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Autore: Enchalott    28/09/2020    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Irkalla
 
L’abbraccio struggente tra Adara e Narsas si slacciò dopo un tempo incalcolabile.  Non avevano pronunciato alcun termine di liberatorio sollievo nel rivedersi, in un esito contrario a qualunque aspettativa: si erano catapultati l’una verso l’altro non appena la principessa era apparsa nel vestibolo. L’arciere tremava, scosso da emozioni talmente forti da non poter essere sciolte a voce e lei, stretta al suo petto come a una speranza mai esaurita, versava lacrime che raccontavano in silenzio sentimenti impossibili da comunicare.
Anthos aveva osservato la manifestazione fisica senza intervenire, conscio dell’impossibilità di governare quanto da sempre scorreva tra i due ragazzi. Convinto che quanto Adara provava per il guerriero e viceversa non avrebbe in alcuna misura intaccato l’amore eterno che lei gli aveva giurato. Sorpreso nel realizzare che in sé non avvertiva più l’aculeo gelido dell’astio e della gelosia, la stessa che aveva imparato da poco a chiamare con il nome vergognosamente umano ma corretto che si meritava. Sospirò indulgente, rimanendo un passo indietro, perché la fiducia che aveva promesso a sua moglie lo placava e gli consentiva di vedere oltre la rabbia cieca. Narsas non aveva mai avuto intenzione di offenderlo o di rivaleggiare con lui, se non in ragione del bene di colei che entrambi amavano. Se così non fosse stato, se il giovane guerriero non lo avesse scrollato con la forza dell’amore puro che gli dimorava nell’anima e gli consentiva di leggere nel cuore altrui, Yfrenn-ammri lo avrebbe sconfitto.
A quel pensiero Anthos aggrottò la fronte, consapevole. Il tempo era scaduto.
«Domani» sancì, scostandosi il mantello color ottanio dalle spalle.
L’Aethalas annuì. Lasciò con gentilezza le mani della principessa e le sorrise come se si stesse apprestando a una scampagnata, non a fronteggiare un duello mortale e la fine irreversibile del creato.
Adara si rattristò, ma scacciò il desiderio di implorare il marito affinché posticipasse lo scontro con il Nemico. Procrastinare sarebbe stato un imperdonabile egoismo. Su sua insistente richiesta, Anthos aveva garantito un’attesa di due giorni per consentirle di recuperare le forze, poi si sarebbe messo sulle tracce di Ishkur con o senza l’intervento di Irkalla. In quelle ore, nonostante le sue accorate preghiere, il Distruttore non si era manifestato. Adara si disse che l’assenza rispecchiava quanto l’essere superiore aveva decretato nel loro unico incontro. Eppure qualcosa non le tornava, una sensazione già sperimentata, un pezzo mancante che le sembrava di toccare, ma che continuava invece a sfuggirle, protetto da un irrisolvibile rompicapo o dalla rigida volontà di una divinità intenzionalmente sfuggente.
«Sono ai vostri ordini» rispose Narsas, ponendosi le dita sul cuore.
«Esprimo la mia gratitudine» ribatté il reggente, privo del solito sarcasmo.
La ragazza ascoltò lo scambio formale e comprese che, durante la sua pena nel pozzo delle ombre, tra loro era accaduto qualcosa di importante. Un indizio le era stato fornito da Anthos stesso: senza Narsas, non sarebbe riuscito a salvarla.
Era stata tentata di chiedergli delucidazioni, ma aveva rinunciato: un’intromissione sarebbe suonata come una violazione dello spazio privato che i due uomini avevano condiviso, dopo aver costretto all’angolo l’orgoglio personale e la visione opposta del mondo che avrebbero continuato a sostenere. E quello le era più che sufficiente.
Ricambiò l’espressione affettuosa dell’arciere che prendeva congedo, poi si soffermò con tenerezza sull’elsa della spada spezzata che gli pendeva dal fianco. Si era sorpresa nel notarla: gli Aethalas non portavano lame, se non i pugnali arcuati tipici dei nomadi di anydri. Quella poi era inservibile. Quando l’aveva identificata, era stata colta da un subitaneo terrore. Il guerriero si era affrettato a garantirle che Dare Yoon e Aska Rei erano sulla via di casa, mettendola al corrente di quanto riferito da Dessri e del supporto fondamentale che la donna aveva fornito sin dal suo provvidenziale arrivo alla capitale. Adara non aveva ancora incontrato la guaritrice, che si era rifugiata con Màrsali e gli altri sul picco più alto della città, ma la riconoscenza non aveva bisogno di un’interrelazione diretta per essere sentita.
