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Autore: _Agrifoglio_    14/10/2020    13 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Torre-di-Londra
 
Torre-di-Londra-mappa
 
La Torre di Londra
 
Londra, Palazzo di Westminster, aprile 1799
 
Dal suo scranno di scuro legno di quercia, l’anziano Lord Tilney guardò inquisitorio André, chiamato a comparire a Westminster Hall davanti a una giuria che avrebbe deciso se rinviarlo a giudizio per spionaggio.
Da quando il figlio era morto in battaglia, il nobiluomo britannico odiava cordialmente i francesi, da lui ritenuti infidi, mentitori e guerrafondai.
– Da quanto tempo non incontrate il Conte di Canterbury, Conte di Lille? – domandò l’uomo, con voce profonda e nitida.
– Da maggio del 1797, Signore, in occasione del battesimo del quarto figlio del Conte e della Contessa – rispose André, con espressione calma.
Subito dopo lo sbarco in Inghilterra della Royal Navy, André era stato tradotto a Londra, in un carcere militare dal quale, due giorni dopo, era stato trasferito alla Torre. In quell’antica fortezza, era rimasto confinato per diversi mesi, trascorrendovi l’inverno più umido della sua vita, finché, all’inizio della primavera, gli era stato comunicato che sarebbe presto comparso di fronte a una giuria di suoi pari che avrebbe deciso se esistevano prove sufficienti per rinviarlo a giudizio per spionaggio.
– Abbiamo ragione di ritenere che i Vostri abboccamenti col Conte di Canterbury, da più di un anno agli arresti domiciliari perché sospettato di alto tradimento e di spionaggio, siano stati più frequenti e recenti di quelli da Voi dichiarati, Conte di Lille – ribatté il vecchio Pari, con sguardo attento e severo cipiglio mentre corrugava la fronte.
– Devo rispettosamente dissentire, Milord – disse André, conservando integra la sua compostezza – Come già Vi ho detto e ora Vi confermo, non incontro il Conte di Canterbury dal mese di maggio dell’anno 1797.
– In che rapporti siete col Conte di Canterbury, Conte di Lille? – domandò Lord Tilney senza mutare espressione e tono di voce.
– Egli è parente di mia moglie, Signore. La madre di mio suocero, il Generale de Jarjayes, era Lady Alice Highbridge, figlia di Lord Oscar Highbridge, ottavo Conte di Canterbury e trisavolo dell’attuale Conte.
– Vi trovate, quindi, in stretti rapporti con un uomo accusato di alto tradimento, Conte di Lille – sottolineò Lord Tilney, con voce risoluta che assomigliava a un rimprovero.
– Siete ancora una volta in errore, Milord. Il Conte di Canterbury è un uomo integerrimo e dalla reputazione specchiata. Egli è caduto vittima di una cospirazione del Duca d’Orléans e del Conte di Compiègne che, con i loro artifici, hanno fatto scoppiare la guerra tra la Francia e l’Inghilterra. Costoro sono anche riusciti a portare dalla loro parte il Generale Napoleone Bonaparte, come dimostrano le lettere che…
– Avremo modo di tornare sull’argomento delle Vostre misteriose lettere a tempo debito, Conte di Lille – lo interruppe Lord Tilney, il cui tono lievemente brusco tradiva una certa impazienza – Per ora, rimaniamo concentrati sul Conte di Canterbury che, per inciso, è colui che paga il Vostro mantenimento nella Torre. E’ innegabile che egli si è recato spesso in Francia a incontrare Voi e Vostra moglie e che lo stesso avete fatto Voi con lui. E’ altrettanto innegabile che Vostra moglie è legata da un’amicizia trentennale con la Regina Maria Antonietta che voleva pianificare l’invasione delle nostre coste.
– E’ risaputo che la Royal Navy è di gran lunga superiore alla Regia Marina francese – ribatté prontamente André – Soltanto un pazzo potrebbe sperare di averne ragione in uno scontro improvvisato.
– Non è che la Vostra Regina, in passato, sia mai brillata per avvedutezza – ironizzò fulmineamente Lord Tilney, suscitando un subitaneo mormorio divertito degli altri Pari che portò un simulacro di vivacità nell’opprimente sala rivestita di legno scuro.
– Milord non Vi permetto! – esclamò André che subito si pentì: quella reazione impulsiva aveva fatto il gioco dell’avversario, come dimostrava l’espressione soddisfatta che si era dipinta sul volto di Lord Tilney.
– Vedo che ho ferito la Vostra suscettibilità, Conte di Lille. Touché, per dirla nella Vostra lingua.
– Affatto, Signore – mormorò, compunto, André.
– A mio modo di vedere, Voi fungete da corriere tra la Francia, l’Egitto e i traditori inglesi.
– Niente di più sbagliato, Milord.
L’interrogatorio si protrasse per un altro quarto d’ora, nel corso del quale Lord Tilney non tirò nuove stoccate e André non fece ulteriori passi falsi.
Ritiratasi la Giuria, il prigioniero diede un ultimo sguardo alla maestosa volta di legno di quercia, sotto la quale era stato processato e condannato anche Tommaso Moro e, subito dopo, fu condotto fuori del gotico palazzo di Westminster, dove una folla alquanto numerosa si era riunita, mossa dalla curiosità di vedere quella spia francese senza nome. C’era chi azzardava che fosse un prete papista in incognito, inviato a Londra direttamente dal Vaticano e chi vedeva in lui un amante segreto della Regina Maria Antonietta o un figlio bastardo di Luigi XV.
