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Autore: platinum_rail    30/09/2020    1 recensioni
Sono passati quattro mesi dalla fine della Guerra dei Titani.
Percy ed Annabeth salvano Piper, Leo e Jason al Grand Canyon, senza sapere che avrebbe significato l'inizio di una nuova guerra.
Percy scompare la notte successiva, ma quando mesi dopo arriva al Campo Giove non ha perso la memoria. Ha un passato diverso da quello che conosciamo, e dei poteri incredibilmente pericolosi.
(IN FASE DI RISCRITTURA)
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Annabeth Chase, Percy Jackson, Percy/Annabeth, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fiamme d'Inferno

Annabeth si chiese che cosa avesse fatto di male per meritarsi un simile destino.
Laggiù, lei era quasi morta solamente respirando, e l’unica soluzione era stata bere l’acqua infuocata del Flegetonte, e anche quella era stata una delle esperienze peggiori della sua vita.
Ma ora che riusciva a reggersi in piedi e a respirare, si rese conto della gravità della loro situazione.
In quel breve e surreale attimo di quiete, i suoi occhi vagarono sul paesaggio intorno a loro, osservando con demoralizzazione i monti scuri e frastagliati che si stendevano nella valle sotto di loro insieme a fiumi scuri come sangue, il tutto illuminato da una tenue e inquietante luce rossastra.
Annabeth realizzò solo allora quanto vasto fosse il Tartaro. La terra nera si estendeva intorno a loro per miglia e miglia, senza una fine.
Annabeth rilassò stancamente le spalle.
Avrebbe voluto ridere: loro, completamente soli, stavano vagando alla cieca nell’unico posto in cui due semidei non dovrebbero mai trovarsi.
-Stai meglio? –
Annabeth sussultò nel sentire la voce di Percy, e distogliendo lo sguardo dal tetro orizzonte del Tartaro si voltò verso di lui.
Il ragazzo le cinse gentilmente la vita con un braccio, accarezzandole lievemente il fianco con le dita. I suoi occhi verdi rilucevano alla luce del fuoco del fiume ed erano fissi nei suoi.
-Sì… - mormorò lei, e per un istante si perse a guardarlo.
Il suo bel viso era sporco di sangue e terra, aveva i capelli spettinati e gli occhi vigili, ed Annabeth si soffermò sulla cicatrice che gli attraversava il lato sinistro del volto, così evidente alla luce dalle fiamme danzanti.
Era bellissimo, in tutta la sua dannazione.
Il ragazzo le sorrise incoraggiante, e si sporse verso di lei per baciarle dolcemente la fronte. Fu un gesto così premuroso e pieno di amore che Annabeth si sentì tremare le gambe.
Sorrise a sua volta.
-Che facciamo ora? – chiese Percy guardandola, la voce bassa e roca.
Annabeth riportò lo sguardo sulla valle, e sospirò.
-Dobbiamo trovare una direzione da seguire. Trovare le Porte della Morta girando a caso è impossibile, e letale. –
Percy annuì osservando l’orizzonte: -Hai idea dove potrebbero essere? –
-Sì. Credo che si trovino nel punto più profondo del Tartaro. –
-Anche i fiumi. – mormorò il ragazzo in risposta, gli occhi fissi sulla valle.
Annabeth si voltò verso di lui stranita: -Cosa intendi? –
-Tutti i fiumi scorrono nella stessa direzione, e convergono nello stesso punto. –
-Quindi se seguissimo la corrente del Flegetonte… -
-… può portarci alle Porte della Morte. – concluse Percy per lei, sorridendole.
Annabeth lo guardò ghignando: -Siamo proprio una bella squadra. –
Percy ridacchiò: -Nulla di nuovo Sapientona. –
In quel momento, Annabeth pensò che potessero farcela. Insieme, forse avevano una speranza di andarsene.
Ma quell’attimo di speranza non era destinato a durare.
Quello che accadde dopo fu così veloce che lei stessa non ebbe nemmeno tempo di reagire.
Percy perse improvvisamente il sorriso. Lo sguardo del ragazzo saettò alle spalle di Annabeth e i suoi occhi si spalancarono.
Annabeth si girò di scatto, appena in tempo per vedere una macchia scura che si gettava contro di lei, un corpo enorme dagli occhi neri e scintillanti e dalle lunghe zampe uncinate.
Aracne, pensò la ragazza pietrificata dal terrore, È tornata per finire il suo lavoro.
