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Autore: QueenOfEvil    11/10/2020    0 recensioni
[Seguito di 'Non c'è ombra senza luce']
Prima che Aa perdesse due dei suoi tre occhi. Prima dell'ultimo verobuio. Prima della Profezia.
Mia era senza alcun dubbio "una ragazza con una storia da raccontare".
Ma, vedete, gentili amici, quella definizione poteva benissimo valere anche per i suoi genitori.
Una volta, quando Julius aveva sette anni, suo padre lo aveva portato ai Giardini.
Lì, circondati dalle grida e dalle suppliche degli schiavi morenti a qualche piede dalle loro teste, Atticus aveva spiegato a suo figlio che il mondo era diviso in due gruppi: le persone che erano persone e le persone che erano cose. Rispetta le prime, calpesta le seconde e avrai successo.
In quel momento, a quasi vent'anni di distanza, Scaeva realizzò che suo padre aveva avuto torto.
Chiunque poteva essere una cosa, per chi sapesse come farne uso.
Genere: Dark, Fantasy, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Alinne Corvere, Altri, Darius Corvere, Julius Scaeva, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Neh diis lus'a, lus diis'a'
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Fabricando fit faber





 

La densa oscurità del verobuio era una lama priva di impugnatura: difficile da maneggiare senza ferirsi e al contempo troppo affilata per non cedere alla tentazione.
Julius aveva veramente realizzato cosa significasse essere un tenebris solo quando, a pochi mesi dal suo ritorno a Godsgrave, aveva visto i tre occhi del Semprevigile scomparire all’orizzonte e la compagna rinnegata dare inizio al suo effimero dominio del cieli. Quando la notte era calata, avvolgendo le Costole e il resto della città nel suo buio abbraccio, aveva sentito qualcosa nel suo sangue gridare di sollievo, una sensazione di inaspettata leggerezza che aveva presto lasciato posto ad una consapevolezza diversa, più profonda, delle potenzialità che realmente custodiva nelle sue mani: si era reso conto, con l’euforico entusiasmo di un tredicenne, di poter fare più, molto più, di quanto avesse osato immaginare.
Le ombre non erano solo più una sostanza eterea a cui doveva aggrapparsi stringendo i denti, ma una massa dotata di consistenza, che poteva indirizzare ed utilizzare a suo piacere: aveva passato ore, cambi interi a sperimentare affascinato le nuove sfaccettature dei suoi poteri, con Sussurro al suo fianco, anche lui rinfrancato e rafforzato dalla tenebra.
Ma, con quella scoperta, era arrivata anche la circospezione.
Perché, per quanto quella forza fosse intossicante e apparentemente senza limiti, lo stesso non si sarebbe potuto dire della tolleranza dei suoi connazionali, se avessero saputo, o anche solo intuito.
Ad otto anni di distanza, un fine vulto di vetro a coprirgli il viso e vestito nei suoi abiti più eleganti, Julius rivolse un’occhiata alla piazza gremita di gente diretta nelle sale da ballo midollane e si chiese, con curiosità indolente, cosa avrebbero pensato nel vedere la statua del Semprevigile muoversi, traballare e infine cadere proprio nel momento in cui il suo sguardo era accecato. Poteva sentire sulla lingua e sulla pelle i filamenti di tenebra che avvolgevano la costruzione dorata -imponente e vagamente pacchiana al tempo stesso, a suo modesto parere- e sapeva, pur senza averlo mai provato, che con uno strattone deciso sarebbe riuscito a farla ribaltare: sarebbe stato un degno spettacolo a cui assistere, questo era sicuro, ma il conto da pagare si sarebbe presentato troppo salato e non aveva intenzione di correre rischi, rovinarsi la vita, sull’onda di un dispetto infantile.
Il ciondolo che portava appeso al collo, tre soli dorati nascosti sotto la camicia, costitutiva un ottimo memento.
Perciò ignorò il prurito che sentiva sulla punta delle dita, si passò una mano tra i capelli per controllare che fossero in ordine, e si diresse verso l’entrata della villa, appena dietro il Cuore, non senza gettare un’ultima occhiata agli appartamenti consolari sopra la sua testa. Poteva quasi sentire la musica che l’orchestra stava suonando nella grande sala di necrosso, mentre le dominae volteggiavano tra le braccia dei loro cavalieri e i senatori chiacchieravano negli angoli, in mano un calice di vino e in bocca nient’altro che parole di congratulazioni per i consoli appena eletti. Ed era, effettivamente, un’occasione da celebrare: non accadeva tutti i cambi che le due posizioni politiche più importanti della Repubblica venissero ricoperte da due esponenti della medesima familia. Il risultato era stato accolto con nulla di più di una leggera sorpresa: la campagna elettorale dei Flavii era stata efficace e dritta al punto e anche la scelta di presentarsi insieme -cugini- ed esporre un programma comune, facendosi conoscere come coppia e non come singoli, aveva convinto il popolo più delle ostentate dimostrazioni di opulenza degli altri candidati. C’erano state delle voci di corridoio che avevano paventato una possibile incostituzionalità del provvedimento, ma nulla di sostanzioso: nessuno aveva osato farsi avanti e in quel momento i due uomini stavano festeggiando una vittoria meritata. Per Julius, che era, insieme a suo padre, l’ultimo degli Scaeva e il cui status sociale impediva anche solo di accedere alle ricche sale in questione, quei ragionamenti avevano il sapore della polvere e dell’impazienza.
Era ancora lontano. Troppo lontano.
… Sei sicuro di non volere che io vada a dare un’occhiata lassù…? Sono piuttosto sicuro che ormai gli invitati saranno troppo ubriachi per fare caso a un’ombra in più sulla pista da ballo…” Il sibilò accarezzò il suo orecchio nel momento esatto in cui porgeva l’invito -un cartoncino rosso e nero con impresso sopra il suo nome- alla guardia davanti al portone. Questi diede un’occhiata al biglietto e il suo proprietario e poi, con un movimento svogliato e disattento, lo porse al servitore incaricato di annunciare gli invitati. Il passaggio subì un contrattempo -poca attenzione e poco riguardo mischiati ad una dose eccessiva di vino- e l’invito cadde a terra, sotto il piede dell’uomo che avrebbe dovuto afferrarlo.