Infastidite da quell’indesiderato assembramento, malgrado gli sforzi fatti per mantenere il segreto sulla presenza in Inghilterra di André, le guardie accelerarono il passo, conducendo il prigioniero sulla riva del Tamigi dove era ormeggiata la barca che lo avrebbe riportato alla Torre.
Il viaggio via fiume fu, tutto sommato, tranquillo, ma alquanto malinconico. Il cielo plumbeo si rifletteva nelle acque, solcate dall’agile lancia, dando vita a un paesaggio più adatto all’autunno che alla primavera. Una sottile pioggerellina raggiungeva di quando in quando l’epidermide di André, palesando la sua presenza con l’umido contatto di piccole gocce appena percettibili sulle mani e sul viso.
Il clima perennemente autunnale di questa dannata isola non mi concilia pensieri ottimistici. Chi sa se rivedrò mai Oscar e i ragazzi…
– Piuttosto pensieroso il mangiarane – farfugliò una delle guardie, dal lato opposto della lancia.
– Per forza – gli fece eco un commilitone – Con quello che rischia!
Dopo un tragitto lento e monotono, immerso in un innaturale silenzio intervallato soltanto dal ritmico sciabordio dei remi che fendevano l’acqua e dai garriti dei gabbiani, giunsero in prossimità della massiccia fortezza medievale che si imponeva alla vista con i suoi merli e le sue pietre brunite dai secoli. André, nel vederla, fu colto da un senso di oppressione che gli serrò il petto e gli fece rimpiangere la traversata del Tamigi ormai al termine che, per quanto noiosa, umida e sopportata su una panca di legno scomoda e dura, era, pur sempre, una parentesi di libertà apertasi in un concatenarsi di mesi vissuti da recluso.
La Torre di Londra era un complesso di torri, cortili e caseggiati, circondato da due cinte murarie e da un fossato, che si sviluppava intorno al nucleo originario, la grande White Tower. Il lato meridionale delle mura esterne si affacciava sul fiume. André era stato alloggiato nella Bloody Tower, una torre merlata rettangolare, con due bifore da un lato e due dall’altro, che doveva il suo sinistro nome alla misteriosa scomparsa, nell’estate del 1483, dei due giovani Principi Edoardo V e Riccardo di Shrewsbury, ivi rinchiusi dopo la morte del loro padre.
Subito dopo l’inizio della prigionia di André, il Conte di Canterbury, ritenuto complice di lui nell’attività di spionaggio, era stato sottoposto a interrogatorio nel suo palazzo ove viveva recluso. Venuto, in questo modo, a sapere della presenza del congiunto nella Torre di Londra, si era offerto di pagargli degli alloggi signorili e degli abiti da gentiluomo, senza, però, potere avvertire alcuno del fatto che André si trovava sul suolo inglese. L’aiuto economico del Conte di Canterbury aveva reso la prigionia di André più confortevole, ma, non per questo, meno dolorosa.
La lancia arrivò davanti al primo bastione della fortezza, la Saint Thomas Tower, al centro della quale, sotto una lunga arcata, si apriva la Traitors’ Gate, una porta che dava sul fiume. Nel vederla, André deglutì, poiché gli parve una bocca spalancata pronta a inghiottirlo nuovamente nel silenzio di coloro che sono dimenticati e il nome stesso che aveva, “Porta dei Traditori”, stroncava ogni illusione in chi aveva la sventura di attraversarla.
La barca girò e si immise sotto la volta, oltrepassando il cancello di ferro che era stato aperto al loro arrivo. Pochi istanti dopo, si fermò davanti a una scalinata di pietra che terminava nell’acqua, dando modo agli occupanti di scendere.
Il prigioniero udì lo sferragliare del cancello che si richiuse dietro di lui con un tonfo sordo e sussultò.
Saliti i gradini, André uscì dal lato opposto della Saint Thomas Tower e si trovò nel cortile intermedio della fortezza. Proprio davanti alla Traitors’ Gate, si stagliava la Bloody Tower, affiancata dalla circolare e altrettanto massiccia Wakefield Tower, residenza del Re, quando gli capitava di dimorare nella Torre. La cittadella medievale, infatti, non era soltanto una prigione, ma anche una residenza reale.
Scortato dai guardiani, passò sotto la porta ad arco che si apriva alla base della Bloody Tower e che faceva da tramite fra i due cortili della fortezza.
Le guardie lo sospinsero oltre la porta di accesso che, dal cortile interno, immetteva nella Bloody Tower col risultato che, da un istante all’altro, si trovò privato del chiarore del giorno. Il passaggio dall’aperto al chiuso fu, infatti, segnato da una subitanea perdita d’aria e da una tangibile diminuzione della luce oltre che dalla penosa sensazione di essere avvolto da un manto di umidità. Abituati gli occhi alla penombra del lugubre corridoio, salì le scale che lo conducevano agli alloggi a lui riservati, posti al secondo piano. Giunto nei pressi del punto in cui, stando a ciò che gli aveva raccontato un guardiano, era stata ritrovata, in occasione di un restauro avvenuto nel 1674, una cassa di ferro con dentro gli scheletri di due ragazzini, si sentì attraversare le ossa da un brivido freddo e sospirò mestamente.
 