Ma poi, sentì solo il sibilo metallico di una spada che veniva sguainata alle sue spalle.
Percy si materializzò di fronte a lei, e fece saettare Vortice sopra di sé in un mortale arco di bronzo. Fu così veloce che la figlia di Atena non riuscì a seguirlo con lo sguardo.
Riuscì solo a sentire un agghiacciante grido di dolore, che riecheggiò tra i monti scuri intorno a loro. E Aracne cadde esattamente dietro di lei.
Annabeth si voltò di scatto, ma quando la vide agonizzare ai suoi piedi arretrò con gli occhi sgranati.
L’addome della creatura era stato squarciato, tanto che il suo corpo rimaneva intero solo grazie ad un lembo di pelle all’altezza della schiena. Le sue interiora si stavano spargendo sulla terra in mezzo all’icore, ma Aracne continuava a gemere e a strillare dal male.
I suoi arti si contorcevano, i suoi occhi erano sgranati e la sua bocca spalancata sputava sangue ad ogni urlo.
Annabeth la guardò con orrore.
Come poteva essere ancora viva?
E la risposta alla sua domanda era esattamente dietro di lei.
Si voltò a guardare Percy.
Gli occhi del ragazzo erano così scuri da sembrare neri, ed erano fissi sul corpo devastato e moribondo della donna ragno. Aveva la mascella serrata, i muscoli del corpo tesi e pronti allo scatto, e teneva la spada stretta in mano con tanta forza da avere le nocche sbiancate.
Annabeth conosceva quello sguardo. Conosceva quell’espressione.
La sta tenendo in vita. Per prolungare la sua sofferenza.
-Percy… - mormorò. -Smettila. –
Il ragazzo non si voltò nemmeno a guardarla, mantenendo gli occhi fissi su Aracne, ma si fece avanti.
Annabeth era così paralizzata ad osservarlo che per un istante le strazianti urla del mostro si fecero ovattate.
-È per colpa sua se tu sei finita qui. – ringhiò il ragazzo con una voce così gutturale da non sembrare sua. -Dopo tutto quello che ti ha fatto… merita di soffrire, merita di morire lentamente desiderando di non averti mai incontrata. –
Annabeth lo guardò gli occhi lucidi e vacui.
Era dalla battaglia di New York che non vedeva il ragazzo agire con tale sete di vendetta.
E ogni volta che Percy si lasciava andare a tutta la sua rabbia, Annabeth si sentiva morire. Perché vedeva il ragazzo di cui si era innamorata trasformarsi nel suo lato più crudele e spietato, un lato che Annabeth sapeva non sarebbe esistito se Percy non avesse avuto una vita così difficile.
-Percy, non farlo. – mormorò, cercando di esprimere una sicurezza che però non aveva.
Il ragazzo continuava a guardare Aracne, il suo sguardo si fece ancora più duro e feroce. E il mostro urlò con ancora più forza.
-Basta… - singhiozzò Aracne boccheggiando. -Uccidimi ti prego… -
-Percy! – lo richiamò Annabeth, e stavolta si mise di fronte a lui.
Gli prese il viso tra le mani, e lo costrinse a guardarla negli occhi. Lo guardò con tutta la sua disperazione, con tutto il suo amore.
-Percy, tu non sei questo. – disse lei. - Noi siamo vivi e siamo insieme, ed è l’unica cosa che conta. –
Il ragazzo la guardò, respirando profondamente.
I suoi occhi erano insostenibili, così carichi di rabbia pura da essere spaventosi.
Poi li serrò con forza, e fu allora che il mostro alle spalle di Annabeth si disintegrò. Il suo corpo si dissolse in polvere, le sue urla cessarono, e il silenzio cadde tra di loro.
Il vento portò via il corpo disintegrato di Aracne, ma Annabeth non lo vide.
Rimase ad osservare Percy negli occhi, accarezzandogli dolcemente il viso.
Continuò a farlo, finché il ragazzo non riaprì gli occhi. Non brillavano più di odio, erano verdi e stanchi come un mare dopo la tempesta.
La figlia di Atena gli sorrise, e Percy lasciò che le loro fronti si toccassero.
-Grazie. -

E la loro discesa nel Tartaro incominciò. Percy seguì Annabeth tenendole la mano, e insieme avanzarono lungo il fiume che scendeva sempre di più verso la valle.
