8.
L’abito
a sirena di Iris scivolava alla perfezione sul suo corpo, disegnando
con grazia
le sue forme esili e l’altezza importante. Dal corpetto in
raso - bordato di
pizzo sul collo e le maniche - alla lunga gonna ricoperta di cristalli,
ogni
più piccolo particolare esaltava la sua bellezza
così come il suo incarnato di
pesca e gli splendidi capelli biondi.
Beth
era riuscita in un autentico miracolo, creando per lei una splendida
acconciatura raccolta sulla nuca, a prova di qualsiasi catastrofe
naturale e
non, a cui aveva applicato dei boccioli di rosa tea e piccoli fiori
bianchi.
Era
però il sorriso radioso della sposa a rendere magnifico il
tutto e, quando
Richard la prese sottobraccio per accompagnarla all’interno
della piccola
chiesetta cattolica di S.James, lui non poté evitare la
commozione.
Quel
giorno avrebbe dovuto essere appannaggio di suo cognato Aaron,
così però non
era potuto avvenire. La sua speranza era, comunque, di poter sopperire
per
quanto era possibile alla sua mancanza, poiché desiderava
solo felicità e pace,
per Iris.
Aveva
già sofferto a sufficienza e, ora che aveva trovato
l’uomo giusto per lei, ogni
cosa doveva essere perfetta.
Dinanzi
a loro, ad aprire il passaggio, Keely Rothshild – figlia di
Mary Beth e Lance,
del clan di Matlock – e Chelsey stavano lasciando cadere
leggiadri petali sul
lastricato, sorridendo agli invitati come se si trovassero su un red carpet.
Erano
due creature da palcoscenico nate e, durante le prove, si erano
divertite
tantissimo a dispensare baci e sorrisi a ipotetici spettatori. A quella
vista,
i genitori avevano dovuto ricordare loro la serietà
dell’evento ma, a conti
fatti, i sorrisi civettuoli erano rimasti.
Nell’attraversare
le due ali di invitati assiepate all’esterno – la
chiesa era riuscita a
ospitare solo i parenti più stretti – Richard
mormorò all’orecchio della
nipote: «Non avresti potuto essere più splendida
di così.»
Lei
gli sorrise grata, stringendo leggermente la mano
sull’avambraccio dello zio e,
in risposta, sussurrò: «E’ grazie a
tutti voi, se posso essere così felice.»
Mentre
le porte si aprivano sulla navata unica della chiesetta di tronchi, le
damine,
Richard e la sposa fecero il loro ingresso accompagnati dalle note del Canone di Pachelbel, suonato
magistralmente dal quartetto d’archi della scuola di Iris.
La
donna ammiccò per un attimo ai suoi allievi – che
avevano seguito con lei anche
un corso estivo, che aveva preceduto quell’anno scolastico
così ricco di notivà
– e, mentre si avvicinava all’altare, sorrise a Dev.
L’uomo
indossava un elegante completo nero di Carlo Pignatelli con gilet
doppiopetto
color antracite, camicia button-down nerofumo e un papillon del
medesimo
colore.
Iris
non poté che trovarlo splendido. Per l’occasione,
sua madre aveva sistemato ad
arte le onde di capelli di Dev, mettendo un po’
d’ordine nel caos generale in
cui, solitamente, il figlio portava la folta chioma. Le ciocche
ricadevano su
fronte e capo come morbide onde corvine, adornando il viso volitivo e
dagli
alti zigomi, su cui splendevano i chiarissimi occhi di Dev.
Occhi
che, in quel momento, erano tutti per la sua futura sposa.
Per
un attimo, Iris desiderò lasciare tutto e abbandonarsi
all’estasi, ma sapeva
bene di non poterlo fare. Come minimo, zia Rachel e Beth avrebbero
trovato il
modo di ucciderla. Loro dovevano vedere
quel matrimonio… e anche farsi un bel pianto,
perciò era obbligatorio che lei
giungesse dinanzi al prete e dicesse sì.
Giunta
infine al fianco di Dev, Iris sorrise al prete e
quest’ultimo, Don Edward
Collins, domandò chi fosse a condurre la sposa
all’altare.
Da
quel momento, poté concentrarsi soltanto sugli occhi di
Devereux e sulla
sensazione avvolgente e calda della sua aura di lupo.
Ascoltò
solo parzialmente le parole di fedeltà, devozione, rispetto
e cura che il celebrante
fece sgorgare dalla sua bocca con toco evocativo, poiché lei
aveva già promesso
tutto ciò a Dev molto prima di quel giorno.
Quell’evento,
per loro, era soltanto un proforma, un omaggio alle loro famiglie e ai
loro
amici.
