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Autore: Tetide    19/08/2009    3 recensioni
Oscar lavora presso una grande compagnia farmaceutica nella Parigi odierna: l'ambientazione è quella dei nostri giorni, ma i personaggi di Versailles no bara ci sono tutti, anche se in una cornice diversa e un pò insolita. E in più c'è una novità: un nuovo personaggio, dal tormentato passato, che entra a far parte della compagnia dei nostri eroi, conoscendoli meglio, e facendo conoscere anche a noi le loro vicende passate personali. Un esperimento se volete, ma ci tengo molto: ditemi se vi piace.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 7 CAPITOLO 7


“Andiamo, André, muovi di più quelle gambe! Sembra che tu stia pestando l’uva per farci il vino!”.
Alla battuta di Nicholas risero tutti di gusto.
L’idea di Antoinette di fare una lezione di ballo sulla barca aveva riscosso abbastanza successo, ed ora tutti quanti, sgombrato il ponte dai mobili, stavano dandosi da fare sulle note della canzone ‘A camisa nera, un successo estivo di qualche anno prima.
C’era un sole magnifico, degno di una giornata di pieno Agosto, ed una leggera brezza accarezzava la superficie delle onde, mentre la barca era attraccata in una caletta della Corsica.
Oscar ed il marito ce la stavano mettendo tutta, ma la propensione di André al ballo aveva, finora, sortito scarsi risultati.
Rosalie non partecipava: si era seduta sul bordo della barca ed osservava gli altri agitarsi, battendo il ritmo della musica con la mano sullo scafo.
Oscar indossava un olimpionico bianco e nero; in tralice, guardava perplessa la collega Madeleine, ricordando una conversazione avuta la sera prima con Antoinette e Louis.
                           
                                                      **********

“Dobbiamo far qualcosa, sorella!” le stava dicendo Antoinette, “Mad si sta portando dietro un peso atroce, e magari per uno che non la merita affatto!”.
Lei era rimasta perplessa: “Se anche fosse così, sono affari di Madeleine, questi!”.
Louis era rimasto in silenzio, seduto sul divano blu, lo sguardo perso nel vuoto; ad un tratto, sospirò.
“E’ così… atroce veder soffrire qualcuno!”, sbottò;
Oscar gli si avvicinò “Capisco quello che vuoi dire. Perdere qualcuno che si ama è terribile, e nessuno lo sa meglio di te; ma non sempre possiamo aiutare chi si trova nelle nostre stesse condizioni, se questo non vuole farsi aiutare”,
“Ma cosa dici, Oscar? Se fino a qualche giorno fa eri proprio tu a voler intervenire per aiutare Madeleine! Hai cambiato idea, per caso?”.
Oscar gli si sedette accanto “No, Louis, non ho cambiato idea. Ma non vorrei farle…una sorta di violenza, ecco! E’ evidente che lei pensa ancora intensamente a questa cosa che la fa molto soffrire, e noi, con i nostri discorsi,  non abbiamo fatto che alimentare il suo dolore. Se vogliamo davvero aiutarla, dobbiamo aspettare che sia lei ad aprirsi!”,
“E se non volesse farlo proprio?”;
Oscar guardò l’amico con un’ aria da madre paziente “Lei non è come te, Louis: nella sua sofferenza non devi vedere la tua, anche se so che è la prima cosa che istintivamente ti verrebbe da fare”.
L’uomo aveva reclinato il capo, sconsolato.
“Non è giusto… lei è così… bella… così giovane...”.
Oscar passò una mano fra i capelli dell’amico “Senti, vuoi davvero aiutarla? Allora, fallo nell’unico modo possibile: falla divertire! Dobbiamo divertirci tutti, è estate! Sbaglio, o siamo qui per questo?”.