“Le mie scuse, mi domine,” disse l’individuo, con un tono che tradiva noia più che dispiacere. Julius gli lanciò un’occhiata veloce ed ingoiò il fastidio. Anche con la maschera a coprirgli il volto, il marchio arkemico da schiavo era ben visibile a chiunque avesse avuto due occhi buoni: intavolare una discussione con un individuo la cui vita doveva essere di gran lunga più miserabile della propria era una dimostrazione di pochezza intellettuale, o di superiorità spicciola. Non era interessato a nessuna delle due.
“Julius Scaeva,” disse dunque, stendendo le labbra in un piccolo sorriso che risultò comunque invisibile, alla luce fioca dei lampadari.
“Come prego?”
“Il mio nome,” le ombre attorno a loro vibrarono con violenza, mentre Julius rispondeva per la seconda volta. Il verobuio riusciva a tendere i suoi nervi e metteva a dura prova il suo autocontrollo: “Quello che devi annunciare. Julius Scaeva” Quando lo schiavo scomparve dietro il drappo cremisi che separava l’anticamera dalla sala vera e propria, tirò un sospiro di sollievo.
Aveva insistito che il suo interlocutore lo presentasse alla sala più per forma che nella speranza che servisse a qualcosa: nessuno prestava orecchio a quelle declamazioni a meno che il nome non fosse davvero importante e, nelle circostanze presenti, Julius era molto distante dal meritare tale titolo.
Aspettò il tempo consono prima di fare il suo ingresso, certo che sarebbe passato inosservato, e quando si trovò sulla piccola balconata da cui partivano due scalinate laterali -pochi gradini che portavano alla sala da ballo vera e propria- notò con piacere che la semplicità dell’evento, ben lontana dall’opulenza ostentata dei piani alti, manteneva comunque un certo buon gusto: la volgarità era un peccato quasi peggiore dell’anonimato. Anche la musica sembrava accettabile. 
Scese i gradini con passi misurati, la mano destra che sfiorava appena il mancorrente e lasciando che i suoi occhi zigzagassero tra la folla, in cerca di un viso conosciuto. Nel frattempo, appurato che come da programma neanche un’anima gli aveva prestato attenzione, riuscì a replicare alla domanda fattagli dal suo passeggero: “No, ti ho già detto di no. Preferisco avere informazioni da poter usare nell’immediato a pettegolezzi vecchi di mesi,” storse la bocca “se anche scoprissi che il primogenito del console ama vestirsi da braavo e sedurre pirati nelle osterie del porto, potrei fare molto poco con quell’informazione”
… Essere qualche passo avanti non mi sembra una cattiva idea…
“Sì, ma c’è differenza tra ‘qualche passo avanti’ e ‘dieci miglia all’orizzonte’. Per quanto mi piacerebbe essere già a quel punto, purtroppo siamo ancora qui,” sospirò “il che non vuol dire che non si possa trovare qualcosa di interessante ovunque, cercando bene”
La situazione, se osservata da un occhio estraneo, appariva quasi come una brutta freddura: il primogenito nonché ultimo discendente di una delle familiae più antiche della Repubblica costretto a mendicare un invito ad una festa mediocre. Julius poteva praticamente vedere i suoi antenati che si rivoltavano, già mezzi marci e putrefatti, nelle loro vecchie tombe fuori dalla città. Fino a qualche decennio prima, il figlio di un senatore della sua importanza avrebbe avuto accesso diretto alle celebrazioni di alto livello e lui sarebbe stato a fianco di suo padre mentre quest’ultimo lusingava i nuovi consoli con un breve discorso in loro onore, ma molte cose era cambiate da allora, e secoli di accurate costruzioni si erano rivelati effimeri quanto un castello di carte. 
Ricostruire dalle fondamenta era un’impresa stimolante, questo era indubbio, ma avrebbe apprezzato se la sorte avesse deciso di concedergli almeno una buona stella, un minimo colpo di fortuna: l’unica spiegazione che era riuscito a darsi, negli anni, era che ella covasse nei suoi confronti la stessa simpatia del Semprevigile. 
Julius ricambiava il sentimento dal profondo del cuore.
… L’hai vista…?
Julius prese un calice di vino dal primo servitore a fianco a lui e bevve due piccoli sorsi: “No. Ma deve essere qui, da qualche parte”
… Non mi sembri entusiasta…” 
“Non ho intenzione di sprecare energie in una recita superflua. Quando me la ritroverò davanti saprò essere convincente”
Sussurro si mosse dentro la sua ombra: “… Vuoi che faccia un giro qui attorno…? Risparmieremmo tempo…
“Sì, mi sembra una buona idea,” ancora un sorso di vino “e presta attenzione anche al resto. Come ti ho detto, gli eventi mondani raramente mancano di spunti interessanti”
Non ci fu una risposta, ma il vuoto freddo che sentì all’altezza dello stomaco fu un chiaro segnale che il suo compagno lo aveva lasciato. 
Era solo.
Posò il calice, ancora mezzo pieno, sul primo ripiano libero e rimase per qualche secondo fermo in quella posizione, mentre i suoi occhi -neri come la maschera che gli copriva il volto- scattavano da una parte all’altra della sala. Sottili candelabri di cristallo pendevano dal soffitto, illuminando la pista da ballo di un chiarore soffuso, e piccoli tavolini di legno -mogano, a giudicare dal colore- erano disposti seguendo il contorno dei muri, accostati a sedie e poltrone per favorire la conversazione. Non che gli invitati sembrassero particolarmente ansiosi di chiacchierare: la maggior parte di loro era alla ricerca di un partner per le danze, sulle note di quella che Julius riconobbe come la parte centrale di un’opera sinfonica di un autore dal nome impronunciabile. Era certo che l’atmosfera sarebbe stata diversa se si fosse trovato tra in mezzo a midollani e senatori, persone il cui interesse per la politica era pari solo a quello per i pettegolezzi, ma qui il meglio che avrebbe potuto trovare si riassumeva in ricchi mercanti dai gusti costosi e secondogeniti ignorati ancora in cerca dell’approvazione paterna: una compagnia che faticava a definire stimolante.
