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Autore: ShanaStoryteller    01/10/2020    1 recensioni
Una raccolta di storie brevi che dipingono una nuova versione dei miti antichi.
O:
Quello che accadde a Icaro dopo la sua caduta, come Ermes e Estia si immischiarono e salvarono l’umanità e di come Ade voleva solo schiacciare un pisolino.
Genere: Dark, Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Afrodite/Venere, Ares/Marte, Era/Giunone, Poseidone/Nettuno
Note: Lime, Raccolta, Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Note dell’autrice: annuncio ai lettori: questo capitolo è più dark degli altri.


Era, la giovane dea del matrimonio e della famiglia, fu infedele a suo marito solo una volta.

Fu lei a sedurre Zeus per prima, proprio alla fine della guerra, quando erano ancora doloranti e pieni di cenere e pulsanti per la frenesia della vittoria. Gli sorrise appena e gli toccò il petto insanguinato, la sua mano pallida sul bronzo scuro della pelle di lui, e quando lui la guardò i suoi occhi si accesero dei fulmini che domava con così tanta facilità. Divenne sua moglie quella stessa notte, il corpo seminato di lividi lasciati dalle sue mani rozze e affamate, e si disse che la bile in fondo alla sua gola sapeva di vittoria.

Era regina degli dèi. Era ciò che voleva.

Ognuno di loro aveva rivendicato un dominio come proprio, andando per la sua strada: Demetra alla terra, Ade negli Inferi ed Estia sull’Olimpo, dove pianificavano di edificare il loro palazzo. Ma Poseidone tentennava. “Non hai un oceano da conquistare?” Gli domandò.

Lui la guardò, poi il suo sguardo andò oltre, dove Zeus era impegnato ad abbozzare piani per l’Olimpo. “Non devi farlo,” disse piano, “potresti- potresti venire con me, se lo desideri. Sono sicuro che anche Ade ti prenderebbe con sé.”

Era non aveva tempo per Poseidone e il suo cuore tenero. “Apparterrò solo al migliore.” Disse, muovendo il capo in modo che la sua corona di riccioli le ricadesse sopra la spalla. “Dovresti andare. Hai del lavoro da fare.”

“Ci sono cose più importanti del potere.” Disse lui, a disagio, spostando il peso da un piede all’altro.

“No,” disse lei, “non è vero.”

***

Era non si sarebbe curata poi molto delle donne di Zeus se solo non gli avessero dato continuamente dei figli, qualcosa che lei non era stata capace di fare.

Lei era una moglie obediente. Non usava i suoi poteri su di lui e all’inizio era stata tollerante con i suoi mortali, ma più il suo grembo rimaneva vuoto e più la sua pazienza si esauriva. Come poteva essere la dea della famiglia senza un figlio?

Il suo odio la accecava e scagliava ogni sorta di ostacolo e maledizione in suo potere contro le donne con cui giaceva suo marito. Inizialmente, Zeus si adirò con lei, e lividi comparvero sulla sua gola e sui suoi polsi. Poi, con l’aumento dei suoi poteri e della sua ira, ebbe paura di lei. La guardava con sospetto e sgattaiolava nel mondo dei mortali quando prima non si sarebbe curato di nasconderlo. Si faceva sottomesso quando lei lo inchiodava al letto e lo cavalcava con foga, bramando disperatamente un figlio da lui, volendo disperatamente incarnare l’immagine perfetta di moglie e madre che si era costruita per sé.

A dispetto della sua magia, per quanto giacessero insieme, Era non rimase incinta.

Si recò da Estia, e sua sorella le premette una mano sul ventre, serrando le labbra, e disse: “Deve essere suo il bambino?”

Era la fissò. Era la dea del matrimonio e della famiglia. Non era capace di essere infedele. “Io- non posso.”

“Solo per una volta.” Disse Estia. “È chiaro che il problema non sei tu né lui. Lo è la vostra accoppiata. Dormi con un altro uomo e avrai il tuo bambino.”

