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Autore: Cardiopath    12/10/2020    0 recensioni
[Joker (2019)]
❝ 𝘞𝘦'𝘭𝘭 𝘯𝘦𝘷𝘦𝘳 𝘨𝘦𝘵 𝘧𝘳𝘦𝘦
𝘓𝘢𝘮𝘣 𝘵𝘰 𝘵𝘩𝘦 𝘴𝘭𝘢𝘶𝘨𝘩𝘵𝘦𝘳
𝘞𝘩𝘢𝘵 𝘺𝘰𝘶 𝘨𝘰𝘯' 𝘥𝘰
𝘞𝘩𝘦𝘯 𝘵𝘩𝘦𝘳𝘦'𝘴 𝙗𝙡𝙤𝙤𝙙 𝙞𝙣 𝙩𝙝𝙚 𝙬𝙖𝙩𝙚𝙧? ❞
Genere: Dark, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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breve avviso per capire il capitolo: ogni "pezzo" del capitolo diviso da una partizione apposita è narrato da un punto di vista diverso, alternando tra la nostra OC e Arthur. Spero di esser riuscita a rendere la sua personalità in maniera decente, mi sono resa conto che è un personaggio super difficile da scrivere. hope you enjoy xoxo ]

 

────◇────

 

𝐖𝐞'𝐥𝐥 𝐧𝐞𝐯𝐞𝐫 𝐠𝐞𝐭 𝐟𝐫𝐞𝐞

𝐋𝐚𝐦𝐛 𝐭𝐨 𝐭𝐡𝐞 𝐬𝐥𝐚𝐮𝐠𝐡𝐭𝐞𝐫

𝐖𝐡𝐚𝐭 𝐲𝐨𝐮 𝐠𝐨𝐧' 𝐝𝐨

𝐖𝐡𝐞𝐧 𝐭𝐡𝐞𝐫𝐞'𝐬 𝐛𝐥𝐨𝐨𝐝 𝐢𝐧 𝐭𝐡𝐞 𝐰𝐚𝐭𝐞𝐫

 

𝐓𝐡𝐞 𝐩𝐫𝐢𝐜𝐞 𝐨𝐟 𝐲𝐨𝐮𝐫 𝐠𝐫𝐞𝐞𝐝

𝐈𝐬 𝐲𝐨𝐮𝐫 𝐬𝐨𝐧 𝐚𝐧𝐝 𝐲𝐨𝐮𝐫 𝐝𝐚𝐮𝐠𝐡𝐭𝐞𝐫

𝐖𝐡𝐚𝐭 𝐲𝐨𝐮 𝐠𝐨𝐧' 𝐝𝐨

𝐖𝐡𝐞𝐧 𝐭𝐡𝐞𝐫𝐞'𝐬 𝐛𝐥𝐨𝐨𝐝 𝐢𝐧 𝐭𝐡𝐞 𝐰𝐚𝐭𝐞𝐫

 

────◇────

 

Il secondo incontro con Arthur Fleck fu ben più significativo.

Non aveva mai creduto alle coincidenze, la sua indole romantica veniva spesso a scontrarsi col suo senso pratico, arenandosi contro la necessità di agire e ragionare in maniera concreta per necessità, al fine di sopravvivere in un mondo che lasciava ben poco spazio ad inutili fantasticherie. Eppure, ecco che ancora una volta l'universo riusciva a dimostrare quanto fosse complesso il suo funzionamento – o quanto semplice, a seconda dei punti di vista.

Gotham, dopotutto, non era che una città: un'enorme metropoli, per certo, ma dotata come tutte le altre sue simili di confini ben precisi, nonostante nell'immaginario comune venissero accettati come barriere invalicabili, o addirittura irraggiungibili. Si diceva che Gotham ingurgitasse qualunque cosa o persona vi mettesse piede, senza mai lasciarla veramente andare.

Una volta dentro, ci si era per sempre.

Per questo motivo non si sorprese poi così tanto nello scorgere quei capelli trasandati e quei tormentati occhi nella la folla, che, quella volta, spiccarono tra gli altri come lucciole nella notte. Avrebbe voluto avvicinarsi sin da subito, ancora una volta incuriosita, guidata da un'imperscrutabile attrazione che quasi riusciva a visualizzare nella propria mente come un filo luminoso che la conduceva a lui.

Per un momento, si lasciò cullare da quel candido pensiero, sentendosi così stranamente affine a quell'uomo che nemmeno conosceva.

