Disarmo
Draco era
seduto nel bagliore scuro del suo studio, con le tende di velluto pesante
chiuse strette alle finestre. Non era sicuro di dove si trovasse sua madre, ma non
sarebbe rimasto sorpreso nel trovarla chiusa nelle sue stanze. Ormai usciva di
rado e, quando lo faceva, lui non riusciva a sopportare il dolore che le cambiava
i lineamenti.
Prese un altro
sorso dalla bottiglia di Firewhiskey che teneva in mano. Ricordava un giorno in
cui aveva pensato che la sua vita sarebbe stata più facile se suo padre fosse
morto, quando era venuto faccia a faccia con la realtà del compito che gli era
stato assegnato dall’Oscuro Signore. All’epoca, aveva sognato di essere nato in
una famiglia diversa, una dove suo padre non era un Mangiamorte che aveva
fallito. In quel momento, la colpa di quei pensieri lo ricorreva, rodendogli l’anima.
Come se
stesse cercando di causarsi ancora più dolore, i suoi pensieri lo portarono ad
Hermione e mentalmente si ritrasse. Non importava quanto imbottita fosse la sua
mente, era conscio di quanto avesse incasinato le cose. Non la vedeva né sentiva
da quella lite per strada, quattro giorni prima. Sapeva che avrebbe dovuto rimediare,
andare a scusarsi, in ginocchio se necessario, ma il pensiero di quegli occhi
marroni arrabbiati che dardeggiavano nei suoi lo facevano scappare, piuttosto
che portarlo a risolvere il problema.
Alcune cose
non cambiano mai, pensò
amaramente. Era sempre stato bravo a scappare.
Il rumore
proveniente dalla connessione alla Metropolvere non riuscì a distoglierlo dai
propri pensieri. Ad ogni modo, lo fece invece la luce che irruppe all’improvviso,
facendogli strizzare gli occhi.
“Ma che..”
mormorò, appena venne scostata anche l’altra tenda, mentre gli anelli che la
sorreggevano sbatacchiavano tra loro.
“Sto intervenendo”,
disse il tono deciso di Pansy Parkinson.
Lui alzò lo
sguardo e riconobbe la sua impuntata amica che lo osservava, con Millicent poco
distante.
“Oh, andatevene!”,
mormorò. Non era dell’umore per sopportarla.
Un dito gli
comparve sotto il mento e gli fece alzare la testa dal petto. “Tutto questo è
ridicolo, Draco. Devi rimetterti in sesto”.
“Facile per
te a dirsi. Hai ancora un padre”.
“Sì, ma ho
perso mia madre, se ricordi, a dodici anni. Quindi, risparmiati l’autocompassione
per qualcun altro”.
In un impeto
di vergogna gli si colorarono le guance. Come aveva potuto dimenticarlo? Le aveva
passato un’infinità di fazzoletti, nella sala comune dei Serpeverde.
La bottiglia
di Firewhiskey gli venne sottratta di mano con la forza e rimpiazzata da un bicchiere
alto, pieno di liquido trasparente. Dubitava fosse un gin e tonic ed un piccolo
sorso confermò si trattasse di acqua. Si sciacquò la bocca, disgustato.
“Ridammi la
mia bottiglia!”. Intendeva dirlo come un ordine, ma invece che comandina la voce
gli uscì lieve e supplicante.
Patetico, pensò. Ecco a cosa mi sono ridotto: un
bimbo piagnucolone, che chiede pietà.
“No”, disse
vigorosamente Millicent. “Tornerai sobrio e tornerai nel mondo reale, a
supportare tua madre come hai promesso a tuo padre avresti fatto”.
Milli non menzionò
né Hermione né il bambino, ma Draco riusciva chiaramente a percepire la critica
nei suoi occhi e nel suo tono. Fece una smorfia. “Non esce da giorni dalle sue
stanze”.
“Oh,
davvero?”, chiese sarcastica Pansy. “Allora chi è che si è presentato a casa
mia per chiedere aiuto?”.
Il senso di
colpa si intensificò, andando a posarsi sulla bocca dello stomaco. “Ma..”,
iniziò a dire.
“Niente
scuse, Draco. Sei tu che non sei uscito. È stata Hermione a portare avanti la
baracca, qui. È stata lei a sedersi con Narcissa ed aiutarla a venire a patti
con la morte di Lucius”.
“Hermione è
stata qui?”, chiese tagliente.