E dire che aveva quasi faticato per riuscire ad essere ammesso lì dentro… 
Fortunatamente, un amico dell’organizzatore gli doveva un favore, ma doversi abbassare ad una simile richiesta lo aveva messo di cattivo umore per cambi: poteva solo sperare che ne fosse valsa la pena, che lei fosse riuscita a sottrarsi alla soffocante stretta di suo padre e che lo avrebbe raggiunto di lì a poco. Se così fosse stato, il tutto non si sarebbe dimostrato una completa perdita di tempo.
Si girò nervosamente l’unico anello al dito, sentendo sotto i suoi polpastrelli il freddo rassicurante dell’argento: si trattava un cerchio semplice, privo di pietre ad impreziosirne la montatura, lavorato in modo tale da rappresentare un serpente nell’atto di mordersi la coda. Era il solo monile di famiglia che fosse riuscito a recuperare dopo il suo ritorno a Godsgrave -tutto il resto era già sparito nelle tasche dei loro creditori- e anche se in teoria sarebbe dovuto ancora essere suo padre a portarlo -in qualità di membro più anziano della familia- Atticus non era nelle condizioni di opporre resistenza a quella piccola mancanza di rispetto, né ne avrebbe avuto il diritto. Senza contare, Julius aveva riflettuto, non senza un pizzico di ironia, che l’effige si addiceva più a lui che al suo genitore.
La sua attenzione si spostò dall’anello all’estremità opposta della sala dove, circondato da un folto nugolo di invitati in costumi sgargianti, gli sembrò di intravedere la figura dell’ospite, che elargiva sorrisi fin troppo larghi e beveva complimenti come fossero acqua fresca: talmente basso da dover portare delle scarpe rinforzate e con il viso già rubizzo per l’alcool, Irnerius Dominico non era quello che Julius avrebbe definito un buon padrone di casa, ma se non altro la sua disattenzione per gli invitati fuori dalla sua piccola cerchia di amicizie gli avrebbe risparmiato l’imbarazzo di rivolgergli la parola. Se non ricordava male, e raramente ricordava male, Atticus aveva chiesto soldi anche a lui, in passato.
Camminò tenendosi in disparte ed evitando di incrociare lo sguardo con una delle tante dominae rimaste prive di un accompagnatore che, quasi sicuramente, come tradizione, gli avrebbe chiesto di danzare: non era un cattivo ballerino, otto anni di controllo quasi completo sulla propria educazione gli avevano permesso di colmare alcune lacune francamente imbarazzanti, ma quella non era la serata adatta per le frivolezze. Forse avrebbe potuto esserlo, se non si fosse trovato in mezzo a gente di cui gli importava tanto poco.
Non riusciva neanche a concentrarsi sulle chiacchiere attorno a lui, tendendo le orecchie per capire se qualcuno stesse dicendo qualcosa di interessante: la musica stava aumentando di volume e, a meno di non inserirsi a forza nella conversazione, era impossibile affermare più di qualche parola sconnessa. Sperò che Sussurro stesse avendo più fortuna nella sua indagine, o che almeno fosse riuscito a rintracciare chi di dovere.
Faceva caldo nella stanza -troppo caldo, per essere verobuio- e Julius resistette a stento alla tentazione di allentare il colletto della camicia. Invece, si guardò attorno alla ricerca di un cameriere e ne identificò uno a pochi passi da lui, intento a porgere agli ospiti calici contenenti quello che a prima vista aveva l’aria di essere un vino bianco: Julius tendeva a preferire i rossi, ma avrebbe dovuto accontentarsi. Sperava solo che la qualità fosse migliore di quello che gli era stato offerto al suo arrivo: aveva bevuto decisamente di meglio e quella non era l’occasione giusta per ubriacarsi con del cattivo vino -ammesso che occasioni simili esistessero veramente-, ma almeno non avrebbe più avuto la gola secca.
Allungò il braccio verso il vassoio senza neanche voltarsi e fu piuttosto sorpreso quando, invece della liscia consistenza del vetro, le sue dita incontrarono quelle di un’altra persona, già serrate attorno al gambo del bicchiere. Si voltò di scatto, sopracciglia aggrottate dietro la maschera, e si trovò di fronte ad una giovane donna, il cui volto era celato sotto una bauta di fine porcellana bianca. Le sue labbra, pitturate di un rosso sanguigno, si socchiusero per la sorpresa: “Dovete scusarmi, mi domine, non vi avevo visto”
“La colpa è mia, mea domina: ero perso nei miei pensieri e non ho prestato attenzione,” E poi, vedendo che ella, seppur indecisa, non accennava a lasciare la presa sul bicchiere, aggiunse: “Prego, servitevi pure. Non sarò certo io ad impedirvi di assaporare le gentili offerte del nostro padrone di casa”
La ragazza increspò le labbra in un sorriso sottile e replicò, non appena il cameriere in livrea si fu allontanato: “Devo dedurre che la celebrazione non sia quindi di vostro gradimento?”
