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Autore: Saeko_san    08/10/2020    0 recensioni
Ogni scrittore, amatoriale o professionista che sia, nella sua carriera ha incontrato sempre un grande ostacolo davanti a sé, chi prima, chi dopo: quello di ideare una storia, costruirla, a volte scriverne interi capitoli, per poi perderne l'interesse, a volte lasciandola sola e abbandonata a se stessa, senza più essere in grado di concluderla.
Per quel che mi riguarda, ne ho diverse di storie di questo genere e, datosi che non sono mai riuscita a trovar loro una conclusione o uno sviluppo appropriati, ho deciso di raccoglierle tutte insieme e comunicare la mia frustrazione (data dalla mia incapacità di concluderle) al mondo.
| stories first written between 2008 and 2011 |
Genere: Avventura, Fantasy, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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6. Parte 2 – Long:
Cronache di anime e congreghe, capitolo 5:
Quando erano insieme
 
 
La luna si era levata alta nel cielo, quella sera, era grande e piena, luminosa e affascinante; Kilik la osservava dall’alto della sua finestra posta nella Torre Est del palazzo di Arvar. Sentì bussare alla porta di mogano che separava la sua piccola stanza arroccata sulla punta della torre dal resto del mondo.
 
-Avanti- disse, senza staccare gli occhi dalla luna.
 
Aveva già avvertito la sua presenza al di là della porta.
 
***
 
Necessitava di conforto, aveva perciò deciso di recarsi da Kilik: il suo maestro era certamente l’unico in grado di tirarla su di morale e di confortarla, in quel momento. Aveva visto il Danchi Immortale tornare, solo e ferito al petto, a palazzo; aveva riconosciuto subito quella ferita, poiché poteva essere stata inferta solamente da una persona, ovvero sua sorella Rora. Conosceva bene l’inclinazione che sua sorella aveva quando brandiva le sue spade e soprattutto quale tipo di ferite tendesse a lasciare; aveva perciò deciso di avvertire subito il vecchio saggio.
Tuttavia, una volta arrivata alla Torre Est del palazzo, davanti alla porta delle stanze di Kilik, si era fermata. Il suo maestro era solito lasciare sempre uno specchio appeso sulla porta della sua stanza; le aveva spiegato che era per ricordare a chiunque entrasse in camera sua di tenere bene a mente chi fosse realmente e dove fosse il proprio vero io. Perciò, una volta giunta davanti a quello specchio, Noa era sobbalzata.
Le era parso di scorgere Rora, invece che se stessa, nonostante fosse bene a conoscenza della presenza dello specchio. Anche se il suo volto era identico a quello della sorella, che aveva la forma del viso, delle labbra, degli occhi, del naso uguale alla sua, i capelli di Noa erano mossi, al contrario di quelli di Rora, che li aveva lisci; anche se erano dello stesso colore nero corvino, le ciocche colorate erano diverse dato che, se quella di Rora era rosa, la sua era viola.
Inoltre gli occhi di Noa erano di un blu scuro, tanto da sembrare zaffiri. Mentre quelli di Rora erano verde chiaro, ricordavano tanto la pietra di giada.
 
Sorella mia, pensò, sfiorando appena la sua immagine riflessa nello specchio.
 
Inspirò profondamente e poi bussò. Una voce bassa e scura le rispose dicendo:
 
-Avanti-.
 
Noa girò il pomello in bronzo, aprì la porta lignea ed entrò. Il vecchio saggio era affacciato all’unica finestra della stanza e guardava fuori, facendo vagare i suoi occhi guizzanti sulle stelle e soffermandosi spesso su un punto. Sapeva che stava fissando la luna che risplendeva nel cielo notturno, dato che tendeva a farlo tutte le sere che poteva; se la sera la luna non c’era faceva vagare lo sguardo sul bosco intorno ad Arvar. Kilik staccò la sguardo dal satellite e fissò i suoi occhi bianchi in quelli di Noa.
 
-So cosa è successo- disse semplicemente.
 
La guerriera abbassò lo sguardo; avrebbe dovuto immaginarselo. Kilik aveva tanti poteri magici, soprattutto quello della percezione, caratteristica alquanto rara tra i maghi umani, e forse aveva avvertito l’arrivo della presenza del danchi.
 
-Noa, devi stare in guardia. Quando il tuo animo è in subbuglio, la tua mente è quasi del tutto leggibile- la riprese il maestro.
-Chiedo scusa-.
 