Non era così
ubriaco da mancare di notare lo sguardo che si lanciarono le due donne.
“Sì, è stata
qui”, replicò Pansy in tono più sottomesso.
Draco si
prese la testa tra le mani. Era stato così fuori di sé da non rendersi nemmeno
conto che Hermione era stata in quella casa. E diverse volte, a sentir dire.
“Merlino, sono patetico”. Grugnì, quando si rese conto di averlo detto ad alta voce.
Una fialetta
gli venne messa nella mano libera e lui la bevve ancora prima di sentire cosa
fosse. La stanza girò più volte per qualche secondo, prima che la mente gli si
schiarisse e gli arrivasse all’improvviso un grande mal di testa. “Dannazione!”, imprecò.
“Draco!”,
protestò Millicent. “Almeno dovresti aspettare che ti dica cosa stai bevendo”.
“Millie, me
l’hai data tu. Dubito volessi avvelenarmi, hai avuto opportunità migliori di
questa”.
“Oh, non lo so”,
disse pensierosa lei. “Non essendo in te eri sicuramente un bersaglio invitante”.
“Smettila,
donna. Allungami quella pozione contro la sbornia che stai nascondendo da
qualche parte”.
Millicent
gli tese la fiala appena troppo distante perché la raggiungesse, forzandolo ad
alzarsi dalla sedia. Le gambe quasi gli cedettero per lo sforzo e dovette
allungarsi per metà scrivania, prima di riuscire a fregargliela. La bevve velocemente
e percepì il sollievo al mal di testa, nonché gli occhi smettere di bruciargli.
“È bello
averti di nuovo con noi, Draco”, disse Millie.
“Ok, allora
l’intervento è andato a buon fine. Cosa vuoi fare ora? E non provare nemmeno a
dirmi che non hai un piano”, disse lui.
“Dal tuo
odore, direi che una doccia è appena arrivata al secondo punto sulla lista”,
disse Pansy con un sorriso.
“Seriamente
Draco, quando ti sei cambiato l’ultima volta?”, chiese Millie, chiudendosi
teatralmente il naso.
Lui non
rispose, dato che non lo ricordava. L’ultimo ricordo coerente che aveva era
essere arrivato con la Metropolvere dopo il litigio con Hermione ed essersi
seduto alla scrivania, nel tentativo di dimenticare tuto.
“Dannate
donne”, mormorò sottovoce, mentre trascinava i piedi fuori dall’ufficio e si dirigeva
nella sua stanza.
Sentendosi
più umano dopo la doccia, dei vestititi puliti ed una tazza di tè, Draco tornò
nello studio. Nei quaranta minuti in cui era stato via, erano accadute diverse
cose. Le tende erano state aperte, facendo entrare nella stanza una luce calda
e gialla. Anche le finestre erano state aperte, per permettere al profumo delle
rose del giardino di sua madre di permeare l’aria. La scrivania ed il tavolino
da caffè di fronte al caminetto erano stati ripuliti dalle bottiglie vuote e
dai piatti incrostati. Ora sul tavolino giacevano prelibatezze dal profumo così
invitante che il suo stomaco si lamentò del trattamento riservatogli negli
ultimi giorni.
“Vieni e
mangia qualcosa, Draco”, disse Millicent.
Draco si avviò
verso la poltrona, posizionata di fronte al divano in cui sedevano Millie e
Pansy. Si sedette anche lui e prese un piatto vuoto, dando un’occhiata al
pranzo prima di servirsi dei muffin con sopra delle uova strapazzate.
Mentre mangiava
fecero silenzio, la sua mente focalizzata sul compito che stava portando a
termine. Riuscì a guardare le amiche solo dopo essersi pulito la bocca con un
fazzoletto ed essersi versato una tazza di caffè. Loro lo
stavano fissando, con identiche espressioni divertite.
“Cosa?”,
chiese sulla difensiva. “Avevo fame”.
“Lo vedo”,
replicò Pansy, sorseggiando piano il suo caffè. “Narcissa in effetti aveva detto
di non ricordare l’ultimo tuo pasto”.
Draco avrebbe
volute ribattere quanto solo per non darla loro vinta, ma si rese conto di non
riuscire a ricordarlo nemmeno lui. Vedeva solo immagini sfocate ed elfi domestici
che passavano. Non era nemmeno sicuro di quanto tempo era passato da quanto era
tornato a casa da quell’appuntamento all’ospedale, arrabbiato e deluso da se
stesso. Scorse la Gazzetta del Profeta in un angolo del tavolo e lo raccolse
velocemente. Secondo la data, erano passati ormai sei giorni. Non male come temeva,
ma avrebbe reso difficile scusarsi con Hermione.
