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Autore: Cardiopath    12/10/2020    0 recensioni
[Joker (2019)]
❝ 𝘞𝘦'𝘭𝘭 𝘯𝘦𝘷𝘦𝘳 𝘨𝘦𝘵 𝘧𝘳𝘦𝘦
𝘓𝘢𝘮𝘣 𝘵𝘰 𝘵𝘩𝘦 𝘴𝘭𝘢𝘶𝘨𝘩𝘵𝘦𝘳
𝘞𝘩𝘢𝘵 𝘺𝘰𝘶 𝘨𝘰𝘯' 𝘥𝘰
𝘞𝘩𝘦𝘯 𝘵𝘩𝘦𝘳𝘦'𝘴 𝙗𝙡𝙤𝙤𝙙 𝙞𝙣 𝙩𝙝𝙚 𝙬𝙖𝙩𝙚𝙧? ❞
Genere: Dark, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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𝐋𝐨𝐨𝐤 𝐦𝐞 𝐢𝐧 𝐦𝐲 𝐞𝐲𝐞𝐬

𝐓𝐞𝐥𝐥 𝐦𝐞 𝐞𝐯𝐞𝐫𝐲𝐭𝐡𝐢𝐧𝐠'𝐬 𝐧𝐨𝐭 𝐟𝐢𝐧𝐞

𝐎𝐫 𝐭𝐡𝐞 𝐩𝐞𝐨𝐩𝐥𝐞 𝐚𝐢𝐧'𝐭 𝐡𝐚𝐩𝐩𝐲

𝐀𝐧𝐝 𝐭𝐡𝐞 𝐫𝐢𝐯𝐞𝐫 𝐡𝐚𝐬 𝐫𝐮𝐧 𝐝𝐫𝐲


𝐘𝐨𝐮 𝐭𝐡𝐨𝐮𝐠𝐡𝐭 𝐲𝐨𝐮 𝐜𝐨𝐮𝐥𝐝 𝐠𝐨 𝐟𝐫𝐞𝐞

𝐁𝐮𝐭 𝐭𝐡𝐞 𝐬𝐲𝐬𝐭𝐞𝐦 𝐢𝐬 𝐝𝐨𝐧𝐞 𝐟𝐨𝐫

𝐈𝐟 𝐲𝐨𝐮 𝐥𝐢𝐬𝐭𝐞𝐧 𝐡𝐞𝐫𝐞 𝐜𝐥𝐨𝐬𝐞𝐥𝐲

𝐓𝐡𝐞𝐫𝐞'𝐬 𝐚 𝐤𝐧𝐨𝐜𝐤 𝐚𝐭 𝐲𝐨𝐮𝐫 𝐟𝐫𝐨𝐧𝐭 𝐝𝐨𝐨𝐫

 

────◇────

 

La prima volta che vide Arthur Fleck, nulla degno di nota accadde.

Allora non ne conosceva nemmeno il nome ed il suo volto anonimo si confondeva tra i numerosi altri schierati in fila, come statuette, su di un autobus semipieno, senza distinguersi in alcun particolar modo - lineamenti scavati, stanchi, ma non tanto insoliti da scaturire l'interesse di uno sguardo distratto e frettoloso.

Un altro giorno come tanti a Gotham.

I suoi occhi si poggiarono sull'uomo solo per qualche istante, come su molti altri, durante quei brevi ma grevi istanti che scandiscono la ricerca di un posto non occupato sui mezzi di trasporto. Quando finalmente - dopo pochi, pochissimi minuti che pure le apparvero come ore intere - individuò un sedile libero, vi si sedette con cautela, cercando di non causare rumore né di disturbare involontariamente alcun passeggero.

Il mondo era un posto terribile, ma Gotham sapeva essere forse ancor più terribilmente crudele.

Evitava sguardi che sentiva pesanti dietro la nuca, assennati e giudicanti. L'assordante e vacuo silenzio impostosi prepotentemente nell'autobus non faceva che agitarla, lasciando tanto, troppo spazio a vorticosi pensieri che avrebbe preferito celare dietro ai consueti rumori del veicolo e al chiacchiericcio concitato che solitamente lo avvolgeva. Eppure il silenzio regnava incontrastato, come una triste e amara metafora dell'indifferenza umana.

In quel luogo così vuoto eppure così pieno, avvertiva l'ineluttabile luce dei riflettori puntateli addosso - ma lo erano poi davvero? Sapeva quale fosse la verità, ma a volte la differenza tra sapere e consapevolezza è tanto netta quanto invalicabile.

Come scappare dai propri pensieri? Nemmeno la sua terapista sembrava saperlo.

Internamente, si dannava per la sua stupidità: come aveva potuto essere tanto incauta da non procurarsi previdentemente un libro, una rivista, una qualsiasi fonte di distrazione dal terrificante senso di voragine che sapeva l'opprimesse normalmente in pubblico, sui mezzi di trasporto in particolar modo?

E dunque, al momento, intenta a smorzare al meglio gli effetti di ipocondria e paranoia incontrollate, aveva altro a cui pensare, altro di cui preoccuparsi - Arthur Fleck non era che un altro sconosciuto dal cui giudizio tentava inconsciamente di scappare.

D'altronde, la mente, proprio come il destino, funziona in modi imperscrutabili.