Una lacrima cadde silenziosa sulla sua guancia; senza nemmeno prevederlo, dopo un leggero fruscio, la folta barba argentea del saggio la sfiorò, mentre due braccia invecchiate dal tempo ma ancora forti come quelle di un ragazzo l’avvolgevano.
 
-Cosa ti affligge?- chiese Kilik.
 
Ho paura che, nel tentativo di ferire il danchi, Rora sia morta.
 
-Questo non può essere possibile. Rora è viva e non era sola-.
 
Davvero?
 
Una punta di sollievo le corse lungo la schiena, mentre alzava lo sguardo speranzoso verso Kilik. La sera prima, quando la sorella era fuggita ed era stata inseguita da Pep, la guardia della sua cella, una grandissima luce aveva avvolto la zona dove si trovava, dopo la quale Kilik non era più riuscito ad avvertire la presenza dei pensieri di Rora.
 
-Sì. I suoi pensieri si sono risvegliati questa mattina- disse.
 
E lei non mi ha detto nulla?
 
Capitava spesso che Noa, travolta dalle emozioni non riuscisse a spiccicare una sola parola e parlasse con Kilik attraverso la mente. Ma questa volta l’aveva fatto apposta, perché si sentiva irritata. Kilik aveva taciuto su una cosa così importante che era stata la causa della sua ansia per tutta la giornata.
 
-Tu non mi hai chiesto nulla- la rimbeccò lui –Sei rimasta in silenzio tutto il tempo. Neanche i tuoi pensieri parlavano, sembravi in trance. Iniziavo a preoccuparmi-.
 
Noa si rabbuiò.
 
-Scusa- disse.
-Che fine ha fatto lo “Scusi, Maestro”?- chiese lui, quasi ridendo.
 
Noa arrossì e non rispose, scuotendo la testa. Kilik era come un padre per lei, ma dargli del lei le ricordava che aveva ancora un padre che era rimasto con lei e sua sorella fino a che non aveva compiuto sei anni e sua madre Aelithia lo aveva allontanato da Arvar.
Ogni volta che pensava al padre lontano da lei, provava odio profondo per Aelithia. La maga non aveva mai dato un segno di voler bene alle sue due figlie, ma un abbraccio, ma una carezza o una parola gentile. Noa sapeva che era perché non avevano poteri magici.
 
-Penso che t’interesserà sapere che Rora si è risvegliata, ma i suoi pensieri sono molto confusi-.
-In che senso?- chiese Noa, interrompendo le sue riflessioni.
-Nel senso che, una volta sveglia, non ricordava più chi era. Ha già incontrato Trashiraa e insieme hanno ferito il danchi-.
-Ma così adesso l’Immortale ha riferito ad Aelithia che Trashiraa era coinvolta nella Congrega Bianca insieme a Rora-.
-Sì, è vero. Ma noi potremo mantenerci tranquillamente nell’anonimato dicendo semplicemente che non eravamo al corrente della combutta di tua sorella e della fata, schermando al meglio le nostre menti-.
 
Noa ormai si era staccata dall’abbraccio paterno di Kilik e si era affacciata alla finestra assieme a lui. Non si sentiva per nulla tranquilla.
 
-Ma non era questo che volevo dirti-.
-E cosa volevi dirmi?-.
-Che incontrando Trashiraa, Rora ha rimembrato chi è e chi sono io. Ma si è dimenticata di avere un padre, una sorella e quale sia il Gran Segreto-.
-Che cosa?!-.
 
La faccia di Noa non poteva essere più sorpresa.
 
-Molto probabilmente, ieri sera, Pep è stato molto vicino al catturarla. Allora la sua mente si è difesa e ha nascosto i suoi ricordi. Però li ha nascosti anche al suo subconscio e ora non riesce più a ritrovarli. La luce di ieri dev’essere stata una reazione alla sua disperata volontà di nascondere la verità agli altri-.
-E ora che succederà?-.
-Lei e Trashiraa sono già in viaggio. Stanno andando a reclutare i guardiani degli elementi. Il piano per la porta dell’Oblio continua come se nulla fosse accaduto-.
-Ma…-.
-Niente “ma”, Noa-.
 
Ma è pericoloso. Rora non ha mai lasciato Arvar.
 
-Lo so. Ma è con Trashiraa. È più al sicuro con lei al di fuori del territorio arvariano-.
 
Questa volta Noa non aveva alcuna intenzione di comunicare i suoi pensieri, ma quelle poche parole di conforto la calmarono, almeno in parte.
 