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Torre di Londra, Beauchamp Tower, aprile 1799
 
L’ampia risonanza che la presenza della spia francese aveva avuto fra gli abitanti del quartiere di Westminster aveva indotto le autorità a spostare l’interrogatorio di André all’interno della Torre di Londra e, precisamente, nella Beauchamp Tower, un parallelepipedo rossiccio e merlato dove, in passato, erano stati interrogati anche Lady Jane Grey, soprannominata Regina dei nove giorni e il marito di lei, Lord Guilford Dudley. Questa similitudine non entusiasmava André che la considerava un triste presagio, come i corvi che, ogni mattina, vedeva volare oltre la finestra degli alloggi che occupava.
L’ampia sala in muratura, col soffitto di travi di legno, era più luminosa della Westminster Hall, ma anche più umida.
Lord Tilney scrutava André col suo sguardo critico e diffidente e, mentre gli rivolgeva una domanda, già pensava a quella successiva e al modo per farlo cadere in fallo.
– Parlateci della Vostra attività di corriere, Conte di Lille.
– Io non svolgo alcuna attività di corriere, Milord.
– Voi dovevate trasmettere informazioni dal Generale Bonaparte ai traditori inglesi, primo fra tutti il Conte di Canterbury. Confessatelo! Soltanto così, potrete sperare nella clemenza di chi Vi giudicherà.
– Nulla ho da confessare, Milord! Io mi trovavo in Egitto perché mia moglie doveva tenere d’occhio l’operato del Generale Napoleone Bonaparte per conto della Regina Maria Antonietta. Dovevamo sorvegliarlo, quindi e non aiutarlo!
– Per tenere d’occhio il Generale Bonaparte, non bastava Vostra moglie? Voi eravate lì come… – Lord Tilney fece una pausa per attirare l’attenzione e, poi, scandì – sostegno morale?
I presenti risero.
– Io ero lì come copertura, Milord.
– Come copertura?
– Mia moglie non poteva presentarsi al Generale Bonaparte confessandogli che doveva tenerlo sotto osservazione. Giustificò, quindi, la sua presenza dicendo che avevamo condotto i nostri figli a visitare la terra dei faraoni.
– Un viaggio piuttosto faticoso per dei giovinetti non ancora decenni! Ve lo dico io, invece, cosa facevate in Egitto, Conte di Lille. Eravate il corriere del Generale Bonaparte ed erano i Vostri familiari la Vostra copertura e non viceversa. A dimostrazione della Vostra attività di corriere e di spia vi è la circostanza che, quando il Contrammiraglio Nelson Vi incontrò, eravate a bordo di una nave che, da Alessandria d’Egitto, faceva vela verso occidente.
– Fui rapito! Lo Sfregiato del Mediterraneo voleva chiedere il riscatto a mio suocero!
– Nathaniel Horne, il contrabbandiere noto come lo Sfregiato del Mediterraneo, ha, invece, confermato che Voi siete una spia al soldo del Generale Bonaparte. Pagaste profumatamente Horne per farVi trasportare in Inghilterra e, una notte che eravate ubriaco, gli confessaste la verità e, cioè, di essere una spia.
– E’ falso! Quell’uomo ha mentito spudoratamente nel tentativo di avere salva la vita e non potrà ritrattare, perché, nonostante tutto, è stato impiccato!
– Non si tratta coi contrabbandieri! Hanno sfidato le leggi e la loro ricompensa è la forca!