Dunque, Era, solo per una volta, si camuffò e si recò nel mondo dei mortali. Trovò un uomo dalla pelle più scura di quella di Zeus, un marrone caldo e intenso che rispecchiava i suoi occhi dolci. Giacque con lui e fece male. Lui era dolce e paziente e le baciò la linea della mascella, le spalle, l’ombelico. Ma essere infedele strideva con la sua natura di dea e ogni momento fu agonia. Lui venne, sussurrando dolci parole sulle labbra di lei, e lei se ne andò il prima possibile.

Funzionò. Il suo ventre si arrotondò e lei era felice come non le era da tempo. Non le importava delle mortali di Zeus e lui divenne più dolce man mano che il bambino cresceva in lei. Le sue mani divennero più gentili e passava meno tempo lontano dall’Olimpo.

Il bambino nacque e Zeus era furibondo.

Il bambino era troppo scuro per essere suo e lo strappò dalle mani di Era, che giaceva ancora esausta per il parto. “Cosa ti importa?” Urlò lei, tentando di rialzarsi. “Hai dozzine di figli. Cosa importa se ora ne ho uno io?”

Lui sorresse il bambino con una mano e afferrò la mascella di lei con l’altra, costringendola in ginocchio. “Tu sei mia moglie,” sibilò, “la dea del matrimonio e della famiglia. Genererai mio figlio o non ne genererai affatto.”

Scagliò il bambino dal Monte Olimpo. Era urlò, allontanandosi a forza da lui, e cercò di lanciarsi dietro a suo figlio. Zeus la prese per la vita e con un crepitio di potere e un ruggito di rabbia scagliò una saetta verso il bambino.

Avrebbe potuto sopravvivere alla caduta, ma non a una saetta.

“NO!” Urlò Era, stridula, artigliandogli il braccio nel tentativo di sfuggire alla sua presa. Di norma, non sarebbe stata così inerme, ma il parto l’aveva sfibrata oltre ogni suo limite.

Zeus le premette il palmo sul ventre rigonfio, spingendo fino a quando Era non gemette per il dolore, cercando di divincolarsi. “O mio figlio,” ripeté, la voce bassa e terribile, “o nessuno.”

La lasciò andare e lei si afflosciò, artigliando con una mano il bordo dell’Olimpo. Ma il sangue tra le sue cosce era ancora fresco e non riusciva a raccogliere le energie per alzarsi. Si domandò se sarebbe stata costretta a strisciare giù per il monte per recuperare il corpo di suo figlio.

“Sorella!” Mani gentili le presero la spalla, facendola stendere sulla schiena. Il volto di Estia apparve davanti ai suoi occhi e Era non aveva mi visto la dea più anziana del focolare e del fuoco così fredda. “Lo ammazzo.” Disse, le mani che passavano sul corpo di Era, come se non sapesse da dove iniziare. “Mi dispiace così tanto. Non pensavo che sarebbe successa una cosa simile, non pensavo che avrebbe- non pensavo.”

Era si raggomitolò su un fianco fino a posare il capo sul grembo della sorella. Non singhiozzava più, non era mai stata prona a cadere preda dell’isteria, ma non riusciva a smettere di piangere e continui ruscelli di lacrime le scorrevano lungo il volto. Estia le passò le mani tremanti tra i capelli. “Tranquilla,” sussurrò, “sono stata io, è colpa mia. Avrei- avrei dovuto saperlo.”

Estia le incorniciò il volto con la mano, sporgendosi per guardarla negli occhi. “Non è colpa tua.”

Si alzò, prendendola in braccio. Era tentò di dirle di lasciarla andare, che Zeus si sarebbe arrabbiato se se ne fosse andata, che era stata lei la causa del suo stesso male. Ma perse conoscenza prima di poterlo fare.

***

Era si risvegliò in un luogo morbido e caldo. Aprì gli occhi e si scoprì all’interno del palazzo di Ade. La confusione durò solo quanto bastò ai suoi ricordi per affollarle la mente e dovette mordersi il labbro a sangue per impedirsi di gridare.

