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Autore: Luinloth    10/10/2020    7 recensioni
Gli angeli sono scesi sulla terra e hanno soverchiato l’umanità, regredendola ad uno stato quasi medievale. Gli umani lavorano come schiavi alla costruzione di una torre, di diverse torri sparse intorno al globo, ma nessuno sa cosa succederà una volta che il loro lavoro sarà concluso. John Winchester è a capo di una delle cellule della Resistenza e Dean nei confronti degli angeli non ha mai provato altro che odio, per ciò che hanno fatto alla sua famiglia, per ciò che hanno fatto a Sam. Finché, un giorno, Castiel non viene assegnato al suo cantiere e tutte le certezze che aveva iniziano a sgretolarsi. Ma come gli ripete spesso suo padre, un umano non dovrebbe mai fidarsi di un angelo.
80% AU, 20% what if (vi assicuro che non è così complicato come sembra)
Dal testo:
«Perché?» […]
«Perché ho sempre creduto che non mi importasse» […] «Ma mi sbagliavo»
Genere: Angst, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Disclaimer: storia scritta senza scopo di lucro, nessuno dei personaggi mi appartiene






25. Nero




6 giugno 2009

Nel minuto successivo, ci fu solo la sirena.

Dean si avvinghiò al corrimano metallico dell’ultima rampa di scale un attimo prima che un gruppetto di uomini armati lo travolgesse, facendolo incespicare sui gradini.

Le luci biancastre dei tubi al neon sfarfallavano e si spegnevano, a intervalli sempre più ravvicinati, e se non fosse stato per i segnali d’emergenza attaccati alle pareti lui non sarebbe riuscito nemmeno a vedersi i piedi.

Sam era già corso via, in direzione della loro stanza, di Jack, e della biblioteca del bunker, che custodiva informazioni, mappe e traduzioni troppo importanti per rischiare che venissero distrutte.

O, peggio, che finissero nelle mani di Michael.

Le vibrazioni più intense provenivano dal lato ovest del terzo livello.

Dean non sapeva fin dove Raphael avesse seguito Gabriel, né dove l’Arcangelo fosse solito incontrarsi con gli Occulti.

Evidentemente gli angeli avevano già una buona quantità di sospetti in merito alla posizione esatta del loro nascondiglio — d’altronde, era stato Castiel a indicare loro la direzione da prendere, dopo averli fatti uscire dall’Empire State Building — perché erano bastati quel paio di elementi in più per ritrovarseli direttamente alla porta.

Se le previsioni di Anna si fossero rivelate veritiere — e Dean sperava con tutto il cuore che lo sarebbero state — i sigilli del terzo livello avrebbero ceduto per primi e gli angeli avrebbero fatto irruzione da lì, mentre l’evacuazione sarebbe avvenuta dal primo livello, al momento il più protetto.

Lui non aveva la minima idea di come la donna sarebbe riuscita a mettere in salvo tutti, e soltanto all’idea di doversi infilare nell’ennesimo condotto sotterraneo i ricordi della sua fuga dal cantiere in Colorado, attraverso il vecchio acquedotto, gli inviavano scariche di brividi giù per la spina dorsale.

L’unica cosa certa era che, per farlo, Anna avrebbe avuto bisogno di tempo.

Quanto, non era dato saperlo, ma gli ordini di Charlie gli rimbombavano nelle orecchie con la stessa urgenza stridula dell’allarme che scuoteva le pareti di cemento armato.

Tutto il tempo che sarebbero riusciti a guadagnare.

Le rune anti-angelo brillavano come lingue di fuoco sulle pareti.

A ogni scossone del pavimento il riverbero che producevano aumentava d’intensità e la vernice con cui erano state dipinte si assottigliava.

«Sei dei nostri, Winchester?»

Rufus imbracciava un mitra con una scioltezza che Dean non avrebbe saputo descrivere se non come terrificante, e portava arrotolato alla vita uno scintillante caricatore a nastro.

Annuì.

«Bene. Allora mettiti in seconda linea e vedi di non farti ammazzare e… Winchester» l’uomo lo trattenne, stringendogli una spalla «Se invece dovessero catturarti vivo…»

Corte. Naomi.

