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Autore: veronica85    11/10/2020    2 recensioni
AU No Foresta incantata. Seattle, Settima stagione. Canon Divergence a partire dalla 7x04 inclusa. E se i ricordi che i personaggi hanno acquisito tramite la maledizione non fossero falsi? Se la Foresta Incantata, la magia, i portali non esistessero e Ivy, Jacinda, Victoria fossero davvero i nomi dei personaggi che conosciamo e non semplici coperture? Come sarebbero le loro storie? Henry, Ivy e Jacinda, ognuno coi propri problemi e fantasmi: come le loro strade potrebbero incrociarsi? E come potrebbero, Lucy e Anastasia influenzare le loro scelte?
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anastasia Tremaine, Henry Mills, Ivy Belfrey/Drizella Tremaine, Killian Jones/Capitan Uncino, Lucy
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Il Writober incalza, io ho sempre meno tempo e sono sempre più indietro eppure non demordo e continuo a  provare a restare almeno non troppo indietro anche se tutto sembra cospirare contro di me. Tipo il prompt dell’8 ottobre (che poi è anche il compleanno di mio padre) che ha dovuto attendere due giorni per essere anche solo pensato e poi, quando finalmente è stato il suo momento non voleva decidersi a scriversi e l’ho dovuto cambiare.
Per questo giorno, riprendo in mano questa long, implementando un capitolo a cui pensavo da tanto. Forse non è esattamente come lo volevo, ma vediamo.
Edit del 04/01/2021: Capitolo completato, aggiungendo una scena iniziale.


Anche quella giornata era trascorsa più lenta del solito, come tutte quelle delle ultime due settimane. Per Henry Mills quella fine di luglio era decisamente un periodo “no”: non riusciva a scrivere come voleva, in taxi c’erano clienti fastidiosi e insolenti che lo costringevano a giri interminabili e ultimamente anche il suo appartamento aveva deciso di rivoltarsi contro di lui: giusto la sera prima aveva dovuto metterlo sottosopra da cima a fondo per trovare la pen drive (che era sicuro di aver lasciato accanto al pc, come tutti i giorni) dove conservava gli appunti dei suoi articoli e alcune foto. Ci aveva dovuto perdere ben due ore e alla fine quella dannata era spuntata sopra il letto, in camera, sommersa da lenzuola e vestiti di ogni tipo. Come fosse arrivata fino a lì andava sicuramente annoverato tra i grandi misteri dell’umanità. In ogni modo, finalmente sembrava essere tutto a posto e per la prima volta in quasi settantadue ore avrebbe potuto rilassarsi: si sarebbe scaldato la cena al microonde, poi avrebbe dedicato il resto della serata ad una maratona di Game of Thrones, che aveva lasciato parecchio indietro e non vedeva l’ora di recuperare. Gli Stark dovevano avere una gioia, non poteva sempre andare tutto male, giusto? Certo, che però… con un autore sadico come Martin… tutto era possibile, ormai.. Si era comprato i dvd e adesso aveva tutta l’intenzione di spararsi almeno metà della quarta stagione. Accese quindi il computer, collegandolo alla televisione e inserendo il primo dvd  ma, proprio nel momento in cui stava per premere “play” comodamente seduto sul divano, il campanello suonò: qualcuno aveva deciso che in quei giorni avrebbe dovuto abolire la parola relax, ormai era chiaro. Perché, quale altro motivo avrebbe potuto spingere chiunque a suonare alla sua porta alle 20:30?  Beh, sospirò alzandosi, presto lo avrebbe scoperto, giusto? Pochi minuti dopo Mr Peterson, il suo padrone di casa, faceva il suo ingresso in salotto.
«Buonasera, Charles, come mai questa visita? Se non sbaglio l’affitto te l’ho pagato la settimana scorsa…» o se ne era dimenticato? Poteva essere: era un po’ sfasato in quel periodo e gli poteva capitare di prendere per vere cose che in realtà non erano accadute, anche se… proprio per non rischiare segnava tutti i pagamenti e quello gli sembrava proprio che…
«Non sono qui per l’affitto, anche se in effetti devo parlarti della casa. Ci sediamo?» propose, dirigendosi verso il divano e accomodandosi sul lato destro: se anche non avesse detto nulla, sarebbe bastato quell’atteggiamento a far capre che quella casa era di Charles e lui non era nient’altro che qualcuno che per caso aveva incrociato la sua strada. Ovviamente Charles non lo faceva apposta, ma Henry era fin troppo abituato ad interpretare i comportamenti altrui per lavoro: dopotutto, era pur sempre uno scrittore. Che non scrivesse da qualche tempo era un dettaglio, prima o poi il periodo nero sarebbe passato  avrebbe ricominciato ed era buona norma non perdere l’allenamento. Scacciò quei pensieri: non era quello il momento di divagare.