Ma poi sembrò svegliarsi come da una trance, e i suoi pensieri si fecero sempre più petulanti ed opprimenti, quasi a volerla rimproverare per le sue sciocche fantasticherie. E se poi non l'avesse riconosciuta? Se si fosse dimenticato del suo viso, del breve scambio di battute sull'autobus? Sarebbe rimasta come un pesce fuor d'acqua, pronta ad esser derisa dall'intero stormo di passanti e magari anche dall'uomo stesso. Si sarebbe sentita patetica, come già era successo mille altre volte.

E poi quell'uomo nemmeno lo conosceva, e poteva non essere tanto suscettibile a sentimenti repentini come lo era lei - molti l'avevano derisa e canzonata per la sua eccessiva sensibilità, che la rendeva la pecora nera del gregge. Ormai aveva imparato a sopprimerla quanto più possibile. 

Eppure l'uomo non le era sembrato capace di commettere cattiveria alcuna, e forse era proprio quell'aria così inusualmente gentile di sommessa bonarietà che fomentava quel fulmineo e quasi morboso interesse. Forse era la sensazione e la flebile speranza di aver finalmente trovato qualcuno affine alla sua indole, non qualcuno da cui nascondersi, ma con cui capirsi. 

Poteva inoltre vantarsi di aver avuto da sempre una spiccata intuizione, coronata da una forte empatia che l'attraeva irrimediabilmente verso le anime buone e spassionate, senza ulteriore interesse dietro le proprie azioni che il desiderio di aiutare e aiutarsi – il che spiegava il motivo per cui si ritrovava più che mai sola in quella lugubre metropoli dimenticata da Dio.

Ma poteva sbagliarsi.

Le sue osservazioni nascevano da brevi, anzi brevissimi, attimi di contatto con quell'uomo che avrebbe tranquillamente potuto rivelarsi un criminale come tanti per quanto ne sapesse. 

Eppure ne dubitava.

Quando i suoi occhi catturarono lo sguardo dell'uomo, capì che tutti i suoi timori erano infondati. Il sorriso che graziò quel fragile volto le disse tutto ciò di cui aveva bisogno: l'aveva riconosciuta e lei non aveva nulla da temere. Come contagiata, sorrise serenamente, avvicinandosi al botteghino accanto cui l'uomo si era fermato. Non ebbe il tempo di preoccuparsi di cosa dire, per come salutarlo, perché quell'individuo che appariva così bizzarramente estraneo nel caos malevolo di Gotham City le porse, esitando solo per un attimo, la mano e si presentò con fare cordiale:

"Sono Arthur, Arthur Fleck. Tu eri sull'autobus..." disse incerto, come se non fosse poi così sicuro della propria affermazione. 

Non volendo rendere imbarazzante lo scambio, si accinse a rispondere prima che il silenzio si distendesse eccessivamente: "Sì, sì – mi ricordo."

Ricambiò la stretta e si presentò a sua volta, tentando al meglio delle sua abilità di non balbettare, né inciampare come suo solito sulle proprie parole. Si sarebbe odiata se fosse riuscita a rovinare quell'incontro per via del suo fastidioso problema.

Notò che l'uomo aveva un'aria molto più quieta di quando lo aveva visto per la prima volta, non del tutto rilassata, ma appariva sicuramente più a suo agio e se ne felicitò.

"Mi dispiace molto per quello che è successo sull'autobus, alcune persone riescono ad essere alquanto..." mille parole le vennero in mente per descrivere l'insensibile comportamento di gran parte della popolazione urbana, una meno gentile dell'altra.

"Non importa, sei stata l'unica a preoccuparsi per me, e ti ringrazio. Ciò che conta è continuare a ridere nonostante tutto, non credi?"

"E' sicuramente una bella filosofia di vita." sorrise, cogliendo sul volto di Arthur – pensò che le piaceva molto quel nome e che gli stesse a meraviglia - un'espressione, seppur incurvata in un sorriso, stanca e provata. In quel momento avrebbe voluto consolarlo, ma non sapeva bene né il perché né il come.

"Sai" continuò Arthur con una strana frenesia: "io sono un comico, mi piace far ridere la gente. Se ti va, qualche volta dovresti venire al mio show."

Per un attimo ci pensò, ancora preoccupata perché continuava a reprimandarsi che sì, quell'uomo era uno sconosciuto, che i suoi bei modi potevano facilmente rivelarsi una farsa per adescare vittime ingenue e che per l'amor del cielo, stavamo parlando di Gotham City dopotutto!

