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Autore: Sognatrice_2000    29/09/2020    1 recensioni
"Mi chiamavo Piton, come il serpente. Nome di battesimo: Harry.
Avevo dodici anni quando fui ucciso, il 5 dicembre 1992."
All’inizio del suo secondo anno a Hogwarts, Harry scompare misteriosamente.
Pochi giorni dopo, alcuni dei suoi vestiti e pezzi del suo corpo vengono ritrovati nella foresta proibita.
Il racconto è affidato alla voce di Harry, che dopo la morte narra dal cielo la vicenda.
Le vite degli amici di Harry, spezzate dalla sua tragica scomparsa, verranno raccontate con la dolcezza e l'ingenuità dell'infanzia.
(Ispirata al libro “Amabili resti” di Alice Sebold)
Questa storia partecipa al contest "Chi ben comincia è a metà del prologo" indetto da BessieB sul forum di EFP.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Il trio protagonista | Coppie: Harry/Severus
Note: Movieverse, OOC, What if? | Avvertimenti: Incest, Non-con | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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Hagrid fece ritorno alla sua casa quando era già buio.

Pregustava la sua solita routine: una cena sostanziosa, un bagno caldo, e poi, nel bozzolo segreto del suo letto, avrebbe guardato ancora una volta le mie fotografie, eccitandosi al ricordo di quei momenti.

Entrando, percepì qualcosa di strano nell’aria immobile intorno a lui. Il silenzio che si era creato era la quiete prima della tempesta. 

Con cautela, Hagrid allungò il braccio per far scattare l’interruttore della luce, e non appena l’interno della casa fu illuminato, distinse chiaramente il profilo di una sagoma alta e scura che occupava la sua poltrona.

Lo sconosciuto misterioso gli dava le spalle, ma non appena parlò Hagrid riconobbe la sua voce, piatta e talmente fredda da dare i brividi. “Ti stavo aspettando.”

“Ha bisogno di qualcosa, Seve- signore?” Si corresse all’ultimo minuto, ricordandosi che avevano posizioni sociali troppo diverse per permettersi la confidenza di chiamarlo per nome. Hagrid era confuso: che cosa ci faceva nei suoi alloggi Severus Piton, per giunta a quell’ora tarda?

Piton non gli rispose subito. 

Si alzò dalla poltrona, aggirandola lentamente. 

Aveva aspettato questo momento da così tanto tempo, che adesso che finalmente era arrivato aveva tutta l’intenzione di gustarne ogni secondo.

“Avrei potuto ucciderti subito, al buio, non appena hai aperto la porta.” Piton gli stava di fronte adesso. “Ma ho aspettato che accendessi la luce, perché volevo che vedessi il volto del tuo assassino.”

“Mi perdoni, signore, ma non riesco proprio a capire…”

“Magari queste ti aiuteranno a capire meglio.”

Piton gettò a terra con rabbia e disprezzo le fotografie che aveva in mano. 

Hagrid sapeva cosa fossero ancora prima di guardarle.

Aveva fotografato ogni centimetro della mia pelle, ogni neo e ogni lentiggine, e si era toccato furiosamente per innumerevoli notti con gli occhi fissi su quelle immagini, ad assorbire ogni dettaglio.

“Qualunque cosa pensa, signore, non sono stato io a…”

Piton rise a quel patetico tentativo di difesa, dalla sua gola uscì un suono amaro e rotto che era la cosa meno simile ad una risata che avessi mai sentito.

Rise con il volto chino, i lunghi capelli a nascondere i suoi lineamenti, ma quando alzò la testa il suo volto era rigato da lacrime luccicanti e la risata si trasformò in un grido di rabbia inumana. “Era solo un bambino… era il mio bambino… e tu me l’hai portato via!” Urlò le ultime parole, estraendo di colpo la bacchetta nascosta tra le sue vesti e puntandola contro di lui. 

In un istante scagliò il corpo di Hagrid contro la parete. 

Il tonfo che provocò l’impatto fu violento e Hagrid rotolò a terra come un sacco di patate.

Expelliarmus!” Approfittando dello stordimento momentaneo di Hagrid, Piton gli sottrasse la bacchetta, che volò direttamente nella sua mano.

A quel punto Hagrid tentò di difendersi con il solo aiuto della forza bruta, e io rimasi sgomento a guardare mentre si scagliava verso mio padre.