Novantesimo piano.

Rufus non ebbe neanche bisogno di specificarlo.

Una parte di Dean — la più miserabile — rise, all’idea che lo spararsi un proiettile dritto nel cervello sarebbe potuto entrare a far parte delle tradizioni di famiglia.

Quando l’ultimo sigillo sul muro di fronte a lui si illuminò per l’ultima volta e sparì definitivamente, il buio lo avvolse per alcuni, lunghissimi istanti, e il primo proiettile che sibilò sopra la sua spalla il ragazzo non capì subito da che direzione provenisse.

Se dalla sudaticcia, variegata massa umana che lo circondava o se dal fronte compatto, gelido e bianco, che aveva già cominciato a farli inesorabilmente indietreggiare: l’intermittenza del neon lo disorientava.

Ma gli angeli non usavano armi da fuoco.

Gli angeli avevano lame aguzze, e miravano alla gola.

Dean vide due uomini cadere, colpiti da una figura candida e sfocata, i cui movimenti così veloci la facevano assomigliare allo strascico di un fulmine, e che avrebbe irrimediabilmente trucidato anche lui se la fucilata che fischiò a un palmo dal suo viso non gliel’avesse impedito, facendo accasciare la figura candida sul pavimento.

«Winchester non ho passato un mese ad allenarti perché tu ti facessi sgozzare alla prima occasione utile!»

Charlie scavalcò il cadavere — ancora palpitante — dell’angelo che aveva appena ucciso ed ebbe appena il tempo di lanciargli uno sguardo grave, prima di sparire in un turbinio di rosso e seta.

Sotto le tremolanti luci al neon, le schiere celesti erano un oceano di schiuma che ribolliva.

Al settimo proiettile esploso, Dean si rese conto che quella notte non ci sarebbe stato spazio per nessuna tradizione familiare suicida.

Al decimo, il bastardo piumato che non aveva centrato per pochi centimetri gli planò addosso senza che lui avesse il tempo di riprendere la mira, sfilettandogli il bicipite sinistro.

Al tredicesimo perse il conto.

Si riparò dietro un pilastro per inserire un nuovo caricatore nella pistola, mentre il sangue gli scorreva lungo il gomito, inzuppandogli la manica della maglietta.

Dopo pochi minuti furono già costretti a retrocedere al secondo livello.

E il secondo livello era stretto, angusto, due corridoi perpendicolari che si incrociavano nel mezzo. I cadaveri si ammassavano tra il pianerottolo e le scale.

Dean pregò che Anna facesse in fretta.

Che qualsiasi fosse il suo piano, che funzionasse, perché un Arcangelo era appena stato ucciso ed era per vendicare la sua morte che i suoi fratelli erano piombati in quel bunker con un’unica, precisa intenzione.

Massacrare.

Massacrarli tutti.

Il braccio sinistro ormai non lo sentiva più; il destro aveva cominciato a tremargli violentemente, e lui fu costretto a spostarsi nelle retrovie.

L’odore della polvere da sparo era talmente forte da annebbiargli persino la vista.

«DEAN!»

Merda.

Ingenuamente — con un imbranatissimo nephilim a cui badare — il maggiore aveva sperato che suo fratello si sarebbe tenuto lontano dalla battaglia.

«Dean, abbiamo perso Jack!»

Ancora più ingenuamente, aveva sperato che lui e il ragazzino fossero già in salvo.

Dean si lasciò condurre lontano dalla mischia, cieco e sordo a qualsiasi altro stimolo che non provenisse dalla sua spalla aperta o dalle dita scivolose di Sam strette intorno al suo polso.

«Cos’è successo?»

«Patience…» ansimò il più piccolo «Lo aveva mandato a recuperare delle cartine e poi avrebbe dovuto raggiungere Anna, ma lui… lui non è più tornato»

«Dov’era diretto?»

A ogni domanda Dean percepiva la sua lingua muoversi, ma non riusciva a udire alcun suono.

Sam si accorse solo allora della sua ferita sanguinante, e inorridì.