Arthur si accorse dell'esitazione che la ragazza probabilmente aveva spiattellata in viso, e aggiunse, leggermente sconsolato, ma senza perdere il sorriso: "Scusami, non avevo pensato a quanto losco potesse sembrare, ma non ho in mente nulla del genere, credimi. Mi farebbe piacere rivedere il tuo sorriso, come sull'autobus."

A quelle parole, sentì le proprie guance e le orecchie ribollire, e sapeva che probabilmente un rossore alquanto evidente avesse tinteggiato quegli stessi lembi di pelle in maniera assolutamente poco discreta. Da quando si era disabituata alla gentilezza disinteressata?

"Oh – uhm – okay, sì, certo – ne – ne sarei molto felice." Concluse pietosamente, lasciandosi prendere dall'agitazione. Un giorno, ne era sicura, si sarebbe cacciata nei guai per la sua ingenuità.

"Cosa- cosa ne dici di fare due passi assieme?" propose di getto. Almeno, passando più tempo con l'uomo sarebbe riuscita a capire che tipo di persona fosse quell'Arthur Fleck e, nel peggiore dei casi, gli avrebbe detto addio per sempre quella sera stessa. Giusto?

"Se non – se non hai altri impegni ovviamente!" farneticò, dandosi più volte della stupida per non averci pensato prima.

Arthur, che la guardava con ciò che poteva essere un misto di approvazione e tenerezza, le rispose che non aveva un granché da fare, la vita di un comico non è poi così impegnata quanto si può pensare (o così aveva detto lui).

"Sai, da piccolo mia madre mi diceva sempre che avrei dovuto lavorare per ridere. Le risposi che non se ne sarebbe dovuta preoccupare, perché tanto sarei diventato un comico."

Iniziò a ridacchiare, coprendosi la bocca con una mano. Si accorse che Arthur la guardava con intensità e, avendo paura di aver rovinato il momento con il suo acuto sghignazzare, abbassò lo sguardo imbarazzata. Lui, che fino a quel momento aveva tenuto le mani nelle tasche della giacca, prese la sua ancora intenta a nascondere la bocca e gliela spostò con gentilezza. Pur trasalendo all'inaspettato contatto fisico – le sue mani erano fredde, ma grandi e delicate, tutte angoli e tremolii – lo guardò con incertezza, e si sentì invadere da un calore che accolse con leggerezza e serenità. Non si era mai sentita così rassicurata da un essere umano prima d'allora, nemmeno la sua terapista riusciva a trasmetterle tanta calma. Andrà tutto bene, pensò.

"Hai una bella risata." sorrise lui e capì che lo pensava davvero, perché non aveva mai distolto lo sguardo mentre le parlava.

Fu allora che Arthur iniziò a tossire, lasciando trapelare risatine sempre più fragorose tra gli schioppi e gli schiocchi di quell'ennesimo inesorabile attacco. Si piegò in avanti, senza disgiungere le sue mani dalla sua, mentre con l'altra tentava di stabilizzarsi, appoggiandola sulla gamba a mo' di gobbo. Lei non osò fiatare, nonostante gli occhi della folla intorno continuavano a soffermarsi petulantemente sulla scena. Il panico iniziava a rigirarle lo stomaco, ma si fece coraggio come potette e tentò di ignorare il peso degli sguardi di quegli avidi spettatori; poggiò cautamente, allora, una mano sulla spalla dell'uomo, provando a rassicurarlo nell'unico modo che conosceva. Il cuore le si strinse e odiò profondamente tutti coloro che guardavano da lontano, giudicando silenziosamente senza mai avvicinarsi troppo, come spettatori di un circo degli orrori – un ribrezzo mai provato le inasprì la lingua e le diede la forza di non sciogliersi sotto i riflettori. Stette accanto ad Arthur fino alla fine del coro di risate sconfusionate, accarezzandogli gentilmente la schiena e tentando al meglio delle proprie capacità di supportarlo. Andrà tutto bene, pensò nuovamente.

Quando finalmente si fu calmato, si rialzò con fare goffo e proprio mentre era sicura stesse per abbozzare delle scuse, lei lo fermò:

"Anche tu hai una bella risata."

Forse, la parte migliore della vita sono proprio le coincidenze.

────◇────

Arthur sentì il proprio cuore più leggero, più vivo e più motivato nel suo incessante palpitìo. Era felice, così felice di non aver perso la ragazza dell'autobus, di averla incontrata e di averla poi seguita: aveva capito sin da subito che tipo di anima fosse, un'indole gentile, ma soprattutto tormentata. Lo vedeva da quei piccoli gesti di imbarazzo, dalla maniera in cui la sua voce sembrava spezzarsi mentre parlava, da come cercava di scansarsi discretamente dalle persone che le camminavano troppo vicine sul marciapiede.