Il tono che Julius aveva usato conteneva nulla di più che un’inflessione ironica ed egli fu sorpreso che la sua interlocutrice l’avesse notata, pur coperta dalla musica e dal suono dei ballerini, a pochi passi da loro. Scrollò leggermente le spalle, con indifferenza: “Quello che penso io non è poi così importante. Come potete vedere, mea domina, non sono uno degli ospiti d’onore”
“Un padrone di casa che si cura solo della soddisfazione dei suoi amici non può veramente definirsi tale,” replicò lei, una nota lievemente divertita nella voce: “Se io desiderassi un parere sincero di certo non andrei a chiederlo a chi ha timore di offendermi per via di una vicinanza affettiva. Sarebbe un insulto alla mia intelligenza, e alla loro”
“Questo presuppone, però, che la persona in questione sia interessata alla sincerità. Il che è, converrete con me, un’ipotesi piuttosto azzardata”
Il movimento della maschera sul viso di lei gli fece capire che ella aveva aggrottato la fronte: “Solo gli stupidi preferiscono l’adulazione alla verità. Gli stupidi e gli insicuri”
Julius gettò una breve occhiata a Dominico, ancora impegnato con la sua fitta folla di ammiratori, e ridacchiò tra i denti, sorprendendo anche se stesso: “Parole vostre, non mie”
Lei, per tutta risposta, si portò il calice alla bocca e bevve, labbra che lasciavano un’impronta cremisi sul bordo del vetro, e in quel momento di pausa, Julius le rivolse un’occhiata veloce, guardandola per la prima volta dall’inizio della loro conversazione. Portava un vestito di ottima fattura -non costoso quanto quello delle dame midollane delle prime tre o quattro Costole, forse, ma che non avrebbe sfigurato in una sala più altolocata di quella attuale-, stretto in vita e largo subito sotto, che le lasciava scoperte le braccia e il petto e il cui colore rosso rimandava a quello del rossetto, in netto contrasto con la faccia candida della bauta. Pochi intarsi neri, sulle spalle e sul corpetto, davano all’insieme una tonalità più scura.
Julius, i cui vestiti scuri erano illuminati solo da qualche tocco bianco sul polsini e i bottoni, spostò lo sguardo dall’abito al volto di lei, nascosto dietro la maschera di Carnivalé ed incorniciato da capelli corvini, che le scendevano lunghi fin quasi alla vita, eccetto che per una piccola treccina esattamente al centro della nuca. Gli occhi, scuri quasi quanto i suoi, ma non altrettanto1, erano l’unico tratto distintivo visibile, eccetto che per la bocca.
“È il vostro primo verobuio, qui a Godsgrave?” le chiese, distogliendo lo sguardo.
Lei parve sorpresa: “No, perché lo chiedete?”
“Il vostro accento non è di queste parti, perciò domandav…” 
“Sono di discendenza liisiana,” rispose, piccata “Ma ho sempre vissuto qui, sin da quando ero piccola”
Il messaggio era piuttosto chiaro e Julius non aveva affatto voglia di mettersi a litigare con una sconosciuta nel bel mezzo di una festa. Perciò, separando le labbra in un sorriso che nascondeva l’irritazione, chinò il capo e fece un passo indietro: “Dovete perdonarmi, ma non era mia intenzione recarvi offesa. Ho riconosciuto la leggera inflessione nelle vostre parole solo perché anche io ho trascorso dei mesi nella vostra patria, da giovanissimo” E non pensava volentieri a nessuno di quei ricordi.
La sconosciuta sorrise di nuovo, posando il bicchiere ormai quasi vuoto su un tavolino dietro di loro: “Siete scusato, ma ad una condizione,” gli si avvicinò, un guizzò di divertimento ad illuminarle gli occhi “Fatemi da cavaliere per un ballo.”
Julius ebbe un attimo di esitazione, ma infine chinò il capo e le prese la mano: “Se è l’unico modo per espiare, con immenso piacere”
Molte delle coppie si stavano già muovendo per la sala, con più o meno trasporto a seconda della familiarità con il proprio partner, e Julius non poté evitare di scandagliare i loro volti coperti alla ricerca della persona per cui era venuto, ancora una volta senza risultato: la luce era più soffusa rispetto al momento in cui era arrivato e la musica era aumentata di intensità, tanto da rendere quasi impossibile una conversazione con chiunque non fosse a poche spanne di distanza, ma si era anche addolcita, facilitando le danze. Si chiese, spostando lo sguardo sulla sconosciuta a cui stava stringendo la vita e che a sua volta teneva una mano appoggiata sull’avambraccio, se ella avesse avvertito il cambiamento prima di lui, e avesse usato il vino come scusa per attaccare conversazione, con l’intenzione specifica di arrivare a quel punto. A giudicare dallo scintillio nel suoi occhi, non gli sembrava del tutto impossibile.
Gettò uno sguardo veloce al pavimento, ma non notò nessun’ombra muoversi nella sua direzione: Sussurro ancora non si vedeva, e non c’era molto che lui potesse fare al momento, a parte cercare di intrattenersi un po’. Dubitava che chi doveva incontrare si sarebbe ingelosita per un ballo solo, anche nella remota possibilità che potesse riconoscerlo in mezzo a tutta quella confusione.
“E dunque,” chiese alla ragazza, mentre la faceva ruotare su se stessa, “siete qui da sola?”
“Non avrei dovuto,” replicò lei, inclinando il capo “Ma il mio accompagnatore ha disertato all’ultimo momento, lasciandomi qui con nient’altro che un avvertimento tardivo.” Sorrise, senza sembrare particolarmente ferita da quell’abbandono: “Con il senno di poi, avrei dovuto aspettarmelo”
“Non è un amante delle feste?”
“Dell’opulenza in generale, in realtà”
Fu il turno di Julius di sorridere: “È un bene che non sia mai salito fino agli appartamenti consolari, allora. Tutto questo, in confronto, non è assolutamente niente
La sentì incespicare ed evitò per un pelo che gli pestasse il piede: “State bene?”
“Sì,” replicò, dopo un momento di esitazione: “Le vostre parole mi hanno solo… riportato indietro di qualche anno”
Non pareva intenzionata a dare ulteriori spiegazioni -e sarebbe stato strano il contrario, in effetti-, così Julius credette meglio spostare l’argomento della conversazione verso lidi più sicuri. Per lei, ma anche per se stesso: “Devo quindi intuire che a voi, invece, la ricchezza non dispiaccia.”
La bocca di lei si distese, come anche i lineamenti del viso, sotto la bauta: “Non intuite male”
Continuarono a ballare, entrambi immersi nei loro pensieri. La sconosciuta si muoveva con leggerezza sul pavimento di necrosso, lasciandosi condurre dalle mani di Julius ed assecondandone i movimenti, e non ci furono altri incidenti: doveva aver preso lezioni di danza -molte lezioni, a giudicare dal portamento e dai passi-, ma Julius sospettava, dopo la sua reazione di poco prima, che non le avrebbe fatto piacere che lui glielo facesse notare. Preferiva, evidentemente, che certe cose venissero date per scontate, o lasciate non dette.