Il tremolio ed il sudore delle sue mani, giunte come in preghiera, iniziava ad infastidirla e più volte si ritrovò a sfregarsele contro i pantaloni in un vano tentativo di asciugarle. Rivolse lo sguardo al finestrino, cercando di dissimulare calma e disinteresse. Ma il terribile tremolio della sua gamba destra non le permetteva di distrarsi mai completamente, mai abbastanza da ignorare del tutto la discussione che frantumò violentemente il silenzio di quel viaggio infernale.

Si sentì piccola, come le succedeva spesso, ed impotente. Provava spesso rabbia dinnanzi al comportamento apatico e burbero dei cittadini di Gotham, ognuno di loro tremendo giudice ed esecutore che, nel proprio piccolo, contribuiva a rendere la città un posto sempre più patetico e degradato. Ma era al contempo cosciente dell'ipocrisia del proprio odio verso quegli schivi e maliziosi individui - lei stessa non era forte abbastanza da opporsi, da alzare lo sguardo e almeno tentare di ribaltare la ruota.

Poteva solo compatire, bloccata nel suo personale e violento silenzio, l'ennesimo capro espiatorio di una società marcia dalle radici, crudelmente schernito senza alcun apparente motivo se non per il crudo cinismo che adottavano le vittime di un mondo malato e perverso - perché alla fine, chi non poteva definirsi vittima a sua volta? Chi carnefice?

Non era riuscita a cogliere cosa avesse scaturito l'alterco, ma non se ne interessò - qualsivoglia litigio, o conflitto anche solo verbale non serviva ad altro se non a fomentare le sue ansie e il panico che le accompagnava. Chiuse gli occhi, in un vano tentativo di isolare suoni, voci e sguardi - eppure continuava a sentirsi una patetica ameba, una codarda e una debole, non poi così dissimile, nel proprio silenzio, dalla folla urlante di aggressori che tanto odiava.

Aveva imparato da tempo ormai, che nulla può ferire più di un silenzio.

Ma il senso di colpa che man mano andava acuendosi non faceva altro che agitarla ancor più - il caos non proveniva da fuori, ma da dentro.

Fu solo quando una fragorosa risata echeggiò tra i sedili, che finalmente ebbe il coraggio di voltarsi, spinta da un miscuglio di curiosità e timore. I suoi occhi ricaddero sull'uomo trasandato che aveva scorto al suo ingresso nell'autobus, seduto vicino al finestrino. Cercando invano di coprirsi la bocca con le mani, appariva contrito, affogando sulle sue stesse isteriche risate: il suono era vuoto, privo di gioia e quasi forzato. Le vennero i brividi al sentirlo, e fu ancor più toccata da quell'espressione quasi sofferente che l'uomo indossava a malincuore - chiunque avrebbe potuto capire che ne fosse mortificato.

La donna seduta dinnanzi a lui prese con aria infastidita il bigliettino offertole e, dopo averne letto il contenuto, si voltò indignata senza proferire parola. Almeno il peggio era finito.

Conosceva bene quei biglietti, un consistente numero di uomini e donne che aveva conosciuto ai servizi sociali se ne serviva per spiegare la propria condizione quando essa ne incapacitava la vocalità. Povere anime costrette in un modo o nell'altro a limitare e limitarsi nelle grinfie di malesseri di cui spesso non si conosceva nemmeno il nome.

Il peso dell'umiliazione iniziava a schiacciarle il petto, ed un doloroso nodo le si strinse attorno alla gola - come si poteva essere tanto indifferenti, tanto meschini da voltare le spalle ad un uomo palesemente in difficoltà? Quanta poca umanità albergava ormai nei cuori della gente? Si vide allora al posto dell'uomo e capì che nei suoi panni avrebbe certamente desiderato e apprezzato il minimo atto di sostegno, un qualsiasi gesto di compassione che potesse rassicurarlo che no, non doveva penarsi per qualcosa che non riusciva a controllare - che non avrebbe dovuto scusarsi, che non era colpa sua-

Calato nuovamente il silenzio, prese finalmente una decisione. Attese ancora un istante per calmarsi, per ripassare le parole che avrebbero di lì a poco rotto nuovamente quell'omertoso ed ignobile silenzio - le sue parole - , per convincersi che sarebbe riuscita a parlare senza ridicolizzarsi, se non per amor proprio, per assicurarsi che l'uomo stesse bene e fu allora, con voce sottile e leggermente rauca, che si liberò - anche solo momentaneamente, per un misero istante - si liberò delle catene che le attanagliavano la gola:

"Mi- mi scusi, si sente bene?"

Rabbrividì internamente per essere inciampata su di una frase tanto breve e semplice, ma proprio quando iniziava ad avvertire nuovamente la rivelatrice voragine allo stomaco che conosceva tanto bene, l'uomo si voltò verso di lei, quasi sorpreso. Non disse nulla per un paio di secondi, e lei si accorse di quanto espressivi fossero i suoi occhi.

Inizialmente non ruppe il silenzio, ma un lieve sorriso si distese sulle sue labbra e annuí col capo. Ne fu estremamente sollevata, e anche lei gli sorrise.

"Grazie." sussurrò poi semplicemente l'uomo, e nelle sue parole colse un senso di gratitudine tanto genuino quanto inaspettato. Lo accolse con altrettanta gratitudine, lasciandosi finalmente sfuggire un sospiro di sollievo. Non avevano bisogno di dire altro.

Nell'autobus calò nuovamente il silenzio.

 

   
 
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