Lui la vedeva. Vedeva il suo portamento insicuro e i suoi occhi pieni di sincera dolcezza, vedeva il suo timido sorriso e la speranza che lo illuminava e in quella ragazza riusciva quasi a riconoscere se stesso, con le sue paure, le sue sofferenze, la sua voglia di cambiamento. Decise che aveva bisogno di aiuto, che l'avrebbe aiutata a non aver paura della propria risata, a cogliere la tragica comicità del tutto e alla fine avrebbero riso assieme.

Perché lui era convinto che anche lei lo vedesse, che riuscisse a vedere il vero lui, un lui che via via iniziava a farsi più prominente e diventava sempre più percettibile anche da chi tentava in tutti i modi di scappare dalla verità, di offuscarla, di sopprimerla. Arthur sapeva di aver trovato finalmente un'anima affine, che riusciva ad ergersi dalla grande pila di spazzatura e rottami che era ormai diventata Gotham City, una città che pensava essere ogni giorno di più senza perdono né redenzione. Si disse che avrebbe voluto tenerla con sé e rassicurarla come lei aveva rassicurato lui, starle accanto e proteggerla – proteggerla da un mondo crudele e malato – ridacchiò tra i denti al pensiero: tutti puntavano il dito contro persone come lui e la ragazza dell'autobus, ma i veri malati del mondo non si accorgevano mai di esserlo.

Non vedeva l'ora di sentire ancora la sua risata e di raccontarle le sue battute

────◇────

"Penso che nessuno dovrebbe avere il diritto di prendere la vita di qualcun altro."

In un mondo ideale avrebbe concordato con lei, ma la realtà è diversa, così distorta.

"Ogni vita va rispettata."

Avrebbe voluto che qualcuno avesse rispettato la sua.

Lei gli strinse la mano.

"Ma capisco purtroppo che chiunque oggigiorno potrebbe esser spinto ad un'azione del genere. In che razza di società viviamo? I ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sono lasciati a se stessi, nemmeno le briciole. Il centro dei servizi sociali ha chiuso, ed ora non abbiamo nemmeno più un punto di riferimento."

Le sorrise, con quell'aria di chi ammira un tesoro raro che desidera tenere per sé. L'avrebbe protetta, avrebbe portato giustizia.

"Quanto vorrei che le cose cambiassero."

Oh, ma lo faranno ben presto.

────◇────

Lo strinse forte tra le sue braccia, sembrava distrutto e sull'orlo del precipizio. Quanta tristezza, quanto inesorabile dolore nei suoi occhi. Lo abbracciò ancor più forte, nascondendo la faccia nell'incavo del suo collo. Avrebbe voluto guarire ogni sua sofferenza, spazzare via con un soffio ogni preoccupazione. Avrebbe voluto sanare tutti i soprusi, le angherie subite. Avrebbe voluto giustizia.

Gli accarezzò piano i capelli, e poco a poco lo spinse a stendersi sul divano assieme a lei, guardandosi finalmente negli occhi. Li ammirò, li amò. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per anche solo alleviare parte di quell'enorme fardello che si trascinava dietro. Ma sapeva che era impossibile,che per quanto forte si potesse amare qualcuno, l'amore non sarebbe mai stato abbastanza.

Non poteva far altro che esserci per lui, sostenerlo, stare al suo fianco a raccogliere i cocci. Come aveva fatto lui per lei numerose volte – durante gli attacchi di panico, dopo una lunga e stancante giornata, quando si identificava più con il suo disturbo mentale che con se stessa. Quante volte lui l'aveva aiutata a rialzarsi, tranquillizzandola, amandola a sua volta.

E così fece, e lo baciò sulle labbra come mille altre volte, sperando che sentisse, che capisse:

Ce la faremo, ce la farai. Andrà tutto bene.

Si strinsero l'uno all'altra e passarono l'intera notte avvinghiati come se la loro vita ne dipendesse. Si svegliarono solo nel pomeriggio, entrambi con un terribile dolore alla schiena.

────◇────

Risate, risate e ancora risate.

Ballavamo senza musica ed era perfetto.

Se solo potesse rimanere tutto così, per sempre.

────◇────

Spero tu non sia un'allucinazione

Spero tu non sia un'allucinazione

Cos'è reale? Chi lo decide? 

NON LASCIARMI

Cosa dice il becchino alla sua bara?

Morirei per te

 

   
 
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