Anche
quando Devereux le infilò l’anello al dito
– una fede in oro bianco e rosa con
un motivo a intreccio – Iris non si scompose più
di tanto e, con quieta
sicurezza, fece altrettanto con lui.
Ciò
che era avvenuto la sera precedente, al suo ritorno a casa dopo
l’addio al
nubilato, era stato molto più emozionante e profondo, e
l’aveva lasciata
svuotata quanto appagata.
Dev
l’aveva condotta di fronte alla loro piccola quercia del
Vigrond e,
inginocchiatosi dinanzi a lei, le aveva promesso amore eterno ed eterna
amicizia.
Lei
era scoppiata in lacrime, abbracciandolo forte, promettendogli uguale
amore e
amicizia e, insieme, avevano corso nel bosco e si erano amati nella
frescura
della notte, in balia delle forze benefiche della natura.
Nessuna
cerimonia umana avrebbe potuto surclassare quei momenti di condivisione
totale
pur se andava detto che, fino a quel momento, il tutto si era svolto al
meglio.
«Puoi
baciare la sposa» concluse il prete, sorridendo a entrambi
gli sposi.
Dev
si chinò per accostarsi alla sua sposa e, mentalmente,
disse: “Penso anch’io che
ieri notte sia stato
splendido.”
“Ficcanaso” ironizzò per
contro lei rispondendo al bacio per qualche istante prima di scostarsi.
Dopotutto,
erano in una chiesa e non era il caso di dare spettacolo con uno dei loro baci.
Lui
sogghignò beffardo al suo indirizzo e, mentre un applauso si
elevava sia tra i
presenti sia tra coloro che erano dovuti rimanere all’esterno
della chiesetta,
lei ammiccò al suo sposo e mormorò:
«Sei sempre la mia palla da demolizione.»
«Mi
sembra ovvio» chiosò lui, prendendola sottobraccio.
Mentre
damine, damigelle d’onore e garçon
d’onneur si accodavano alla coppia, Iris e Dev
passarono accanto a parenti
e amici per uscire dalla chiesa e, non appena si ritrovarono sotto un
tiepido
sole di inizio ottobre, vennero inondati da riso e confetti.
Le
risate dei neosposi si unirono a quelle degli invitati, e i flash delle
fotocamere si intervallarono agli scoppi dei petardi e dei palloncini
pieni di
coriandoli bianchi lanciati per loro.
I
cori e gli schiamazzi accompagnarono gli abbracci ad amici e parenti e,
solo
dopo diversi minuti passati a stringere persone e baciare guance, la
coppia
riuscì finalmente a raggiungere la bianca Chevrolet Camaro
affittata per
l’occasione.
Aiutata
Iris con l’abito e il lungo strascico, Brianna
strizzò l’occhio a entrambi
prima di dire: «Ci vediamo più tardi al Lodge. Voi
pensate a fare tante belle
foto, visto che avete l’occasione di farle senza disastri al
seguito.»
Dev
e Iris assentirono con una risata – sapendo bene cosa fosse
successo durante il
matrimonio di Brie e Duncan – e, assieme all’auto
dei fotografi, si diressero
verso il Dutch Lake per alcune fotografie di rito.
Lì
rimasero impegnati per circa un’ora, ora in cui la pazienza
di Devereux venne
messa a dura prova. Se gli iniziali scatti, infatti, lo videro ancora
euforico
per la celebrazione appena avvenuta, dopo circa dieci minuti di
quell’incessante bombardamento di ordini e posizioni sempre
diverse, l’uomo
iniziò a mordere il freno.
Iris
dovette impiegate tutto il suo savoir
faire per calmarlo e, quando infine
i
fotografi diedero loro il via libera, non poté che ridere di
fronte al suo
manifesto sollievo.
Ma
di che stupirsi, dopotutto, da una palla da demolizione?
***
«Giuro
che, se lo avessi sentito dire ancora una volta ‘sorridi,
Dev, facci vedere quanto è bello quel faccino’, lo
avrei
strangolato. Arthur è bravo, ma è davvero
maniacale. Pensavo che sarebbe
arrivato a chiedermi di spogliarmi, per mostrare il torace villoso o
chissà
cos’altro» brontolò per la centesima
volta Dev, sorseggiando del buon vino
californiano dal color paglierino.
Iris
sorrise divertita, asserendo con aria falsamente sorpresa:
«Giuro, non lo avevo
notato. E io che pensavo che ti stessi divertendo!»
Lui
sbuffò al suo indirizzo, replicando beffardo
nell’indicarla con la propria
forchetta: «Solo perché tu sei un’anima
vanitorsa, e hai adorato ogni
fottutissimo attimo di quel maledettissimo photoshoot. Arthur ti adora,… parole
sue.»
