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Autore: Sammy_Stark    03/10/2020    1 recensioni
Il detective Ashton M. Fell era in procinto di versarsi una buona tazza di tè (non c'era niente di meglio per accompagnare salsicce, uova strapazzate e funghi trifolati) quando il campanello suonò insistentemente per alcuni secondi.
Ashton sospirò e posò la teiera sul fornello.
Un nuovo giorno, un nuovo omicidio a Los Angeles.
Genere: Commedia, Noir, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2: IL RAGAZZO DELLA VILLA ACCANTO

Verso l'ora dell'aperitivo di quella stessa giornata, il detective Ashton M. Fell arrivò alla conclusione di dover andare a fare visita al giovane William Rosebert. Era stato già interrogato dalla polizia poco dopo la consueta ora di pranzo ma Ashton sentiva che il ragazzo non era stato del tutto sincero. Capiva bene che poteva non essere piacevole subire un interrogatorio con poliziotti dai modi a dir poco burberi perciò prese il cappotto, il cappello e si infilò nel taxi che lo stava aspettando davanti casa.
Questa volta si era premurato di prendere anche il portafogli, in modo da non dover arrivare in ritardo anche per la cena.
William Rosebert era il figlio di una famiglia rinomata di aristocratici ma il loro patrimonio era ormai in rovina da anni, avevano perso la miniera e, qualche anno dopo, anche la fabbrica di scarpe. Erano rimasti tra i loro possedimenti solo un piccolo negozio d'abbigliamento e la villa in cui abitavano, villa che si trovava proprio a trecento metri da casa Sanders.
Il detective Fell si prese qualche momento, una volta pagato e sceso dall'auto, per studiare la strada. Il sole stava tramontando in fretta e non c'erano molti lampioni tra una villa e l'altra...
Ashton prese il fedele taccuino e annotò anche quel dettaglio.
Non fece in tempo poi ad avvicinarsi al campanello della porta che qualcuno la spalancò con vigore.
Davanti a lui si pose un uomo alto, barbuto e ingrigito dagli anni. Aveva l'aria di un lupo stanco e affamato.
-Il mio ragazzo è innocente! Voi e i vostri galoppini potete andarvene tutti a...- iniziò a dire lo sconosciuto, con una certa enfasi, ma proprio in quel momento un ragazzo alto quanto quel signore, ma molto più giovane e bello, si avvicinò e sorrise gentilmente.
-Abbia pazienza con nostro nonno! E' un po'... Siamo tutti un po' scossi.- Mormorò e portò via l'anziano Rosebert. Un istante dopo si presentò davanti al detective un altro ragazzo. Aveva i tratti leggermente più maturi del primo giovanotto ma non poteva avere più di venticinque anni. 
Ashton si accorse che, sotto la luce del crepuscolo, i capelli dorati del ragazzo sembravano brillare tanto erano di una calda tonalità color miele.
Si abbinavano bene ai due vispi occhi color smeraldo che ora lo studiavano con timore.
C'era qualcosa che non andava.
-Salve, detective Fell, vero? Sono William Rosebert.- si presentò finalmente, tendendo la mano ad Ashton. Stringendola, il detective si accorse di quanta forza possedesse un ragazzo così slanciato.
-Mio nonno è malato, non sa più distinguere la realtà... Quello invece era mio fratello Frederick! Prego, si accomodi! Ho già detto tutto in commissariato ma... Sono pronto a rispondere alle sue domande.- Assicurò, in tono calmo.
Il detective Fell sapeva per esperienza che troppa calma in certe situazioni era un sintomo di una profonda agitazione interiore.
I due si accomodarono in un grazioso salottino arredato con le rimanenze della Belle Epoque. Anni prima quel posto doveva essere stato un vero spettacolo per gli occhi.
Le poltroncine su cui erano seduti profumavano vagamente di rose, era lo stesso leggero sentore che Ashton aveva percepito anche su William.
-Allora, signor Rosebert...- iniziò Fell, estraendo nuovamente il taccuino.
-La prego, mi chiami Will.- lo interruppe il ragazzo.
Ashton gli sorrise, rassicurante, ed annuì appena.
- Will... Sappiamo che lei era alla festa del signor Sanders, ieri sera... Ma le sue tracce si perdono tra le ventitré e le ventiquattro e trenta. Alcuni ospiti hanno detto di averla vista sparire al piano superiore con una bottiglia di vino ma senza alcuna accompagnatrice...- la voce del detective non era né accusatoria né tanto meno indagatrice: stava semplicemente riportando quello che altre persone avevano raccontato.
William però aveva iniziato a tamburellare distrattamente le dita sul bracciolo destro della poltroncina su cui sedeva.
-Avevo portato del vino, molti lo fanno...- mormorò.
-Vino Francese...?- chiese Ashton.
Il ragazzo annuì e anche questo dato venne trascritto sul taccuino.
-Da quanto risulta nei registri del signor Sanders, la sua famiglia era in affari con lui da circa cinque anni, è corretto?- chiese ancora il detective.
-Sei anni ad ottobre...- sospirò il giovane.
-Era in ritardo con il pagamento di febbraio e di marzo... Erano molti soldi!- notò Ashton, quasi sorprendendosi lui stesso.
Per una famiglia in disgrazia, una cifra simile significava di certo molto.
-Di queste cose se ne occupa mio padre, in genere... Ma so che siamo in debito con alcuni fornitori a causa di questo ritardo...- ammise.
Il detective fece un altro piccolo appunto e poi continuò con le domande.