Subito dopo essere arrivati a Londra, lo Sfregiato del Mediterraneo e gli altri contrabbandieri erano stati condotti nella prigione di Marshalsea e, lì, sottoposti a un serrato interrogatorio, nel corso del quale avevano confessato “la verità” su André. Dopo un processo sommario, erano stati trascinati all’Execution Dock, una serie di forche in riva al Tamigi, destinate all’estremo supplizio di pirati, contrabbandieri e ammutinati e, lì, erano stati impiccati.
La condanna fu eseguita con la bassa marea, ma i corpi furono lasciati appesi fino a che le acque non li ebbero lavati per tre volte. Quasi tutti gli uomini della ciurma salirono sul patibolo piangendo, ormai spogliati della loro arrogante sicumera e metà di loro era in preda ai fumi dell’alcool. Soltanto lo Sfregiato del Mediterraneo si presentò baldanzoso, senza piangere e senza supplicare, con i suoi occhiacci crudeli e profanatori. Non chiese perdono per i suoi peccati, disse che, se fosse vissuto altre cento volte, cento volte avrebbe fatto le stesse scelte e, quando giunse il fatidico momento, proruppe in un’agghiacciante risata e saltò da solo nel vuoto.
– Se soltanto avessi con me le mie lettere… – disse André con rammarico.
– Già, le famose lettere che sottraeste dalla tenda del Generale Bonaparte! – ironizzò Lord Tilney – Quelle che il Contrammiraglio Nelson non ha mai visto, perché Voi Vi rifiutaste sempre di esibirgliele! Quelle che non esistono, se non nella Vostra immaginazione!
– Esistono, ma mi furono sottratte! Appena arrivai a Londra, due uomini, dalla calca, mi urtarono e mi buttarono a terra! Le guardie che mi stavano scortando in prigione videro tutto! Quando giunsi in cella, le lettere non c’erano più!
Quel dommage! – esclamò, in francese, Lord Tilney, provocando l’ilarità degli astanti – E che strane lettere che appaiono e scompaiono a piacimento!
– Vi giuro che è la verità! – proruppe André.
– Io ho finito – disse l’anziano Pari e si sedette.
Terminato l’interrogatorio, André fu ricondotto dalla Torre Beauchamp alla Bloody Tower.
Uscendo nel cortile, lo sguardo gli cadde sulla Cappella Reale di San Pietro ad Vincula, sotto i cui pavimenti erano sepolti i resti dei prigionieri della Torre di Londra lì giustiziati e il corpo gli fu percorso da un tremito.
Pochi istanti dopo, costeggiò il prato denominato Tower Green. Quando vi era passato per recarsi all’interrogatorio, un’ora dopo l’alba, la nebbia era bassa e i fili d’erba erano roridi di brina. Adesso, la caligine si era alzata e l’erba pareva asciutta. Un corvo vide il corteo passare e, gracchiando, spiccò il volo e si allontanò. La tristezza di André si accrebbe.
Una delle guardie della scorta, avendo notato il disagio del prigioniero, fra il saccente e il malizioso, accennando con il capo al Tower Green, disse:
– Questo è uno dei tanti posti in cui fu decapitata Anna Bolena.
– Perché? – rispose prontamente André, ironico, sebbene abbattuto – Quante teste aveva?
– No… – si schermì, imbarazzatissimo, l’altro – E’ che, secondo alcuni, fu decapitata qui, secondo altri, a nord della White Tower, secondo altri…
– E’ bello avere delle certezze nella vita – ironizzò, mestamente, André e riprese il suo pesante cammino verso la Bloody Tower, lui che di certezze, in quel momento, ne aveva pochissime.
 