Iris
scoppiò a ridere di fronte al magro commento del marito e,
maliziosa, ribatté:
«Sei solo geloso perché lui ha saputo cogliere
appieno tutta la mia bellezza,
mettendola su pellicola… no, anzi, su chiavetta.»
«Vanità.
Il tuo nome è donna» si limitò a dire
Dev, dandole però un bacio sulla guancia.
Dopo
aver terminato il suo ultimo pezzo di carne, sempre sotto
l’occhio divertito di
Iris, l’uomo domandò: «Facciamo un giro
tra gli ospiti, mentre aspettiamo la
prossima portata?»
«Volentieri»
assentì lei, accettando il suo braccio proteso dopo aver
depositato coltello e
forchetta.
Oltrepassato
che ebbero il tavolo principale – dove si trovavano Richard e
Rachel, oltre a
Beth, Sam e Chelsey – i due si accostarono man mano ai
presenti in sala,
salutando e ringraziando gli ospiti per la loro presenza.
In
quel mentre, con un sospiro e un sorrisino, Diana Sullivan si
piegò verso Liza
– che sedeva accanto a lei in uno dei tavoli laterali
dell’enorme sala
matrimoni del Lodge – e mormorò: «Tua
cugina è davvero strepitosa, con
quell’abito.»
«L’ho
pensato anch’io, quando gliel’ho visto addosso la
prima volta, ma oggi è
davvero radiosa. Penso sia principalmente merito di Devereux»
convenne Liza,
sorridendo affettuosa ai due. Era quasi scoppiata a piangere, quando la
cugina
e Dev si erano baciati e, per lei, queste erano cose praticamente
più uniche
che rare.
Eppure,
tutto il loro amore, la forza delle loro auree e il sentimenti che li
dominava
l’avevano squassata come una marea, inondandola.
O
forse, mai come prima di allora, aveva iniziato a sentirsi presa in
causa, a
provare emozioni sincere di fronte a simili esternazioni.
Per
il momento, però, preferiva non discernere quella
novità nel suo animo, perché
temeva di conoscerne la risposta e non era ancora pronta ad affrontarla.
«Anche
tu eri molto bella, il giorno in cui ci sposammo»
dichiarò a sorpresa Donovan,
dando una pacca leggera sul braccio della moglie nel sorriderle.
Liza
sollevò le sopracciglia con aria vagamente sorpresa, di
fronte a quell’ennesimo
sfoggio di amorevole affetto da parte del professore.
A
scuola, così come con Mark, il professor Sullivan si era
sempre comportato in
modo molto contenuto e freddamente educato. Non necessariamente
scortese, ma un
poco distante e, forse, un pelino teso.
Per
questo motivo, Liza lo aveva ingiustamente creduto freddo e devoto solo
alla
sua missione ma quando, quella mattina di fronte alla chiesa, lo aveva
scorto,
si era dovuta ricredere alla svelta.
Il
braccio avvolto attorno alla vita della moglie – che aveva
indossato per
l’occasione un elegante tailleur blu con pantaloni-palazzo su
giacca a singolo
bottone – Donovan le aveva sempre sorriso, parlandole
più volte all’orecchio
con fare amorevole.
Diana
aveva riso a ogni commento sussurrato dal marito e, per tutto il tempo,
non si
era mai allontanata da lui, mettendo così in evidenza una
forte affinità con
l’uomo e nessun genere di incrinatura nel loro rapporto.
Per
contro, però, quel comportamento così disinvolto
le aveva reso ancor più evidente
la tensione esistente col figlio, che invece ben di rado aveva parlato
col
padre, limitandosi a occuparsi di Diana in modo sollecito e filiale.
Sorridendo
a Mark, che le sedeva al fianco, Liza lasciò perdere quel
ragionamento per
dedicarsi all’altro suo compagno di tavolo e, divertita,
domandò: «Tu fosti il garçon
d’onneur di tuo padre?»
«Sì.
Ed è vero… mamma era splendida, quel
giorno» concordò Mark, prima di aggiungere:
«Però devo ammettere che, d’ora in poi,
mi sarà difficile prestare attenzione alla
professoressa Walsh, durante le prossime lezioni, dopo averla vista con
quell’abito.»
Scoppiando
in una risatina maliziosa, Liza chiosò con fare da
cospiratore: «Mia cugina sta
infrangendo un sacco di cuori, hai ragione …ho
già notato dei pezzetti qua e
là, mentre curiosavo le facce dei commensali. Devo
controllare se c’è anche il
tuo, da qualche parte?»
Mark
ammiccò al suo indirizzo e replicò: «Lo
trattengo solo a stento.»