«È come se lui fosse qui con me» aveva affermato Narsas, sfiorando l’impugnatura intrecciata di cuoio consumato «Dare Yoon mi prenderebbe in giro per un tale sentimentalismo.»
«Oh, sì» aveva riso lei «Giusto per non farti notare di esserne onorato e commosso!»
Osservò l’arciere che si allontanava con passo fiero.
Quella notte avrebbe domandato a Anthos di usare l’incanto dell’acqua per essere sicura che i due ufficiali fossero approdati a Elestorya sani e salvi, che sua sorella fosse viva, che i suoi genitori stessero bene. Poi non avrebbe avuto rimpianti e sarebbe stata libera di concentrare ogni energia sul Nemico. Perché se Anthos le aveva vietato di seguirlo, certo lei non sarebbe rimasta inattiva: lui lo aveva messo in conto sin dal principio, pur mostrandosi irremovibile. La conosceva bene.
Avvertì una fitta al cuore. Una manciata di ore soltanto.
«Vogliamo rientrare?» disse il principe come se le avesse letto la mente.
Nel suo sguardo penetrante regnava lo stesso incontrollabile desiderio di lei.
«Ti sembrerà poco serio e per nulla romantico» arrossì Adara «Ma se non mangio qualcosa, rischio di capitolare prima della battaglia.»
Anthos sogghignò, divertito dai suoi bisogni primari.
«Risenti degli effetti di Yfrenn-ammri. Ti priva delle risorse, è normale che tu abbia fame. Penso di poter attendere qualche minuto» aggiunse suadente.
La ragazza lo baciò sulle labbra, perdendosi nelle sue iridi d’oro, nel suo profumo lieve, nel suo abbraccio maschile. Ogni secondo tra loro era inestimabile, pensare a ciò che sarebbe potuto avvenire risultava una tortura insostenibile.
Si diressero verso la sala del trono, uniti da pensieri corrispondenti.
 
Le nubi opprimenti e coese che ammantavano Iomhar si mossero dalla loro millenaria stasi con iniziale indolenza. Si disgiunsero in un rotolio impercettibile, allontanandosi le une dalle altre con stupita lentezza. Si sfilacciarono come cardate da una forza soverchiante, lasciando spuntare tra le striature nere, chiuse in una morsa caparbia, uno sprazzo di cielo nudo. La coltre perenne resistette a oltranza, ma si allentò di quel soffio infinitesimale e la pioggia diminuì d’intensità. Una luce anomala e straordinaria si dipanò sulla terra maledetta, lambendola con raggi lievi e intermittenti.
Anthos si fermò a metà della scalinata, improvvisamente in allerta. Poco discosta da lui, Adara si bloccò a sua volta, impensierita nell’intercettare al lucore della fiaccola la sua espressione tesa. Il principe si voltò interdetto.
«Fa troppo caldo. È fuori norma.»
Riprese a salire con rapidità, seguendo il suo istinto infallibile. La ragazza lo tallonò: gli ambienti gelidi della fortezza non le stavano causando il consueto accesso di brividi incontrollabili e il suo respiro non si stava condensando. Non aveva bisogno di indagare se quel fenomeno costituisse un segno positivo per il Nord, poiché era certa che non lo fosse affatto, come tutti quelli che non erano neve e gelo.
Giunsero all’ingresso della zona riservata alle udienze e la sensazione di insolito tepore incrementò.
«Cosa…?» sbigottì il principe.
Una luminosità tenue ma percettibile, insolita, penetrava attraverso le finestre, rendendo il passaggio meno buio e smussandone gli spigoli.
Il reggente osservò il fenomeno e nei suoi occhi transitò un lampo di inorridita consapevolezza: aveva identificato cosa stesse avvenendo e forse il motivo: quanto a metterla a parte, Adara precipitò nel controverso. Gli passò accanto e si sporse per ottenere una visione ottimale dell’esterno. Non ci riuscì, ma le fu sufficiente riconoscere la tinta, insolita per il Nord ma inconfondibile per un’elestoryana.
«Questo è il chiarore della luna!?»
