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Autore: NPC_Stories    08/10/2020    2 recensioni
L'anno scorso ho fatto l'inktober con Erika, quest'anno lei ha trovato questo fantastico promptober chiaramente a tema drow.
Non so se riuscirò a scrivere tutti i giorni, probabilmente saranno storie brevissime, non so se ci saranno dei disegni, ma so che i prompt sono troppo belli e cercherò di tirarne fuori qualcosa, probabilmente missing moments di altre mie storie.
Genere: Dark, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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8. Festivity


1335 DR, nei pressi di Secomber

I canti e le risate che accompagnavano sempre la festa di Pratoverde risuonavano nell’aria da tutto il giorno. Era una ricorrenza molto sentita dalle comunità contadine; quasi tutti gli agricoltori del Faerûn occidentale veneravano Chauntea, la dea della natura, della vita, della fertilità della terra. E non solo della terra…
Uno dei piacevoli effetti secondari di essere devoti a Chauntea era la moralità un po’ lasca quando si trattava di accoppiamenti. Certo, il matrimonio esisteva quasi in ogni società del Faerûn, e in verità molte persone si sarebbero definite monogame senza battere ciglio… ma era comunque confortante sapere che la tua dea non ti giudicava male dovesse capitare che.
In particolare alla festa di Pratoverde. C’era un momento, un giorno all’anno, in cui la gente aveva bisogno di lasciarsi andare agli eccessi, divertirsi, celebrare la generosità della natura. Gli elfi vivevano quel momento a Mezzestate, i contadini umani a Pratoverde, in primavera. Di giorno le comunità in festa potevano ricordare delle normali sagre di paese, con giusto qualche riferimento poco esplicito alla fertilità, ma quando calava il tramonto e i bambini andavano a dormire la musica assumeva altri ritmi, altre armonie. Grandi falò punteggiavano l’aria buia e fresca della notte, nella semioscurità le persone si cercavano e si trovavano, nella danza, nella frenesia dell’amore. Non sempre gli amanti clandestini di Pratoverde si coricavano fra i cespugli con le stesse persone con cui avrebbero dovuto svegliarsi la mattina dopo. Se nove mesi dopo nascevano dei bambini, erano considerati fortunati e nessuno si faceva domande sulla loro paternità: erano una benedizione di Chauntea.
Un altro tratto caratteristico della festa era che nessuno veniva mai allontanato, a meno che non si trattasse di un mostro o di una persona con evidenti cattive intenzioni. Il senso della festa di Pratoverde era celebrare la gioia di essere vivi, pregare perché la dea imprimesse una nuova spinta alla ruota della vita, ma anche ricordarsi che tutte le creature naturali erano figlie della terra ed erano ugualmente benvolute dalla dea.

Una di quelle creature naturali stava muovendo i suoi passi verso la gioiosa confusione di una locanda in festa. Sia il cortile interno alle mura che il prato in dolce declivio antistante la locanda erano affollati di gente, soprattutto umani vestiti di colori smorti ma con volti rubizzi e felici.
Dùghall pizzicò le corde del suo violino, che fremettero sotto il suo tocco come lui fremeva d’impazienza. Il viaggiatore si considerava un vero esperto di feste, anzi, pensava di essere l’anima di qualunque festa, che non poteva essere la stessa senza di lui. Con il suo potere soprannaturale sapeva convincere le persone a danzare in estasi per ore, trascinando anche un intero villaggio in bagordi senza fine. Però gli piaceva di più quando gli umani erano già nell’ottica di festeggiare. Riuscivano a divertirsi senza che i loro pensieri venissero sporcati dal senso di colpa inconscio, la loro danza ne risultava più libera. Quando raggiunse i primi capannelli di gente, qualcuno gli rivolse un saluto alticcio e allegro, ma molti lo ignorarono, continuando a ballare o a intrattenersi a vicenda.