Annabeth sembrava stare bene, nonostante fosse debole e la caviglia malamente guarita le causasse spesso delle fitte dolorose.
Ma ora anche Percy iniziava ad accusare colpi.
Perché per quanto non potesse essere ferito, lui era esausto.
Avanzava debolmente, ogni sua energia era spesa nel mantenere i suoi sensi vigili per poter captare qualunque pericolo. Non si lasciava sfuggire il minimo rumore o movimento, e questo prosciugava le sue forze rendendolo paranoico.
Ma presto, i suoi sensi gli tornarono utili.
Sentì la terra sotto ai suoi piedi vibrare quasi impercettibilmente, e si bloccò sul posto. Annabeth al suo fianco si fermò a sua volta guardandolo.
La terra tremolò ancora, e Percy capì che era un vibrare troppo ritmico per essere casuale.
Annabeth diede voce ai suoi pensieri: -C’è qualcosa di molto grosso che avanza. –
Percy si pietrificò: -E sta venendo verso di noi. –
E in quel momento, quel qualcosa urlò.
Lui ed Annabeth si voltarono nello stesso istante.
-Percy Jackson! -
Da dietro ad una frattura nella parete di roccia nera che costeggiava il fiume, sbucò un Titano.
Il figlio di Poseidone non seppe se ridere istericamente o piangere.
Ma decise di non fare nessuna delle due.
Non appena realizzò che l’enorme uomo davanti a loro era un Titano, non si prese nemmeno la briga di guardarlo attentamente.
Prese Annabeth per la mano e incominciò a correre nella direzione apposta.
Non aveva idea di cosa fare.
Ma corse, tenendo Annabeth a sé, inciampando sulle rocce frastagliate del terreno senza però fermarsi.
Aveva il fiato corto, era stanco, ma non voleva morire. Lui non sarebbe morto lì, e soprattutto non lo avrebbe fatto Annabeth.
Ma l’essere così esausto lo tradì.
Le gambe gli cedettero improvvisamente, inciampò e cadde.
-Percy! – lo richiamò Annabeth, tirandolo verso di lei perché si rialzasse.
Ma il tentativo del ragazzo di rimettersi in piedi era debole, e quando riuscì a rialzarsi e si voltò a guardarsi le spalle il Titano non c’era più.
Per un secondo ebbe la ridicola speranza di averlo seminato.
Ma quando tornò a guardare di fronte a sé, pronto per continuare a correre, il loro cammino venne sbarrato da una scopa di almeno tre metri che si abbatté sulla strada.
Percy sobbalzò, e per istinto strinse la figlia di Atena al suo fianco puntando la spada di fronte di sé.
Osò alzare lo sguardo.
A sbarrargli la strada, c’era un Titano di quattro metri completamente vestito di blu, con i capelli argentei e la barba dello stesso colore. Gli occhi scintillavano come pietre preziose, ma la pelle del suo viso era deturpata dalle cicatrici. Reggeva la scopa davanti a loro, osservandoli da sotto le folte ciglia grigie.
Percy rimase a fissarlo incredulo.
E poi, inaspettatamente, il Titano rise, allargando le braccia e sollevando la scopa in aria.
-Ho trovato Percy! Sono venuto ad aiutare Percy! –
Percy spalancò gli occhi. Per un istante fu troppo spiazzato per parlare.
Annabeth al suo fianco deglutì: -Un Titano ha appena detto di essere venuto ad aiutarti? –
-Sì! – tuonò l’altro, accovacciandosi di fronte a loro.
Percy sentì Annabeth arretrare di scatto, mentre lui rimase fermo dov’era. Era stato così sopraffatto dagli eventi che non si era reso conto di chi avesse davanti.
-Bob?! – esclamò incredulo. -Cosa ci fai qui?! –
Il Titano sorrise entusiasta.
-Bob ha saputo che Percy era qui, ed è venuto ad aiutarlo. –
Annabeth si voltò a guardare il figlio di Poseidone con gli occhi sgranati.
-L’hai davvero chiamato Bob?! – sussurrò. -Pensavo scherzassi. –
Percy le rivolse uno sguardo di ammonimento. Lei sapeva di quella storia, sapeva che Percy aveva combattuto contro Giapeto e che per sconfiggerlo lo aveva trascinato nel Lete.
Il Lete aveva cancellato la sua memoria, e Percy si era trovato davanti ad un Titano convenientemente docile. Gli aveva dato un nome, e lo aveva condotto al Palazzo di Ade perché restasse al sicuro dagli Olimpi e dai semidei sulla terra.