“Hermione quindi
è stata qui”, commentò, cercando di suonare casuale, ma gli riuscì una domanda
ansiosa.
Sussultò
quando gli occhi di Pansy incontrarono i suoi, Pansy invece si addolcì. “Sì”, disse.
“L’hai vista?”, chiese lui.
Pansy scosse
la testa. Draco si voltò verso Millie, che ripetette il medesimo gesto. “Il
prossimo appuntamento è tra un altro paio di settimane”.
“Ottimo. Il
che significa che dovrò fare una bella chiacchierata con mia madre”.
Ma prima,
Draco doveva riprendersi fisicamente, così si riempì nuovamente il piatto.
Draco trovò Narcissa
un’ora dopo, nel suo salotto privato. Il ritratto di Lucius aveva preso il posto
d’onore, splendente sopra il caminetto.
“Allora sei
vivo?”, chiese Narcissa con un tono di disapprovazione mentre entrava. “Iniziavo
a chiedermi se avrei dovuto organizzare un secondo funerale in meno di un mese”.
Draco
sobbalzò a quel tono tagliente ed evitò deliberatamente di incrociare gli occhi
con quelli del ritratto di Lucius, che lo stava fissando come se fosse stato un
Kneazle.
“Mi dispiace
per la mia mancanza di autocontrollo, Madre”, disse formale.
Lei sospirò
e si voltò totalmente a guardarlo, mettendo giù il ricamo con cui si teneva occupata.
Si sentì in colpa, vedendo le occhiaie viola che le tingevano il viso e le
nuove linee di espressione in fronte, come se fosse rimasta accigliata per
giorni.
“Oh, Draco!”,
disse. “Sei uno stolto come tuo padre, a volte”.
Nonostante le
parole scoraggianti, gli sorrise affettuosa e gli fece gesto di sedersi sul
divano di fianco a lei. Lui vi ci sprofondò e Narcissa gli mise una mano sul ginocchio.
“Hai fatto un disastro, ragazzo mio”, disse piano.
“Lo so”.
“L’hai
ferita molto con le tue parole e le tue azioni”.
Non aveva
nemmeno bisogno di chiedere a chi sua madre si stesse riferendo. “Credi possa perdonarmi?”.
“Dipende”,
disse sua madre. “Sei pronto a lasciarla entrare?”.
“Cosa intendi?”, chiese Draco.
Lei sorrise tristemente. “Ricordi la nostra conversazione prima di questa situazione?”.
Draco annuì.
Sembrava passata un’eternità, mentre in realtà erano stati solo tre mesi prima.
“Ricordi quanto
avessi sperato che divorziassi da Astoria anni fa?”.
Lui fece una
smorfia. “Sì. Beh, hai esaudito quel desiderio”.
“Sì, e
questa casa ne è molto felice. Ho anche espresso il desiderio che ti
risposassi, felicemente questa volta”.
“Ed io ho
detto che non l’avrei fatto”, rispose Draco.
“Ti ho detto
che avresti trovato la donna giusta che ti avrebbe fatto cambiare idea. Ed è
successo Draco, l’hai trovata”.
“Se ricordo
bene, avevi cose tutt’altro che carine da dire riguardo ad Hermione”.
Narcissa
rise. “Hai ragione, è vero, e ciò significa che anche io posso sbagliarmi ogni
tanto”. Si protese verso di lui, prendendogli la mano. “È lei, Draco. La donna
che può, che ti ha reso felice. Quando abbiamo parlato, tu eri stressato ed
infelice. Sembravi anni più vecchio di quanto non fossi, ed ero preoccupata che
tutta l’ansia ti avrebbe portato precocemente alla tomba. Ma prima..” Narcissa
esitò ingarbugliata, prima di prendere un respiro profondo e continuare. “Prima
che tuo padre morisse, eri molto più felice e libero di come io ti abbia mai visto
prima della guerra. È stata lei, Draco”.
“Ed io ho rovinato
tutto. Con una stupida frase, ho rovinato tutto”.
“Sì, ma non
sei senza speranza. È arrabbiata e ferita, ma ci tiene, ragazzo mio”.