Erano ormai le venti quando il telefono di casa Fell squillò, facendo saltare sul posto il pover'uomo, che era seduto a tavola a mangiare dell'ottimo pesce al forno con un buon vin bianco frizzante. Adorava le bollicine.
Gli piacevano un po' meno sui pantaloni ritirati proprio il giorno prima dalla lavanderia.
Quella macchia proprio non ci voleva.
Posò il calice e si passò frettolosamente il tovagliolo sulla stoffa bagnata prima di alzarsi e e andare a rispondere.
Era, naturalmente, James Marple.
Il commissario voleva una prima lista di sospettati. Ashton si assentò giusto il tempo per prendere il taccuino e poi iniziò a dettare nomi, esitando su quello di William. 
Era chiaramente colpevole di qualcosa.
Ma non riusciva ad immaginarlo uccidere in quel modo terribile un uomo. Non riusciva nemmeno ad immaginarlo fare del male a qualcuno.
In ogni caso, doveva inserirlo. Dettò anche il suo nome.
Alla fine il commissario ottenne una lista di cinque persone.
Ashton tornò alla propria cena ma all'improvviso sembrava tutto più insipido, senza gusto.
Aveva bisogno di fare chiarezza al più presto, doveva interrogare l'unica persona che, nonostante un alibi, ancora era sfuggita alle domande della polizia.

