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Autore: amirarcieri    04/10/2020    0 recensioni
Wyatt fin dalla nascita ha sempre sentito la mancanza di qualcosa, come ad essere stato privato di una parte importante di se stesso, ma nessuno gli ha mia dato conferme. Soltanto domande delle quali solo lui era a conoscenza e risposte a cui doveva trovare un riscontro mediante gli altri.
Un giorno Wyatt decide di andare dalla madre per farsi raccontare il segreto che nasconde, ma non è del tutto certo della sua decisione, perché privo di prove certe.
Il caso vuole che proprio nello stesso giorno, Wyatt, incontra una ragazza che lo scambia per un altro ragazzo e allora lì, Wyatt, non ha più dubbi.
Dopo averla invitata a pranzare a un ristorante, è certo che il suo pensiero è pieno di fondamento.
Genere: Commedia, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 4

I tatuaggi”


 

 

[Le nostre mani erano intrecciate. I nostri passi sincronizzati.
Io lo guardavo e vedevo nascere in lui quelle sue dolcissime fossette che amavo tanto mentre le mie labbra si estendevano in un sorriso radioso.
Era tutto così vivido.
Io e Xavier. Xavier e me.
Insieme.
Stretti in un unico corpo, intenti a vivere a pieno quel sentimento che riusciva a trasportarci in un altro mondo privo di tempo.
Un mondo che aveva smesso di essere autolesionista. Un mondo luminoso, in totale armonia con se stesso, dove l'unico reato da lui concesso era quello dell'amare in modo eccessivo.
Mano nella mano, ci sdraiammo sotto un albero di ciliegio, ci cercammo, ci trovammo e da li, precipitammo nel fondo delle nostre pupille.
Tutto improvvisamente, guardando i suoi occhi, mi appariva come un qualcosa di assolutamente perfetto.
Mi sembrava quasi il paradiso in mezzo a un'infinita volta celeste. Un sogno che viveva nella realtà. E Non potevo credere che Xavier mi stesse sorridendo, che le labbra da lui desiderate fossero le mie e che le sue braccia mi stessero custodendo all'interno di un suo abbraccio. Doveva per forza essere un miracolo.
Uno di quelli impossibili, ma che avvenivano comunque lasciandoti privo di respiro.
Ancora incredula, chiusi gli occhi, lasciandomi cullare da quella melodia flautata che gli uccellini stavano interpretando seguendo l'armonia dei nostri cuori.
Il sole ci scaldava tenue, il vento ci accarezzava gentile.
Stavamo vivendo un momento consono in cui la parola era il silenzio, il respiro l'equilibrio contante e ogni altra forma di vita assumeva un significato emblematico. 
Poi, quel momento ci fu portato via.
Fu un secondo che il sole venne risucchiato dall'oscurità, il pacato canto degli uccelli ammutolito da un silenzio che stordì le nostre orecchie, e come un sicario, il vento ci strappò via dalla nostra felicità.
Io lo guardai ansiosa, lui strinse più forte la mia mano mostrandomi la luce infondo a quel tunnel.
Ma inaspettatamente, il nostro cammino fu interrotto da qualcosa che si schiantò dinanzi a noi.
Non fece rumore. Non si disintegrò. Era rimasto del tutto intatto nonostante il suo brusco atterraggio: era un meraviglioso specchio dorato dall'interno fatto in puro cristallo.
Rimasi incantata davanti a tanta perfezione che i miei occhi furono ipnotizzati dal suo surreale luccichio.
Approssimandomi a lui, sporsi una mano, ma a quanto pare tanta avvenenza non pretendeva me.
Lo specchio chiamava Xavier. Lo desiderava ardentemente davanti a se.
Xavier mi guardò cercando la sicurezza nei miei occhi e per sua grazia la trovò pronta a sorreggerlo.
Dopo, con le mani ancora intrecciate, ci avviammo alla sua volta.
Era tutto così strano. Come se nonostante l’avanzare dei nostri passi, lo specchio apparisse sempre più distante.
Allora, ebbi un’adamantina intuizione e mi fermai.