Dùghall non era una persona cattiva, il problema è che tecnicamente non era una persona. Era un danzatore del crepuscolo, una fata che con gli esseri umani aveva solo una somiglianza superficiale. Alto e sottile, con la pelle scura e setosi capelli neri, poteva quasi sembrare una persona normale. Erano gli occhi a tradirlo: completamente neri, senza iride né sclera, eppure non avevano nulla di spaventoso perché brillavano di entusiasmo e gioia, riflettendo ogni colore come specchi. A prima vista poteva sembrare che un lucore arcobaleno aleggiasse sempre intorno a quegli occhi.
Se il suo aspetto esotico non fosse bastato, appena Dùghall apriva bocca nessuno poteva più dubitare che fosse…
“Ma siete matto?” sbottò un contadino, che Dùghall aveva interrotto proprio mentre sbaciucchiava una ragazza. “Vi pare che possa essere mia figlia? Mi avete preso per un pervertito?”
Dùghall capì che aveva insultato l’umano in qualche modo, ma non capiva come. Non conosceva il concetto di incesto, ma intuì di aver appena sfondato un tabù culturale. Sorrise, intrigato. Gli umani e la loro cultura erano così interessanti. Uno come lui, un danzatore del crepuscolo, era attratto per sua natura dalle organizzazioni sociali strutturate: città, villaggi, clan, famiglie, tutto ciò che riguardava una collettività normata da leggi scritte o implicite. Le fate avevano regole molto più lasche, quindi per Dùghall era tutto una novità.
Si scusò con il contadino, ma ormai quello non lo stava più ascoltando, molto più interessato alla giovane donna che aveva fra le braccia.
Dùghall si mosse verso la locanda dove sembrava essersi radunata la maggior parte della gente. Tremava dalla voglia di suonare il suo violino, per unire la sua musica a quella suonata dagli umani sempre più ubriachi. Avrebbe trasformato quella festicciola di paese in un turbine di estasi che sarebbe stato ricordato per decenni.
Arrivato ormai in prossimità del grande cortile esterno della locanda sollevò l'archetto e lo mise in posizione sulle corde tese del violino, strappando un suono sommesso anche solo con quella carezza leggera. D'improvviso, senza alcun passaggio graduale, cominciò a far scorrere l'archetto avanti e indietro. I suoi movimenti potevano sembrare frenetici ma in realtà erano precisi, la sua passione era un fuoco controllato. L'archetto sfregava con forza le corde ad altezze diverse mentre le sue dita danzavano su quella parte del manico opportunamente chiamata tastiera. Il modo in cui tormentava lo strumento non aveva nulla a che fare con l'idea elegante del suonatore che sfiora le corde, Dùghall strappava melodie dal suo strumento con l'energia e l'abbandono di chi cerca un amplesso. La sua musica sembrava riflettere quell'irruenza: trascinante come la corrente di un fiume, coinvolgente, andava a far risuonare certe corde anche nell'animo umano. Intorno a lui tutti cominciarono a muoversi a ritmo, poi a danzare come usavano fare di solito, ma con sempre maggiore frenesia… e dopo pochi minuti il ballo si era trasformato in uno scatenato vortice di salti e piroette e abbracci, le persone si strattonavano e si sostenevano a vicenda come se fosse impensabile e blasfemo permettere a qualcuno di fermarsi. Il divertimento e la gioia sembravano emanare da ogni persona ed entrare in risonanza con le emozioni degli altri, trasformando l'intera zona della festa in una gigantesca bolla di frenesia e ilarità. Alcune persone scoppiavano a ridere senza motivo, altre prendevano sottobraccio perfino gente con cui avevano malumori vecchi di decenni e insieme si lanciavano in una danza scatenata. Dùghall si stava lasciando contagiare dal clima di gioia che lui stesso aveva portato all'eccesso; la felicità delle persone intorno a lui lo rendeva veramente felice, e non solo perché fosse fiero di un lavoro ben fatto. Gli piaceva portare allegria, lo faceva sentire parte di quella società che non comprendeva davvero.
Le persone vorticavano intorno a lui e il danzatore del crepuscolo ballava con loro, non poteva smettere di suonare ma le sue gambe imitavano i passi di danza che aveva appena visto fare agli umani, non poteva liberarsi le mani per prendere qualcuno fra le braccia ma spesso intrecciava lo sguardo con quello di qualche ragazza o di qualche giovanotto e per alcuni momenti ballavano uno di fronte all'altro come se fosse un'antica danza di corteggiamento. Poi quei momenti passavano e la gente intorno a lui tornava ad essere un'unica entità, caotica e multiforme.
Finché non vide lei.
L'unica persona che sembrava veramente stonare in mezzo a quei contadini. Non erano davvero tutti umani, c'erano anche alcuni piccoletti - halfling, Dùghall li aveva sentiti chiamare in quel modo - ma lei era diversa da tutti: più esile dei contadini ma non tanto eterea quanto una fata, magra ma non androgina come certe elfe che aveva visto, i capelli bianchi come la neve che però non sembravano accompagnarsi alla vecchiaia, e per finire la pelle perfettamente nera, perfino più scura di quella di Dùghall. Il danzatore del crepuscolo non aveva mai conosciuto nessuno con un aspetto più esotico di lui, a parte alcuni altri membri del popolo fatato. Di sicuro nessuno in mezzo agli umani.
La donna stava ballando con la stessa foga e lo stesso abbandono degli altri, ma quando per caso se la trovò davanti lei riuscì a trovare il tempo per rallentare i suoi movimenti e fargli l'occhiolino. Fu solo per un istante, poi sparì tra la folla, ma quel gesto voleva dire molto: Dùghall comprese che lei non era schiava del suo incantesimo come gli altri. La donna avrebbe potuto fermarsi in ogni momento, solo che non voleva farlo. Anzi, dal sorriso complice che gli aveva rivolto sembrava quasi che lo stesse ringraziando per la sua musica e per la brusca accelerata che aveva dato alla festa. Un pensiero attraversò la mente del bardo come una folata di vento, senza controllo: lei gli stava consentendo di coinvolgere gli umani nel suo incantesimo. Lei aveva capito che lui non voleva fare niente di male, che poteva far parte dello spirito della festa.
Dùghall per un momento quasi perse il ritmo della sua musica e il violino vibrò come un carro senza controllo, come se stesse protestando per quel calo di attenzione. Recuperò subito la melodia, con la scioltezza di un suonatore provetto, ma adesso non era più coinvolto come prima dalla festa e dalla folla. Riusciva solo a pensare che voleva ritrovare quella ragazza prima che sorgesse l'alba, e onorare la dea della vita insieme a lei.



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Nota orientativa: considerando che Ruprecht si svolge otto anni più tardi e lì viene detto che Luel ha sette anni, è facile capire chi possa essere questo tizio.
   
 
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