Ma Bob non sapeva del suo passato.
E in quel momento, Percy pensò che fosse meglio se non lo sapesse.
Poi un sospetto si fece strada nella sua mente, e riportò gli occhi su di lui.
-Come facevi a sapere che ero qui? -
-Ho sentito l’odore del mare. – asserì Bob. -Qui nel Tartaro non c’è mai odore di mare. Ma Bob ha ricordato che Percy aveva lo stesso odore, quindi sono venuto! –
Il figlio di Poseidone deglutì nervosamente: -Tu hai sentito il mio odore da… -
-Dal Palazzo di Ade! – rispose con entusiasmo il Titano.
Percy si voltò a guardare Annabeth, e vide che il suo stesso sguardo orripilato era dipinto nelle iridi grigie della ragazza.
Se Bob aveva sentito il suo odore fin da là, voleva dire che qualunque altro mostro nel Tartaro sapeva già da tempo dove loro fossero.
-Ok…bene. - mormorò il figlio di Poseidone col cuore in gola.
Dovevano andarsene, e dovevano farlo in fretta.
-Bob, è pericoloso quaggiù. Perché sei venuto? – chiese con quanta più gentilezza potesse.
Il Titano sorrise, sfoderando una fila di denti bianchissimi e perfetti.
-Perché i semidei non dovrebbero trovarsi qui, quaggiù sono deboli e soprattutto odiati. Ma Percy ha trovato Bob e lo ha portato al sicuro, quindi Bob adesso deve aiutare Percy! –
Il ragazzo rabbrividì, e tese la mano verso quella di Annabeth incrociando le loro dita.
Incontrare il Titano lo aveva messo di fronte ad una situazione che aveva cercato di evitare per tanto tempo. Lui aveva cercato di dimenticarsi di quella storia, di non dover affrontare il fatto che aveva privato dei suoi ricordi Giapeto e poi lo aveva abbandonato a fare lo spazzino negli Inferi.
Era un Titano, sì, ma non giustificava completamente le sue azioni.
-Bob… - mormorò Percy. -È così gentile da parte tua volerlo fare ma… ma io non posso chiederti di fare così tanto per me. –
Bob sembrava confuso: -E perché no? –
-Perché quaggiù è troppo pericoloso. – replicò il ragazzo. -E io non merito un sacrificio simile da parte tua. –
-Ma siamo amici! – replicò Bob.
Percy inspirò profondamente. 
Si voltò a guardare Annabeth, e pensò che c'era una sola che contava. Lei doveva scappare da quell'inferno. 
E Percy si rese conto che forse Bob era davvero l’unica speranza che avevano di riuscire ad andarsene prima che fosse troppo tardi.
In quel momento, prese la sua decisione.
Avrebbe lasciato che Bob li aiutasse.
Era fiero di questa sua scelta?
No, assolutamente no. Ma d’altro canto, lui non andava fiero di tante cose che aveva fatto in vita sua.
-Io posso aiutarvi. – disse il Titano, alzandosi in piedi con allegria. -Vi guiderò verso l’uscita. –
Annabeth si voltò a guardare Percy, e al ragazzo bastò incrociare i loro sguardi perché lei capisse le sue intenzioni.
La ragazza infatti fece un passo avanti.
-Tu sai dove sono le Porte della Morte? – chiese con straordinaria gentilezza.
-Certo! - esclamò Bob, prima che il suo sguardo si facesse più cupo. -Ma non potete andarci così… -
Annabeth lo guardò corrucciata: -Cosa intendi? –
Il Titano la guardò per un istante, e poi volse il suo sguardo verso la valle sotto di loro sospirando.
-Laggiù è pieno di mostri. Stanno uscendo anche loro. E se vi vedono vi mangeranno. –
Percy in risposta ghignò.
Annabeth invece guardò Bob quasi con speranza: -Tu sai come nasconderci? –
-Sì. – esultò il Titano. -Conosco qualcuno che può nascondervi! Seguitemi! –
E Percy si ritrovò a seguirlo sempre più giù nell’abisso.

...

Trovare lo scettro di Diocleziano era stata l’ennesima missione per l’equipaggio dell’Argo II lungo la strada per le Antiche Terre.
Jason era partito insieme a Nico, avevano trovato Favonio ed erano stati condotti dal guardiano dello scettro, il dio dell’Amore.