Draco si alzò
e fece qualche passo agitato per la stanza. “Non puoi saperlo mamma, non puoi”.
“No, non
posso, ma lo vedo. E l’ho visto ogni volta che è stata qui e lanciava sguardi
speranzosi alla porta del tuo studio quando ci passava davanti”.
“Probabilmente
pensava a tutte le possibili maledizioni da lanciarmi”, disse pessimista.
“Non dubito
che ne abbia pensate parecchie, ma comunque non ti ferirà”.
Per la prima
volta dalla morte di suo padre, la speranza infuse l’anima di Draco. Se fosse
riuscito a sistemare le cose, se Hermione avesse capito quanto gli dispiaceva per
quelle parole, ci sarebbe stata la possibilità di riconquistare la fiducia che
aveva perso in un unico momento di rabbia.
“Come
rimedio?”, chiese, incerto su come procedere. Non si era mai trovato prima in
quella posizione.
Si alzò
anche Narcissa e gli prese il viso tra le mani. “Devi essere onesto con lei, su
quanto significhi per te. Non c’è via d’uscita, Draco. Non avere paura di aprirti e
lasciare entrare qualcuno. Hai passato le ultime sei settimane a scappare dai sentimenti,
impaurito dal confrontarti con ciò che sapevi nel profondo, ma Hermione non
accetterà niente di meno da te. Ti chiederà onestà, e tu glie la darai. Glie lo
devi”.
Draco boccheggiò,
impaurito del rifiuto, tanto che per un momento tutto l’ottimismo scomparve. Ma
strinse la mascella ed annuì determinato. Era arrivato il momento di trovare il
coraggio.
Hermione
riusciva a sentire Ginny sfrazzare nelle credenze, diventando sempre più
irritata ad ogni sportello che apriva. Ci fu finalmente un ultimo botto ed un
suono di passi, mentre tornava in salone.
“Come fai a
non avere neanche una singola oliva in casa, Hermione?”, chiese sconsolata,
abbassandosi sul divano con la grazia scomposta di una donna che aveva passato
da qualche giorno il termine per il parto.
“Prima di
tutto, perchè l’odore mi faceva venire la nausea; secondo, perché solo vederle
mi faceva correre in bagno”.
“Ma è
successo settimane fa”, disse con lamento la sua amica rossa. “Se potessi avere
solo un’oliva, so che questo bambino finalmente mi accontenterebbe e verrebbe fuori”.
Hermione
sorrise. Le voglie di salato di Ginny mentre era incinta erano leggendarie e le
olive erano le sue preferite.
“Il bambino
arriverà, le olive no”, disse allegra Hermione.
“Sarà
meglio. L’ostetrica ha minacciato di indurmi il parto se non nascerà entro la
fine della prossima settimana”.
“Strano che
qualcuno non abbia ancora creato una pozione per rendere tutto più facile”,
disse Hermione.
Ginny rise. “Ci
sono delle cose per cui neanche la magia può aiutare. Strega o babbana, la biologia
della gravidanza rimane la stessa”.
Accarezzandosi
la panica, Hermione disse: “Grazie a Merlino! Se fosse sostanzialmente diversa
mia madre andrebbe nel panico. Almeno questa è un’esperienza che possiamo
condividere”.
Più la gravidanza
di Hermione avanzava, più i suoi genitori si eccitavano. Ormai la
disapprovazione per le sue azioni era passata, portata via dal pensiero che sarebbero
diventati nonni. Nonostante non si fossero ancora messi l’animo in pace riguardo
a Draco, Hermione sapeva che non avrebbero dimostrato il loro rancore verso il
padre del nipote.
Il pensiero
di Draco le fece tornare un dolore familiare al petto. Doveva ancora
presentarsi e scusarsi per quelle parole e, più ci metteva, più il divario
sembrava aumentare. Voleva avere un ruolo nella vita del bambino oppure aveva ormai
deciso di lavarsi le mani di entrambe?
“Smettila!”,
ordinò Ginny.
“Di fare cosa?”.
“Di
preoccuparti e pensare a lui. Se si comporterà come un gigantesco idiota non
merita né te né la bambina nella sua vita. E comunque, è lui che ci perde”.
Hermione non
era mai stata più grata al supporto di amicizie che si era creata, soprattutto
nell’ultima settimana. Harry ed i Weasley le si affaccendavano intorno, non permettendole
di cadere nei suoi miseri pensieri. Narcissa le aveva inviato diversi inviti a
pranzo, rifiutando un no come risposta e dichiarando che, nonostante suo figlio
fosse un idiota, non c’era nulla che potesse rendere lei indesiderata al Manor.