Con mia sorpresa potei vedere che lo specchio si ritrovò a pochi centimetri da noi.
«Sei davvero pronta per questo?» mi chiese quest'ultimo con voce innaturale.
«Ti senti davvero pronta per vedere ciò che ti mostrerò» sibilò gelido. Anche se le sue intimidazioni cominciavano a spaventarmi, accennai un si leggero della testa.
«Bene allora manifestatevi» ci incitò, allegando all’ultima parola una risata maligna. 
Io e Xavier rinvigorimmo l'intreccio delle nostre mani e gettando un sospiro nell'aria ci disponemmo al suo cospetto.
Ma non appena le nostre sagome furono focalizzate dal suo fulgido cristallo, chi si materializzò al mio fianco fu Wyatt.
Cerea in viso, mi affrettai a constatare che la mano da me tenuta fosse realmente quella di Xavier, invece, sollevando la testa, realizzai che era quella di Wyatt.
Fu una situazione così raccapricciante.
Lui che mi attirava in quel suo sorriso beato. Io che scuotevo la testa terrificata.
«Xavier!» mimai senza voce. Perché ero stata privata di proferire parola?
«Xavier» insistetti, nessun suono fievole però uscì dalla mia gola. 
«Io non sono lui» mi urlò improvvisamente contro Wyatt. I suoi occhi di ambra erano vuoti e inquietanti.
«Tu sei Xavier» obbiettai fornendomi del labiale. 
«No» negò lui con il viso tinteggiato di rosso dall’ira. Ormai fuori di se, arpionò gli angoli dorati del pregiato specchio e lo scaraventò rabbiosamente al suolo.
Sobbalzai terrorizzata dal quel suo incontrollato gesto.
«Io non sono lui. Davanti a te ci sono io. Hai capito?» mi sbraitò attanagliando le mie braccia nella presa delle sue mani. Scossi la testa paralizzata dall’orrore di quelle parole.
«Lui non c'è» infierì su di me, iniettandosi le pupille di sangue.
La sua stretta adesso era divenuta insopportabile. Iniziavo a lamentare un principio di dolore alla ossa delle braccia.
«C..che vuoi dire?» gli chiesi tramite labiale con una supplica degli occhi.
Avevo paura. Terribilmente paura. Ma non per il dolore fisico al quale ero sottoposta. La mia paura derivava dalla risposta alla domanda che avrei avuto tra non molto. Il solo pensiero mi fece scivolare lacrime cariche di calore sulle guance. 
«Lui vive solo nella tua mente. Lui non c'è. Lui» partì, interrompendosi per spararmi un colpo al cuore con le sue criptiche ambre. 
«Non ci sarà mai» concluse osservandomi pietosamente]



Diana si risvegliò priva di respiro.
Sollevando la testa e portando la sua folta chioma dietro la nuca, si accorse solo poco dopo che il suo viso fosse bagnato da qualcosa di estremamente caldo.
«Lui vive solo nella tua mente. Lui non c'è. Lui non ci sarà mai» quelle parole facevano più male di una coltellata al cuore.
Erano talmente affilate da arrivare a sfondare la sua gabbia toracica e gettare il suo contenuto in pasto ad un branco di leoni pronti a soddisfare il loro insaziabile peccato di gola corrente.
Avrebbe preferito essere picchiata a sangue pur di non soffocare in quelle dannate fiamme che stavano bruciando ogni sua forma di difesa che aveva eretto per fronteggiarle, Ma fu troppo tardi.
Stavolta, non poté scacciarlo, né digerirlo.
Stavolta, la sua mente fu sopraffatta da quei ricordi seppelliti nel cimitero più abissale di se stessa e non ebbe altra scelta che tornare ad affrontarli per l'ennesima volta.
Erano solo pochi mesi da quando si era imposta di togliere il suo pensiero a quest'ultimo, ma sembrava non esser cambiato niente.
Il suo cuore continuava a dipendere da lui e quei suoi ricordi ad essere ancor più veri della realtà stessa.
Le lacrime ricominciarono a rigargli il volto ancor più incandescenti di prima alla sola constatazione.
Perché era tornato?