-Sì, maestro Kilik, ha ragione-.
 
***
 
Nelle celle nord di Arvar, Mewio scortò un prigioniero altolocato, che nessuno avrebbe mai potuto immaginare che sarebbe finito in catene. Il Conte Stadt era stato imprigionato perché si credeva che fosse un collegamento importante con la principessa Rora e la sua maestra Trashiraa; probabilmente si pensava anche che il conte avesse avuto un ruolo decisivo nella creazione della Congrega Bianca.
La regina Aelithia lo aveva dichiarato colpevole dopo che, quella mattina, era arrivato a palazzo un danchi ferito. Gli occhi azzurro cielo del conte era tranquilli e sereni per uno che era appena tornato da un interrogatorio silenzioso, condotto dalla stessa regina della Congrega.
Aveva la barba rada, di chi si era rasato da poco, e rossa, come i suoi capelli. Nel palazzo era conosciuto come Conte Rosso, ma da molti era chiamato anche “Carotino” – non in sua presenza ovviamente; nonostante il nomignolo infatti, Stadt aveva il cipiglio di un uomo al quale portare rispetto, poiché egli era stato il primo, cento anni dopo Kilik, a passare dal Bene al Male della Congrega Nera.
Mewio si chiese come un uomo potesse passare dalla parte del Bene a quella del Male senza subire cambiamento alcuno. Lui era arrivato al castello trecento anni prima, e aveva anche assistito alla nascita delle gemelle di Aelithia; il guardiano dell’entrata sud del castello gli aveva raccontato che il Conte Stadt aveva sempre avuto quel carattere solare e tranquillo che aveva persino nel momento in cui veniva recluso.
 
-Conte Stadt, siamo arrivati- disse Mewio, aprendo la cella e spostandosi per far passare il Conte.
 
Benché fosse un detenuto, il giovane carceriere sentiva di dovergli portare rispetto. Il Conte Stadt gli sorrise gioviale ed entrò nella cella, come se stesse andando ad una festa.
Mewio pensò di non aver mai incontrato un tipo altrettanto strano.
 
***
 
Aelithia smise di leggere il libro di magia nera che aveva in grembo, portandosi un’unghia alla bocca, nel tentativo di spezzarla dal nervosismo. Pensò alle due figlie. Una fuggita, con l’accusa di far parte di una Congrega di opposizione alla sua; l’altra che probabilmente era nella stessa situazione, ma già prigioniera nel castello. La regina non riusciva provare compassione né per l’una né per l’altra: Noa e Rora erano come delle estranee per lei. Ricordava di averle accudite amorevolmente, fino a quando non aveva scoperto che non possedevano poteri magici, fatto per lei equivalente ad un affronto di proporzioni cosmiche.
Ora era più tranquilla: Aelithia era consapevole, infatti, che quelle due gemelle insieme – per quanto prive di poteri – avrebbero potuto causarle più guai di dieci persone con il cervello e i poteri di Kilik messi insieme; non si fidava della progenie dell’unico uomo che era stato in grado di sedurla. Se invece fossero state divise, come infine era accaduto, sarebbero entrate in crisi e si sarebbero indebolite.
 
Non desidero di più al mondo. Non voglio che ciò per cui ho lavorato per tutta la vita subisca una rovinosa caduta a causa di quelle due mocciose, pensò.
 
Esatto, non riusciva proprio ad amarle, soprattutto in quel momento; e meno che mai ci sarebbe riuscita se si fossero trovate insieme – c’era un motivo per cui anche i loro due maestri erano assolutamente diversi e si odiavano tra loro.
Posò il libro sullo scaffale della sua immensa libreria. Nessuno, tranne il padre di Noa e Rora, aveva mai visto i suoi libri.
Ricordò con amarezza l’infatuazione che aveva intensamente provato per quell’uomo privo di poteri magici e votato al Bene.






























Note di Saeko:
ci ho messo giorni per revisionare questo capitolo; avrei dovuto pubblicarlo domenica, lo so, ma ho per un attimo avuto una vita persino io, perciò non sono riuscita a revisionarlo per quel giorno. Tuttavia questa settimana ho avuto più tempo e penso di riuscire per sabato o domenica a pubblicare anche il prossimo, dunque stay tuned!
Spero che abbia un senso e che stia piacendo, se dovessero esserci errori, non esitate a farmelo sapere.
Un ringraziamento a Elkie12 per avermi inserita tra gli autori preferiti.
Mi eclisso.

Saeko's out!
  
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