«Vuoi qualcosa da bere?» propose: dall’orfanotrofio in cui aveva trascorso i suoi primi diciotto anni aveva imparato che l’ospitalità era sacra sempre, anche con chi, in realtà, non era un vero e proprio ospite e si presentava senza preavviso e, soprattutto, con motivazioni sibilline che mettevano ansia.
«No, grazie, sto a posto così. Sono venuto a dirti che… entro due mesi, al massimo tre, ho bisogno che mi liberi  l’appartamento. Ho avuto un imprevisto, mia figlia si sposa e voglio darlo a lei». Charles aveva snocciolato quelle parole con grande naturalezza, come fosse una cosa ovvia e scontata…. e probabilmente lo era anche: qualunque genitore avrebbe messo i propri figli davanti a degli estranei (tranne i suoi, per loro lui non era stato abbastanza importante) ed era ovvio che il suo padrone di casa preferisse dare l’abitazione a sua figlia piuttosto che a lui,  a prescindere dal fatto che fosse sempre stato un inquilino modello.
«Capisco. D’accordo, libererò l’appartamento il prima possibile». Non esisteva altra risposta, non nel suo caso: Charles lo aveva accolto dopo che la sua casa era bruciata, gli aveva dato un tetto quando si era trovato completamente solo, ignaro di cosa ne sarebbe stato della sua vita da quel giorno in avanti dopo che aveva di nuovo perso, senza appello, le uniche persone che erano state tutto il suo mondo.
Non avrebbe mai dimenticato il fumo che aveva visto uscire dalle finestre di casa l’otto aprile di due anni prima, i pompieri che domavano le fiamme, un medico che saliva a controllare, persone che lo trattenevano per impedirgli di seguirlo. Ricordava perfino che giorno della settimana era, - un dannato mercoledì- che tempo faceva e tutti i dettagli possibili immaginabili. E soprattutto, erano ben impressi nella sua mente i volti cerei di Abby e Lauren, già segnati dalla morte. La corsa disperata verso l’ospedale e l’arrivo dei soccorsi  a nulla erano valsi: il monossido di carbonio era già stato letale e il massaggio cardiaco e la somministrazione dell’ossigeno erano giunti troppo tardi, per madre e figlia non c’era stato niente da fare. E lui era arrivato in ospedale appena in tempo per vedere il dottore uscire dalla sala di rianimazione e cercare un familiare a cui comunicare il decesso. Ma non era quello il momento di perdersi in quei ricordi: Charles si era alzato e lo stava salutando con parole di circostanza che non era sicuro di aver registrato. Henry lo accompagnò alla porta meccanicamente salutando solo con un cenno del capo, poi richiuse la porta e in tre passi tornò ad accasciarsi sul divano
«Fantastico…. La perfetta conclusione della serata, mi mancava solo questo… e ora dove la vado a trovare una nova casa in meno di due mesi?». Scosse la testa, volgendo lo sguardo verso la cornice in cui una donna dai capelli rossi e una bambina con occhi e capelli castani sorridevano all’obiettivo. Si alzò, prendendo la cornice argentata tra le mani «Voi non vi sareste arrese, vero Lauren? Tu avresti detto che una soluzione si trova sempre e che evidentemente ero destinato ad un posto ancora migliore. Beh, vediamo se sarà così, ne riparliamo tra due mesi». Sorrise, riponendo la cornice nel posto che le spettava. Accanto al televisore, dove poteva sempre vederla appena entrava. Nella nuova casa avrebbe dovuto trovarle un altro posto. Ma ora, forse, era meglio andarsene a dormire e porre fine a quella giornata: dall’indomani sarebbero cominciati i problemi.