«Comunque,
non devi temere un tracollo dei tuoi voti. Sei il suo
cocco…» celiò Liza,
portandolo ad arrossire per diretta conseguenza.
«… perciò continuerai ad avere
la media più alta di tutti. Tra l’altro, quando
parlate di musica country, fate
quasi venire il latte alle ginocchia.»
Liza
ammiccò con un gran sorriso per rendere l’intero
suo discorso assai scherzoso,
pur se aveva detto in parte una grande verità. Fin dal primo
giorno in cui Iris
e Mark si erano conosciuti, lei aveva potuto scorgere in loro una
profonda
affinità elettiva, come se due antichi amici si fossero
ritrovati dopo lungo
tempo.
Non
vi aveva ovviamente visto nulla di sordido – né lo
avevano visto gli altri
allievi – ma aveva notato come Iris avesse preso Mark sotto
la sua ala, quasi
il desiderio di plasmare il suo talento le stesse particolarmente a
cuore.
Liza
aveva altresì fatto ridere spensieratamente Iris, quando
glielo aveva fatto
notare la prima volta e, in tutta onestà, la cugina aveva
ammesso con candore
di provare un naturale trasporto verso Mark.
Questo,
aveva dato il la a Dev per fare
una
comica scenata di gelosia, e Iris si era divertita a mandarlo
debitamente al
diavolo sottolineando quanto, il suo interesse per Mark, fosse solo di
tipo
educativo, oltre che un tantino materno.
Gettato
a sua volta l’amo anche a Mark, la ragazza aveva quindi
scoperto nel ragazzo lo
stesso interesse, cosa che le aveva permesso di ficcanasare –
com’era suo
dovere di Geri – senza dare nell’occhio.
Dopotutto,
parlare di sua cugina era lecito e sicuro, no?
«Se
dici ancora una volta che sono il suo cocco, giuro
che…» cominciò col dire
Mark, paonazzo in volto ma assai determinato a farla tacere una volta
per tutte.
Liza,
del tutto incurante delle sue minacce, gli strizzò
l’occhio prima di indicare
alla sua destra con un leggero cenno del capo e Mark, tappandosi subito
la
bocca, reclinò pudico il capo quando Iris e Devereux si
avvicinarono al loro
tavolo.
Ignari
di quel battibecco, Devereux strinse la mano sia a Diana che a Donovan
dopo
aver salutato entrambi i ragazzi, dopodiché
esordì dicendo: «Spero che vi
stiate divertendo. Qui in campagna tendiamo a essere un po’
fracassoni, durante
le feste di matrimonio, perciò spero che la cosa non vi
disturbi.»
Nel
dirlo ammiccò all’indirizzo di Rock, che stava
sollecitando la band musicale a
suonare qualcosa di più ritmato, così da
permettere ai ragazzini di ballare nel
mezzo del salone qualcosa a loro congeniale.
Diana
sorrise piena di ilarità nel vedere come, il suo collega di
lavoro, stesse
spronando i musicisti a scegliere un brano moderno da suonare e,
scrollando una
mano con nonchalance, asserì: «Se non ci si
diverte ai matrimoni, quando lo si
dovrebbe fare?»
«Concordo
appieno» annuì Dev prima di rivolgersi a Donovan
per dire: «A quanto pare, mia
figlia ha imparato che esiste la Storia grazie a lei, Donovan. Prima,
era come
impantanata in un limbo senza tempo, dove le date storiche erano numeri
senza
senso, e i re e le regine solo creature prive di significato.»
Donovan
sorrise divertito, a quel commento, replicando: «Sono lieto
di saperlo.
Comunque, Chelsey è molto attiva in classe, e non posso che
esserne orgoglioso.
Trova sempre qualcosa di interessante da dire, perciò
è facile insegnarle. La
sua mente è molto ricettiva.»
«E
con questo ti sei giocato i tuoi venti secondi da padre
ossessivo-compulsivo.
Ora non disturbare più i nostri invitati con cose che
riguardano il lavoro» lo
rimbrottò amabilmente Iris, guadagnandosi
un’occhiata di straforo da parte del
marito.
«Sei
una piaga, ma ti amo lo stesso» celiò Dev prima di
ammiccare all’indirizzo di
Mark – che si fece di ghiaccio – e aggiungere
malizioso: «Quanto a te… non dici
nulla al tuo pupillo, cara?»
Sia
Donovan che Diana guardarono incuriositi il figlio, che ora aveva serie
difficoltà a respirare, mentre Liza gli dava calmanti pacche
sulla schiena e
rideva a creapapelle al tempo stesso. Iris, per contro,
sospirò esasperata,
replicando a mo’ di spiegazione: «La gelosia
è una gran brutta bestia,
ammettilo, Dev. Solo perché Mark è il mio
studente migliore, tu non devi prendertela.»