                                                   **********

“O.K.! Basta con la salsa! Adesso passiamo ad un bel merengue!” Nicholas andò a cambiare il disco.
“Su, muovete le chiappe, pigroni!”.
Tutto il gruppo mugugnò fingendo seccatura; in fondo al gruppo, Madeleine sorrise.
Louis si passava continuamente le mani fra i lunghi capelli “Fate senza di me, io vado a fare uno shampoo” e rientrò.
Antoinette si avvicinò a Madeleine.
“Non sei ancora stanca? Incredibile!”. L’altra la guardò.
“Dove hai preso quel bel costume firmato?”,
“Questo? Oh, in una boutique di Parigi, era in svendita l’anno scorso!”,
“E’ molto bello, sai?”.
Antoinette si tolse il pareo “Però così mi viene molto meglio a ballare!”, disse.
Axel aveva fatto coppia fissa con Jeanne fino a quel momento, ma adesso si avvicinò alla moglie e la prese in braccio.
“E se invece facessimo un bagno, signora?”.
I due attaccarono a ridere sommessamente; Madeleine li guardava, con aria triste.
“Non dirmi che un po’ li invidi” Oscar le si era avvicinata; lei si voltò.
“Forse. Voi… sembrate tutti così… felici!”; Oscar aggrottò le sopracciglia “Tutti? Proprio tutti?”,
“Sì, lo so: non Louis ed Alain. Ma nonostante il suo peso, Alain cerca di reagire; Louis, invece no”.
Oscar la guardò senza parlare.
Tu e lui avete molte più cose in comune di quanto crediate, pensò.
“Non è stato sempre così, sai” disse Oscar rivolta alla collega, “anche ognuno di noi ha avuto i suoi fantasmi privati da scacciare o le sue gatte da pelare; e ti assicuro che non è stato affatto facile”.
Madeleine la guardava “Parli di te ed André?”; Oscar sospirò e si voltò verso la distesa azzurra.
“Esattamente”.