Alla fine, fu lei a rompere il silenzio, mentre già il pezzo musicale volgeva al termine: “E voi, invece? Mi avete detto di aver passato dei mesi a Liis, in gioventù. Ditemi, avete avuto un piacevole soggiorno in quei luoghi?”
Di tutti gli aggettivi che Julius avrebbe potuto usare per descrivere i cinque mesi passati ad Elai, ‘piacevole’ era in fondo ad una lista molto lunga: “È stata un’esperienza… particolare” Le disse, mentre ritornavano ai loro precedenti posti, lungo i muri della sala: “Istruttiva, direi, e formativa” Quel tipo di esperienze a cui si riguarda con gratitudine e che al contempo non si desidererebbe ripetere per niente al mondo: era molto distante dal dispiacersi, tutto il contrario, ma era un capitolo chiuso della sua vita che non desiderava rileggere. Si era portato dietro quanto gli aveva fatto comodo, e lasciato il resto a marcire a miglia di distanza.
“Molto distante dalla piacevolezza, dunque” C’era di nuovo ironia nella sua voce.
“Questo non l’ho mai detto”
“È come se lo aveste fatto,” e poi, quando Julius aveva già socchiuso la bocca per replicare, aggiunse: “No, non preoccupatevi, non sono così affezionata alla mia terra da doverla difendere a spada tratta. Non lo sono mai stata. Anche se,” si tirò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e alzò leggermente il mento “ammetto di avere ricordi piuttosto singolari dei miei anni trascorsi lì”
Furono quei gesti, familiari e quasi dimenticati al tempo stesso dopo tanti anni, da far ricordare a Julius che ancora non sapeva il nome della sua interlocutrice. Non che gli importasse particolarmente -presto le loro strade si sarebbero divise e con tutta probabile non si sarebbero più intrecciate ancora-, ma c’era un certo grado di curiosità a smuoverlo, motivata anche da ricordi che continuavano a fargli visita, di tanto in tanto, nonostante i suoi sforzi..
Era sul punto di porre la sua domanda, quando sentì un familiare brivido lungo la schiena e una voce che gli sibilava all’orecchio: “… L’ho trovata. È accanto agli amici di Dominico e sembra annoiarsi terribilmente: credo ti stia aspettando…
Finalmente.
Julius guardò in tralice nella direzione indicatagli da Sussurro e poi si rivolse un’ultima volta alla giovane donna davanti a lui, ogni illazione sulla sua identità già dimenticata: “Vorrete scusarmi, mea domina, ma devo prendere congedo da voi. Ci sono delle faccende che richiedono la mia presenza”
Le labbra di lei si incresparono, ma le parole che uscirono da esse lasciavano intendere una perfetta compostezza: “Lungi da me trattenervi oltre,” chinò il capo “non posso fare altro che augurarvi un buon proseguimento delle festività, dunque. Possa lo sguardo del Semprevigile illuminare ogni vostro passo”
Io preferirei vivamente di no, pensò Julius, a cui quel saluto formulare appariva più una minaccia che di buon auspicio: “Che i Suoi tre occhi vi tengano sempre nella loro luce, mea domina
E poi, senza una parola di più, le diede le spalle e si diresse verso il fondo della sala.
… Chi era quella ragazza…?” 
“Solo una sconosciuta con cui ho passato il tempo aspettandoti,” rispose Julius, tra i denti, mentre scivolava ignorato tra i vari gruppi di invitati “nessuno di particolarmente importante”
Malgrado le sue parole, scoccò un’occhiata alle sue spalle, nel punto in cui avevano conversato fino a qualche momento prima. La folla si era già richiusa dietro di lui e gli fu impossibile vedere se ella fosse ancora lì. Ne dubitava, come dubitava che l’avrebbe rivista, in futuro: se il Carnivalé era famoso per qualcosa oltre i festeggiamenti sontuosi, era per favorire gli incontri di poche ore, o al massimo di una notte, complici una maschera e, spesso, la volontà di rimanere nell’anonimato. 
Mentre i midollani più potenti ed in vista tessevano già le fila dei loro prossimi intrighi, il popolo gustava qualche boccata di libertà, pronto a riprendere la propria vita di tutti i cambi non appena il sole fosse sorto di nuovo.
Le frivolezze avrebbero dovuto aspettare.
“Sentito qualcosa di interessante nel tuo sopralluogo?”
… Qualcuno ha ipotizzato che il primogenito di Severo voglia farsi avanti come possibile quaestor per le prossime elezioni…”
“Così presto?”
… Solo voci di corridoio, ma nulla di certo. Anche se chi ne discuteva dava l’idea di essere abbastanza sicuro delle proprie informazioni…
Quella poteva trasformarsi in una seccatura: “Probabilmente l’ha costretto suo padre, stanco di mantenere un figlio nullafacente: non posso dire di biasimarlo” Storse la bocca “Ha già trovato con chi concorrere?”
“… Non sembra, ma vista la familia avrà solo l’imbarazzo della scelta, soprattutto visto i risultati di questo verobuio…” 
“Fammi indovinare: non soddisfacenti?”
Pur non vedendolo, Julius ebbe la distinta impressione che Sussurro avesse annuito: “… La maggior parte dei presenti è tutto meno che felice. Avrebbero preferito qualcuno di più flessibile alle loro richieste, o almeno più propenso a chiudere un occhio di fronte alle loro eventuali trasgressioni…
Julius sorrise: “Un uomo famoso per la sua rettitudine morale che ricopre carica notoriamente più corrotta della Repubblica? Proprio non vedo cosa potrebbe andare storto. Ma devo ammettere di essere rimasto sorpreso dal risultato: non credevo che Valerio Municio e il suo collega fossero riusciti a guadagnarsi così tanto le simpatie dei comitia2
… Dopo un po’ anche il vaso più capiente straborda…
“Già,” strinse le labbra “questo però vuole anche dire che molti dovranno volare basso nei prossimi mesi, se vogliono evitare un soggiorno più o meno lungo nella Pietra” Malgrado non avesse più dovuto averci a che fare da molto tempo, ormai, il pensiero di quel luogo continuava ad inquietarlo. O meglio, sarebbe stato così senza Sussurro nella sua ombra.