 
Casa/lavoro, lavoro/casa: questa era la routine tipica di Ivy Belfrey che, anche quel giorno, stava guidando annoiata per le strade di Seattle per eseguire alcune commissioni che sua madre le aveva affidato. Un giorno o l’altro si sarebbe rifiutata e avrebbe smesso di farsi sfruttare per quelle stupidaggini, se lo ripeteva di continuo, ma… ma quel giorno non veniva mai e anche quella mattina, quando sua madre l’aveva spedita a portare i vestiti in tintoria, poi in posta, in edicola e in una serie di altri posti che si era segnata, aveva chinato la testa e annuito, uscendo di casa per dirigersi alla lavasecco più vicina, fosse mai che perdesse troppo tempo e la sua Signora Madre si indisponesse. Ma quella, evidentemente, non era la sua giornata: la lavanderia era chiusa per turno, avrebbe dovuto cercarsene un’altra. Fantastico, come se avesse avuto voglia di perdere ancora più tempo per simili idiozie!
Sospirò: avrebbe fatto meglio a calmarsi o le sarebbe partito un embolo un giorno di quelli. Quindi, qual era la lavasecco più vicina? Controllando l’applicazione sul cellulare, scoprì che quella che avrebbe aperto prima si trovava a circa mezzo miglio da lì: beh, via, poteva andarle peggio, constatò risalendo in macchina e rimettendo in moto, imboccando una via segnalata dall’applicazione che lei mai avrebbe trovato da sola.. Raggiunse il luogo designato in breve tempo e stavolta fu fortunata: era aperto e funzionante, c’erano diverse macchine e una, ringraziando la sua buona stella, era libera. La raggiunse in men che non si dica aprendola e inserendovi i capi che aveva portato con sé: se tutto andava come aveva previsto, nel giro di mezz’ora avrebbe potuto andarsene. Alla sua sinistra, una ragazza poco più grande di lei con una valigia piena di roba: Ivy stimò che le sarebbero occorse due o tre ore per finire, probabilmente si era presa l’intera mattina libera per dedicarsi solo a quello. Alla sua destra, invece, c’era un ragazzo più grande di lei: capelli castani, fisico asciutto, stava trafficando con un’altra lavasciuga: non era il primo che incontrava ma.. beh, di solito i ragazzi buttavano vestiti alla rinfusa e a casaccio, questo sembrava sapere quel che faceva e usare un certo criterio. Sicuramente era sposato o aveva avuto una madre severa quanto la sua. Non lo aveva mai visto, ma non se ne stupiva: di solito non arrivava lì e le sue commissioni si svolgevano in orari in cui i comuni mortali erano a lavoro, per cui era tutto perfettamente nella norma. E comunque non era così importante, di certo non le sarebbe più capitato di incrociarlo.
O almeno ne fu convinta per l’ora e mezza successiva: la fila alla posta era stata interminabile, tutto per accontentare un capriccio di sua nipote, così Ivy stabilì di concedersi una pausa e andare a prendersi un meritato ginseng ristoratore. Il bar di Roni era lì vicino, dopotutto e non ci avrebbe messo più di una decina di minuti.  Parcheggiò ed entrò e… toh, guarda chi c’è al bancone a ritirare un caffè, un paio di panini dall’odore sospetto e qualcos’altro di non ben identificato! Lo stesso sconosciuto! Chi l’avrebbe mai detto? Seattle era una grande città, incontrare la stessa persona nel giro di poco tempo non era da tutti. Magari uno dei due stava inconsciamente seguendo l’altro.
Via, non essere sciocca, è ovvio che sia soltanto una coincidenza e niente di più si rimproverò mentalmente, attendendo il suo turno e osservando lo sconosciuto andarsene con il suo cibo nel sacchetto. Quella era, evidentemente una cosa che non avevano in comune, lei non avrebbe mai ordinato del cibo in quel posto. Piuttosto aveva imparato a cucinare quelle quattro cose che si concedeva di mangiare e che sua madre approvava.
«Un ginseng da portare via». Questo era uno strappo alla regola che si concedeva ogni mattina e che le permetteva di accumulare abbastanza resistenza da sopportare  sua madre per tutto il giorno. Roni glielo preparò con una smorfia: sapeva di starle antipatica, era la figlia di sua madre, dopotutto, e sua madre teneva in pugno mezza città, che si aspettava? Se ne era fatta una ragione, ormai e non si aspettava cambiamenti di alcun tipo. Fu per questo che non le chiese nulla del ragazzo che aveva servito poco prima di lei: anche se Roni l’avesse conosciuto non l’avrebbe certo detto a lei, piuttosto avrebbe preferito parlarne con Jacinda. Ok, ora era infantile, in questo sua sorella non c’entrava e non era giusto metterla in mezzo. Trattenne uno sbuffo, lasciò i soldi sul bancone ed uscì, diretta all’edicola: doveva prendere i giornali per la rassegna stampa, poi passare in posta e andare a prendere il caffè per sua madre. avrebbe potuto prenderlo da Roni, ma poi chi l’avrebbe sentita, Victoria, se gliel’avesse portato freddo? Meglio non pensarci. Giunta all’edicola, rimase di sasso: c’era di nuovo quel tipo! Possibile? Ma chi era? E perché quel giorno sembrava destinato a incrociare così spesso la sua strada? Beh, l’importante era che non fosse uno stalker ma poi… perché mai? Che motivo avrebbe avuto di stalkerare proprio lei?