Dev
la fissò dall’alto al basso con espressione
sprezzante e, dopo aver scosso il
capo, disse a Mark: «Ricordati, ragazzo. Mai farsi mettere
nel sacco da una
donna, o non ne uscirai mai vivo. Possono anche portarti in palmo di
mano per
un po’, ma può sempre capitare che aprano le dita,
lasciandoti cadere dal punto
più alto.»
«F-farò
a-attenzione» bofonchiò il giovane mentre Iris
trascinava via Devereux dopo
essersi scusata con un sorriso con i coniugi Sullivan.
Nell’osservarli
allontanarsi mano nella mano, Donovan lanciò una seconda
occhiata al figlio
prima di dire: «Sapevo che andavi bene, nella sua materia ma,
a quanto pare, la
professoressa Walsh ti piace proprio. E tu piaci a lei.»
Diana
gli diede un colpetto al braccio per azzittirlo mentre Liza, a quel
punto, era
prossima allo svenimento per mancanza di fiato per il troppo ridere.
Mark,
semplicemente, era paonazzo e senza voce per lo sgomento.
«Don…
così lo metti in imbarazzo!» sussurrò
Diana, pur sorridendo divertita.
Mark,
a quel punto, si coprì il viso con le mani,
bofonchiò un’imprecazione e sibilò
all’indirizzo di Liza: «La pianti di ridere,
almeno?!»
«C-ci
p-provo» balbettò la ragazza, asciugandosi copiose
lacrime d’ilarità.
Persino
Donovan si lasciò andare a una risatina e, pensieroso,
chiosò: «Forse, avrei
dovuto ringraziare tua cugina per il caldo benvenuto che mi ha dato. Ho
sempre
la tendenza a dimenticare le buone maniere, quando ho la testa in
qualche
progetto ma, visto che ha preso sotto la sua ala mio figlio, meritava
più
attenzioni da parte mia.»
«Papà!»
gracchiò sconvolto Mark, impallidendo visibilmente prima di
tornare paonazzo.
«Non
credo che ce ne sia bisogno. Iris è brava a capire le
persone» dichiarò nel
mentre Liza, ignorando di proposito i cambi d’umore di Mark e
studiando il
profilo del professore, ora concentrato sulla coppia di sposi.
Era
come se, vederli così spensierati e felici, avesse riportato
a galla dei
pensieri tristi o, forse, un periodo del suo passato che probabilmente
rimpiangeva.
Che
quei lunghi e continui viaggi in giro per il continente nordamericano
cominciassero a pesargli? Forse rimpiangeva di aver fatto vivere alla
moglie e
al figlio una tribolazione continua?
Era
possibile visto quanto, da quel che sembrava, il rapporto con Diana
fosse serio
e consolidato. Probabilmente, il professor Sullivan si sentiva in colpa
per
aver fatto soffrire la moglie, e non solo Mark.
Quando,
però, Liza si volse per controllare le reazioni
dell’amico, già pronta a
scusarsi con lui per le burle di prima, notò rabbia repressa
nei suoi occhi, e
nessun genere di empatia con l’apparente preoccupazione del
padre.
Dovevano
davvero aver litigato della grossa, di questo era ormai certa. Restava
solo da
capire perché e se, questo perché, potesse
mettere o meno in pericolo il
branco.
***
Il
pick-up di Dev era pronto per partire per Calgary – dove
avrebbero preso
l’aereo per raggiungere Ottawa e, da lì, Dublino
– e Iris, nello stringere tra
le braccia Chelsey, mormorò: «Telefona tutte le
volte che vuoi. Io, di sicuro,
chiamerò tutti i giorni.»
«L’importante
è che vi divertiate. Ve lo meritate»
replicò la figlia, dandole un bacio sulla
guancia prima di sorridere al padre e aggiungere: «Guai a te
se la fai
arrabbiare.»
«Tu
guarda cosa devo sentirmi dire da mia figlia»
brontolò lui pur sorridendo
nell’abbracciarla.
Quando
infine si scostò, Dev sorrise a Richard nello stringergli la
mano e asserì:
«Grazie per esserti offerto di prenderti cura di lei. Non sai
quanto io ti sia
grato. So che i miei genitori l’avrebbero presa con loro
volentieri, ma non mi
sento di sobbarcarli di troppi impegni.»
«Nessun
problema, Devereux. Mi fa piacere farlo. Inoltre, sarà una
buona occasione per
sfoggiare le nuove camere da letto dello chalet»
replicò l’uomo, accennando
all’abitazione fresca di inaugurazione che i Wallace aveva
fatto costruire
dalla ditta di Dev lungo Clearwater Village Road.