«Non è niente, Sam»

Ecco, quello forse non era del tutto vero, ma in quel momento avevano già abbastanza problemi.

«Dov’era diretto Jack?» ripetè.

«Qui…» balbettò suo fratello «Nel magazzino del secondo livello ma non c’è più tempo… Charlie e Anna saranno le ultime a lasciare il bunker ma la maggior parte degli uomini è già stata evacuata… non c’è più tempo, Dean… dobbiamo trovarlo»

Dopodiché Ash volò — letteralmente — sopra le loro teste e si schiantò venti metri più avanti, in fondo al corridoio buio.

Il maggiore svuotò la pistola contro l’angelo che si era lanciato nella loro direzione — ansioso far fare a lui e a suo fratello la stessa fine — ma le condizioni pietose dei suoi arti superiori non gli consentirono di centrarlo nemmeno una volta.

Sam lo spinse via.

«Trovalo!» gridò soltanto, prima che gli spari coprissero ogni altro rumore.




Il magazzino nel quale Jack era stato mandato si trovava esattamente dalla parte opposta rispetto al punto in cui lui e Sam si erano separati.

Gli echi della battaglia in corso non erano poi chissà quanto lontani e Dean sentiva le urla e gli strepiti del mitra di Rufus farsi sempre più vicini, mentre si affrettava attraverso il corridoio ovest del secondo livello rasentando i muri, voltandosi indietro a ogni passo.

Fu proprio scivolando con le dita lungo le pareti che si accorse delle profonde crepe verticali che solcavano i tramezzi ruvidi, fino a intersecarsi sopra la sua testa in un intricato — e quantomai minaccioso — reticolo di fessurazioni.

Gli angeli erano penetrati nel bunker dall’ala ovest, e adesso l’ala ovest stava collassando su se stessa.

Dean ingoiò un bolo di saliva acida e proseguì.

Le crepe arrivarono ad allungarsi fino al pavimento, poi una sottile sabbiolina grigiastra cominciò a piovergli addosso assieme a qualche sporadico frammento di roccia che ricadeva a terra ticchettando.

Il soffitto era crollato a neanche tre metri dall’ingresso del magazzino.

Il passaggio era soltanto parzialmente ostruito — per fortuna — ma lui dovette comunque arrampicarsi a quattro zampe sui detriti per superarlo e ritrovarsi finalmente davanti alla porta del locale.

«Jack!» chiamò a gran voce «Jack!»

Gran voce per modo dire, ma quello era tutto il fiato che gli era rimasto.

All’interno del magazzino, le massicce scaffalature metalliche, originariamente addossate al muro, si erano capovolte ed erano piombate sui tavoli e sul resto dei mobili stipati lì dentro, schizzando schegge di legno e plastica dura ovunque.

Il soffitto era ancora integro, nonostante presentasse spaccature ancor più inquietanti di quelle che il ragazzo aveva notato anche nel corridoio, e non avrebbe affatto scommesso sulla sua tenuta di lì a un’ora.

Dean drizzò le orecchie, continuando imperterrito a scandire il nome del nephilim e a rovistare tra le macerie, ma per qualche minuto le uniche risposte udibili furono gli spari in fondo al corridoio (vicini, troppo vicini) e il gorgoglio rauco del suo stesso respiro.

Infine, qualcosa a metà tra un miagolio e un lamento soffocato lo zittì.

«D-Dean…»

Considerati tutti i capricci che il ragazzino aveva fatto — nemmeno ventiquattr’ore prima — a fronte di un paio di ginocchia sbucciate, era già un miracolo che adesso fosse ancora cosciente, o che non si fosse stracciato le corde vocali a forza di urla.

Una delle scaffalature — come Dean aveva purtroppo intuito appena varcata la soglia — gli si era rovesciata addosso.

«De…»

«Sono qui, Jack»

Il busto di Jack sporgeva al di sotto di un cumulo di cavi elettrici e di oggetto voluminoso e compatto che assomigliava a un grosso motore.