Fu con quell'idea che il giorno dopo si alzò dal letto e si avviò in commissariato.
La lista degli indagati scese a due persone.
Nel tardo pomeriggio il detective bussò a casa di Anthony J. Courtney dal pesante maniglione in stile vittoriano che era stato applicato alla porta di legno dipinta di nero. L'appartamento dell'uomo si trovava in uno stretto quanto alto palazzo di cinque piani.
Ad aprire  fu un uomo che aveva più o meno la sua età ed indossava una sottoveste da camera di seta nera. Era da donna, indubbiamente.
-Sei arrivato, finalmente! Ho da fare dopo di te, bellezza!- esclamò, con un forte accento scozzese.
Chiaramente il signor Courtney non era americano.
-Anthony J. Courtney...?- si accertò il detective, avanzando nell'eccentrica mansarda dove abitava l'ennesimo ospite di villa Sanders.
-E chi altri, sennò?- chiese l'uomo, con un sorrisetto sfacciato quanto malizioso che riuscì a far avvampare il detective nel giro di due secondi.
Anthony ridacchiò e si passò una mano fra i corti capelli color fuoco.
-Dove ho messo le sigarette...?- si chiese fra sé, iniziando a vagabondare in giro per casa. Era scalzo e sembrava non patire la fresca aria che proveniva dalla finestra.
Ashton si tolse il cappotto e se lo strinse fra le mani.
Lì dentro era decisamente troppo caldo anche per lui.
Forse era colpa di quelle costolette di maiale mangiate a pranzo.
-Eccole!!- esclamò ad un certo punto il signor Courtney, sventolando in aria un pacchetto, vittorioso.
-Adesso possiamo andare!- assicurò e si arrampicò fuori dalla finestra.
Il detective rimase a bocca aperta ad osservarlo, completamente spiazzato.
-Muoviti, carino!- lo richiamò ancora una volta il rosso.
Ashton, in imbarazzo, corse alla finestra e scoprì che lì accanto, era stata posizionata una scala per salire sul tetto.
Non si chiese il perché.
Non si chiese nemmeno cosa stesse davvero facendo, si arrampicò e basta.
Si ritrovò seduto di fronte ad Anthony J. Courtney, che aveva le gambe accovacciate al petto, nonostante la corta veste da camera. Ashton cercò di mantenere lo sguardo in alto... Presto però la sua attenzione fu catturata dal magnifico panorama che si poteva ammirare dalla loro posizione.
Anthony sorrise e studiò il detective per qualche istante.
-Prendi.- Gli porse una sigaretta.
Il biondo spostò gli occhi sulla mano tesa davanti a sè.
-Oh, grazie, ma io non...- Fece per dire ma il signor Courtney sembrava irremovibile.
Ashton sospirò lievemente e prese la sigaretta, portandosela alle labbra.
-Non ho un accendino...- Si rese conto solo allora.
Anthony sorrise e schioccò le dita, facendosi comparire una fiammella tra pollice e indice. Gli accese la sigaretta e poi scosse appena la mano, facendo svanire la fiamma.
-Come...?- chiese il detective, sbalordito.
Il rosso sorrise e alzò le spalle.
-Un piccolo trucco magico. Va forte con i ricconi!- spiegò semplicemente.
-Avevi delle domande, no? Ti ho già visto sul giornale, eri carino anche lì! Non dovresti fare qualcosa tipo... Prendere appunti?-.
Ashton impiegò un momento di troppo ad annuire.
Aveva gli occhi rossi e si tratteneva a stento dal tossire. Non aveva mai fumato in vita sua ma sarebbe stato tremendamente imbarazzante ammetterlo, soprattutto davanti ad un tipo così. Prese il taccuino e la penna e iniziò con le domande.
Anthony rispose a tutto, in un modo più o meno diretto e sfacciato, di certo molto più sicuro di sè del povero William.
Quando vide che la sigaretta era finalmente giunta a metà vita, la sfilò dalle labbra del detective e prese a fumarla lui, come nulla fosse.
Ashton dovette incantarsi di nuovo di fronte all'uomo perché il rosso fu costretto a richiamarlo un'altra volta.
-Pronto? c'è nessuno, lì?- chiese, ridacchiando, molto divertito.
Non sembrava proprio un colpevole ma era assolutamente fuori da ogni schema possibile.
Ashton sentiva che c'era qualcosa in lui... Ma focalizzarcisi troppo serviva solamente a fargli pensare alle sue labbra dove poco prima c'erano state le proprie, alle cosce scoperte, i capelli lievemente scompigliati dal vento...
Erano dettagli inutili al caso, eppure non poteva fare a meno di notarli.
L'unica cosa interessante che riuscì a ricavarne fu la scoperta che l'uomo era un veggente.
Aveva quindi a che fare anche lui con la magia in un modo più intricato di un semplice trucco di strada.
-Posso darti una mano col caso, se vuoi... Non ti costerò tanto! Posso fare un prezzo speciale, solo per te!- gli propose Anthony, leccandosi le labbra in un modo che Ashton reputò altamente immorale.
Rifiutò l'offerta, mise in tasca il taccuino e si inventò di dover correre a casa dal suo cane, rimasto solo per troppe ore.
Il signor Courtney lo salutò con un gesto della mano e rimase sul tetto, non scomodandosi nemmeno per andare ad accompagnarlo alla porta.

Ashton riprese in mano gli appunti solo una volta a letto, verso mezzanotte meno un quarto. Non riusciva a dormire, era tormentato da una strana sensazione.
Si sentiva in ansia ma non riusciva a capire il perché.
Ebbe diversi incubi, quella notte, e il suo sonno fu scostante e disturbato da ogni minimo rumore.

Il mattino dopo, un'orribile notizia gli diede il buongiorno sul quotidiano mattutino: William Rosebert era stato trovato impiccato in camera propria. Un suicidio, senza dubbio. Il biglietto scritto proprio dal ragazzo non lasciava spazio ad altre ipotesi.
Più tardi, in commissariato, Ashton ebbe modo di leggere quell'ultimo lascito, diceva:
" Mi dispiace di dover recare così tanta sofferenza a tutti voi che mi conoscete e mi volete bene. Non ho ucciso io Archibald Sanders ma sì, ero in compagnia di un uomo, durante la mia "scomparsa" al piano superiore. Ed è per amore suo che preferisco portare il suo nome nella tomba piuttosto che rovinare anche la sua vita.
Ti amo, sempre.
Will "

Ashton rilesse diverse volte quelle poche frasi e poi tornò a casa.
Ora aveva la pesantissima consapevolezza di essere colpevole della morte di quel ragazzo ed era ben lontano dalla risoluzione del caso.
Dopo aver bevuto un paio di bicchiere di Porto, si alzò e si diresse al telefono.
Che Anthony J. Courtney fosse o meno un vero veggente, aveva poca importanza. Doveva scoprire di più su di lui. Doveva seguire le proprie sensazioni, questa volta.
   
 
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