Perché si era ripresentato nella sua vita?
Non capiva che lei si era allontana volontariamente da lui?
Che non voleva e non poteva stare con lui?
Non dopo quella parola che stava per dirgli e lei l’aveva fermata a metà.
Serrò le dita nelle lenzuola per provare ad affrontare il dolore mentre le sue urla mute echeggiavano all'interno del torace.
Non voleva più stare così. Non poteva e non doveva annegare nuovamente in quel mondo che ormai aveva smesso di appartenergli.
Il passato non apparteneva a nessuno. Diana sapeva che non era il posto adatto sul quale risiedere.
Lei doveva vivere nel presente. Voleva vivere nel presente perché era lì che ogni giorno tornava a sorprenderti, a far tornare vivida la speranza tramite un sorriso sognate che avrebbe aperto nuove vie da esplorare.
Spinta da una dose di determinazione smisurata, si sollevò dal letto e sedendosi si concentro su i suoi battiti.
Uno per volta i suoi piccoli respiri si fecero sempre più volutivi. Da li poi ritrovò la forza per reagire.
Il respiro torno a essere stabile. I suoi occhi aridi.
Si sentiva già meglio. Come momentaneamente guarita da una febbre mortale.
È fu lieta di questo, perché ebbe la prova di essere diventata più forte. Di poter sognare che un giorno avrebbe annientato per sempre quel suo inferno individuale.
Più serena, poggiò i piedi sul pavimento, dirigendosi in cucina.
Avvertiva la gola secca e sfiorava l'idea di placarla con qualcosa di estremamente freddo- Quindi, attenta a non fare rumore seguiva la strada buia.
I suoi passi erano insonorizzati, ma strettamente estesi. Non aveva intenzione di essere scortese e svegliare tutti o solamente qualcuno di loro, così cercò di essere più rapida possibile.
Tuttavia, il suo obbiettivo ebbe delle aspettative diverse.
Fu uno sorpresa per lei scoprire la sagoma dell'ombra di qualcuno che proveniva dal giardino. Un'ombra accovacciata sulle gambe dal volto sollevato in aria.
Diana, corrugò le sopracciglia incuriosita a chi potesse appartenere, quindi si mosse lesta affacciandosi per metà dalla soglia della porta e quando i suoi occhi scolpirono i tratti di Wyatt, li spalancò istintivamente.
Era seduto sul cornicione della finestra appartenente al soggiorno, stava assumendo un eccessiva tirata dalla sigaretta, gettandola dopo qualche attimo nell'aria soprastante.
I suoi occhi ambra erano sperduti in quell'immensa distesa celeste. Così malinconici, così turbati e spenti da arrivare a trasmettere il corrente stato d'animo a quello altrui. 
Nell’osservarlo, Diana accennò una risata.
Era tale e quale a Xavier.
Non c'era neanche una minuscola sfumatura che li diversificasse, perché erano l'uno lo stampo dell'altro.
Ancora una volta il suo cuore aveva mostrato lei la persona che non era e ormai sotto anestetico di quel miraggio, non resistendo, andò a raggiungerlo.
«Cerchi di cogliere una stella cadente in mezzo a tutte le altre in cielo?» gli chiese audace mentre lo affiancava sul cornicione alla sua sinistra.
Wyatt sorrise compiaciuto. Sapeva quale fosse il reale significato delle sue parole.
«Lo faccio solamente quando sono nervoso o sotto pressione, ma ho promesso di smettere»
«Si!» esibì lei dubbiosa.
«Tu non smetterai mai perché è diventata una dipendenza da qualcosa. E se lo fai solo quando sei nervoso è una disgrazia, perché il tuo stato “negativo” dipenderà sempre dall'assunzione di una sigaretta. E così avrai sempre questo vizio e continuerai a promettere a te stesso che smetterai, quando sai che questo momento non arriverà mai» fece la maestrina incensurata della situazione, sollevando la testa in modo da lasciarsi illuminare parte del viso dai raggi lunari. 
«Hai mai pensato a un'alternativa?» gli offrì gratuitamente una terapeutica alternativa.