«Non muoverti»

Una delle mensole metalliche si era staccata dal suo montante verticale e il gancio d’attacco, rimasto scoperto, si era conficcato nella gamba del nephilim scavando un profondo solco sanguinante per l’intera lunghezza della sua coscia.

Dean scavalcò l’ultimo pannello che ancora lo separava dal ragazzino e gli si accovacciò accanto.

«Sono qui» ripetè, sperando che l’ansia non gli trapelasse dalla voce «Ci penso io, adesso»

I cavi gli si erano aggrovigliati intorno al collo e alle braccia — Jack doveva aver tentato di sgusciare via con le proprie forze, senza esito, e con il risultato di attorcigliarcisi ancora di più dentro — e il peso che gli gravava sul torace gli rendeva difficile persino respirare.

Dean fermò il rantolo che stava sforzandosi di produrre da almeno dieci secondi asciugandogli una guancia con il dorso della mano.

«Qualsiasi cosa sia me la dirai quando saremo fuori di qui, mh?»

Nonostante tutto, districare il nephilim dai fili elettrici e rimuovere il gancio piantato nella sua coscia fu relativamente semplice.

Dean si tolse la camicia — il suo bicipite sinistro non ne fu molto contento — e la strinse saldamente intorno alla ferita. Di meglio non poteva fare: sperò che fosse sufficiente a contenere l’emorragia, almeno per un po’.

Il vero problema si rivelò esser l’arrugginito, pesantissimo motore semi-smontato che non aveva la più pallida idea di come levargli di dosso.

Aveva un braccio quasi del tutto fuori uso e una mossa azzardata avrebbe finito per frantumare quel po’ di costole che il nephilim era riuscito a conservare ancora intatte.

Afferrò uno dei pannelli metallici staccatisi dalle scaffalature, quello che gli sembrò sufficientemente robusto.

Pregò che fosse sufficientemente robusto.

Poco meno di metà del motore a contatto con il pavimento, il resto a schiacciare a terra la gabbia toracica di Jack: una questione di leve. E un minimo di fortuna.

Il motore si ribaltò oltre il nephilim, schiantandosi sul cemento in un fragore di ferro e bulloni saltellanti che rimase a riecheggiare qualche istante nel silenzio del magazzino.

Dean si immobilizzò.

Silenzio.

Né grida, né spari, soltanto uno scalpiccio appena percepibile in lontananza.

Avevano perso anche il secondo livello.

«Jack, dobbiamo andare»

In qualche modo riuscirono a superare il cumulo di detriti del soffitto crollato e ad arrivare fin quasi a metà del corridoio.

Jack — con l’unico braccio di Dean ancora funzionante a sorreggerlo al meglio delle proprie possibilità — non aveva detto una sola parola da quando avevano lasciato il magazzino, ma non aveva smesso di piangere neanche per un secondo, e il maggiore si stava giusto chiedendo se non stesse correndo il rischio di prosciugarsi e di morire a causa della disidratazione prima che per la perdita di sangue, quando un rumore di passi lo mise in allarme.

Passi lenti. Beffardamente tranquilli.

Decisamente non appartenenti a un essere umano.

Per un attimo, Dean immaginò di togliersi dal campo aperto del corridoio, spalancare la prima porta utile e rifugiarsi dietro un armadio, sotto un letto, dentro una cassapanca, ma il pensiero si dissolse dentro la sua testa con la stessa rapidità con la quale gli si era presentato.

Nascondersi non sarebbe servito.

«Ancora uno sforzo, Jack…»

Gli angeli avrebbero setacciato il bunker palmo a palmo.

Fino all’ultima cassa chiusa, fino al più imprevedibile doppiofondo di ogni pezzo di mobilia, fino all’ultimo — sfortunato — superstite.

Dean affrettò l’andatura, tirandosi un po’ di più addosso la figurina bionda che gli tremava accanto e che sembrava ormai prossima a svenirgli sulla spalla.

«Ancora uno sforzo…» gli sussurrò tra i capelli «Vedrai che poi…»

Poi, accadde tutto troppo in fretta.

Il pavimento prese il posto del soffitto e cominciò a ruotargli attorno.