«Sarà
bello avere sotto lo stesso tetto queste tre fanciulle»
aggiunse Rachel
sorridendo a Chelsey, Liza e Helen.
«Grazie,
mamma, per avermi paragonata a due minorenni»
ironizzò Helen, ritrovandosi
addosso l’occhiata gelida della sorella e quella divertita di
Chelsey.
«Oh,
su, su, ragazze, o Devereux penserà che siete due
teppiste» ridacchiò Rachel,
scuotendo leggermente una mano.
Dev
rise sommessamente nello scuotere il capo e, dopo aver abbracciato
anche le due
sorelle Wallace, replicò: «Non potrei mai pensare
questo, di loro. Divertitevi,
in nostra assenza, mi raccomando.»
«Non
mancheremo» promisero in coro mentre la coppia saliva sul
pick-up.
Lentamente,
l’auto si avviò per raggiungere la Southern
Yellowhead Highway e, quando anche
il rumore soffuso del pick-up fu svanito nella notte, Liza
sospirò e disse:
«Sarà il caso di andare a casa. Ho i piedi
distrutti, dopo tutto quel ballare,
e ho davvero voglia di provare la nuova doccia coi soffioni che avete
fatto
montare.»
«Dovrai
aspettare il tuo turno, mia cara. Prima ci sono io»
sottolineò Helen,
battendole una mano sulla spalla con fare consolatorio.
Liza,
però, non si diede per vinta e, levando un pugno,
mugugnò: «Morra cinese? Al
meglio dei tre?»
«Ci
sto» assentì la sorella, mentre la famiglia saliva
sull’auto dei Wallace per
raggiungere la loro casa.
Chelsey
sorrise divertita di fronte alla vena battagliera delle due sorelle e
Rachel,
nel sorriderle attraverso lo specchietto retrovisivo,
chiosò: «In questo, non
sono molto mature.»
«E’
divertente» replicò Chelsey con una scrollatina di
spalle. «Io, di solito, ci
giocavo con papà, prima dell’arrivo di
Iris.»
Helen
e Liza smisero di giocare, di fronte a ciò che quelle parole
non avevano detto e
quest’ultima, nel
darle un colpetto con la spalla, chiosò: «Beh,
adesso potrai giocare con me
tutte le volte che vorrai.»
«Già…
e chissà, magari Iris e il papà vorranno un
bambino tutto loro, così io avrò
anche una sorellina o un fratellino con cui giocare»
ipotizzò Chelsey, eccitata
al solo pensiero.
I
coniugi Wallace si dichiararono speranzosi in merito a una tale
eventualità e
Liza, nello scambiare un’occhiata con la sorella, si
ripromise di avere
particolare cura di Chelsey, in quel periodo di lontananza dai genitori.
La
mancanza di Julia, durante la sua crescita, si era sicuramente fatta
sentire,
ma non dal punto di vista educativo. In questo, Dev e i nonni di
Chelsey
avevano fatto un lavoro splendido, ma era indubbio quando una ragazzina
potesse
sentire il bisogno di avere una madre al proprio fianco.
Liza
non aveva mai chiesto a Iris cosa fosse successo nello
specifico, durante i quattro giorni in cui Chelsey era
rimasta nelle mani di Julia, ma l’aver saputo del marchio
apposto sui giovani
lupi l’aveva angustiata non poco. Poteva immaginare tutto il
resto senza timore
di essere troppo pessimista, così come poteva ipotizzare
quanto, il
comportamento folle di Julia, avesse angustiato Chelsey.
Persino
Chuck Johnson – così come il dottor Cooper
– pensavano che il blocco di Chelsey
in merito alla lettura del pensiero, potesse venire da un trauma
prodottosi in
quei giorni.
Trovare
Iris, e amarla come se fosse stata realmente sua madre, era forse un
pegno da
parte del Destino a pagamento delle enormi sofferenze patite dalla
bambina.
Quando
infine raggiunsero lo chalet – che lei aveva visitato solo un
paio di volte,
durante la costruzione – Liza non poté che
plaudire la bravura della squadra di
Dev. La casa era semplicemente splendida.
Le
travature in legno color ciliegio erano lisce come seta, sotto le sue
dita
esploratrici e, nell’osservare la veranda di fronte alla
porta d’ingresso, non
poté che immaginarsi lì a godersi la frescura di
un giorno d’estate.
Richard
fu lesto ad aprire la porta – l’aria era ormai
gelida – e, dopo aver acceso le
luci dell’ampio salone open space, sorrise nel mormorare:
«Adoro l’impianto
domotico che ha fatto sistemare Dev.»