Il principe la fissò senza esprimersi, ma le sue considerazioni si palesarono in quel silenzio greve. Dall’ultima volta erano trascorsi più di vent’anni: si era mostrata tinta di sangue, nella notte in cui Adara era nata, quando le era stato tatuato il segno del Crescente. La ragazza rammentò quello che Anthos le aveva riferito, con ironia priva di convincimento e laconica accondiscendenza, la prima volta in cui avevano dormito insieme. Il cuore iniziò a batterle rapido.
«La luna rossa può essere fermata solo dalla comparsa di un’altra luna che getterà su di essa la sua nuova luce.»
Quella presente aveva il colore puro dell’argento e Anthos la osservava come se fosse un incubo spaventoso.
«Oh no, non adesso…» sussurrò pietrificato.
La principessa sentì gelare il sangue nelle vene.
«Che cosa sta accadendo? “Se la Profezia si è annullata, perché…?»
«Il Testo Sacro non ha nulla a che vedere con questo» replicò lui sbrigativo, reprimendo la pur evidente apprensione.
«Che significa allora!?»
Il reggente posò su di lei uno sguardo penetrante. Non quello indifferente, ma quello che le riservava quando non era intenzionato a rispondere alle sue richieste. La ragazza gli prese il viso tra le mani ripetendo l’istanza con dolce perseveranza, tuttavia la situazione non mutò.  Non avrebbe chiarito il mistero della manifestazione eccezionale, che per lui era già risolto e che, a giudicare dalla sua posa, lo turbava non poco.
«Se è così, lo scoprirò da sola. Sono stanca di riscuotere da te silenzi e proibizioni. Non posso restarmene in un cantuccio ad aspettare che mio marito mi ritenga degna di spartire con sé i suoi segreti! A un passo dalla disfatta del cosmo!»
Si precipitò verso la sala del trono, dalle cui ampie vetrate avrebbe avuto un’osservazione migliore. Doveva capire. Doveva sapere. Doveva impedirgli di combattere da solo contro qualunque cosa si fosse presentata loro!
«Adara! No!»
La fermò sulla soglia, sotto lo stipite arcuato del portale già spalancato. Il Medaglione si attivò all’improvviso, risplendendo di un bagliore azzurrato e cangiante. Lui lo serrò nel pugno, inquieto come non lo aveva mai visto.
«Non c’è nulla qui, Anthos. Che cosa ti angustia così tanto? Voglio guardare fuori o apprendere da te la verità. È questa la luna che annuncia la fine?»
«Non c’è nulla da scoprire!»
Un tono secco che mascherava un’agitazione maggiore e che non la ingannava più.
«Perché non vuoi che entri lì dentro? Perché l’amuleto si è attivato e il Crescente no? Che cosa sta succedendo?!»
«Rientriamo a Leu-Mòr, è più sicura. Potrai osservare il cielo da lassù.»
«Indubbio. Ma non mi hai risposto.»
Il principe emise il fiato, senza allentare la stretta con cui la stava frenando.
«Ci sono realtà che è bene restino sepolte. Non sono utili a nessuno.»
«Ma tu fai eccezione, vero?! Ne sei al corrente e stai decidendo per me!»
«Sì! Sì, è così! Smettila di discutere!»
«Erano solo parole, dunque? Amore, fiducia… nei fatti mi stai tenendo lontana da te, Anthos! Ancora una volta!»
La sua voce si incrinò per il dispiacere, lo stesso che veleggiò intenso nelle iridi ambrate di lui all’udire il legittimo sfogo.
»Ti sto proteggendo, Adara» replicò in un sussurro «Nient’altro.»
Lei lo abbracciò più forte che poté, certa delle giuste ragioni di entrambi, stringendosi a lui con tenacia. Il Medaglione continuò a brillare, vigoroso e caparbio.
«L’ho fatto anch’io e guarda!» disse tra le lacrime «Ho protetto me stessa e non ti ho detto che ero innamorata di te sin dal giorno in cui ti ho visto su quella nave! Ho protetto te da ciò che mi spaventava e a causa di questo abbiamo ambedue sofferto, rischiando di perderci per sempre! Io sono quasi morta e anche tu. Non negarlo, perché non servirebbe! È giunto il momento di abbandonare la guardia reciproca. Io ti amo, Anthos! Non smetterò mai, qualunque cosa tu stia rifuggendo o celando. Se anche per te è così, ti prego…»
Il reggente la cinse con intensità. Il suo dolore dilagò, più evidente dello sfolgorare nitido del gioiello stretto tra loro. I palpiti del suo cuore accelerarono, incontrollabili, spasmodici.