Ricadde sulla schiena, tossì.

Sassolini appuntiti gli piovvero sulle spalle, mentre le crepe sopra la sua testa gemevano e si allargavano in tetri sorrisi sdentati.

L’angelo che era piombato su di loro, Dean non avrebbe saputo nemmeno dire da che parte fosse arrivato.

Ma lui era stato scaraventato dieci metri più avanti, e aveva finito le munizioni, e la sagoma che ora avanzava verso il nephilim accartocciato su se stesso era bianca, e argento, e morte, e-

«JACK!»

Il risucchio viscido della lama angelica che riemergeva dalla carne — troppo tenera — in cui era appena affondata, lo fece quasi cadere di nuovo bocconi.

No.

No, no, no, no.

Dean vide l’angelo levare la mano, per la seconda volta, ma la violentissima detonazione che risuonò nel corridoio lo spedì contro la parete opposta prima che potesse sferrare un nuovo colpo.

Si contorse per qualche secondo, i suoi occhi piansero luce giallastra, e infine morì.

«Lui…»

Jack lo guardava.

«Si è…» balbettò «…si è messo in mezzo»

Dean abbassò lo sguardo.

Riverso ai piedi del nephilim, la giacca nera ancora perfettamente abbottonata come se dalla base del suo collo non stesse zampillando sangue neanche fosse una fottuta fontana, c’era Crowley.

«E’… è… morto?»

Dean si chinò sopra l’uomo e usò il bavero della sua stessa giacca per tamponargli lo squarcio sanguinante appena sopra la clavicola.

Maledizione, ma che cosa gli era passato per la testa?

«No» rispose, a metà tra lo scosso e l’incredulo «Ma dobbiamo portarlo via di qui prima che-»

Crowley spalancò gli occhi ed esalò un lunghissimo, graffiante, respiro rauco.

«G-Gavin…» gorgogliò, afferrandogli il polso.

Una strana patina opaca gli velava le pupille.

«Gavin… sta… sta bene?»

Dean aggrottò la fronte, confuso «Jack sopravvivrà» rispose. Tra tutto ciò che avrebbe potuto inventarsi Crowley — in quel frangente — quel nome sconosciuto lo aveva lasciato decisamente interdetto.

«No, io…» l’uomo farfugliò qualcosa di inintelligibile, poi la nebbia che offuscava il suo sguardo si diradò, lasciando il posto a un inequivocabile luccichio «E’ stata colpa mia»

«Dean!»

La voce di Sam, alle sue spalle, lo fece sobbalzare.

Il minore abbassò leggermente il fucile — lo stesso che aveva spedito l’angelo a morire dall’altra parte del corridoio — mentre alternava lo sguardo tra suo fratello maggiore, il corpo dilaniato di Crowley, e Jack raggomitolato accanto a loro.

«Io e Crowley eravamo venuti a cercarvi, io… io sono stato rallentato, ma che cosa…» deglutì «Cosa è successo?»

«Occupati di Jack» gli ordinò Dean, telegrafico: il colorito di Crowley, da pallido, stava diventando cinereo «Ci sarà tempo per le spiegazioni, dopo»

Dean passò il braccio buono sotto la nuca di Crowley cercando di aiutarlo a rimettersi in piedi, ma l’uomo sembrava essersi trasformato in un ammasso di gelatina farfugliante.

«Stavamo morendo di fame» biascicò «E io ero solo andato a cercare…» sputò un grumo di saliva rossastra «Quando ero piccolo la California era piena di alberi di pesche… Hai mai assaggiato le pesche gialle della California, Dean?» gli domandò con aria trasognata.

«Tieni premuto sulla ferita»

Gli girava la testa.

Sam li precedeva, Jack in spalla e il fucile spianato, ma Crowley pesava — dannazione — pesava come un fottuto blocco di marmo e continuava a perdere sangue a litri e a delirare.

Il suo bicipite destro pulsava maledettamente e Dean si sentiva a tanto così dal vomitare.

«Quando mi hanno catturato…»

Crowley aveva cominciato a singhiozzare.