“Estia ti ha portata qui. È ritornata sull’Olimpo per creare un alibi per entrambe. Non preoccuparti, Zeus non sa dove ti trovi.” Era voltò il capo e vide che la dea della magia era al suo fianco. Ecate le sorrise: “Ti ho curata, non preoccuparti. Va tutto bene.”

Non andava affatto bene. Quell’affermazione era troppo distante dalla realtà e Era sentì l’impulso irrefrenabile di ridurre Ecate in cenere per la sua insolenza. Prima che riuscisse a decidersi, sentì un delicato bussare alla porta, che si aprì rivelando la figura di suo fratello maggiore. “Ho qualcosa che ti appartiene.” Disse lui, e Era si concentrò sul fagotto che teneva riverso sul braccio.

Il corpo di suo figlio. Fu sollevata dal sapere che qualcuno aveva pensato di recuperarlo. Si sentiva il cuore di piombo e il controllo che aveva sulle sue emozioni si sgretolò in un attimo. Sperò che l’avrebbero lasciata sola per stringere a sé il corpo di suo figlio e piangerlo.

Ade si sedette con cautela sul bordo del letto e Ecate si alzò per aiutare Era a sollevarsi, in modo che fosse almeno seduta. “È un piccolino resistente.” Disse Ade, e Era non capì.

Poi, le venne messo tra le braccia un bambino caldo e scalciante. Aveva occhi grandi e la sua bocca si aprì in un sorriso sdentato alla vista di lei. “È vivo.” Disse Era, intontita.

“Tutto ha un prezzo.” Disse Ecate piano, e si sporse per disfare la coperta in cui era avvolto il piccolo.

Suo figlio non aveva più le gambe dal ginocchio in giù.

“Il fulmine di Zeus non l’ha ucciso, ma non possiamo dargli quello che gli è stato tolto.” Disse Ade, addolorato. “Quando sarà più grande, forse potremo rimediare, dargli qualcosa che sostituisca le sue gambe. Ma per ora, non c’è niente che possiamo fare.”

Il re degli Inferi era il dio più potente dopo suo marito. Era lo sapeva, anche se Zeus no. Se Ade non poteva fare nulla per le gambe di suo figlio, nessun’altro poteva. Ma era vivo, Zeus non era riuscito a ucciderlo e Era era così grata di avere tra le braccia un bimbo vivo e sorridente da non riuscire a provare altro che sollievo. Suo figlio era vivo e felice. Non aveva bisogno di gambe.

“Non posso riportalo sull’Olimpo.” Li guardò. “Potete trovare qualcuno che se ne prenda cura? Qualcuno di cui vi fidate?”

Lei non si fidava di nessuno, quindi non era una scelta che poteva fare.

“Vuoi tornare da lui?” Le domandò Ecate. “Estia ha detto- pensavo che di certo- non devi. Non tornare da lui!”

“Devo.” Tenne stretto suo figlio al petto, e questi allungò le manine paffute per toccarle i capelli. “Sono la dea del matrimonio e lui è mio marito.”

Ecate la fissò, inorridita. “Non farlo- Era, non farlo. Ti supplico. Rimani qui. Ade ti proteggerà.”

Lei sollevò lo sguardo su suo fratello e lui inarcò un sopracciglio. L’avrebbe protetta, si sarebbe frapposto tra lei e l’ira di Zeus se gliel’avesse chiesto. Ma non l’avrebbe fatto e pensava che lui lo sapesse. Disse: “Io sono Era delle alture, di Argo, del tumulo. Sono colei dall’occhio bovino, dea dalle bianche braccia del matrimonio e della famiglia. Io sono Era, regina degli dèi.” Guardò suo figlio e sentì il cuore stringersi in una morsa perché, per quel momento, uno dei titoli che non poteva permettersi di usare era quello di madre. “Non abbandonerò il mio dominio né mio marito. Ritornerò sul Monte Olimpo.”

“Ma non lo ami.” Disse Ecate, impotente.

Era la fissò, stupita dal fatto che qualcuno potesse pensare che il suo matrimonio avesse qualcosa a che fare con l’amore. “Certo che no. Ma non si tratta di amore. Si tratta di potere.”