«Mi fido. Ti amo» rispose sconfitto «Non dubitarne mai.»
Poi aprì le braccia, mettendo all’angolo la propria volontà e lasciandola libera.
 
La principessa gli prese la mano e attraversò con lui l’ingresso del salone. Percepì la sua riluttanza nonostante avesse rinunciato a ostacolarla. Arginare la propria ferrea risolutezza per il reggente era il modo di provarle ciò che sentiva, più potente di una dichiarazione diretta.
La stanza era vuota. Nessuna presenza, nessun cambiamento apparente nell’ambiente familiare. Le finestre filtravano la danza della luna immersa tra le nuvole scure, che appariva e scompariva al capriccio del vento. Non c’era niente di insolito, di dissonante, di…
Poi lo vide. Trasecolò. L’affresco restaurato, colpito dall’opalescenza diafana, appariva dissimile. Adara si avvicinò alla parete, contemplando i particolari che non aveva mai notato.
Una scia di sangue partiva del petto squarciato dell’uomo in ginocchio e raggiungeva la mezzaluna crescente colorata di scarlatto: era iridescente e visibile al controluce argentato che la sfiorava, altalenante nella sua rifrazione. Senza quel fenomeno inconsueto non l’avrebbe mai distinta sulla tinta nera del dipinto. Nell’oscurità o alla fiamma delle torce non era mai risaltata in alcun modo. Ne era certa.
«Anthos…»
Lui rimase alle sue spalle, immobile e taciturno, rivolgendo uno sguardo furibondo al cielo e non alla peculiarità che quasi sicuramente aveva avuto occasione di verificare, ma che non aveva mai condiviso. Che aveva piuttosto tentato di annientare in ogni modo.
La coltre grigia calò di nuovo sulla notte del Nord, inghiottendo la luna in un compiaciuto instante. La pioggia ricominciò a sferzare la fortezza con ferocia, come se non fosse accaduto nulla di insolito. Il tuono echeggiò nel buio.
Adara si approssimò al dipinto, rabbrividendo. Era impossibile. Assurdo. Eppure tutte le tessere assunsero la giusta collocazione nel mosaico complesso che era lì affrescato. Figure e parole. Eventi reali e vaticinati da millenni. Veri o presunti tali.
«Non rappresenta la maledizione divina» sancì con tremante sicurezza «E neppure la sua risoluzione. Questa è la fine dell’esistente!»
«Di questo esistente» corresse il reggente «Una delle tante. La più perversa.»
«La donna bionda è Amathira, ma il suo volto è celato, perché il suo gemello Ishkur ha sempre paventato di essere riconosciuto. La dea del Cielo…» esitò la ragazza, riprendendo fiato «Lei non sta emettendo alcun chiarore dalla mano levata. Lo sta assorbendo, negandolo al mondo. È lei che ha creato l’oscurità con il suo anatema! Favorevole o meno, è lei che ha consentito tutto questo!»
«Una somiglianza molto forte» precisò il principe.
«L’ombra è la protagonista assoluta, il nero inghiotte ogni cosa e vince!»
«Non sulla mezzaluna» specificò Anthos.
Le lacrime trovarono il varco e scesero sul viso sconvolto di Adara. Continuò.
«Il cuore dell’uomo a terra è straziato, dal taglio profondo scaturisce la sua vita. Prova un dolore tale da versare un pianto di sangue. Ma non c’è nessuna arma da taglio, né una spada né un coltello. Mi sono sempre chiesta dove fosse, ma…»
Si voltò. Lui la fissò. Le iridi d’oro erano abissi incandescenti di ombra e tristezza nella semioscurità.
«La falce! L’arma è la falce di luna. È rossa perché lo ha attraversato, macchiandosi di vermiglio, è stata lei a ferirlo a morte. Peggiore del più spietato dei pugnali! Lei che lo uccide! Oh, dei!»
«Una scia li unisce nonostante la tenebra, nonostante la morte. Destinata a comparire se entrambi lo vogliono, se i nembi della terra maledetta si ritirano al brillare di due anime che divengono una» mormorò il principe «La luna vermiglia sei tu, Adara.»
