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Autore: Tenar80    04/10/2020    1 recensioni
Victoria non dovrebbe essere una ragazza. Ha superato le selezioni per entrare nelle Ali Nere, il corpo militare d'élite che combatte contro gli angeli. Nell'Impero, un mondo steampunk dal sapore vittoriano, quella non è proprio un'occupazione adatta a una ragazza, per di più una trovatella. Ma Victoria è e rimane una ragazza...
Questo è il primo racconto della saga "L'assedio degli angeli – Preludi"
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'assedio degli angeli – preludi'
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Cinque giorni dopo, per la prima volta, Victoria attraversò la città accompagnata da un’entusiasta e ansiosissima Madre Carola per recarsi alla seconda selezione, nel quartier generale delle Ali Nere.

    La suora fu lasciata fuori e lei si inoltrò da sola nel casermone anonimo, una struttura industriale senza ciminiera, dove altri quindici ragazzi aspettavano in piedi al centro di uno spazio vuoto di capire cosa sarebbe capitato. 

    La cosa davvero strana, in quell’atmosfera vociante di penombra e di attesa, fu scoprire che, nonostante fosse probabilmente la più giovane, era la più alta e quella con i capelli più corti. Madre Carola le aveva fatto infilare un completo alla buona con giacca e pantaloni blu e Victoria avrebbe sfidato chiunque a capire che lei era una ragazza. Anche se non le era del tutto chiaro se era una cosa da nascondere o no. Secondo Madre Carola ciò che non era espressamente vietato era permesso. Victoria si chiedeva se era per suore come lei che la regola dell’ordine era lunga quasi cento pagine.

    – Ehi, attento a dove metti i piedi! – gli si rivolse qualcuno.

    – Scusa, non volevo! 

    Victoria si girò di scatto verso il ragazzo che aveva involontariamente urtato.

    Era un tipetto riccioluto e ora si stava rassettando un vestito che, con ogni probabilità, costava quanto mezzo Santa Prospera.

    – Per entrare nelle Ali Nere dovremmo essere agili come gatti, non pestarci i piedi a vicenda – protestò ancora il ragazzino.

    Aveva degli occhi verdissimi che per la stizza mandavano lampi inquietanti, come quelli delle squame delle lucertole.

    – L’unico gatto che conosca è così grasso che quando si addormenta in cima al muro di cinta poi cade – ribatté Victoria, pensando al persiano della Madre Superiora. – Me la cavo molto meglio di lui.

    – Forse mio padre non si riferiva a quel gatto – concesse il ragazzo. – Sono Chris Jamenson, figlio del colonnello Jamenson della marina. Tu?

    Victoria si morse il labbro inferiore.

    Non solo il suo nome era un problema, ma anche il fatto di non avere un padre noto non sembrava un buon biglietto da visita. Non si era mai sentita in imbarazzo per quello, prima. Tutti i suoi amici erano sempre stati orfani. Sorrise.

    – Io sono 2835 – rispose.

    – Davvero? Ci credi? Io sono il candidato 8986 e qui siamo solo in sedici. E dicono che non prendono mai più di quattro o cinque cadetti all’anno!

    Forse a Chris non importava poi così tanto come si chiamasse.

    – Tu sai cosa dovremo fare oggi? – chiese.

    Il ragazzino scosse il capo.

    – Mio padre deve saperlo per forza, ma non mi ha detto niente. Solo che sarebbe stato fiero in ogni caso. Se non passavo la prima selezione, invece, mi sa che mi diseredava.

    – Beh, lui è in marina. Forse ai suoi tempi ha provato e non è passato.

    Questo fece sorridere improvvisamente Chris.

    – Non ci avevo mai pensato! Sai che sei forte…

    Prima che Chris potesse chiederle nuovamente il nome, la porta in fondo allo stanzone si aprì e entrarono tre uomini in uniforme nera e oro.

    Il primo lo conosceva anche Victoria, perché nessuno nell’Impero ignorava chi fosse il generale Havoc Morozov, comandante in capo delle Ali Nere da oltre trent’anni. Non portava più le ali da quando un Generale Angelico gli aveva staccato di netto la gamba che ora era sostituita da una protesi metallica tutta ingranaggi e stantuffi, ma non si muoveva piuma, lì, che lui non volesse. Alla sua destra c’era un giovane alto con i capelli neri lunghi fino alle spalle e una lunga cicatrice che dal naso gli attraversava la guancia destra. Alla sinistra invece un uomo più basso, sulla trentina, più robusto, con un’uniforme con molte meno decorazioni dorate e una grossa borsa di pelle in mano.