E Jason, forse perché era esausto o forse perché era nervoso, aveva avuto un brutto presentimento al riguardo fin dall’inizio.
Quando infatti entrarono nella torre di Cupido, Jason si sentì gelare fin nelle ossa.
L’aria era fredda, le pareti della stanza erano spoglie e piene di polvere e ragnatele.
“Allora”
La voce improvvisa gli perforò i timpani come un proiettile. Quando Jason si voltò, dietro di lui non vide nessuno.
Nico gli rivolse uno sguardo incerto, prima di portarsi al suo fianco.
“Siete venuti per lo scettro”
La voce di Cupido era profonda e seducente, ma c’era qualcosa di minaccioso nel suo tono, una malcelata sfumatura di aggressività.
-Cupido? Dove sei?– chiese Jason cercando di celare la sua inquietudine.
Una risata rimbombò tra le pareti della torre.
“Dove meno te lo aspetti” rispose “Come l’amore fa sempre
Nico al fianco del ragazzo sguainò la spada che aveva finora tenuto nel fodero. Sembrava nervoso, e Jason non potè che capirlo.
Lui stesso voleva andarsene il più in fretta possibile.
-Non abbiamo tempo per gli indovinelli. – sibilò infatti il figlio di Giove. -Vogliamo solo lo scettro.  –
Nico lo guardò con rimprovero: -Jason… -
“Oh, Jason Grace… Credevi davvero che sarebbe stato così semplice?”
-Ci spero sempre. – borbottò il ragazzo lasciando che il suo sguardo vagasse attentamente intorno a sé.
“In questo caso allora, mi spiace deludervi. Ma un simile dono deve essere guadagnato. Non viene elargito ai primi due semidei di passaggio che sostengono di averne bisogno.”
-Ma ci serve per fermare Gea! – esclamò Jason. -Non dovresti stare dalla parte degli dei? –
Sentì Cupido ridere con disprezzo.
“L’amore non deve fare proprio nulla, e soprattutto non sta dalla parte di nessuno. Non è nella sua natura.”
Jason stava per replicare, o forse per lanciarsi all’attacco, ma un tocco straordinariamente gentile gli sfiorò la spalla.
Si voltò, e Nico gli lanciò un’occhiata di ammonimento prima di portarsi al suo fianco.
-Come possiamo guadagnarci lo scettro? – disse il figlio di Ade rivolto al dio.
“Vediamo…” mormorò Cupido. “Quanto siete pronti a rischiare, nel mio nome?”
Jason era troppo stanco, troppo impaziente, e perse tutta la sua diplomazia.
-Questa è la cosa più stupida che abbia mai dovuto fare. –
Jason non poté aggiungere altro.
Dal nulla, una freccia d’oro venne scagliata dritta verso di lui, e non riuscì a fermarla.
Gli si piantò nello stomaco, e lo fece con tanta forza da scaraventarlo dall’altra parte della stanza, e il ragazzo gemette di dolore.
-Jason! – urlò Nico, correndogli accanto.
Il figlio di Giove si guardò lo stomaco, ma la freccia scomparve sotto ai suoi occhi. La sua pelle era illesa.
-Tranquillo. – sibilò Jason. -Non me l’aspettavo. –
Cupido ridacchiò, e stavolta il ragazzo lo percepì così vicino che sobbalzò e cercò di arretrare contro il muro.
“Speravi che avrei giocato secondo le regole? L’Amore non lo fa mai.” lo schernì il dio.
-L’Amore… - ripeté Jason, alzandosi con l’aiuto di Nico. -Non mi aspettavo che sarebbe stato uno stronzo simile. –
“Sei così ingenuo. L’amore non è gentile, e sopratutto non è stupido. Richiede tutto da una persona, soprattutto lealtà, dedizione, sacrificio e perdono, e solo allora concede la vera felicità. Altrimenti, può essere una condanna. “
Jason si guardò intorno, e Nico fece lo stesso mettendosi schiena contro schiena a lui.
Quel gesto sorprese Jason, ma lo fece sentire al sicuro.
“Nico sa di cosa parlo…” mormorò il dio nell’ombra. “Lui conosce il lato peggiore dell’amore. Quello più dilaniante e crudele. Un lato così spaventoso che lo terrorizza più della morte.”
Nico si bloccò improvvisamente, e Jason si voltò a guardarlo.