«Tu ne hai una» affermò Wyatt in riscontro alla sua domanda. Diana acconsenti lenta.
«Potresti sostituire le sigarette alla musica. Quando canti in te nasce la stessa sensazione che si genera in riscontro al fumo: la pace soggettiva. Il canto è la tua passione. È ciò che sei. E poi non nuoce la salute» Diana si voltò verso di lui e lo derubò del pacchetto di sigarette con la mano di un ladro esperto.
«Ogni qualvolta che avrai l'infrenabile voglia di fumarne una, canta» Diana ne estrasse una dal pacchetto.
«A ogni sigaretta» finse di gettarla nel giardino, depositandola invece sulle cosce. 
«Una canzone» una sigaretta, una canzone.
Una sigaretta, una canzone.
Una sigaretta, una canzone.
Una sigaretta, una canzone.
Continuò così finché nel pacchetto, non ne rimase una, e prendendola disse
«E in ben che non si dica» gli mostrò il pacchetto vuoto.
«Sei riuscito a liberti di questo tossico vizio» dimostrò, sollevando le sopracciglia gloriosa.
«Incredibile» l’espressione di Wyatt era stata realmente rapita dalla sua idea. Un'alternativa così tanto scontata, sita in costante avvenenza davanti ai suoi occhi, come aveva potuto non venirgli a lui?
Forse perché non gli era mai interessato davvero trovare un rimedio.
Lui prometteva, ma in fin fine non ne aveva l'assoluta intenzione. Era solo un modo scrupoloso per tranquillizzare coloro che più gli volevano bene. Mentre invece per se stesso bramava di poterlo fare ancora, malgrado sapeva che la decisione migliore fosse di smettere di imporsi veleno tossico nei polmoni.
«Ci proverò! Grazie» promise veritiero esternandogli un sorriso pacato. 
«Sul serio?» Diana era stupefatta dalle sue parole. Credeva che non le avesse mai prese in considerazione. Che fosse un'idea bizzarra creata da una folle priva di senno.
Wyatt però gli sorrise nuovamente acconsentendo. Lei fu su di giri. 
«È fantastico perché l'ho appena ideata pensando a te» decantò posando le mani sul braccio di Wyatt dove si faceva spazio la scritta “Firedel tatuaggio, ma qualcosa, proprio allora, accadde.
Le orecchie cominciarono a fischiargli e la sua espressione si gelò.
«DIANA? CHE SUCCEDE?» le chiese lui turbato. Quella domanda però non ebbe il suo solito effetto. Non in quel momento.
Il corpo di Diana cominciò a vibrare mentre al tempo stesso la testa si muoveva a destra e sinistra quasi volesse scacciare la realtà.
Lei non parlava, tanto più non respirava.
Scossa ancora dal fatto, fissava quella chiara sottigliezza che distingueva le due indistinguibili copie: i tatuaggi.
Ecco cos'era quel minuscolo particolare che li dissimulava.
Erano quei repellenti tatuaggi. Quegli assurdi scarabocchi che occupavano gran parte del suo corpo.
Per Diana fu come un tradimento a pieno volto e l' imminente entrata in scena di quelle maledette gocce d'acqua salate fu istantanea quanto barbara.
Non si fecero desiderare e neanche acclamare. Silenziose, si mostrarono all'unico spettatore presente esibendosi in un brano tristemente lugubre.
Le cadevano sulla maglietta una dopo l'altra generando piccole macchie dall'identità amara e Diana era ormai schiava della loro legge.
Aveva le mani tese in avanti con la testa china come fosse un corpo esanime privo di coscienza.
Si limitava a lasciarle defluire, al farsi incendiare il viso dalla loro incandescente consistenza.
«Scusami» disse mentre cercava di riprendere respiro tra una lacrima e l'altra.
Perché? Perché continuava a vedere Xavier? Lui non era Xavier. Era Wyatt. Perché il suo cuore non voleva capirlo? Perché?
«È tutto okay» Wyatt la confortò carezzandogli la spalla con la mano sinistra.
«Mi dispiace» continuò lei sfogandosi per trovare consolazione nella sua clavicola. 