    – Quello alto è il colonnello Vadez, è lui che guida gli uomini nelle azioni – le sussurrò Chirs, che evidentemente aveva capito che necessitava di spiegazioni.

    – L’altro? 

    – Uno dei meccanici, credo.

    Meccanici.

    C’erano una marea di cose che Victoria non sapeva. Le Ali Nere, beh, avevano le ali quando combattevano. E anche alla parata di Nevoso, per la festa delle forze armate, sfilavano con le ali, no? Quindi come si mettevano le ali? Perché era evidente che in quel momento quel tale, Vadez, non le avesse.

    Fu proprio lui a prendere la parola.

    – Sono il colonnello Nero Vadez – esordì. – E mi complimento con voi per essere stati convocati qui. Sono stati dodicimilatrecentosei i ragazzi che hanno partecipato quest’anno alla selezione e voi avete dato prova di avere le caratteristiche fisiche e mentali necessarie a iniziare l’addestramento per entrare nel Corpo Militare Speciale delle Ali Nere. A ognuno di voi verrà rilasciato un attestato con cui potrete avere un accesso preferenziale a qualsiasi accademia militare dell’Impero. Perché c’è una caratteristica unica, una delle tante, nel nostro Corpo Militare: il nostro organismo decide per noi.

    Con un gesto plateale si girò di spalle, mentre con una mano scostava i capelli.

    I ragazzi, in piedi a semicerchio intorno ai tre militari allungarono d’istinto il collo per guardare. Sembrava che alla nuca il colonnello avesse impiantato un bullone. Dalla pelle spuntava un pezzo di metallo ottagonale. Con un movimento della mano libera, così rapido e alla cieca da denunciarne la lunga abitudine, Vadez rimosse la parte centrale, che si rivelò essere un una sorta di tappo. C’era un buco che entrava nel suo collo. Sul fondo si intravedeva qualcosa di umido e vischioso che Victoria suppose essere sangue. Si chiese se dovesse provare nausea o ribrezzo. Sicuramente era quella la reazione adatta a una ragazza, non il suo desiderio di infilarci un dito per capire se poteva toccare il midollo che scorreva all’interno delle vertebre.

    – Per andare nell’altra dimensione noi diventiamo angeli – proseguì Vadez, mentre ritappava quel coso, qualsiasi cosa fosse, e si girava di nuovo verso di loro. – Colleghiamo delle ali d’angelo ai nostri corpi, il loro sangue si mescola al nostro e acquisiamo alcune delle loro capacità. Sfortunatamente, il sangue d’angelo è tossico per oltre metà della popolazione. Quindi il primo passo sarà farvi assaggiare del sangue d’angelo è capire se potrete tollerarlo. Poi bisognerà sottoporvi all’impianto. Come vedete si tratta di un’operazione non banale. In caso di infezione, subentra spesso una febbre celebrale che uccide, o lascia debilitati per sempre. Non ci aspettiamo che più di quattro o cinque di voi possano iniziare l’addestramento. Metà di noi muore in combattimento o rimane mutilata. Quindi, se volete fermarvi qui, nessuno potrà biasimarvi. Non ci sono i vostri genitori, la scelta è vostra. Fuori da qui siete bambini, ragazzini di dodici anni, ma per le Ali Nere le regole sono diverse. Il corpo umano non è fatto per questa vita. Trent’anni è il limite massimo per il servizio attivo. Io sono andato in combattimento per la prima volta a quindici, qualcuno anche prima. Quindi non siete bambini e dovete decidere ora della vostra vita.

    Per quanto impettiti di fronte ai tre militari, Victoria avvertì gli sguardi di sbieco che gli altri si stavano lanciando. Non aveva capito se poteva morire assaggiando il sangue, ma se quello andava bene, le possibilità erano circa una su due. Bene. Lei non era tante cose. Non era diligente. Aveva una pessima memoria. Odiava cucinare e pulire i bagni. Era negata per il cucito. Ma non era stupida. A Santa Prospera si stava bene. Il cibo faceva schifo, nelle camerate d’inverno si gelava e la Madre Superiora aveva la scudisciata facile. Nessuno attentava alla loro virtù, non si moriva di fame e se stavi male ti curavano. Una volta uscite le cose non erano così facili. Le suore cercavano di avere notizie delle ragazze più grandi e ne parlavano tra loro. Chi finiva a battere, chi prendeva la tubercolosi, chi veniva ammazzata di botte. Se non era la metà a morire entro i trent’anni poco ci mancava. Almeno quelle delle Ali Nere erano morti più interessanti.