                                                **********

Io ed André siamo cresciuti praticamente insieme, in una casa vicino Arras; io ero la maggiore delle figlie di mio padre, e lui era orgoglioso di me: per nulla al mondo lo avrei voluto deludere.
Mi parlava sempre delle sue campagne militari condotte in gioventù; io lo stavo ad ascoltare per ore, incantata: volevo diventare come lui.
Ma ad Arras avevo poche speranze: che possibilità possono esserci, in provincia, per una ragazzina piena di voglia di fare? Giocavo a calcio con i maschietti, e molte volte vincevo io, ma nessuno sembrava intenzionato a darmi retta quando dicevo che volevo fare qualcosa di serio, da grande: solo mio padre lo faceva.
Quando ci trasferimmo a Parigi a causa del lavoro di mia madre, papà chiese di diventare addestratore per i reparti speciali dell’esercito: per me, divenne una sorta di divinità, forte, grande ed irraggiungibile.
A Parigi stavo bene, molto meglio che ad Arras, non fosse stato che per una cosa soltanto: mi mancava André.
Durante tutta la mia infanzia, lui era stato il solo a dare corda alle fantasie un po’ troppo fuori dall’ordinario di quella bambina che ero io: era il solo ad apprezzarmi, era mio fratello (nonostante fosse già nata Antoinette), era la mia ombra; mi diceva sempre: “Tu sei la luce, io sono l’ombra”. Eravamo inseparabili.
Non riuscivo ad immaginare la mia vita senza di lui; e fu per questo che, una volta arrivata a Parigi, sotto questo aspetto fu dura: mi sentivo come tagliata a metà, come se fossi stata privata della metà di me stessa.
Intanto, ero un maschiaccio: continuavo a giocare a calcio, a vestirmi da ragazzo, a rifiutare di truccarmi o di andare a ballare con un ragazzo, ed avevo quasi diciotto anni.
Mia madre non si capacitava davvero di questo mio atteggiamento; continuava a dirmi che l’essere una donna non avrebbe mai, in nessun modo, potuto nuocere ai miei sogni; dunque, dovevo smettere di rifiutare la mia natura. Ma io non la stavo nemmeno a sentire.
Frattanto, anche mia sorella cresceva, e si faceva sempre più affascinante.
Io mi iscrissi all’Università, e due anni dopo lei mi seguì. Ma la grande sorpresa fu che all’Università ritrovai André.
Fu stupendo, per me, ritrovare il mio compagno di sempre, l’altra metà di me stessa; tornammo ad essere la luce e l’ombra, le due metà di una stessa mela, le due parti di un’anima sola: finalmente mi sentivo di nuovo completa, di nuovo me stessa.
Fino al giorno in cui mia sorella presentò a casa il suo fidanzato: era Axel.
Io persi letteralmente la testa, cosa che mi stava succedendo per la prima volta nella vita: mi accorsi di essere donna, o meglio di volerlo essere per lui, solo per lui; avrei fatto qualunque cosa, pur di aver per me sola quel ragazzo; e al contempo, mi sentivo terribilmente in colpa verso mia sorella.
Ed una sera, accadde il cataclisma.
Era una sera di Aprile; eravamo tutti ad una festa di compleanno di un’amica comune; Antoinette non c’era, aveva vinto una borsa di studio in Austria per alcuni mesi. Ma c’era Axel.
Quella sera, decisi che lo avrei fatto mio. Acquistai un bellissimo vestito da sera, di quelli che piacevano tanto a mia sorella e che io non avevo mai nemmeno guardato fino ad allora, mi truccai il viso con cura ed andai alla festa.
Lo avvicinai, in incognito: nessuno mi aveva mai vista conciata in quel modo, quindi ero più che sicura che non mi avrebbe riconosciuta subito. Ma mi aspettava una grande delusione.
Lo invitai a ballare e passammo del tempo assieme; poi, ad un tratto lui mi disse che somigliavo molto ad una persona che gli era molto amica, sua cognata Oscar.
Per me fu un colpo: non soltanto non mi aveva riconosciuta, ma ciò che aveva sempre provato per me era solo amicizia, anche se sincera: non aveva mai visto in me una donna di cui potersi innamorare! Mi sentii morire.
Stavo per scoppiare in lacrime, e fu allora che lui mi riconobbe, ma non gli diedi il tempo per parlare: scappai via.