Era stata sorprendente, ma ben accetta.
Un rumore alla
connessione Metropolvere fece allertare Hermione e Ginny imprecò. Alzandosi dal
divano, Hermione si diresse nello studio in cui vi era il caminetto. Si fermò,
con il sangue che le correva al cervello, alla vista di chi si trovava di
fronte a lei.
Sembra più
magro, fu il suo
primo pensiero, seguito da un impeto di rabbia che la scosse.
“Che ci fai
qui?”, chiese di getto, lanciando uno sguardo glaciale al mazzo di fiori che
lui reggeva in modo precario in una mano.
“Sono venuto
a scusarmi”, replicò Draco, senza un vero tono di scuse, e le allungò i fiori.
“E quelli dovrebbero placarmi?”.
Draco sembrò
perso per un momento, quando lei si rifiutò di muoversi. “Beh, sì”.
Hermione
alzò un sopracciglio e si stupì nel vedergli un leggero colore sulle guance. Lui
si voltò, appoggiando il mazzo sulla scrivania. “Io ehm… io non stavo bene”,
disse tornando a fronteggiarla, con le mani lungo i fianchi.
“E ti ci
sono voluti sei giorni per capirlo”.
“No, l’ho
capito appena ho detto quelle cose”.
“E quindi? Hai
deciso di aspettare sei giorni prima di venire a dirmelo?”, chiese lei, ormai perdendo
le staffe.
“Hermione?”,
urlò Ginny dal soggiorno. “Chi è? Va tutto bene?”.
“È Malfoy e
se ne sta andando”, urlò di rimando Hermione.
“No, non me
ne vado!”, urlò Draco.
“Sì invece!”,
soffiò Hermione.
“Hai bisogno
che venga lì?”, chiese Ginny, chiaramente preoccupata.
“No, va tutto
bene. Posso gestire Malfoy”.
“Lancia un
urlo se ti serve. La gravidanza amplifica le mie fatture orcovolanti”,
schiamazzò maliziosa Ginny.
“Ha ragione,
sai”, disse Hermione. “I suoi fratelli sarebbero felici di testimoniarlo e se
non te ne sarai andato entro il mio tre le permetterò di usarla su di te”.
“Per favore,
Hermione, ascoltami”, disse Draco.
“E perché dovrei?”
“Perchè
voglio sistemare le cose, per il bene della nostra bambina”.
“Oh, è
diventata di nuovo nostra adesso?”.
Draco sospirò
e si passò agitato una mano tra i capelli. “Ascolta, non sono bravo in queste
cose. Non lo sono mai stato ma so che, se voglio ricostruire quella fiducia che
avevamo priva, devo scusarmi”.
“Quindi ti
scusi solo per renderti più facili le cose, invece perché dovresti?”, chiese
Hermione, intensamente irritata dalle sue parole senza tatto.
“No! Non è
ciò che intendevo”, disse frustrato Draco. “Davvero faccio schifo in queste
cose Hermione. Tu credi che con il mio passato dovrei avere qualche esperienza
ma davvero non ne ho, quindi sto facendo un casino ma per favore ascoltami”.
Hermione si
ammorbidì, alla luce di quell’onestà. Incrociò le braccia, poco incline a
dimostrarsi più dolce e soprattutto sapendo che, se lo avesse perdonato subito,
lui non le avrebbe permesso di entrare. “Vai avanti,
sto ascoltando”.
Lui si fece
qualche passo più vicino, come per appoggiarle le mani sulle spalle ma poi ci
ripensò e le rimise giù. “Ho fatto un casino, non solo per ciò che ho detto dopo
l’ecografia ma anche nel tenerti lontana. È che non sono mai stato bravo a lasciare
avvicinare qualcuno”, disse prima di ridere amaramente. “L’ultima persona con
cui mi sono lasciato andare è Astoria ed ha visto com’è andata”.
“Non sono Astoria,
Draco. Pensavo l’avessi capito”.
“L’ho fatto.