Gli occhi neri del ragazzo erano iniettati di sangue.
-Io sono andato e tornato dal Tartaro. Non ho paura di te. – sibilò.
“Oh, ma io ti faccio molta, moltissima paura, Nico di Angelo. Io sono il tuo tormento, il tuo incubo da cui preghi sempre di poterti svegliare.”
Jason si voltò verso Nico cercando delle risposte nel suo sguardo, ma lui aveva sfoderato uno sguardo freddo e impenetrabile come ghiaccio.
-Nico, di cosa parla? – chiese Jason, ma lo fece con incertezza.
Il più piccolo infatti non gli rispose.
-Che cosa vuoi da me in cambio dello scettro? – ringhiò il figlio di Ade rivolto al dio.
Una risata echeggiò nel vuoto, ma Jason non riusciva ancora a vederlo.
Voglio che tu faccia quello che non sei mai riuscito a fare...” esalò Cupido con amara dolcezza. “Affrontami. Dimostrami che sei degno di portare lo scettro, che sei abbastanza coraggioso per guidare una Legione di Morti. “
Nico serrò la mascella.
“Avanti Nico…” sussurrò il dio con finta gentilezza. “Racconta a Jason cosa nascondi dietro alla tua solitudine. Digli quanto hai sofferto quando la persona che più ami a questo mondo è caduta nel Tartaro.”
Jason per un istante si ricordò di quando Piper gli aveva detto che secondo lei Nico aveva una cotta per Annabeth. In un qualunque altro momento sarebbe rimasto sorpreso, e forse persino incuriosito.
Ma era troppo impegnato a temere per la propria vita.
E non per via di Cupido.
Nico aveva gli occhi scuri come un abisso che scintillavano di una luce vermiglia. La sua espressione era così rabbiosa, che Jason volle solamente correre il più lontano possibile da lui.
Temette che Nico stesse per perdere il controllo: -Nico, non… -
Ma invece di attaccare, il ragazzo si strinse improvvisamente la testa con un gemito, serrò gli occhi e dovette appoggiarsi ad una parete per sorreggersi.
-Nico! – lo chiamò Jason, e corse verso di lui.
Ma il ragazzo non gli rispose, rimase a stringersi le tempie mugolando di dolore.
Jason allora gli si parò davanti, e gli poggiò le mani sulle spalle cercando di fargli aprire gli occhi.
Ma nell’istante in cui gli toccò la pelle, la vista gli si annebbiò di un colpo. Jason si sentì distaccare dalla realtà senza riuscire a muoversi o allontanarsi da lui, e per un secondo non vide più nulla.
Presto davanti ai suoi occhi incominciarono a prendere forma delle immagini, e lui si rese conto di cosa stava succedendo. I ricordi di Nico lo avevano investito come un fiume in piena e lui non era riuscito a impedirlo.
Quasi svenne, sopraffatto dalla paura, dall’odio e dalla vergogna, emozioni non sue ma che lui provò con una intensità tale da fargli male.
Improvvisamente si ritrovò in cima ad una scogliera, e di fronte a lui vide Nico e Bianca che si stringevano alle spalle di Percy Jackson.
Il figlio di Poseidone era poco più di un ragazzino al tempo, e li stava proteggendo da una manticora con la spada alzata.
La lama di bronzo gli illuminava tenuamente il volto, rivelandone l'ammaliante bellezza. La cicatrice che gli attraversava il viso era l'unica imperfezione sul suo viso, e sembrava ancora più spessa ed evidente di quanto Jason ricordasse.
Era stato il primo semidio che Nico avesse mai visto combattere.
Poi la scena cambiò, e Jason vide Percy partire per un’impresa insieme a Thalia ed una ragazza che non riconobbe, portando Bianca con sé. Nico pregò Percy di proteggerla, e il ragazzo giurò che avrebbe fatto il possibile per farla tornare a casa.
Nico gli credette.
Dopotutto, Percy era un vero eroe.
Ma quando il figlio di Poseidone tornò, Nico scoprì che Bianca era morta.
Jason provò tutta la sua rabbia e tutta la sua disperazione. Per un secondo, provò persino odio, un odio così profondo e nato da una delusione così agghiacciante che gli fece bruciare le membra.
E Jason vide anche come la terra si fosse improvvisamente spezzata sotto ai piedi di Nico, diramandosi in faglie profonde che lasciarono strisciare degli scheletri fuori da esse.