Si concentrò a guardare i giornali, cercando di scegliere le solite testate, ma una voce la distolse dal suo compito.
«Visto che è già la terza volta che ci incontriamo, oggi, che ne dici di presentarci? Sono Henry Mills». Ivy alzò gli occhi, incontrando il viso del ragazzo che aveva incrociato per ben tre volte in poco più di tre ore e per un breve istante rimase senza parole: era davvero carino e anche gentile, quanto ci avrebbe messo a scappare? Beh, magari se lei non avesse fatto l’acida…
Strinse la mano che lui le stava porgendo «Ivy Belfrey, piacere Di solito non passo in questi posti a queste ore, oggi è stata una coincidenza e.. ammetto che mi è sembrato strano incontrarci così spesso»
«In realtà anch’io oggi ho cambiato strada: quella che prendo di solito da casa mia alla lavanderia era chiusa per lavori che non so e ho deciso di andare in quella che hai scelto anche tu… e il resto è venuto da sé. A dire il vero, sto cercando una nuova casa perché il mio padrone di casa mi darà lo sfratto a breve e, beh…» Un silenzio imbarazzato calò tra i due solo per un istante «Scusa, non so neanche perché ti dico questo, fai finta di niente. Arrivederci» si congedò Henry, allontana dosi rapidamente. Ivy, dal canto suo, era rimasta interdetta: le ci era voluto qualche secondo per registrare tutte le parole del suo interlocutore dando a lui il tempo di allontanarsi un po’. Per questo allungò il passo, sperando che non le si rompesse un tacco proprio in quel momento.
«Aspetta! Henry Mills!» lo chiamò. Aggiungere il suo nome fu un’idea dell’ultimo secondo che ottenne il risultato sperato: l’uomo si fermò, voltandosi nella sua direzione. Lei lo raggiunse poco dopo, tirando un po’ il fiato.
«Ecco… hai detto che stai cercando una nuova casa e… beh… in agenzia ne abbiamo tante, magari c’è anche qualcosa che fa al caso tuo. Puoi passare quando vuoi, se vuoi vedere qualcosa, c’è sempre qualcuno che può darti una mano» concluse, deglutendo.
Henry prese ta le dita il bigliettino che lei gli porgeva leggendolo. «Belfrey Industries…. Grazie, ma… non credo di potermi permettere il vostro onorario»
«Oh, beh… allora come non detto, scusami, non ci ho pensato». Già, lei non pensava mai a certi dettagli, mettersi nei panni di persone di classe sociale inferiore le era estremamente difficile. E ora aveva anche offeso quel ragazzo e, di certo, allontanato un’altra persona che avrebbe potuto far parte, in qualche modo della sua vita. Eppure aveva cominciato così bene! Era meglio non pensarci, però.
«Però… magari potrei venire a vedere gli annunci…. Soprattutto perché ne ho davvero urgenza, in realtà. E almeno comincerei a farmi un’idea un po’ più chiara».
Ivy si bloccò, voltandosi di nuovo verso di lui, l’espressione distesa. «Potresti, sì: venire a vedere qualche annuncio non è impegnativo, solo se compri o affitti con noi devi pagarci una parte.»
«D’accordo, allora, credo che ci vedremo lì in giornata. A più tardi, Ivy» la salutò Henry, tornando sui suoi passi e avvicinandosi alla sua macchina: prima aveva delle cose da concludere, ma sarebbe passato alle Belfrey Industries quanto prima. Dal canto suo Ivy, dopo averlo salutato a sua volta, girò i tacchi con un sorriso stampato sul volto: chi l’avrebbe mai detto che cambiare strada avrebbe potuto portare una simile novità? E ancora non sapeva fino a che punto tutto nella sua vita sarebbe cambiato, a partire da quel giorno.
   
 
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