La principessa riprese a parlare con la voce infranta.
«Lui porta il Medaglione, lo stesso che non abbandoni mai. Non è un simbolo o un monito per chi possiede la reggenza di Iomhar. Anthos, l’uomo in ginocchio sei tu!»
Il reggente annuì. Sulle sue labbra aleggiò un sorriso inquieto. Adara fece un passo nella sua direzione, ma il giovane arretrò nel buio, occultandosi al suo sguardo.
«Il mio destino non è certo» sussurrò invisibile «Sono colui che muore e non lo sono più. Da quando sei giunta nel mio Regno e mi hai voluto per amore, il fato prescritto si è cancellato, impossibile conoscerlo a meno che non sia io a rivelarlo, poiché la decisione finale è soltanto mia. Nessuno avrebbe mai calcolato un’eventualità del genere… che tu amassi uno come me. Non io, tantomeno gli dei che hanno realizzato questa raffigurazione avvilente.»
«Non fuggire, ti supplico! Anthos, non ti farei mai del male! Darei la mia vita per te! Non può essere vero! Questo affresco mente!»
«E io la mia per te» rispose lui distante «Il dipinto non ti sta ingannando, descrive una realtà che può essere raggiunta attraverso infinite vie.»
«Hai detto che l’Imis’eli non può uccidere!»
«Leuhan non priva della vita neppure se tu, che ne sei la portatrice, lo desideri. Ma se a compiere la scelta sono io, sovrano di questo luogo antico e maledetto, è il mio libero arbitrio che vince. È tramite la mia assunzione che la verità diviene tale. Che la sorte giunge a compimento. È ciò che spetta al latore del Medaglione.»
«Non permetterò che tu ti sacrifichi! Non puoi decidere da solo! Io lo impedirò! Anthos, dove sei!? Ti prego, mostrati! Non lasciarmi… non andare!»
Le rispose un silenzio agghiacciante, superato dallo sferzare inesorabile e furibondo dell’acqua sulle mura della fortezza. Adara strinse le dita sul Crescente. Il suo potere aveva operato un cambiamento. Era passato davvero attraverso il principe quando lui lo aveva concesso, allontanandolo dalla parte disumana di sé con il trascorrere dei mesi vissuti insieme. Regalandogli il tempo per capirsi, per risolversi, per arrendersi. Concedendo a entrambi di amarsi profondamente nell’attesa di una scelta che ora appariva tragica e inaccettabile. L’amore che Anthos provava, non l’odio, lo stava spingendo a rinunciare alla propria vita, esattamente come indicato. Una verità beffarda e crudele. Era dunque quella l’unica chance? No. Mai.
Adara estrasse la spada dal fodero con le mani che tremavano.
Infinite vie. Suo marito aveva detto così, non che il viaggio fosse già terminato.
«Mi ucciderò. Lo so che è l’unica soluzione a ciò che l’affresco descrive. O tu o io: l’hai capito sin da quando Màrsali ha interpretato il tuo sogno, lo hai ammesso indirettamente affinché io ne rimanessi all’oscuro. È accaduto quando ci siamo incontrati, la visione è cambiata e hai cercato di nasconderlo. Ma non hai tenuto conto che sono tua moglie e che non ti serve parlare per essere compreso. Anch’io ho un’opzione. Se tu muori, il cosmo precipiterà nelle mani di Ishkur. Non posso consentirlo. Tu devi ricacciarlo nel pozzo da cui è uscito, renderlo inoffensivo per sempre. Devi salvare questo mondo. È questo il ruolo del reggente del Medaglione, non altro. E poi, se tu muori, io non ho motivo di esistere! Perciò tocca a me offrire la vita, Anthos! Tu mi hai reso la mia, pur sapendo che… dèi!»
Sollevò la lama e se la puntò al cuore, facendo appello al proprio coraggio.
«Come Campionessa del Sud compio la missione che ho intrapreso e come tua sposa non ho paura. È solo l’amore che vince ogni inganno!»
Fece per affondare, ma la spada balzò distante, schiantandosi sul pavimento con un clangore prolungato e mimetizzandosi con il buio stesso, impossibile da recuperare.
Anthos emerse dall’ombra, stringendo il Medaglione nella destra abbassata lungo il fianco e vestito in abiti neri che prima non indossava. Tra le sue sopracciglia contratte comparve una ruga di dolore puro. Le iridi d’oro sfolgorarono come novelli soli.