Erano uomini morti e consumati dal tempo, con gli occhi vuoti e le ossa cigolanti, pronti a rispondere a tutta l’ira del figlio di Ade.
Nico però sussultò d’un tratto inorridito, e arretrò con gli occhi spalancati e il labbro tremante. Era spaventato. Da sé stesso, perché il suo potere era improvvisamente dilagato e non sapeva come controllarlo. Dalla solitudine, perché non aveva nulla se non Bianca, e lei non sarebbe tornata.
Percy invece era rimasto immobile ad osservare incredulo i mostri che lo circondavano, teso e pronto a scattare come un animale in trappola, con gli occhi spalancati che scintillavano nella notte.
E Nico cercò di fuggire. Da sé stesso, dalla sua ira e da quel potere che nemmeno sapeva di avere.
Ma il figlio di Poseidone non lo aveva lasciato andare.
Percy lo aveva fermato, e lo aveva stretto a sé in un abbraccio disperato e soffocante pur di impedirgli di andarsene. Nico cercò di sottrarsi, ma presto si arrese e pianse sul suo petto. Per un istante, si sentì al sicuro.
Il più grande aveva continuato a stringerlo, accarezzandogli con mani tremanti la nuca, lo sguardo agghiacciato fisso sui morti che tornavano nelle viscere della terra strisciando lentamente.
Dopo allora, Percy convinse Nico a restare.
E Nico infatti rimase, per quattro mesi.
E Jason capì, attraverso i suoi ricordi, perché il figlio di Poseidone tenesse così tanto a lui nonostante Nico allontanasse tutti.
Percy, quella notte, aveva visto in lui un bambino spaventato e solo che aveva appena perso la sua famiglia, un semidio che aveva appena scoperto di possedere un potere distruttivo ed incontrollabile.
Nico era esattamente come Percy era stato pochi anni prima.
In Nico, Percy aveva rivisto sé stesso.
E per questo il figlio di Poseidone lo aiutò meglio di quanto chiunque altro avrebbe mai potuto fare. Gli rimase sempre accanto, Nico da lui imparò a controllare e ad usare il suo potere, come sopravvivere in quel mondo pieno di insidie e come comprenderlo. Da lui, Nico imparò a combattere con la spada.
E il figlio di Ade non era mai stato più felice di allora.
Ma poi, improvvisamente, Jason vide Nico sviluppare un’invidia logorante e viscerale.
E più osservava la sua vita al campo attraverso i suoi occhi, più comprendeva il perché.
Si ritrovò senza fiato, paralizzato dalla verità.
Inevitabilmente, osservò Nico andarsene dal Campo Mezzosangue con le lacrime agli occhi, deciso a non tornare.
“Esatto…” mormorò Cupido. “Dimostrami che hai la forza di affrontarmi”.
Jason si ritrovò di nuovo nella torre, e si voltò subito a guardare Nico con gli occhi spalancati dall’incredulità.
Invece della rabbia furente che prima aveva letto nello sguardo del figlio di Ade, ora vedeva solo una profonda tristezza, nei suoi occhi vacui e persi nei ricordi.
-Ho lasciato il Campo Mezzosangue per amore. – mormorò il ragazzo, quasi incantato. -Annabeth… io non… -
“Continui a nasconderti.” lo rimproverò Cupido. “Questa non è la verità.”
Jason cercò di parlare, e la voce gli uscì debole e roca:
-Nico, va… va tutto bene. Ho capito. –
Nico sollevò improvvisamente gli occhi su di lui, e il suo sguardo si fece così feroce e ostile che Jason sentì il sangue gelarglisi nelle vene.
-No Jason, nessuno può capire! –il figlio di Ade. -Tu non hai la minima idea di cosa… -
“Non smetti mai di scappare.” sibilò il dio, interrompendolo. “Continui a fuggire da te stesso, dai tuoi amici e dalla persona che ami.”
-Io non ho amici! – rispose Nico con una rabbia raggelante. -Io me ne sono andato dal Campo perché là non mi sento a casa!–
“Davvero?” rispose Cupido con severità. “Tu menti. Tu avresti voluto restare. Ma non eri in grado di sopportare il dolore per la morte di tua sorella e per il tuo amore irrealizzabile, e sei fuggito da tutto e da tutti sperando che il tuo cuore smettesse di farti così male. Ma non ha funzionato, vero?”
Nico sembrava non riuscire a respirare.