«Io non volevo — non volevo!» esclamò, facendolo sussultare «Ma poi mi hanno detto che se avessi collaborato… se gli avessi rivelato dove ci nascondevamo…» sputacchiò altro sangue «Gli Arcangeli mi avrebbero risparmiato… avrebbero risparmiato entrambi, loro…» tossì di nuovo «Ci avrebbero dato da mangiare, e io…»

Lo squarcio alla base del suo collo riprese a zampillare e l’uomo inciampò, perse la presa intorno alle spalle di Dean e crollò a terra, per poco non trascinandosi anche il ragazzo appresso.

«E io l’ho fatto, Dean…»

Sam si voltò, allarmato.

«L’ho fatto…»

«Crowley, maledizione…»

Ma Crowley non lo ascoltava più.

«E quando Gavin l’ha capito…» proseguì, farfugliando «Appena prima che gli angeli irrompessero nel vecchio silos, e io gli ho ordinato di prendere le sue cose e di seguirmi fuori…» rantolò «L’ho supplicato, l’ho supplicato affinché capisse che l’avevo fatto per lui, che… che era questo ciò che un padre avrebbe dovuto fare per i suoi figli ma lui…» storse la testa di lato e rigurgitò un fiotto di bile verdognola.

«Lui mi ha detto che io non ero più suo padre» sussurrò «Che non ero altro che un traditore»

Erano arrivati ormai alla rampa di scale che li avrebbe portati giù, da Anna, al primo livello. Il bunker era buio, e sempre più silenzioso ogni secondo che passava.

Dean alzò lo sguardo verso suo fratello.

«Va avanti» mormorò «Porta Jack al sicuro e poi vieni a riprenderci, io non riesco…» deglutì «E’ troppo pesante per me, e ho un braccio fuori uso»

Sam esitò un istante, ma alla fine si portò una mano alla cintura e gli lanciò una pistola lucida assieme a un’occhiata risoluta.

«Resisti finché non torno»

Quando la sagoma di suo fratello scomparve oltre le scale, Dean si lasciò cadere accanto a Crowley.

«E’ stata tutta colpa mia…»

Una lacrima solitaria scivolò lungo la tempia dell’uomo e sparì tra le sue ciocche arruffate.

«Gavin è morto ed è stata tutta colpa mia…»

Dean sentì la propria gola chiudersi.

«Prima che muoia, scoiattolino…»

«Che io sia dannato se ti lascio crepare dopo averti trascinato per tutto il corridoio!»

Premette il palmo destro sulla ferita di Crowley, nervoso.

Il bunker ormai pullulava di angeli, e con il trascorrere dei minuti, le probabilità che qualcuno di quei bastardi si accorgesse di loro — due umani ancora vivi in mezzo al mucchio di cadaveri accatastati sul pianerottolo — aumentavano sempre di più.

Dio, Sam, sbrigati.

«Ti avevo promesso» continuò l’uomo, mentre il suo respiro si faceva via via più flebile «Che ti avrei detto che cosa cercavo nella biblioteca di Castiel»

«Me lo dirai domani»

«Sarò morto, domani»

«Non…»

Le dita ghiacciate di Crowley — troppo deboli per chiudersi intorno al suo avambraccio — lo sfiorarono appena.

Dean tacque.

«’La storia infinita’»

«La storia…»

«E’ un libro» l’uomo abbozzò un sorriso esausto «Il regalo del suo undicesimo compleanno» gli spiegò «Durante la notte di sangue riuscì a portarlo con se e nei mesi seguenti noi…»

Sospirò.

«Certe sere lo leggevamo insieme. C’erano dei pezzi che avevamo imparato ormai a memoria e quando aveva paura, quando si svegliava di notte per il freddo, o la fame, o perché aveva sentito degli strani fruscii nelle vicinanze, io glieli ripetevo finché lui non si addormentava»

Sotto le dita umide del ragazzo, il corpo di Crowley era sempre più freddo.

«Poi, quando abbiamo litigato, poco prima che gli angeli piombassero nel silos e lo ammazzassero insieme al resto degli uomini, lui l’ha preso e me l’ha tirato addosso»

«E com’è finito quel libro nella biblioteca di Castiel?»