    Un ragazzo alzò la mano per ritirarsi e, poco dopo, timidamente, anche un secondo. Chris, di fianco a lui, era di colpo pallidissimo, ma non alzò la mano e Victoria, d’istinto, gli sorrise.

    – Molto bene. Ora chiamerò il vostro numero e vi metterete in fila – disse Vadez.

    Victora finì terza, dietro a un ragazzino alto quasi quanto lei, ma largo il doppio, e subito davanti a Chris. Il generale Morozov si era messo di lato, appoggiato a un muro, a osservare con un sigaro in bocca, mentre l’uomo con la sacca ne aveva tirato fuori un calice di legno e una fiaschetta di pelle.

    – Le Ali Nere esistono da cinque secoli – spiegò. – E da cinque secoli questi sono gli oggetti per la prova del sangue.

    Victoria si chiese se non fosse un tocco per metterli ulteriormente a disagio.

    Il primo ragazzo, un tipetto dal naso affilato e dai modi che alla ragazza ricordavano quelli di un topo, bevve dalla coppa e tremò per un istante. Il colonnello Vadez si affrettò a sostenerlo, mentre il ragazzo sembrava essere sul punto di vomitare, ma poi si passò il dorso della mano sulla bocca e scosse il capo.

    – Sto bene – biascicò.

    – Molto bene – lo confortò Vadez. – Adesso vai a sederti tranquillo, se ti senti male chiamaci.

    Il ragazzo annuì e, un po’ barcollante, raggiunse la parete del capannone e vi si appoggiò, lasciandosi scivolare a terra.

    Il secondo era quello davanti a Victoria. Bevve con un gesto deciso. Anche lui, come l’altro, iniziò a tremare, questa volta, però, non smise in pochi istanti. 

    Tra le braccia di Vadez i tremiti divennero un attacco di convulsioni. 

    Victoria fece d’istinto un passo indietro, mentre il ragazzo di dibatteva in modo inconsulto, con gli occhi rovesciati e la bava alla bocca.

    Con calma, l’uomo di cui la ragazza non conosceva il nome estrasse dalla borsa una siringa e, mentre Vadez teneva fermo in qualche modo il ragazzo, riuscì a fargli un’iniezione. Il corpo si afflosciò all’istante nelle braccia del colonnello. Due uomini, sempre in uniforme nera e oro, entrati senza che i ragazzi se ne accorgessero, vennero a prendere il corpo inerte tra le braccia, per trascinarlo via.

    – Starà bene – disse Vadez, come se non fosse accaduto nulla.

    Victoria era la più vicina, sentiva dall’odore che il ragazzo si era urinato addosso e anche lei iniziò a tremare. Di colpo non voleva farsi vedere in quello stato. Non voleva pisciarsi addosso, inconsapevole, davanti a degli sconosciuti. E poi? I soccorritori avrebbero scoperto che era una ragazza…

    – 2835? – la chiamò Vadez. – 2835? Tutto bene?

    – Sì – rispose Victoria, facendo un passo avanti.

    Mise un piede nell’urina del ragazzo e ne sentì il viscido sotto la suola della scarpa. Ritrasse il piede e quasi rovesciò la coppa che l’uomo le stava porgendo.

    Meglio farla breve.

    Anche lei bevve velocemente, per non pensare.

    Faceva schifo, il sangue d’angelo. Una roba calda, vischiosa e salata.

    Rimise la coppa nelle mani dell’uomo che gliela aveva data.

    In quel momento sentì il peso degli sguardi come qualcosa di fisico.

    Non stava tremando. Per niente.

    – Come ti senti? – le chiese Vadez.

    – Non lo so – rispose, sincera.

    Non tremava. Non provava nausea, se non per il sapore. Però aveva una strana sensazione di ondeggiare, come se faticasse a mettere a fuoco gli oggetti.

    – Vai a sederti.