Ma Piton, sorprendendomi, schivò con abilità ogni suo pugno e ogni tentativo di attacco, per poi tramortirlo e immobilizzarlo con un altro incantesimo. 

Non potei impedire a un moto di orgoglio di impadronirsi di me. Mio padre era davvero un eccellente combattente.

“Non ti ucciderò, non subito.” Dichiarò Piton, osservando con soddisfazione la disperazione che aleggiava negli occhi di Hagrid, impossibilitato a parlare e a muovere anche un solo muscolo. “Prima avrò tutto il tempo per farti soffrire come ha sofferto Harry. E allora sarai tu a implorarmi di mettere fine al tuo dolore.” Puntò la bacchetta contrò di lui e gridò: “Crucio!” Hagrid non poteva gridare a causa dell’incantesimo del silenzio, ma se avesse potuto farlo, le sue urla avrebbero fatto crollare la casa.

I suoi lineamenti si distorsero per la sofferenza, fino a diventare irriconoscibile.

Il dolore si irradiava da ogni molecola del suo corpo; ogni osso veniva rotto e poi ricomposto, solo per essere nuovamente frantumato.

Fiumi di sangue gli uscivano dal naso, dalle orecchie e dalla bocca, la sua pelle era ricoperta lividi e ustioni.

Fui tentato di chiudere gli occhi di fronte ad una tale violenza, ma mi costrinsi a tenerli aperti e a scolpire nella mia mente l’immagine del mio assassino che si contorceva in preda a torture che sembravano quasi più atroci di quella che avevo vissuto.  

La tortura andò avanti per molte ore, fin quasi all’alba. 

Davanti al corpo stremato e straziato di Hagrid Piton non manifestò il minimo segno di pietà.

Io invece, malgrado tutto, non riuscii a non piangere per lui. 

Perché prima di essere il mostro che mi aveva fatto del male, Hagrid era stato il mio primo amico, era stato un  uomo a cui avevo voluto bene.

E quando Piton lanciò infine il suo Avada Kedavra e il corpo di Hagrid non mi mosse più, mi resi conto di non provare la soddisfazione che mi ero immaginato.

La vendetta non mi avrebbe riportato indietro. 

Sarei rimasto per sempre un corpo freddo e dilaniato; non sarei mai cresciuto, non avrei mai visto il mondo, baciato una ragazza, avuto dei figli.

Questo pensiero sembrò attraversare anche la mente di mio padre, che rimase a lungo a guardare il corpo che giaceva ai suoi piedi, e per pochi attimi sembrò smarrito, vulnerabile, dolorosamente umano, mentre si rendeva conto che la vita che aveva tolto non sarebbe servita a fargli riavere suo figlio.

Lo guardai mentre bruciava il corpo di Hagrid e lo guardava ardere con sguardo vuoto, meditando per un attimo se gettarsi nel fuoco anche lui.

No! Gridai nella mia mente. È troppo presto, non puoi raggiungermi adesso! Se soltanto potessi parlarti, farti capire quanto sei amato e quanto desidero che tu viva… 

“Devo dirgli addio.” Guardai Luna implorante, una lacrima mi scendeva sul viso. “Mi basta un solo minuto, per dirgli quanto lo amo.”

Il volto di Luna rimase imperscrutabile per qualche secondo, prima di aprirsi in un dolcissimo sorriso.

“Se un’ora sola mi fosse concessa, un’ora d’amore su questa Terra, a te donerei il mio amore.” Recitò in tono solenne. Ipotizzai che fosse una poesia letta quand’era ancora viva. “Vai, Harry, e vivi la tua ora d’amore.”

Il sorriso di Luna improvvisamente svanì e mi ritrovai nel mio letto, a Hogwarts.

Ma non ero io, mi resi conto, alzandomi e correndo di fronte allo specchio.
La mia anima aveva preso possesso del corpo di Ron, capii quando vidi il riflesso di un bambino dalle guance paffute e i capelli rossi. Mi era concessa una sola ora sulla Terra.

E io sapevo con chi volevo trascorrerla.

Corsi a perdifiato fino alle stanze di Piton e bussai furiosamente. 

Quando Piton mi aprì vidi che aveva indossato una vestaglia scura, fingendo di essersi appena alzato dal letto.

Aggrottò le sopracciglia, sorpreso e infastidito. “Signor Weasley? Cosa deve dirmi di così importante da non poter attendere il sorgere del sole?”

Incurante del suo tono brusco e acido, mi fiondai contro di lui, avvolgendogli le braccia attorno ai fianchi e poggiando la testa sul suo grembo.