Dove? Ma è ovvio: tra le braccia consolatrici del mio “compagno dell’anima”, André; piansi tutta la notte, abbracciata a lui, e lui cercò di consolarmi come poté, accarezzandomi, e dicendomi la più ovvia delle verità: che per essere una donna, una bella donna, io non dovevo essere diversa da quella che ero! Una verità che, a quel tempo, non riuscivo a credere.
André, il mio compagno dell’anima, il mio fratello, la mia ombra, fu per me la sola fonte di consolazione, anche quando Axel ritornò per un po’ di tempo in Svezia per sbrigare affari di famiglia.
Nel frattempo, Antoinette era tornata, ed aveva conosciuto un ragazzo goffo e timido, ma dal grande cuore, di nome Louis – no, non il “nostro” Louis – ed erano diventati grandi amici; la notizia della partenza di Axel la mandò su tutte le furie, questo poco prima della Laurea, e decise di rompere il fidanzamento; non appena laureata ed entrata all’Università, questa volta come docente, lo mise davanti ad un ultimatum: o torni qui, o mi sposo con un altro!
Axel avrà avuto i suoi motivi per non poter tornare, e così Antoinette, per fargli un dispetto, si sposò con Louis, il suo grande amico; sperava che l’amicizia potesse far funzionare un matrimonio, ma non fu così: suo marito, divenuto un valente avvocato, stava via sempre più spesso, trascurando lei ed il figlio che, intanto, avevano avuto; era molto freddo con lei.
Dopo un paio di anni circa, Axel ritornò, per insegnare anche lui nella stessa Università di Antoinette, quella in cui entrambi avevano studiato; così si trovarono ad essere colleghi, a vedersi ogni giorno, e l’antico amore, complice anche la freddezza di mio cognato Louis, si riaccese.
Ma la cosa più importante dovuta al ritorno di Axel accadde a me: un pomeriggio, ci incontrammo in un caffè, ed avemmo un franco colloquio.
Lui mi disse che era profondamente dispiaciuto di avermi ferito ed umiliato, e mi chiese se adesso io avessi un altro uomo accanto a me; io risposi di no.
“Male, molto male!” disse lui, “Possibile che tu non ti accorga che la felicità è accanto a te? Che l’unico uomo fatto per te, quello che puoi veramente amare ti sta vicino ogni giorno, presenza silenziosa eppure indispensabile, talmente vicino da sembrarti quasi naturale averlo accanto a te? E’ forse per questo che non ti accorgi di lui?”. Naturalmente, stava parlando di André.
Lui aveva capito molto tempo prima di me i sentimenti che da sempre André provava nei miei confronti, e si stupiva che io non me ne fossi accorta, nemmeno dopo tanto tempo. Le sue parole mi fecero riflettere, e fu allora che capii: io ed André eravamo fatti l’uno per l’altra! Quel mio sentirmi completa accanto a lui, quel senso di vuoto se lui mancava e di sicurezza se invece c’era, era un qualcosa che andava ben al di là di una fraterna amicizia: era amore! “Tu sei la luce, io sono l’ombra”: per una vita ce lo eravamo detti, ed André sapeva bene che quelle parole avevano un significato profondo per entrambi, molto, molto più di quanto io credessi! Solo allora lo capii! Ma fortunatamente non era troppo tardi: io ed André diventammo una coppia, lui era l’unico uomo che io potessi davvero amare, perché era stato da sempre l’unico ad apprezzarmi e ad amarmi per come ero veramente, ed anch’io lo amai con tutta me stessa.
E, inutile dirlo, rimasi per sempre grata ad Axel, che mi aveva aperto gli occhi: fui immensamente felice quando, divorziata da Louis, Antoinette lo sposò.
Poi, trovai lavoro alla Alpha-Beta, ed io ed André ci sposammo; è grazie a lui che, adesso, sono orgogliosa di essere una donna, “una donna vera, bellissima e forte”, come dice lui, come lui mi ha insegnato ad essere: non più un maschiaccio, anche se la grinta dei tempi andati non si è affatto perduta, anzi col tempo si è pure rafforzata! André mi ha insegnato che la mia è una femminilità forte, e mi ha insegnato ad amarla, ed a lasciarmi amare.
La sola cosa che ho cambiato rispetto ad allora è il modo di vestire: più femminile, come si conviene in un ufficio (te la immagini la faccia di Victor se mi vedesse combinata da ragazzo di borgata?!?), anche se non è femminile come il tuo o quello di mia sorella o Jeanne, ad esempio!