Adesso Dean aveva la sgradevole sensazione che, se in quel momento Crowley avesse smesso di parlare, non avrebbe parlato mai più.

«Gli angeli non permettono a nessun umano di conservare oggetti antecendenti la notte di sangue, dovresti saperlo» esalò lui «All’epoca era ancora Aniel — Anna — a gestire la biblioteca, ma se lei non mi avesse confiscato il romanzo, probabilmente io l’avrei bruciato il giorno dopo» ammise «Non l’avevo mai aperto — nemmeno una volta — dopo che Gavin me l’aveva lanciato addosso. Non sapevo nemmeno perché l’avevo tenuto»

«Ma poi hai cambiato idea»

«Tu sei ancora troppo giovane per il rimorso, scoiattolino» un eccesso di tosse lo piegò in due «Ma per i traditori come me…» ansimò Crowley «Finisce che una mattina ti svegli e tutto ciò che desideri è non essere mai nato»

Dean aveva già aperto la bocca per replicare quando un brusio in rapido avvicinamento lo mise improvvisamente a tacere.

Voci sconosciute, in discesa dal terzo livello.

Sii asciugò la mano destra sul pantalone e fece scattare la sicura della pistola.

«Avresti potuto dire a Castiel la verità» sussurrò amaramente, aguzzando la vista.

Sam, Sam, Sam.

«Avresti potuto dirla a me, almeno»

«Avrei potuto fare tante cose nella vita, Dean» le parole di Crowley si erano ridotte a un fioco pigolio «E ne ho fatte molte, dopotutto…» tossì ancora, piano «…ma erano tutte sbagliate…»

Dean si appiattì a terra.

Una figura allampanata — diafana — era appena entrata nel suo campo visivo.

Dietro di lei altri due, no tre, angeli in giacca e cravatta esaminavano lo stato dei corpi riversi lungo le scale.

«Fa luce, Dumah»

Il ragazzo sentì uno schiocco e qualcosa di incomprensibile che doveva essere enochiano, poi le luci del bunker si riaccesero di colpo, e fu come se una moltitudine di lame d’acciaio gli si fosse appena conficcata nel cervello passando attraverso i suoi bulbi oculari.

Sam, Sam, Sam.

Seppur dolorosamente, i suoi occhi si riabituarono in fretta alla luce.

Dumah era rimasta sulla scala del terzo livello. Gli altri due angeli, Dean li scorse di sfuggita dirigersi verso il corridoio est.

La figura allampanata, ad appena un paio di metri di distanza da lui e Crowley e con una lama angelica saldamente in pugno, era china su un cadavere particolarmente malconcio.

Dean non ebbe tempo di domandarsi perché si stesse attardando tanto su quel corpo morto — con il collo pressoché staccato dalle spalle era decisamente difficile ipotizzare che quell’uomo respirasse ancora — perché, in quel preciso istante, l’angelo girò la testa e lo guardò.

I loro sguardi s'incrociarono e fu di nuovo il 2 novembre 2008, fu come se qualcuno avesse riavvolto la pellicola e fatto ripartire dall’inizio tutto il film.

Ma stavolta il brivido di pericolo che scivolò su e giù lungo la sua schiena non riuscì a salvarlo.

Il blu scheggiato degli occhi di Castiel lo inghiottì.

Dopo, tutto divenne nero.













Sì, insomma… ormai avrete capito che mi piacciono i cliffhanger, no? ^^'
Purtroppo però anche il prossimo aggiornamento arriverà, ahimè, tra due settimane.
Nel frattempo, ne approfitto per ringraziarvi delle recensioni (e non vedo l’ora di sapere cosa ne pensate di Crowley, di questa ‘apparizione’ del nostro angioletto preferito e di cosa accadrà a Dean nel prossimo capitolo…), grazie a chi ha inserito la storia tra le seguite/ricordate/preferite e grazie a chiunque stia ancora leggendo e, spero ^^, apprezzando tutto ciò.
A presto ❀*

   
 
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