Chelsey
sorrise nell’annuire al suo nuovo zio e, ammirando
l’ampia stufa a pellet già
in funzione, chiosò: «Papà sa quanto
può fare freddo, qui da noi, ed è per
questo che ve l’ha consigliata.»
«Non
avrebbe potuto farci regalo più bello» convenne
Rachel, recuperando i cappotti
di tutte le ragazze e del marito per riporli in una piccola
cabina-armadio,
ricavata nel sottoscala che portava al primo piano.
«Beh,
penso che d’ora in poi sarà la mia casa
preferita» mormorò ammirata Helen,
sfilandosi le scarpe col tacco per poi balzellare sul parquet di rovere
e
dirigersi verso le scale. «La mia stanza qual è,
papà?»
«Ho
fatto installare le targhe sulle porte, ma comunque sono tutte uguali.
Variano
solo per il colore delle lenzuola» le spiegò
Richard, chiudendo a chiave la
porta d’ingresso prima di controllare il proprio cellulare.
«Lavoro?»
domandò curiosa Rachel.
Lui
assentì, promettendole però che
l’avrebbe raggiunta entro breve. Le donne, a
quel punto, si diressero all’unisono verso il piano superiore
e Helen, dopo
aver diretto i propri passi verso il bagno – avendo vinto la
sfida – le salutò
con un cenno della mano e sparì dietro una porta di legno.
Chelsey,
invece, sbadigliò grandemente e augurò la
buonanotte a tutti, lasciando quindi
sole Rachel e Liza nel mezzo del corridoio.
Lì,
Rachel sorrise alla secondogenita e, prima che lei potesse sparire
nella sua
stanza, disse con causalità: «Ho visto che oggi
hai passato molto tempo con un
bel giovane dai capelli rossi.»
Scrollando
le spalle con noncuranza, Liza borbottò: «Si
tratta di Mark Sullivan. E’ il
figlio del mio professore di Storia e di una nuova collega di
Dev.»
Sorpresa
dalla reazione apparentemente guardinga della figlia – che,
solitamente, non si
faceva scrupoli nel parlare dei propri amici – Rachel le
domandò: «Ci sono
forse dei problemi, cara? Non voglio certo ficcare il naso, ma
è da tanto che
non ti vedo, e perciò…»
Liza
non la lasciò terminare. Le afferrò un polso per
trascinarla dentro la propria
stanza e, senza dedicare neppure mezzo sguardo alle scelte operate dal
padre,
si gettò sul letto e sbottò dicendo:
«Lui è la mia missione!»
Rachel
sobbalzò per la sorpresa, si accomodò con
maggiore grazia sul bordo del letto
di Liza – ricoperto da un piumino color lavanda e viola a
fantasie di fiori –
e, accigliandosi leggermente, replicò: «In che
senso, cara? Ha a che fare con
il branco?»
La
figlia assentì torva, raccontandole per sommi capi
ciò che avevano scoperto e
ciò a cui era stata destinata a fare dal capoclan. Per tutto
il tempo, Rachel
ascoltò in assorta contemplazione delle reazioni di Liza e,
quando quest’ultima
ebbe terminato, disse: «Quindi, era questo
a turbarti tanto, durante la nostra ultima telefonata.»
Lei
annuì recisamente, borbottando: «Mi fa schifo fare
la spia, ma sono troppe le
cose che non quadrano, in questa situazione, e io devo vigilare.
E’ il mio
compito. Inoltre, Huginn è preoccupato perché
sente un pericolo che si
avvicina.»
Rachel
rabbrividì nell’udire quelle ultime parole ma,
facendosi forza per essere di
aiuto alla figlia, mormorò: «Immagino che quel
ragazzo ti stia simpatico,
altrimenti non saresti così combattuta.»
Pur
arrossendo, Liza annuì e ammise: «Andiamo
d’accordo, sì. Mi spiacerebbe se
risultasse essere un nostro nemico.»
Carezzando
con gentilezza una guancia della figlia, domandò:
«E’ qualcosa di più di un mi
dispiacerebbe?»
Stringendosi
le braccia al petto, Liza affondò il viso contro la spalla
della madre e,
annuendo flebilmente, sussurrò: «Non lo so, mamma,
ma sto veramente bene quando mi
trovo in sua compagnia, e il senso di
colpa che provo si fa sempre più forte, quando devo
mentirgli.»
Come
se fosse importante, poi aggiunse: «Gli ho presentato Huginn
e Muninn,
dicendogli che li trovammo in un bosco senza la mamma, e che voi mi
aiutaste a
trovare qualcuno per addestrarli.»