                                                 **********

Oscar tirò un profondo sospiro.
“E questa è la fine della storia!”, disse, lo sguardo ancora rivolto al mare.
“E’ molto bella, sembra una favola!”, le rispose l’altra; Oscar la guardò.
“Se te l’ho raccontata, è per dirti che tutti noi abbiamo i nostri scheletri nell’armadio, ma prima o poi tutto cambia:  nessuna felicità, di per sé, è dovuta, ma deve essere conquistata; tutti i tormenti sono destinati a finire, perché si può, e si deve, RICOMINCIARE A VIVERE!”.
Oscar si accorse che gli occhi dell’amica si erano fatti lucidi; “Grazie!”, le disse “Ti ringrazio davvero, Oscar! Come vorrei che fosse vero… anche per me!”, si asciugò una lacrima.
“Ragazze! E’ ora di pranzo! Venite a mangiare o no?” Rosalie aveva fatto capolino dalla dinette.
“Arriviamo subito!”, Oscar si alzò “Vieni, Mad?”.

                                                   **********

Il pranzo fu un momento di allegria, come sempre: Nicholas continuava a scherzare sulle doti di ballerino di André, e questo, dal canto suo, lo rimbeccava della vasta gamma di gemiti e mugolii che Nicholas faceva emettere alla moglie quasi ogni notte, tenendo sveglia tutta la barca.
Tutti ridevano, luminosi come quella giornata estiva; solo tre figure non condividevano l’allegria degli altri: si trattava di Madeleine, la quale, sebbene si sforzasse di sorridere, continuava a manifestare palesemente sul viso il suo stato di tormento interiore; Louis, il cui sguardo triste e cupo rabbuiava anche la loquace Antoinette, che gli sedeva accanto; infine c’era Alain, che sorrideva di un sorriso triste, ma almeno sorrideva.
“O.K.!” Rosalie si alzò “Ognuno porti il suo piatto nell’acquaio; Bernard, ti dispiace azionare la lavastoviglie, mentre io ripongo i resti delle leccornie del nostro André nel frigo?”;
Axel si stiracchiò “Qual è il programma per questo pomeriggio?”,
“Dobbiamo andare in paese, alle poste, per telefonare a casa!” gli rispose Oscar “I nostri figli si staranno preoccupando per noi. C’è qualcun altro che vuole venire?”.
“Vengo io con voi, debbo chiamare mio padre, in pensionato” esclamò Nicholas.
Madeleine si alzò dal suo angolo, silenziosa come sempre “Vengo pure io: debbo dare un colpo di telefono a mia madre per dirle che sto bene”,
“D’accordo, allora: andiamo tutti!” concluse Oscar.

Raggiunsero il paese intorno alle cinque, mentre il sole squillante delle ore centrali della giornata stava iniziando ad abbassarsi; gli altri avevano preferito rimanere in barca a riposare un po’.
Oscar ed André furono i primi a telefonare.
“… E che ti sta raccontando il nonno? Davvero? Addirittura questi particolari macabri? Quando torno mi sente!” Oscar fingeva un tono tra lo scherzoso e l’arrabbiato. André sorrideva.
Poi fu la volta di Antoinette, accompagnata da Axel, che aveva voluto dare un saluto al figlio adottivo; toccò poi a Nicholas.
“Roba da non credere: adesso, nei pensionati, fanno fare ginnastica! Certo che se la passano meglio di noi, là dentro!”, disse l’uomo mettendo giù il telefono “Madeleine, è il tuo turno!”, le gridò poi.
La ragazza era rimasta seduta in un angolo, mentre tutti gli altri stavano a discutere fra loro; a sentire il suo nome, si alzò ed andò all’apparecchio.
Prese la cornetta e compose il numero; gli altri si allontanarono per delicatezza; Oscar continuava ad osservarla.
Notò che la conversazione era piuttosto lunga, e che man mano che andava avanti, sul viso dell’amica stava producendosi quella che si potrebbe definire una trasformazione: il volto diventava più luminoso, i tratti più distesi, come di chi abbia ricevuto una stupenda notizia di cui non si era aspettato l’arrivo. Quando mise giù il ricevitore e venne verso di loro, aveva lo sguardo che le brillava ed il passo così leggero che sembrava non toccare nemmeno terra.
Arrivò dietro Antoinette e Nicholas, mettendo loro le mani sulle spalle
“Allora, si va? Ho voglia di fare un tuffo tutti insieme!”.
Oscar sorrise, ripensando alle parole che le aveva dette quella mattina.
Non credevo si sarebbero realizzate tanto presto, pensò.
Per tutto il tragitto verso la barca, continuò ad osservare Madeleine, la quale, sebbene sempre un po’ triste, sembrava finalmente sgravata di un peso.
E qualunque cosa fosse successa, Oscar ne ringraziò il Cielo per lei.

 
    
  
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