«Io non ce la faccio! Il mio cuore è malato» alle sue parole Wyatt sbarrò gli occhi stravolto. Non immaginava che Diana stesse sopportando un male tanto disumano.
Non aveva idea che stesse combattendo contro qualcosa che la stava annientando e che le fiamme che la stavano divorando l'avessero già ustionata.
Fulminato da una scarica di candida umanità, le racchiuse il viso tra le mani per sussurrargli
«Tu ce la farai» ma Diana piangeva sempre più forte. Era come se gli stessero squarciando il cuore.
«No! Non lo capisci? È tutta colpa tua. Sei tu la causa del mio dolore»
«No! Io voglio aiutarti!» Wyatt era testardo cento volte più di lei e malgrado sapesse di essere il problema, voleva disperatamente tramutarsi nella soluzione.
«Ti prego non aiutarmi perché non puoi farlo» se ne oppose ancora Diana. La voce era stata spezzata dal pianto.
Diana non aveva più fiato in bocca e a Wyatt gli si rammaricò il cuore.
La vedeva così piccola e fragile, che dentro di se Wyatt sentiva l’estremo bisogno di proteggerla e aiutarla.
Mirava ad essere la persona giusta proprio come lei si stava dimostrando di essere per lui. 
«Nessuno può sopravvivere da solo a qualsiasi genere di dolore» il ragazzo costrinse i suoi occhi gonfi e rossi a fissarlo.
«Tu ce la farai. Io riuscirò a guarirti, vuoi scommettere?» la dichiarazione fece abbassare per un momento gli occhi a Diana.
«E come? Dimmi, come farai a porre fine a tutto questo? Come riuscirai a far smettere il mio cuore di occultare la realtà? Quando potrò vederti per quello che davvero sei?» sbottò di colpo, alzandosi in piedi per la scarica di rabbia di cui era stato invaso il suo corpo.
«Perché ci tieni così tanto ad aiutarmi? In fin dei conti chi sono io per te? Tu per me?» lo accusò di un lucroso perbenismo, asciugandosi le lacrime con il polso sinistro.
Ricevuto quel graffiante rifiuto, il volto di Wyatt si marmorizzò in un espressione volitiva, maturatamente accentuata dai manrovesci dell’esperienza e i riverberi dei suoi addottrinamenti. 
«Io, ti prometto che proprio grazie a me, tu ci riuscirai a guarire» le disse stoico. Forse era proprio per questo che fino ad oggi, né Wyatt, né Diana, erano mai riusciti a trovare il sentiero esatto per consentire loro di fuggire da quel labirinto soggettivo del quale erano prigionieri.
Si erano perennemente sentiti persi, convinti che avrebbero passato il resto dei loro giorni condannati in quella gabbia traboccante di tormenti.
Ma solo adesso, mentre i loro occhi si stavano attraversando oltre la pupilla, avevano compreso la ragione di tale motivo.
Il raggiungimento dell'uscita che avrebbe segnato la loro libertà era da sempre stato progettato per essere trovato da due persone, non una.
E non si trattava di una persona qualsiasi, ma della guida che senza chiedere un perché, un quando o un dove, prendendolo per mano l'avrebbe portato via da li, mostrandogli nuovamente la luce del sole.
I loro occhi che correntemente avevano toccato il fondo e quindi finalmente le rispettive anime, ebbero l'immacolato piacere di incontrarsi.
Fu tutto così semplice da concepire.
L'anima della persona che stavano sfiorando, l’anima con la quale stavano danzando, era quella che avevano costantemente aspettato.
La stessa che avrebbe guarito ogni singolo dolore da loro detenuto e la sola che al momento del suo arrivo, avrebbero capito all'istante, anche con un incerto contatto visivo, fosse essa.
Loro erano due pezzi di un'unica parte. Erano fatti per armonizzarsi.
Le loro essenze erano fatte per essere presenti la dove fossero state instabili e afferrarsi prima che il loro corpo toccasse terra.
Connessi in un unico corpo, erano i guardiani delle loro relative anime che si sarebbero sentite complete solo stando insieme.