Jason gli si avvicinò, ma il figlio di Ade lo guardò con insostenibile dolore, e questo lo fece fermare.
-Tu non lo hai mai incolpato per la morte di tua sorella... - mormorò il figlio di Giove.
Nico sembrava tremare, i suoi occhi si riempirono di lacrime. Jason non lo aveva mai visto così distrutto, così vulnerabile.
-Bianca era tutto ciò che avevo. Senza di lei io... – Nico non riuscì a continuare. -Ma la profezia lo aveva annunciato, e nessuno avrebbe mai potuto salvarla. Non… non l'ho mai odiato per questo.-
Nico scosse la testa, serrando gli occhi e stringendo i pugni.
Jason cercò di suonare rassicurante quando parlò, ma lui stesso si sentiva gelare fin nelle ossa dalla situazione.
-Nico, non preoccuparti. Va tutto bene. –
Il ragazzino aprì gli occhi, ma stavolta puntò lo sguardo nel vuoto, e Jason lo vide.
Si stava arrendendo.
-Io me ne sono andato dal Campo perché non potevo sopportare di stargli vicino. – mormorò fievolmente. -Non quando sapevo che non avrei mai potuto averlo. -
Jason si voltò, e cercò Cupido con lo sguardo, invano.
Quel dio un mostro, crudele come nessun’altro. Crudele come solo l’amore può essere.
“Bravo, Nico di Angelo.” Sussurrò Cupido, e Jason pensò stesse sorridendo. “Incominci a ragionare”
Ma il figlio di Giove si ritrovò incredulo.
-Non ti basta?! Dacci lo scettro e lascialo stare. –
Cupido rise malignamente nell’ombra. “Jason Grace, credi di poter dire all’Amore cosa fare?”
Il figlio di Giove avrebbe voluto attaccarlo, colpire alla cieca il vuoto finché non sarebbe riuscito a ferirlo.
Ma quando si voltò a guardare Nico, non riuscì a muoversi.
Il figlio di Ade fissava un punto preciso sulla parete, gli occhi scuri come la notte.
-Mi odiavo, con tutto il cuore. E ho odiato lui, così tanto.– mormorò. -Perché Percy mi avrebbe dato qualsiasi cosa, ma non il suo amore. L’unica cosa che ho sempre voluto. -
Jason sospirò alla vista delle lacrime rabbiose che scorrevano sulle guance del ragazzo.
-È questo il mio grande segreto. Mi sono innamorato di Percy Jackson. - sussurrò il figlio di Ade, la voce rotta dai singhiozzi che cercava di sopprimere.
E Jason finalmente comprese Nico.
Lui era appena riuscito a vedere Nico in tutta la sua sofferenza, aveva vissuto parte della sua vita attraverso i suoi occhi e aveva provato tutta la sua frustrazione e la sua vergogna.
Aveva passato così tanto tempo a diffidare di lui, a temerlo persino, ma adesso lo capiva.
Capiva perché era così distaccato, perché temeva così tanto di legarsi agli altri, perché preferiva restare solo. Il suo comportamento così schivo che prima lo faceva sembrare sospetto ai suoi occhi, ora aveva un senso.
Il quel momento, pensò che lui, insieme a tanti altri, aveva giudicato Nico senza aver mai provato a conoscerlo davvero.
Nico era un ragazzo così buono, così gentile e pieno di amore, ma che aveva continuato a soffrire silenziosamente da anni. La sua anima era stata consumata da tutto il suo dolore, e lo aveva reso una persona profondamente insicura.
Nico era il risultato di una vita piena di delusioni.
Poi Cupido rise nell’ombra, e Jason si voltò di scatto seguendo il suono.
Improvvisamente, dal buio, il dio si palesò.
Era bello, bello come nessun’altro. Ma il suo viso aveva un’ombra sinistra, i suoi occhi erano rossi come sangue e senza pupille.
Il dio avanzò verso Nico, fermandosi di fronte a lui con un sorriso sulle labbra.
-Hai pagato il prezzo del mio aiuto, Nico di Angelo. – disse Cupido. -Prendi lo scettro. Ci rivedremo. –
E detto questo scomparve, lasciando al suo posto uno scettro d’oro imperiale che giaceva sul pavimento ai piedi di Nico.
Il metallo splendeva fiocamente nella penombra, illuminando il viso rigato dalle lacrime del figlio di Ade.
   
 
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