“Signor Weasley, che diavolo pensa di fare…?”

“Papà…”

A quella parola Piton congelò e mi staccò da lui con forza, posandomi le mani sulle spalle. “Cosa hai detto?” Il suo sguardo era febbrile, rabbioso, disperato, speranzoso.

“Sono io, papà, sono Harry.”

A quel punto vide la verità. 

La mia voce era la mia, inconfondibile per le sue orecchie, la voce dolce e leggera di un bambino troppo piccolo per parlare con il tono baritonale degli adulti.

La mia faccia si rivelò per com’era veramente: davanti a lui adesso non c’era più Ron, ma un ragazzino con gli occhiali rotondi, una zazzera mora ribelle e un grande sorriso.

Gli occhi scuri e insondabili di Piton si spalancarono comicamente, poi mi afferrò per le spalle e mi tirò contro di lui in un abbraccio strettissimo, come se avesse paura che volassi via da un momento all’altro.

“Il mio bambino…” Ripetè con la voce rotta dall’emozione,   triste, grato, incredulo, malinconico, felicissimo. “E’ un sogno… sto sognando… non puoi essere davvero qui…” 

“Se un’ora sola mi fosse concessa, un’ora d’amore su questa Terra, a te donerei il mio amore.” Ripetei le parole di Luna, toccandogli piano una guancia umida. 

Le mie dita timide, goffe e curiose gli percorsero più volte l’intero volto per memorizzarne ogni tratto. 

Il suo viso era una mappa che esploravo con curiosità, meraviglia, incertezza e impazienza.

Le vene azzurrine che si intravedevano sotto la pelle diafana. Gli zigomi affilati e spigolosi. 

La curva eccessivamente pronunciata del naso adunco.  

La linea sottile delle labbra.  

Memorizzai ognuno di questi preziosi dettagli.

Non era bello, Severus, non in modo convenzionale, ma per me lo era nel solo modo che contasse.

Attraverso lo sguardo del mio cuore, Severus era bellissimo.

Affondai la faccia contro il suo petto. Lui mi strinse più forte. Sorrisi, aggrappato a lui, assaporando la sensazione del mio primo e unico abbraccio con mio padre.

La mia ora d’amore sulla Terra fu come uno di quei dolci sogni da cui desideri non svegliarti mai.

Ci stendemmo sul letto di Piton e rimanemmo abbracciati per un po’ senza dire niente. 

Mi strinse ora con tenerezza ora con disperazione, tentando di trattenermi con la pura forza di volontà. 

“Ti amo.” Sussurrai ad un certo punto, sfiorandogli la guancia con le labbra. Lo amavo, in tutti i modi in cui era possibile amare una persona. Avrei voluto baciarlo, un bacio piccolo, casto, solo cibarmi del suo respiro per un istante. 

Come se avesse intuito i miei pensieri, lui si sporse e mi baciò la fronte, le palpebre, le guance, e infine mi sfiorò le labbra con infinita delicatezza.

Una lacrima mi sfuggì dalle ciglia, poi un’altra, e un’altra ancora.

Non mi ero neppure accorto di aver cominciato a piangere finché Severus non si staccò all’improvviso e mi guardò con occhi pieni di dolore.

“Scusami, non so… non so cosa mi sia preso…”

Scossi la testa, sorridendo tra le lacrime. “Non scusarti, è stato bellissimo. Era esattamente così che avevo sognato il mio primo bacio.”

Senza dargli il tempo di replicare, catturai di nuovo le sue labbra.  

Mi aspettavo che mio padre mi respingesse, che si allontanasse disgustato, ma lui non si mosse. 

Invece avvolse una mano contro la mia nuca, approfondendo il bacio.

Le nostre labbra si scontrarono con forza, affamate, prepotenti, disperate.

Questo desiderio bruciante e travolgente che sentivamo non aveva niente a che vedere con la lussuria- no, era qualcosa di molto più profondo.

Era la mia brama di conoscerlo come padre e la brama di Severus di conoscermi come figlio.

Era l’incontro di due anime perdute che inconsapevolmente si erano amate al primo sguardo, aldilà dei legami di sangue.

Le mie mani si aggrapparono alle spalle di Severus, poi scivolarono sotto la vestaglia, all’altezza del cuore, quel cuore che pulsava selvaggiamente sotto le mie dita.

