ora sbiadite dal sole e dalle intemperie come il resto della nave, che sembrava aver visto giorni migliori.

«Il capitano sta a malapena in piedi e a stento potrebbe distinguere il suo quartiermastro da una bottiglia di rum, quindi direi che potremmo concentrarci su dove sia finita la Estrella.»

«Merda.» Garrett strinse l'arco con maggior forza, lanciando uno sguardo furente alle navi ormeggiate di fronte a loro. «Come cazzo la rintracciamo una nave che è sparita nel nulla?»

«A questo riguardo...»

Si voltarono tutti verso la voce maschile che aveva parlato, a stento trattenendo una smorfia di disprezzo nel riconoscerlo.

Samson, l'ex templare che passava il suo tempo a raccattare qualche spicciolo per spenderlo in lyrium di contrabbando e alcol di bassa lega, sorrideva compiaciuto. «Potrei avere qualche informazione... per il giusto prezzo.»

Garrett fece due rapide falcate nella sua direzione. «Cosa sai?»

L'altro scoppiò a ridere, umettandosi le labbra spaccate. «Non così in fretta, cosa ci guadagno se-»

Prima che potesse farlo il mago, Trevelyan scattò in avanti e lo sollevò di peso per il bavero della giacca, strattonandolo con forza. «Parla o ti spacco quella faccia da cazzo che ti ritrovi.» Ringhiò ad un soffio dal suo volto, gli occhi verdi che luccicavano sinistri.

Samson cercò di tirarsi indietro, portandosi una mano al collo per cercare di fargli allentare la presa, gli occhi che brillavano divertiti. Sollevò poi entrambe le mani verso il templare, in segno di resa.

Trevelyan lo lasciò andare di scatto, facendolo crollare a terra sputacchiando per riprendere fiato. «C'è in gioco la vita di qualcuno di molto più importante di te, Samson. Muoviti.»

L'ex templare si massaggiò la gola dolorante, guardandolo con un sorrisetto e portando poi lo sguardo su Garrett. «State cercando una nave antivana sparita nel nulla dopo aver attraccato qui qualche giorno fa, no? Voi damerini non avete pensato al resto della ciurma.» Indicò una delle taverne poco lontane, la puzza di umanità e viveri scadenti che arrivava fin là portata dal vento. «Ero a farmi i fatti miei come al solito, quando sono entrati alcuni antivani con un sacco di soldi e poco tempo per spenderli, si lamentavano che sarebbero stati troppo poco al porto.»

«Erano della Estrella?» Domandò Andrew.

«Avevano tutti una stella a otto punte tatuata sull'interno del polso, se può servire.»

«Quindi, dove sono andati?» Insistette Garrett, l'urgenza nella voce. «Si tratta di Marian, Samson, parla e ti darò tutto il lyrium che puoi ingerire per un mese.»

«Facciamo due?»

Dovette fisicamente resistere dallo spaccargli la testa sul muro retrostante, ricordandosi che qualsiasi scoppio di magia non controllato poteva metterli più nei guai che altro. Annuì.

«Probabilmente non avrebbero dovuto parlarne, ma erano ubriachi fradici e con una ragazza in grembo ciascuno... a quanto pare qualcuno li ha ingaggiati per portare fuori di qui due pezzi grossi e una gran puttana che aveva pugnalato alle spalle il loro capo.»

«Isabela.» Commentarono in coro Anders, Garrett e Merrill.

«Due pezzi grossi...?» Ripetè Andrew, confuso. «Marian e il principe di Starkhaven, forse?»

Garrett si grattò la barba. «Fenris potrebbe solo essere un danno collaterale, in effetti, immagino che ci siano delle taglie sia su mia sorella che su Sebastian, per un motivo o per l'altro. Hanno detto dove sarebbero salpati dopo averli catturati?»

Samson scosse il capo. «Non hanno mai detto di doversene andare presto da Kirkwall, anzi... erano furiosi perché il capitano li avrebbe fatti nascondere da qualche parte lontano dalla città, invece di proseguire subito per un altro porto dove spendere il resto in dadi, alcol e puttane.»

Fu Anders a dare voce al dubbio che aleggiava nelle loro teste, voltandosi verso Garrett con l'aria di chi la sapeva lunga. «Dove nascondi un'intera nave di pirati con quattro ostaggi, abbastanza vicino alla città ma senza che nessuno lo sappia?»

«Alle grotte degli schiavisti.» Una nuova, flebile speranza tornò a scaldargli il petto. «Abbiamo una pista, almeno.» Fece un cenno di ringraziamento col capo a Samson. «Vai al Coccio Sbeccato, chiedi di Otto e digli che ti devo un favore, ti daranno un anticipo.»