Beauchamp-Tower
Corvi
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Versailles, giugno 1799
 
Oscar era rimpatriata dall’Egitto due settimane prima e, una volta tornata a casa, si era subito data da fare per ritrovare André, aiutata, in questa disperata ricerca, dal Generale de Jarjayes, dal Colonnello de Girodel, dal Conte di Fersen e anche dalla Regina Maria Antonietta che le era infinitamente grata per tutto ciò che ella aveva fatto in Africa e in Asia e che si rammaricava molto, considerando la scomparsa di André un disgraziatissimo effetto collaterale della missione.
Oscar era sinceramente colpita dalla commozione che il proprio ritorno aveva suscitato nel padre, sempre così stoico e marziale, nella madre, all’apparenza tanto distante e in tutti gli amici e i conoscenti.
I racconti di lei avevano gettato una luce preoccupante e sinistra sulla figura del Generale Bonaparte e avevano costituito argomento di costante discussione in famiglia e alla reggia.
Quel giorno di giugno, si stava apprestando a portare alla Regina una relazione da lei stilata, in cui aveva riassunto ed elencato i punti fondamentali della Campagna d’Egitto e di Siria, con tutte le sue osservazioni sugli eventi e, soprattutto, sui protagonisti.
Stava per uscire da Palazzo Jarjayes e accomiatarsi dal padre, quando un valletto le consegnò una lettera proveniente dall’Inghilterra. Oscar la prese dal piattino d’argento, la guardò, ruppe il sigillo di ceralacca e iniziò a leggerla.
 