La dea della magia deglutì, poi disse: “Lo crescerò io.”

Perfino Ade si sorprese a quelle parole. “Tu, Ecate?”

“Lo crescerò io.” Ripeté lei. “Rimarrà al sicuro con me negli Inferi, dove Zeus non potrà trovarlo, fino a quando non sarà grande e forte abbastanza per difendersi da solo.”

“Ti ringrazio.” Disse Era, e chinò il capo quanto bastava per posare un bacio sulla testa di suo figlio. “Ditegli che sono stata io a gettarlo dall’Olimpo.” Quando sollevò lo sguardo, Ade era rassegnato mentre Ecate la guardava orripilata. “Diteglielo, ditelo a tutti. Ho generato un figlio deforme e l’ho scagliato dall’Olimpo. Le sue gambe si sono spezzate nella caduta. Sono stata io a farlo. Zeus ha cercato di fermarmi, ma non ce l’ha fatta.”

“Perché?” Le chiese Ecate.

Era sorrise e guardò suo figlio, il cuore pieno di un amore impotente. “Perché quando si allontanerà dalla protezione degli Inferi, Zeus non avrà modo di fargli del male. Perché quando arriverà sull’Olimpo, Zeus non potrà fargli del male senza spiegargli che è stato lui a cercare di ucciderlo.” Fece una carezza alla guancia del bimbo con il retro del dito, e lui lo afferrò, stringendolo nel piccolo pugno. “Date la colpa a me e lui sarà salvo.”

Sembrava che Ecate volesse ribattere. Ade le mise una mano sulla spalla e chiese a Era: “Come si chiama?”

Suo figlio sorrise e le tirò la mano, l’inizio di un gorgoglio che gli ribolliva in gola.

“Il suo nome è Efesto.”

***

Quando fece ritorno, non ebbe più la pazienza di sopportare i mortali di Zeus. Prima si era limitata a recare loro qualche danno, ma ora avrebbe fatto sul serio. Coloro che non morirono avrebbero preferito di gran lunga la morte e si dimostrò particolarmente vendicativa con le mortali che portavano in grembo i figli di suo marito.

Si sedette sul suo trono, in attesa, con un sorrisino che le arricciava l’angolo delle labbra.

Zeus entrò di colpo e si diresse verso di lei a passo di carica. Era così arrabbiato che dalla sua pelle si levava fumo. “Tu,” sibilò, “questo è opera tua.”

“Non so di cosa tu stia parlando.” Disse lei, e non si scompose quando lui batté i palmi con violenza ai lati della sua testa, distruggendo lo schienale del trono per la forza.

“Lei e i suoi figli sono morti,” ringhiò, “i miei figli sono morti! So che è stata opera tua, puzza del tuo operato.”

Era scivolò in avanti fino al bordo del trono, i loro volti quasi si sfioravano, e aprì le gambe. Lui flesse le mani perché, nonostante la sua rabbia più cieca, la voleva. Era sua moglie e la sua regina. Lei fece sparire le sue vesti, stesa com’era di fronte a lui, i capelli raccolti e i gioielli scintillanti al collo. “E cosa pensi di fare?”

Lui la baciò con così tanta foga da lasciarle un livido e Era avvolse le gambe dietro alla sua schiena, portandolo verso di lei. “Perché lo fai?” Sibilò lui, la sua bocca sul collo di lei, perché la odiava anche quando la amava e la odiava perché la amava e la amava perché la odiava.

Era aspettò che lui fosse dentro di lei, poi gli leccò il contorno dell’orecchio e sussurrò: “O mio figlio o nessun’altro, marito mio.”

Quando le squarciò la pelle con i denti, lei si limitò a ridere.

Era quello che si facevano a vicenda. Forse erano destinati a stare insieme.


Nota della traduttrice [DanceLikeAnHippogriff]: Era da tempo che non aggiornavamo questa sezione, ma pian piano torneremo agli antichi fasti, promesso! Un super GRAZIE a CrispyGarden, che nonostante i suoi mille impegni riesce sempre a trovare un buchino per me <3

   
 
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