«Ah, sarà la prima volta che quel bastardo non mi caccerà fuori come un cane pulcioso.» Sogghignò Samson, per poi divenire serio per un istante. «Trovatela. È una dei pochi che fanno ancora credere nell'onore dell'Ordine, se mai ne abbiamo avuto uno.»

«Tu di certo non ne sei un esempio.» Sputò Trevelyan, squadrandolo torvo.

L'altro si strinse nelle spalle. «Sono un rottame, la tenente ha ragione. Non servo a granché ultimamente, ma è bello sapere che ci sia qualcuno migliore di me in quel vostro covo di stronzi.»

Lo lasciarono a rosolarsi nella sua autocommiserazione, pensando ad un piano per raggiungere le grotte nella costa senza farsi notare troppo.

«Se arriviamo da mare, li troveremo più velocemente, ma sarà più facile anche per loro accorgersi del nostro arrivo.» Ragionò Garrett grattandosi il mento.

«Dividiamoci.» Propose Trevelyan dopo qualche attimo. «Io, Andrew e il Capitano andremo per mare, dato che conosciamo meno l'ubicazione delle grotte ci sarà più facile individuarle dalla costa. Vi faremo un segnale se troveremo qualcosa, mentre voi indagherete da terra e farete lo stesso in caso vi imbattiate in tracce fresche.»



 

«Varric darà fuori di matto sapendo che l'unica volta che si allontana dalla città noi andiamo a combattere dei pirati.» Commentò Anders mentre seguivano il sentiero che si snodava su per la costa frastagliata, la falesia sotto di loro alta un centinaio di metri.

«Sta controllando come procedono le cose con Bartrand... se gli avessi scritto sarebbe tornato in un giorno, ma ho voluto lasciarlo in pace, è già abbastanza dura per lui.»

«Si arrabbierà comunque, lo sai, sì?»

Garrett si strinse nelle spalle, lanciando a Merrill un'occhiata speranzosa. «Trovato nulla?»

L'elfa, le palpebre socchiuse e un'aura fumosa e scarlatta ad avvolgerla quasi completamente, si limitò ad annuire, riaprendo poi gli occhi e sfregandosi la fronte sudata col dorso della mano. «C'è qualcosa che mi impedisce di vederlo con chiarezza, ma è sicuramente poco più avanti, direi a meno di un'ora di cammino...» scosse la testa, stringendo il coccio macchiato di sangue secco. «Non mi piace, dei pirati che usano la magia e riescono a catturare una templare e Fenris?»

Garrett annuì. «Non piace nemmeno a me, per una volta sono contento di avere dalla nostra anche un paio di templari.»

«Sì, scommetto sarebbero entusiasti di vedere Merrill fare i suoi giochetti.» Commentò aspro Anders, rifiutandosi di voltarsi nella direzione della dalish.

«Dacci un taglio, sta aiutando.»

L'elfa fece spallucce. «Oh, non importa Garrett, quando li troveremo grazie ai miei “giochetti”, come li chiama lui, e non tramite le sue costanti lamentele sul mio modo di fare, allora avrò dimostrato di avere ragione.»

Un uccellino minuscolo le svolazzò accanto, tagliando loro la strada e cinguettando tre singole note prima di posarsi su un arbusto lì vicino. Il pettirosso puntò su di loro i piccoli occhi innaturalmente verdi, chinando un poco di lato il capo. Sentirono il Velo fremere e al posto della creaturina apparve una figura femminile, minuta e dai capelli dello stesso colore del piumaggio ramato del volatile, due brillanti occhi del colore delle foglie in primavera e le orecchie a punta, la pelle candida del volto cosparsa di efelidi.

«Finalmente vi ho trovati.» Parlò la ragazza. Aveva un tono musicale ma una pronuncia bizzarra, come se non fosse abituata ad esprimersi a voce. «Mi dispiace essere arrivata tardi.»

Garrett sentì Anders irrigidirsi accanto a lui e si trasse indietro d'istinto. «Chi sei?»

L'elfa piegò il capo da un lato, come aveva fatto il pettirosso poco prima, senza sbattere le palpebre. «Ho molti nomi, ma potete chiamarmi Shani. Sono qui per aiutarvi.»

















Note dell'Autrice: un altro personaggio fa la sua comparsa, finalmente! Non c'è mai un attimo di pace a Kirkwall, soprattutto con forze oscure e misteriose che tramano da lontano.
A prestissimo!  

  
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