“Nient’altro di interessante?”
“No, più che altro pettegolezzi senza importanza. Anche se, ora che mi ci fai pensare, ho visto più di un vestito familiare: Lavinia sta facendo ottimi affari, sembra…
“Lucius ne sarà felice, dopo tutti i soldi che ha passato alla madre perché rimodernasse il negozio. Glielo farò sapere quando ci vedremo” Anche se, visto il crescente impegno dell’amico negli ospedali ed ospizi della città, erano settimane che non si incrociavano neanche e non osava sperare che la situazione sarebbe migliorata nel futuro prossimo. Era un lavoro stancate e mal retribuito a quanto gli era parso di capire -e non se n’era stupito: l’altruismo non era una stabile fonte di reddito a ‘Grave-, ma Lucius era stato talmente fermo nella sua posizione, lui che di solito aveva dubbi anche su cosa indossare la mattina, che non se l’era sentita di manifestare il suo scetticismo oltre qualche commento vagamente sarcastico.
E poi, se si fosse esentato dall’esprimere giudizi su come Lucius impiegava il suo tempo, c’era la fondata speranza che gli venisse ricambiato il favore.
Un movimento alla sua destra catturò la sua attenzione e quando si voltò la vide, schiena appoggiata contro la parete e in mano un bicchiere di vino quasi vuoto, volto nascosto dietro una maschera modellata a forma di fiamma: dal modo in cui teneva un braccio attorno alla vita per sorreggere l’altro e picchiettava il suolo con il tacco della scarpa, doveva essere parecchio annoiata.
“Hai ovviamente controllato che il padre non sia nei paraggi, mi auguro”
All’orecchio gli arrivò un sibilo offeso: “… E cosa avrei fatto in tutto questo tempo altrimenti…?
Julius scrollò le spalle: “Preferisco non correre rischi.” Poi, si stampò il suo miglior sorriso sulle labbra e le andò incontro.
“Buon verobuio, mea domina. Mi auguro che la mia presenza non vi risulti importuna”
Corinna spostò lo sguardo dalla bevanda a lui, piacevole sorpresa negli occhi marroni: “Credevo che aveste avuto un contrattempo e che non sareste venuto. Stavo per andarmene”
L’uso del ‘voi’ era una consuetudine adottata in pubblico per una questione di comodità e di apparenze -nessuno dei due desiderava rendere troppo ovvia la loro frequentazione, per il momento-, ma Julius non poteva dire che gli interessasse: a parte il sottile fastidio che quel gioco di specchi gli procurava, mettere un vetro tra sé e la ragazza gli sembrava la soluzione migliore per se stesso e per lei.
Soprattutto per se stesso.
“Non avrei mai potuto abbandonarvi qui, sola, senza neanche un avvertimento,” accennò un inchino “anzi, mi scuso per il ritardo, ma rintracciarvi in mezzo alla folla è stato più difficile del previsto”
Lei per tutta risposta sorrise, un sorriso che lasciava intendere un’offesa simulata, e si liberò del calice appoggiandolo sul vassoio del primo cameriere di passaggio. Poi, estrasse un ventaglio di carta colorata dalle pieghe del vestito e lo usò per farsi aria con ostentata indifferenza: “Dominico ha una certa reputazione come cattivo ospite: non mi sarei stupita se si fosse dimenticato di mandarvi l’invito o cose del genere. Certo, il tenore generale della festa è più o meno il medesimo:  noioso e di cattivo gusto. Avrò ben poco da raccontare nei prossimi cambi, temo”
Julius si impose di non alzare gli occhi al cielo, riconoscendo in quel commento una silenziosa accusa alla sua persona per non aver saputo trovare un luogo migliore dove incontrarsi. La replica sarebbe potuta essere che non riteneva la compagnia di Corinna degna di atmosfere più elevate, ma, per quanto veritiera, sarebbe stata controproducente.
“Il talento del narratore è spesso più importante dei fatti narrati. Anche l’episodio più blando può divenire avvincente se dipinto con abili parole”
“Voi mi reputate tale?”
Io non ti reputo nulla.
“Non ho ancora speso abbastanza tempo in vostra compagnia da poter esprimere un giudizio sincero, ma mi auguro di averne presto la possibilità”
Corinna rise, lusingata dall’implicita richiesta di attenzioni, e Julius non poté evitare di equiparare quella risata al rumore di un gesso sbeccato su una lavagna. Il pensiero di passare gli anni a venire in sua compagnia era, per porla in maniera diretta, tutto tranne che piacevole.
Ma non era nella posizione di poter scegliere in base alle proprie preferenze ed il compromesso era accettabile.
La mano della ragazza andò a controllare l’acconciatura, in un gesto che lui le aveva già visto compiere svariate volte da quando la conosceva e che attribuiva più ad un tic nervoso che ad una vera necessità, e poi si fermò sull’attaccatura del collo. Ella poi socchiuse le labbra colorate di rosso e sbatté le ciglia, aspettando che fosse il suo interlocutore a continuare il discorso: Julius, da parte sua, era più che altro ansioso di porle qualche domanda.
“E dunque, vi sembra che i festeggiamenti di questo verobuio valgano il motivo?” Corinna lo guardò interrogativamente, spronandolo a chiarirsi: “Intendo dire se vi ritenete soddisfatta dai risultati delle elezioni”
Lei scrollò le spalle: “Immagino di sì, anche se non ho una vera opinione in proposito. Fulvio non è stato entusiasta del successo dei cugini Flavii -non si è mai sentito che due familiari così stretti competano insieme per la carica più alta dello Stato, ha detto-, ma non sembra che ci siano i presupposti per presentare rimostranze al Senato”
“L’elezione di Municio però dovrebbe averlo in parte rassicurato”
“Sì,” disse lei, strascicando la ‘ì’ finale in modo da accentuare il suo disinteresse -e il suo implicito desiderio di cambiare argomento- “mi ha detto che lui e il fratello minore del nuovo questore sono in buoni rapporti.” Aggrottò la fronte “O forse era il cugino? In questo momento non ricordo. Potrei essermelo sognato: come ben sapete, gli intrighi politici hanno la cattiva abitudine di favorirmi il sonno”
Julius sentì l’ombra fremere sotto i suoi piedi: “Beh, allora è una fortuna che non siate voi a dovervene occupare, in famiglia, soprattutto con il compleanno di vostro fratello ormai prossimo. Ventitré, giusto?”