È solo che…”, esitò per un momento, cercando di riguadagnare un po’ di
compostezza prima di fare un respiro profondo e parlare di nuovo. “Va contro il
mio istinto, ok? Non sono bravo a lasciar entrare le person, nemmeno Pansy. Poi
è successo lo scambio al laboratorio ed all’improvviso io e te eravamo legati. In
qualche modo, nonostante le ostilità, siamo riusciti a smetterla con i litigi
ed i sospetti. Per la barba di Merlino, abbiamo persino sopportato Astoria e la
sua bravata e, all’improvviso, tu non sei più solo una spina nel fianco che
porta a spasso mio figlio ma un’amica, che è riuscita a farsi strada nel mio mondo.
Mia madre ti adora e mio padre, persino lui, ha cantato le tue lodi prima di,
beh lo sai..”. Si interruppe di nuovo, prendendo un altro respiro profondo. “Ma
sei diventata importante per me, non solo perchè port mio figlio ma perché sei
tu. Poi mio padre è morto, ed è diventato tutto troppo. Non sono preparato per
tutte queste emozioni. Non sono mai stato bravo a sbrogliarle”.
Draco si
zittì ed Hermione vide le mani che gli tremavano. Le sorrise, prima di
guardarsi i piedi e lei percepì l’affetto che aveva provato per lui in quelle
settimane tornare a galla. Forse non era una causa persa.
Draco alzò
nuovamente la testa, incontrando gli occhi di lei con un’intensità che la fece
rabbrividire. “Sono sopravvissuto gli ultimi dieci anni controllando le mie emozioni
e non permettendo alle delusioni di intaccarmi. Ma tu hai distrutto i miei
muri, Hermione, e non ero preparato. Ho cercato di ricostruirli per riprendere
il controllo, ma ti ho solo fatto soffrire ed ho sofferto io”.
Prendendo un
altro respiro profondo e stringendosi nelle spalle, Draco le si avvicinò e le
accarezzò leggero una guancia. “Sai cos’ho fatto negli ultimi
sei giorni?”.
Hermione
annuì muta, incapace di dare voce ad una risposta a causa dei battiti
accelerati del suo cuore.
“Ho bevuto
fino a star male, nella speranza di poter seppellire questi sentimenti che mi hai
estorto. Ho giurato che una volta divorziato da Astoria avrei chiuso con le
donne, ma non avevo ancora incontrato una strega così testarda, intensa e
meravigliosa da farmi cambiare idea”.
“Intendi me?”,
chiese insicura lei, nel disperato tentativo di ottenere una risposta.
Draco rise scosso.
“Sì, intendo te. E non volevo che mi piacessi, tantomeno volevo innamorarmi di
te quando tutto questo è iniziato”.
“Mi ami?”.
Esitò prima
di annuire, quasi stesse per decidere se mettere a nudo tutte le sue emozioni. “Per
favore, dimmi che non ho sprecato qualsiasi opportunità avrei potuto avere con
te”.
Hermione invece
era contenta l’avesse fatto, non avrebbe accettato niente di meno che il tutto.
“Oh, Draco”, disse con calore, prendendogli la mano e stringendola gentilmente.
“Hai quasi rovinato tutto”.
“Per favore,
dimmi che mi darai un’altra occasione”.
“Solo se mi
prometti di continuare ad essere onesto con me”.
Draco rise. “Non posso prometterlo,
ma ci proverò. Non mi riesce facile”.
“È tutto ciò
che chiedo”, disse Hermione, prima di avvicinare il viso al suo. Le sfuggì un
singhiozzo, mentre le loro labbra si incontravano. “Stupidi ormoni”.
Draco si
ritrasse e le catturò una lacrima con il dito. “Speravo fosse in circolo qualche
altro tipo di ormone della gravidanza”.
Lei rise, felice
che di quell’attimo un po’ stupido dopo quella conversazione così intensa. “I
miei ormoni devono ancora decider se baci bene, prima di andare in quella direzione”.
“Odierei
doverli far aspettare”, mormorò Draco, prima di premere nuovamente le labbra
sulle sue.
Hermione
ormai aveva le labbra gonfie, quando una chiamata d’aiuto giunse dal salotto. “Ehm..
odio interrompere qualsiasi cosa stia succedendo lì dentro, e per favore ditemi
che vi state solo baciando, ma credo che le mie acque si siano rotte!”.
Hermione
sorrise contenta, si asciugò le lacrime e le urlò dietro. “Meno male che ti sei portata il borsone!”.
Spingendo
Draco verso la Metropolvere, Hermione disse: “Rintraccia Harry. Ci vediamo all’ospedale”.