Finita di fare quella realizzazione, Diana chinò il capo come per scusarsi, poi si schiarì la voce affrontando un discorso completamente discorso, ma pur sempre connesso.
«Adesso dove andremo?» chiese, ma nel momento che fece la domanda, si dette la risposta da sola.
«Da tuo padre?» Wyatt acconsenti guardando il vuoto dietro di lei.
«Voglio sapere chi è. Voglio dirgli tutto ciò che penso, leggere tra i suoi occhi la paura e farlo sentire colpevole del crimine che ha commesso» le pupille di Wyatt erano inflessibili. Quasi presi dal pensiero vagante del padre, visibile soltanto a lui.
«Ma dovrai farlo solo» lo avvisò lei ancor più giudiziosa di lui.
«Lo so!» anche Wyatt pensava fosse la cosa migliore da fare perché desiderava che avvenisse così. 
Il giovane ragazzo non lo temeva. Non aveva esitazione ad affrontarlo.
Era pronto. Lo era stato già dal momento in cui sua madre gli aveva confessato i trascorsi passati con quel verme. 
«Adesso vado. Notte» gli preannunciò lei. Avrebbe voluto affrontare l'argomento “mamma”, ma sapeva che la risposta di Wyatt se susseguita da determinate parole, avesse suonato come un rifiuto ancora ben chiaro.
Era meglio lasciare tutto com'era. Lasciare che fosse la notte a suggerirgli la cosa migliore da fare.
D'altronde era stata lei a dire che ci voleva tempo e forse se nessuno gli avesse fatto pressione, già il mattino dopo li avrebbe ritrovati abbracciati in cucina.
«Notte e grazie» ripeté perciò iniziando a marciare dentro casa, ma arrestandosi sulla soglia per attendere la sua risposta.
«Jenny» disse Wyatt di getto.
«Jenny?» lo interrogò lei voltandosi a studiarne il viso assorto nella miriade di stelle.
Vedendolo fare spallucce senza parlare, Diana stava proprio cominciando a pensare che le avesse rivelato il nome della ragazza amata, ma Wyatt sfatò questa sua convinzione, non appena aprì bocca.
«Jenny è un nome che ti si adegua» Wyatt le sviluppò stringatamente la sua tesi.
«È per quale assurda ragione?» Diana si trattenne a stento dal ridere. Gli stava per caso affibbiando un soprannome?
«È un nome che racchiude una nota malinconica mischiata a un pizzico di cazzutaggine. Mi fa pensare ad una donna punk dal cuore tenero» dettagliò con il suo solito sonnolento modo di fare. Diana sorrise compiaciuta. Pesò che il modo in cui l’aveva descritta si uniformasse perfettamente alla sua imperscrutabile personalità. 
«Jenny mi piace» accettò lei stranamente raggiante in viso. 
«Anche a me» ne combaciò l’entusiasmo lui. 
«Rinotte»
«Rinotte» si augurarono. Poi Diana scappò via verso la sua stanza come una cappuccetto rosso alla ricerca di avventura del bosco notturno.
Wyatt rimase a fissare il cielo per un’altra mezzora.
C’erano così tante stelle.
Quante potrebbero essere? Si chiedeva l’animo umano nel vedere qualcosa di inspiegabilmente suggestivo.
Mille. Cento. Dozzine di migliaia?
Impossibile definirlo.
Il cuore di entrambi per quella sera si quietò ed entrambi fecero sogni sereni.


NOTE AUTRICE: ma ciaooo, ogni tanto riappaio, già. Finalmente ho postato il quarto capitolo di questa originale. Allora, che vene pare di come si stanno evolvendo le cose? Il rapporto tra Diana e Wyatt si intensifica sempre di più, ma a dove porterà?  E il loro viaggio insieme quanto a lungo si prolungherà? Ditemi pure ciò che pensate e ringrazio chunque la leggerà, recensirà, aggiungere ai preferiti, ricordate o seguite. 
Grazie millissime a chi lo fa e vi ricordo che se volete aggiungermi ai vari social i link sono questi: 

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Bye, bye. Alla prossimaaaa!



   
 
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