 

    Chris tremò parecchio e Vadez dovette sostenerlo per alcuni minuti, ma poi anche lui fu invitato a sedersi.

    – Come va? – gli sussurrò Victoria, quando lui si rannicchiò al suo fianco.

    – Malissimo – biascicò. – Tu?

    – Mi gira un po’ la testa – confessò la ragazza.

    – Però tremi meno di me – si inserì il primo ragazzo.

    Poi furono interrotti dalle grida del quinto ragazzo, che si contorceva stringedosi lo stomaco. Anche in quel caso i due uomini, che Victoria supponeva fossero infermieri, faticarono a fargli l’iniezione e a portarlo via.

    A Victoria parve fosse quella la parte peggiore. Vedere dei ragazzini della sua età stare male sotto lo sguardo impassibile delle Ali Nere. Vadez era gentile e distante con tutti. Morozov imperscrutabile. L’uomo con la sacca e gli infermieri efficienti. Non dicevano una parola. Agivano e basta. Uno dei ragazzi fu portato via che non stava respirando. Poco dopo davanti a loro che erano seduti fu messo un secchio. Chris e poi un altro ragazzo vi vomitarono a ripetizione. L’idea di Victoria di «ingresso in un Corpo Militare Speciale» era una cosa sicuramente meno puzzolente. Forse, tutto sommato, era meglio fare la cameriera.

 

    Lentamente, il mondo smise di ondeggiare intorno a Victoria. Qualcuno doveva aver aperto delle porte o accesso delle lampade, perché lo stanzone era più luminoso. Perfino il pulvisco nell’aria sembrava rilucere, nitidissimo. 

    La ragazzina si passò una mano sugli occhi. I graffi che aveva più o meno sempre sulle dita erano scomparsi. In effetti, si rese conto, ora che l’effetto mal di mare era cessato, si sentiva molto meglio di quando era entrata nel capannone. Nei giorni precedenti aveva preso una mezza storta a una caviglia e si era spezzata un’unghia della mano sinistra. Sembrava che gli effetti di entrambi i piccoli infortuni fossero scomparsi. Con circospezione, si guardò intorno. Erano in cinque seduti addossati alla parete. Da come sembrava intento a osservarsi le mani, anche George sembrava sperimentare gli stessi effetti.

    Il generale Morozov era nella stesso posizione in cui Victoria lo aveva visto prima di bere il sangue, appoggiato alla parete opposta alla loro, in osservazione. Come un avvoltoio, pensò. Vadez e l’altro tizio invece non si vedevano da nessuna parte.

    Con un rumore stridente che Victoria trovò insopportabile, una porta si aprì e Vadez e l’altro militare rientrarono. Avevano un aspetto più rilassato e, nonostante la distanza, la ragazzina si accorse di udire i loro bisbigli.

    – Guarda com’è attento il ragazzetto con i capelli chiarissimi, forse lo abbiamo trovato – stava dicendo quello più basso.

    – Di certo da quando sono qui non c’è nessuno che abbia reagito così bene. Anche l’altro, il primo che ha bevuto, sta andando bene – replicò Vadez.

    L’altro sorrise.

    – Che invidia. Io avevo vomitato per due ore.

    Poi Vadez diede una lieve gomitata al proprio compagno e gli indicò Victoria.

    – Ci sta ascoltando – mormorò. 

    Poi, senza alzare la voce, si rivolse direttamente a lei.

    – Vieni qui.

    Victoria si mise in piedi. 

    Bene, era molto meno instabile sulle gambe di quanto temesse. 

    – Una volta assimilato, il sangue d’angelo accelera i processi di guarigione e migliora i sensi – le disse Vadez, quando lei lo ebbe raggiunto.

    – Quindi posso entrare nelle Ali Nere? – chiese lei.

    – Direi di sì, tutti voi che siete rimasti avete le caratteristiche per diventare dei nostri. Credo, però, che sarò io ad addestra te. Un giorno potresti sostituirmi, portando le Grandi Ali, nel ruolo di comandante in campo delle Ali Nere. A proposito, come ti chiami, ragazzo?

    Victoria deglutì.

    Tanto, prima o poi, sarebbe uscito.

    – Victoria. A proposito, sono una ragazza.

    Con i sensi amplificato dal sangue d’angelo, Victoria udì distintamente il rumore del sigaro del generale Morozov che cadeva dalle sue labbra per finire a terra.

   
 
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