“Precisamente,” la ragazza storse la bocca ed emise un suono a metà tra il gemito e il sospiro “Mi chiedo però come mai gli interessi di Fulvio occupino così tanto i vostri pensieri. Qualcuno , certamente in malafede, potrebbe pensare che sia lui il reale destinatario dei vostri affetti”
Il sorriso di Julius si allargò impercettibilmente: “Sarebbero solo malelingue. Confido che, nel caso, voi siate abbastanza certa delle mie intenzioni da non prestare loro orecchio”
Corinna gli si avvicinò e fece scivolare una mano sotto il suo braccio: “Dipende,” arricciò le labbra “mi avevate promesso un ballo, quando ci siamo dati appuntamento”
“Anche se la musica non è di vostro gradimento?”
“Soprattutto per quello: se non si posso trarre piacere dal semplice ascolto, dovrò ripiegare sulla danza. D’altronde, è nostro dovere approfittare di quel po’ di oscurità rimasta, prima che il Semprevigile ritorni in cielo”
Julius fece passo in avanti, senza che il suo sguardo lasciasse quello di lei: “Su questo, mea domina, non posso che trovarmi completamente d’accordo con voi”



❊❊❊

 

I festeggiamenti non si erano ancora conclusi quando, svariate ore dopo, Julius riuscì a congedarsi da Corinna, palpebre pesanti e un gran mal di testa. Uno dei -pochi- vantaggi di risiedere in una casa al limitare della città era però che, lontano dalle Costole e dunque dall’epicentro del potere, il luogo era silenzioso e tranquillo, al punto da poter udire il suono del proprio respiro. La via per accedervi era di sua esclusiva proprietà, privata e riparata da sguardi indiscreti, e i rumori venivano attutiti dalle alte costruzioni in lontananza. Certo, Julius avrebbe di buon grado ‘sopportato’ il chiasso se questo avesse significato essere in una posizione prominente nel panorama politico itreyano, ma vedere il bicchiere mezzo pieno era l’unica cosa che gli impediva di paragonare costantemente il suo alloggio attuale a quello in cui aveva risieduto da bambino, talmente vicino agli appartamenti consolari da poterli quasi toccare. Non avrebbe saputo dire se il disprezzo che provava per la sua attuale sistemazione derivasse da effettivi difetti -che comunque impallidivano, di fronte alle medie condizioni di vita della popolazione- oppure più semplicemente dall’umiliazione che gli bruciava la pelle osservando altre familiae di midollani prendere possesso di ciò che un tempo era stato suo. E doveva anche riconoscere, con sommo fastidio, che la sorte lo aveva quasi aiutato: se il precedente proprietario di quella villa non fosse andato in bancarotta, meno di un anno prima, e non l’avesse messa in vendita a meno di un quarto del suo valore, Julius non se la sarebbe mai potuta permettere.
La ruota della fortuna seguiva una traiettoria molto curiosa.
Lasciatosi alle spalle le altre abitazioni, troppo stanco per salire un gradino di più e sicuro che nessuno lo avrebbe visto, Julius si immerse nelle tenebre, passando 

da un’ombra all’altra

fino alla porta d’entrata.

Era un trucco difficile da replicare, con i soli che splendevano nel cielo, ma durante il verobuio sembrava che l’oscurità lo legasse a sé ancora più stretto del solito e il richiamo alle volte diventava troppo insistente e chiaro per non rispondervi. E, considerata la serata appena trascorsa, credeva di potersi permettere una piccola indulgenza.
… Soddisfatto…?” Una volta lontani da occhi indiscreti, Sussurro uscì dalla sua ombra e gli strisciò accanto, osservandolo mentre poggiava il vulto sul tavolino dell’ingresso e si versava un bicchiere d’acqua da una brocca di cristallo.
“Mi domando perché tu mi faccia così spesso domande di cui sai già la risposta,” rispose, spostando lo sguardo dalle sue mani alla stanza “nessuno nella mia situazione potrebbe dirsi soddisfatto”
… Corinna mi è sembrata ben disposta…
“Corinna è sempre ben disposta quando è al centro dell’attenzione. Sono le sue reazioni private a preoccuparmi.”
… Ti preoccupi della sua costanza…?
Julius fece un gesto infastidito con la mano: “Non ho bisogno che mi giuri eterna fedeltà. Mi basta che si incapricci abbastanza di me da poter contare sul suo sostegno quando chiederò la sua mano al padre: ha già dimostrato in passato di poter tenere testa ai suoi genitori per ottenere ciò che vuole. Quello che vorrà fare, una volta ufficializzato la cosa, mi interessa relativamente poco”
Se il matrimonio era un contratto -siglato da due parti per uno scambio interessato di sostanze e favori-, la pace coniugale si traduceva nel reciproco rispetto degli interessi altrui. E di certo non l’avrebbe sposata perché trovava stimolante la sua compagnia.
… Ti ho già detto come la penso…
“Sì. Ma dalla piega che sta prendendo la conversazione, mi sembra di capire che tu tenga a ripetermelo”
Julius si diresse in camera da letto, passando per la piccola anticamera che aveva adibito a suo studio personale -una stanza talmente piccola da contenere solo una scrivania, una sedia e una libreria, e con un’enorme finestra al posto della parete di fronte alla porta, che gli ricordava un’altra villa in cui aveva passato cinque lunghi mesi molti anni prima. In un’altra occasione, avrebbe passato qualche ora a studiare, ma era troppo stanco anche solo per leggere una parola scritta: tutto quello che desiderava era stendersi sotto le coperte e dormire, per quanto possibile.