Rachel
carezzò la lunga chioma bruna della figlia, rilasciata sulle
sue spalle
tremanti e, sorridendo di fronte a quel momentaneo cedimento di Liza
– che
raramente si lasciava andare ad attacchi di panico – disse
con sincerità:
«Nessuno che abbia un cuore malvagio potrebbe avvicinarsi a
quei due corvi, se
tu sei nelle vicinanze. Lady Fenrir esclusa,
s’intende.»
Liza
rise stentatamente di quel commento, e annuì, ammettendo che
era vero.
«Huginn
e Muninn ti vogliono molto bene e sono sicura che avrebbero capito se,
in quel
Mark, vi fosse stato del marcio. Per te, sono certa che avrebbero
sviluppato
anche quel potere» la confortò la madre,
avvolgendola poi tra le braccia.
«Forse…
forse è vero. Ma è suo padre il vero pericolo, e
io devo spiare Mark per
conoscere da lui le cose che il
padre
dice in casa» sospirò Liza, affranta.
Stringendola
maggiormente a sé, Rachel le baciò i capelli e,
con tono fermo, disse: «Se
Lucas ti ha riconosciuta come Geri, un motivo ci sarà, e io
non ho dubbi che
saprai comportarti al meglio anche in questo frangente.
Potrò anche avere paura
delle conseguenze di questo tuo ruolo, ma sono orgogliosa di te e
dell’impegno
che metti nel portarlo avanti.»
«Mamma…»
sussurrò Liza, levando il capo per scrutarla con
curiosità.
Rachel
tornò a sfiorarle il viso con una mano, scacciò
con l’altra una lacrima ribelle
– in questo, era diventata molto brava – e infine
aggiunse: «Riposa, e pensa a
questo. Stai facendo la cosa giusta, e nel modo giusto. Provare
rimpianto va
bene, perché significa che hai un’anima altruista
e che ha a cuore il benessere
degli altri, anche di chi potrebbe essere tuo nemico.»
«Fa
star male, però» sottolineò la figlia,
sbuffando.
«Nessun
ruolo di prestigio è esente da pecche. Guarda tuo padre.
E’ ancora impegnato
con il lavoro, nonostante si sia preso due settimane di ferie, e questo
perché
ha a cuore le sorti dell’azienda, e i suoi sottoposti sanno
che possono
rivolgersi a lui, in caso di dubbi» le fece notare Rachel.
«Ma
riposa, almeno, ogni tanto?» si premurò di
chiedere Liza.
Rachel
assentì con un sorriso, si sollevò dal letto dopo
averle deposto un bacetto
sulla fronte e, determinata, disse: «Questo,
è il mio compito. Prendermi cura di lui. Ed è
proprio quello che farò ora.»
Sorridendo,
Liza annuì e mormorò: «Buonanotte,
mamma. E grazie per la chiacchierata.»
«Ci
sarò sempre, per tutte voi. Anche per Chelsey, pur se ora
c’è Iris a prendersi
cura di lei.»
Ciò
detto, uscì dopo un ultimo bacetto e Liza poté
finalmente concedersi uno
sguardo più attento alla stanza, trovandola ovviamente
perfetta. Suo padre era
stato davvero bravo nel riprodurre in quella camera tutti i suoi colori
preferiti, le sue preferenze in fatto di mobilio e l’amore
per i suoi corvi.
In
un angolo vicino alla finestra, infatti, si trovavano due trespoli
gemelli che,
all’occorrenza, avrebbero potuto ospitare Huginn e Muninn
durante la sua
permanenza allo chalet.
Quanto
al resto, si compiacque nel trovare un’ampia scrivania, una
capiente libreria
da camera, una multi-presa per internet e il suo computer, oltre a
un’ampia
finestra che si affacciava a sud. In quel modo, il sole non
l’avrebbe
disturbata, all’alba, permettendole di dormire fino a tardi.
Persino
a questo, aveva pensato suo padre.
Nell’infilarsi
nel letto dopo essersi spogliata, Liza socchiuse gli occhi e
mormorò: «Grazie,
papà. Grazie, mamma. Vi voglio bene.»
Forse,
per una notte, non avrebbe sognato zanne oscure squarciare la
serenità della
sua vita e forse non avrebbe scorto, tra quelle zanne, il volto di Mark.
N.d.A.: Iris e Dev hanno potuto finalmente sposarsi senza intoppi e, ormai partiti per l'Irlanda, hanno lasciato per il momento pensieri e timori alle spalle. Così non è però stato per Liza che, anche durante il matrimonio della cugina, ha portato avanti le sue indagini in merito ai Sullivan, notando come il rapporto tra padre e figlio sia ormai lesionato in più punti. Quale sarà il motivo? E i nemici attenderanno molto, prima di palesarsi, o lasceranno il tempo a Iris e Dev di tornare?