A Sua Eccellenza il Luogotenente Generale Oscar François de Jarjayes Comandante Supremo delle Guardie Reali
 
Londra, 18 maggio 1799
 
Eccellentissima Cugina,
il secolo volge al termine e la moda sta mutando con esso. Trovo questa contingenza incredibilmente entusiasmante, ma anche terribilmente impegnativa. Frequentare il bel mondo, le corse dei cavalli e i salotti dell’alta società mescola ebbrezza ad ansietà, perché non faccio in tempo a salire sul mio landau che già penso a come dovrò abbigliarmi per il ricevimento successivo e ciò mi riempie di angoscia oltre che di un eccitante senso di sfida. Succede così anche a Voi?
Parigi è la culla di ogni nuova tendenza in fatto di moda e, ora che tutto sta cambiando, è vitale che io mantenga il passo, per non farmi superare in eleganza dagli altri gentiluomini e lasciarli di stucco. Lord Talbot rivaleggia con me in charme e io devo fargli capire che non ha speranza. Concordate?
Vi prego, Vi supplico di interpellare i migliori sarti parigini per farmi confezionare un guardaroba che sia degno della prossima saison. Provvederei io stesso, se questa dannata guerra non facesse di me un individuo poco gradito in Francia, privandomi di tutto ciò che è veramente importante e amabile nella vita. Unisco a questa mia l’elenco del vestiario che mi occorre e le mie misure. I sarti saranno remunerati a lavoro ultimato tramite la mia banca di fiducia.
Vi saluto con tutta la gratitudine del mio cuore, Carissima Cugina, augurandoVi che i Vostri Genitori siano in salute, che Vostro Marito Vi sia affezionato e devoto, che i Vostri Virgulti crescano in salute, bellezza e creanza, che i ciliegi della Vostra tenuta spargano fiori sul Vostro cammino e che i limoni fioriscano e fruttifichino, deliziandoVi con il loro aroma.
Sempre Vostro affezionato
Percy Blakeney
 
 – Leggete, Padre, che strana lettera! In essa, Sir Percy conferma che in lui coesistono due nature, quella dell’eccezionale e impavido spadaccino e quella del brillante e un po’ fatuo uomo di mondo. Cosa c’entrano, poi, i limoni? Non ne abbiamo mai coltivati nella nostra tenuta…
 
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Giunta alla reggia, Oscar fu subito ricevuta dalla Regina alla quale illustrò la relazione.
– Il Generale Bonaparte non ha alcun rispetto della vita umana – commentò Maria Antonietta – I tragici eventi della Siria ne mostrano l’accanimento verso i prigionieri mentre l’intero resoconto che mi avete fatto insegna quanto egli è disposto a sfruttare i suoi uomini, spingendoli sempre al limite estremo della sopravvivenza. Per non parlare di quelle lettere che ne mettono in serio dubbio la lealtà! Mi spiace non averle lette.
– Esse, purtroppo, sono sparite con André – sospirò Oscar.
– Madame Oscar, non finirò mai di esprimerVi il mio rincrescimento! I servizi segreti da me incaricati di reperire notizie su Vostro marito mi hanno comunicato che il vero nome del contrabbandiere a Voi noto come Sfregiato del Mediterraneo è Nathaniel Horne e che si tratta di un suddito britannico. Nei giorni successivi a quello in cui la nave di Mister Horne salpò da Alessandria d’Egitto, la Royal Navy, comandata da Sir Horatio Nelson, stava navigando dalla Sicilia all’oriente e ciò è confermato dalla pesante sconfitta che, il primo di agosto, ha inflitto alla nostra flotta nella baia di Abukir. Che la Royal Navy abbia intercettato e catturato la nave di Mister Horne? Ciò è plausibile, dal momento che quella nave, dopo la partenza da Alessandria d’Egitto, è scomparsa.
Maria Antonietta terminò così il discorso, non volendo aggiungere, per delicatezza, la seconda ipotesi che le era balenata nella mente e, cioè, che la nave fosse affondata.
– E’ quello che ho ipotizzato anch’io, Maestà – rispose, scura in volto, Oscar – Una nave non sparisce così. Ma, se davvero la Royal Navy ha catturato i contrabbandieri, perché André non ha fatto ritorno a casa? Ci sono soltanto due spiegazioni: che egli, all’epoca, fosse già morto o che sia stato arrestato per qualche motivo. Escluso che possa essere stato scambiato per un contrabbandiere, non rimane che una possibilità…
Nessuna delle due donne ebbe il coraggio di pronunciare la parola “spionaggio”.
– Madame Oscar, Vi assicuro che, se Vostro marito si trova in un carcere inglese, percorrerò tutte le vie diplomatiche per farlo rilasciare, compreso uno scambio di prigionieri.
Oscar lasciò la reggia sull’imbrunire, parzialmente rinfrancata.
La Regina ha promesso di aiutarmi ed è sempre stata di parola con me, so che lo farà – pensava mentre faceva ritorno a Palazzo Jarjayes in groppa al suo cavallo – Ma che strana lettera quella di Sir Percy… Sebbene sia sempre stato vanitoso e amante del bel mondo, è troppo intelligente e avveduto per esprimersi in quel modo, con una guerra che incombe, poi… E quando mai noi abbiamo coltivato i limoni? I limoni… ma sì, i limoni!
Lanciò il cavallo alla massima velocità e, giunta a Palazzo Jarjayes, si precipitò nello studio del Generale.
– Padre! Padre! Consegnatemi la lettera di Sir Percy! Ve l’ho data da leggere questa mattina, ricordate?
Il Generale prese la missiva dalla scrivania e la restituì a Oscar che, senza porre tempo in mezzo, la accostò alla fiamma di una candela. Pochi istanti dopo, delle parole, prima nascoste, emersero in mezzo a quelle vergate con l’inchiostro nero, negli spazi lasciati in bianco fra una riga e l’altra.
– Inchiostro di limone, ne ero sicura! – esclamò Oscar e, subito, iniziò a leggere:
 