Assaporai quel battito più a lungo che potevo, poi le mie dita iniziarono a vagare curiose sul suo petto, toccando ogni lembo di pelle che riuscivo a raggiungere, memorizzandone la morbidezza, il calore, i nei, le cicatrici, ogni piccola imperfezione.

Severus si lasciò toccare ed esplorare, come se avesse intuito il mio bisogno di conoscerlo fin nei più piccoli dettagli, ma non era abbastanza. 

“Ti amo.” Ripetei sulle sue labbra. “Fai l’amore con me.” 

Fu dolce, premuroso, delicato.    

Nessuno mi aveva mai toccato in quel modo. Ero solo stato ferito da mani dimentiche di ogni tenerezza.  

Ogni suo sguardo, ogni bacio e ogni carezza mi fecero sentire come se fossi qualcosa di incredibilmente prezioso. 

Questo era amore. Questa era la massima vicinanza possibile tra due persone.

Non avrei dovuto desiderare quel tipo di vicinanza con Severus e in un’altra vita, una dove non saremmo mai stati separati, una dove avrei trascorso la mia infanzia accanto a lui e sarei cresciuto al suo fianco, non avrei mai voluto nulla di simile.

Ma in questa vita, dove non avevamo avuto abbastanza tempo per amarci, dove a malapena avevamo potuto conoscerci, quel sentimento si era trasformato in qualcosa di più profondo, qualcosa di viscerale e totalizzante. 

Dopo, mentre lui riposava, lo baciai lungo la spina dorsale e benedii ogni angolo di pelle, ogni neo e ogni cicatrice. “Non andartene.” Disse Severus tenendomi stretto. “Resta stanotte. Resta domani. Resta per sempre.” 

Quando sentii che stavo cominciando a scivolare via, gli chiesi di raccontarmi qualcosa di bello.

E lui mi narrò di un ragazzo di nome Harry, nato da una bellissima e amorevole donna e un padre miserevole, che cresceva e combatteva una guerra leggendaria contro Voldemort, sconfiggendo il suo più grande nemico, e diventava un’eroe nel mondo dei maghi.

Mi narrò la storia di un ragazzo buono, forte e coraggioso, che sconfisse il Male, si sposò, ebbe dei bambini, e morì al calduccio nel suo letto, dopo aver vissuto una vita lunga e piena d’amore.

E io chiusi gli occhi, cullato dal calore delle sue braccia, perdendomi in quella splendida fiaba che raccontava di qualcosa che sarebbe potuto essere e non potrà essere mai.

Prima di andare via, gli sussurrai: “Promettimi che ci rivedremo tra molto, molto tempo.”

Il suo te lo prometto fu l’ultima cosa che sentii prima di chiudere gli occhi.

Adesso so davvero che non tornerò più.

Sentimenti e parole si affollano nella mia mente.

Addio, mondo, mi dispiace lasciarti così presto.

Grazie vita, che mi hai dato tanto.

Grazie per il sole, il vento, la neve, la pioggia.

Grazie per il latte caldo e le cioccorane.

Grazie per la scuola di Hogwarts.

Grazie per le partite di Quidditch, per le lezioni e le magie.

Grazie per gli amici, per Ron e Hermione, per ogni momento passato insieme.

Grazie per il papà, per i rimproveri e gli abbracci.

Grazie per le risate e grazie anche per le lacrime.  

Grazie per l’amore, per il batticuore e le farfalle nello stomaco. 

Grazie di tutto.

Mi risvegliai in un posto strano che non assomigliava per niente al mio Cielo. 

C’erano le banchine, la gente che parlava animatamente e si trascinava dietro le valigie.

Assomigliava molto alla stazione di King’s Cross, anche se era molto più pulita e meno affollata.

Davanti a me comparve una donna alta e bellissima dai lunghi capelli rossi e i miei stessi occhi verdi. 

Mi tese la mano. “Andiamo, Harry.” Mi disse con un sorriso incoraggiante.

Allungai la manina e la strinsi forte nella sua, prima di salire a bordo del treno.   

Nessuno si accorge di quando ce ne andiamo, o meglio, del momento in cui decidiamo davvero di andarcene.

Al massimo puoi sentire il sussurro, o l’eco di un sussurro, che si placa piano.

Mi chiamavo Piton, come il serpente. Nome di battesimo: Harry.

Avevo dodici anni quando fui ucciso, il 5 dicembre 1992. 

Sono stato qui un istante, e poi me ne sono andato.

Auguro a tutti una vita lunga e felice.

  
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