«Non te lo lascerò fare.»
«Perché!? Perché non combatti mai ad armi pari!? Non concedi riscatto! Sei ingiusto! Prevaricante!» gridò lei, scoppiando in lacrime «Non capisci? Non capisci che non posso vivere senza di te!?»
Le braccia di lui la circondarono, ma non per trattenerla. Avvertì il tocco delle sue labbra sulla fronte e il suo respiro lieve.
«Anthos, non andare…»
«Sarò sempre con te. Ho giurato. Una parte di me è già morta e non la rimpiango. È questo ciò che vedi disegnato sul muro. Nulla sarà vano, non temere.»
Il suo profumo la avvolse come un’emanazione, essenza unica di lui da sempre. Qualcosa nella mente della principessa si illuminò e cessò di sfuggirle. Divenne certezza assoluta. Anche prima… anche prima lo aveva pensato per un momento, alla stregua di una scintilla che però si era subito esaurita. Come se fosse proibito riflettere su quell’argomento. Il continuo cambiare discorso di suo marito, il suo retrocedere per non darle modo di concentrarsi e di focalizzarsi su quell’ultimo particolare… perché non lo aveva constatato prima? Funzionava meglio di un sortilegio, perché faceva leva sui suoi sentimenti, la distraeva dal punto chiave della questione. Affondò il viso nella stoffa scura della sua camicia, mentre il principe le inoltrava le dita tra i capelli in un abbraccio che bruciava come un addio. Qualcosa di lui, in quel contatto appassionato, continuava a scappare.
«Nella raffigurazione non esiste alcuna omissione o errore» bisbigliò Adara «Può mentire o suggerire, ma i protagonisti sono tutti sulla scena, compreso il Distruttore. Talmente evidente che non sono riuscita a scorgerlo. A te noto da sempre. Nascosto ma palese, un solo personaggio per due persone, un’unica entità nel cosmo in agonia: l’uomo in ginocchio è Irkalla. Tu sei Irkalla!»
Avvertì il sussulto che lo attraversò. Il sospiro che emise. Il calore che emanò.
L’abbraccio si sciolse. Rimasero in piedi, uno difronte all’altra nel silenzio denso di quella rivelazione imprevista.
«In base a cosa hai raggiunto una simile, insensata interpretazione?» negò lui.
«Ho imparato a non farmi distrarre dal tuo magistrale gioco degli opposti. Ho ascoltato il mio animo, radunato le mie sensazioni…»
«Non costituiscono indizio, sono solo illusioni.»
«Stavo per convincermene, per esserne distolta come tutte le volte in cui sono stata vicina a comprendere, ma… quando ci siamo incontrati alla città bassa…»
Il reggente si irrigidì. Ascoltò il ragionamento di lei in un silenzio glaciale.
«Illtyd non si è imbizzarrito, poiché ha riconosciuto il suo padrone sotto quel mantello scuro» spiegò Adara «E il Crescente non ha dato alcun allarme, perché non stavi indossando il Medaglione. Il tuo profumo mi è rimasto addosso, persino a distanza. Lo riconoscerei tra mille, ma in quel momento ero troppo sconvolta per prestarvi attenzione e subito dopo mi hai presa tra le braccia, confondendomi. Non sono abbagli, sono prove!»
Lo sguardo di Anthos divenne magma. Divenne dolore e furia infiniti.
«Il mio cuore batte così forte solo quando ci sei tu e anche allora è successo. Ho pensato fosse paura e tu hai lasciato che me ne convincessi. Una parte di me però non ti ha ascoltato e ha continuato a ragionare nel profondo. Il Distruttore sei tu… sei tu!»
La tormenta fece tremare i vetri del salone e ululò tra le torri della fortezza.
«Uno sbaglio c’è» mormorò lui dopo un istante che parve infinito, indicando l’affresco nella penombra «Ero in piedi, come hai intuito. Davanti alla mia nemica non mi sono mai piegato.»
L’ammissione scoccò come lo scadere del tempo. Adara si accasciò ai suoi piedi, prendendosi il volto tra le mani, percossa da migliaia di pensieri.
«Mio signore… mio altissimo signore…»
Il dio della Distruzione rimase immobile, terribile e come scolpito nella roccia.
«Ora che conosci la verità, rispondimi, Adara. Moriresti ancora per me?»
   
 
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