… Disprezzi troppo le persone a cui ti vuoi legare, è evidente. Corinna non lo ha notato, ma gli altri…
“Tra tutti i difetti che potresti accusarmi di possedere, l’essere un pessimo bugiardo mi sembra uno dei più improbabili” La vista di Corinna e i suoi parenti effettivamente non lo entusiasmava -lei era vuota e viziata, e nei suoi genitori rivedeva una copia più ricca di quello che era stato Atticus-, ma se avesse deciso di avere a che fare solo con persone piacevoli avrebbe dovuto aprire un negozio di fiori, non darsi alla politica.
… Non dico che tu non sappia mentire, ma che se dovessi farlo di meno sarebbe più facile. Non sono neanche così in alto socialmente, vale davvero la pena di…
“Sedicesima Costola,” Julius si sedette sul letto, braccia tese all’indietro e sguardo fisso davanti a sé “sì, non è l’ideale, ma ho bisogno di una leva se voglio partecipare alle elezioni del prossimo verobuio e non posso sperare di venire eletto quaestor -figuriamoci venire eletto a ‘Grave- senza sostegno. Se presentassi la mia candidatura da solo,” rise, ma senza alcuna traccia di allegria nella voce “otterrei lo stesso effetto che se pregassi il Semprevigile per un miracolo.”
… E tu sei davvero sicuro che Fulvio accetterà di affiancarsi a te…
“Se diventassi il marito di sua sorella? Quasi di sicuro, anche solo per evitare le chiacchiere. È così che funzionano le cose di solito,” si passò una mano tra i capelli “Comunque sia, spero di essere stato sufficientemente convincente. Ancora qualche settimana -non più di un paio di mesi- e poi dovrei poter uscire allo scoperto.”
Si cambiò velocemente d’abito e si stese nel letto, mentre il suo compagno si arrotolava sul cuscino a meno di una spanna da lui: era un’abitudine ormai vecchia di anni e Julius aveva quasi dimenticato come fosse dormire da solo. Come fosse vivere in generale, senza Sussurro al suo fianco. 
E l’idea di ricordarselo portava con sé un retrogusto sgradevole.
… Dunque non ci resta che attendere…
“A dispetto della mia antipatia per l’immobilità,” Julius sospirò e strinse le labbra, per poi chiudere finalmente gli occhi “per il momento non abbiamo altra scelta”







1Aveva incontrato solo un’altra persona, in vita sua, che li avesse altrettanto neri e non desiderava ripetere l’esperienza.

2Per evitare che le cariche politiche più importanti venissero affidate ad individui senza esperienza, inadatti quindi a guidare e rappresentare lo Stato, i fondatori della Repubblica avevano predisposto un percorso obbligatorio, il cursus honorum, aperto ad ogni cittadino maschio libero che avesse raggiunto l’età prestabilita.
Il primo gradino era la candidatura a quaestor, una magistratura inferiore con l’incarico di occuparsi del tesoro pubblico e delle finanze statali, per cui ci si poteva candidare una volta compiuti i venticinque anni -ridotti a ventitré, se si era parte di una delle dodici familiae più antiche. I quaestores erano otto in totale, quattro nobili e quattro del popolo, e venivano eletti dai comitia populi tributa, suddivisioni elettorali attraverso cui i cittadini, midollani e non, eleggevano i loro rappresentati politici: a seconda del numero di voti ricevuti, le coppie di quaestores venivano assegnate a Godsgrave o ad una delle province della Repubblica -Liis, Vaan e le Isole Dweymeri-, che invece non avevano diritto di voto. Negli ultimi decenni, malgrado la Costituzione non dicesse nulla in proposito, i candidati avevano preso l’abitudine di presentarsi in coppia di fronte ai comitia, portando avanti una campagna elettorale combinata che permetteva agli elettori di predire come avrebbero lavorato insieme una volta al potere: qualche rimostranza era stata sollevata in passato, temendo che questo riducesse la libertà di scelta, ma l’efficenza aveva zittito le critiche e ormai presentarsi senza un collega era visto più come un segno di protagonismo che di buona volontà.
È ovvio che la magistratura più ambita fosse quella della capitale, che offriva più opportunità, prestigio e visibilità e che consentiva anche di rimanere nell’epicentro del potere. Una volta ottenuta la carica, infatti, i giovani assumevano di diritto il rango di senatori e iniziavano a partecipare a pieno titolo alla vita politica dello Stato: un’opportunità che andava, molto spesso, sprecata per coloro che assolvevano ai loro doveri lontano dalla città di ponti ed ossa. Senza contare che, in un’ottica altruistica troppo poco spesso considerata, rimanere nella propria città natale permetteva anche di rappresentare al meglio gli interessi della parte di popolazione responsabile della propria elezione.
Non credo vi stupirà sapere che, in tutta la storia della Repubblica, tutti i quaestores
eletti a Godsgrave erano sempre stati di famiglia nobile.




Note di fine capitolo: ed eccoci qui! La narrazione è ufficialmente iniziata. Allora, che ve ne pare di questo Julius cresciuto? Di sicuro è maturato rispetto al se stesso bambino e anche i suoi obiettivi sono cambiati rispetto alla prima parte della storia: spero che comunque sia riconoscibile, sia rispetto al se stesso tredicenne che alla sua versione adulta incontrata nel canon, a cui dovrebbe avvicinarsi notevolmente con il procedere di questa seconda parte. Come vedete, ho preso qualcosina dal cursus honorum romano, adattandolo alle mie necessità e a quel poco che sappiamo sulla politica itreyana; vi avviso che ci saranno... molti personaggi in questa seconda parte, ma mi auguro fortemente di riuscire a non farvi perdere. Dovendo costruire l'intero ambiente politico praticamente da zero, se non per quel paio di indicazioni che Kristoff ci ha lasciato nella sua narrazione, spero di non fare un disastro. 
Come sempre, un grande grazie anche solo a chi legge!
Alla prossima domenica!
(ps: io sto andando avanti con la stesura e sono in questo momento a buon punto del settimo capitolo)

   
 
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