Vostro marito è incarcerato nella Torre di Londra con l’accusa di spionaggio. I contrabbandieri che lo tenevano prigioniero hanno testimoniato contro di lui prima di essere impiccati. Hanno interrogato il Conte di Canterbury e, ora, stanno escutendo anche Vostro marito per decidere se rinviarlo a giudizio. Egli sta bene. Il Conte di Canterbury ha pagato per assicurargli una prigionia confortevole e degna del rango che ricopre. State tranquilla, farò di tutto per restituirVelo.
 
Oscar e il Generale de Jarjayes si guardarono allibiti.
 
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Torre di Londra, Bloody Tower, ultimi giorni di maggio del 1799
 
André strinse i pugni, diede un ultimo sguardo agli ambienti che, negli ultimi nove mesi, erano stati il luogo dove si era svegliato e addormentato, fece mente locale e si avvicinò alla finestra a bifora.
Gli interrogatori erano durati circa un mese, con la frequenza di due a settimana, ma ancora non era stato deciso se rinviarlo a giudizio. Alcuni indizi, tuttavia, lo portavano a temere il peggio: la tangibile ostilità di Lord Tilney, l’utilizzo di testimonianze palesemente inattendibili come la confessione dei contrabbandieri e l’assenza di prove a lui favorevoli. Per tutte queste ragioni, aveva accettato, come unica ancora di salvezza, il piano di Sir Percy Blakeney di farlo evadere dalla fortezza.
Sir Percy si era insospettito quando, ad aprile, erano iniziate a circolare con insistenza delle voci su una spia francese detenuta nella Torre di Londra. Aveva, quindi, preso delle informazioni, scoprendo la verità. Aveva incaricato una donna di sua conoscenza di fingersi cugina di André e di fargli visita alla Torre. Tramite la falsa Hélène Grandier, André e Sir Percy avevano comunicato con lettere scritte con l’inchiostro di limone, concordando, così, i dettagli della fuga. Sotto le sue ampie gonne, la donna aveva occultato, oltre alle lettere e all’inchiostro al limone da fare utilizzare ad André, anche una lunghissima fune.
Un capo di quella fune era, ora, legato a una colonna del letto. André aprì le ante della finestra di vetro e di rombi di ferro battuto e guardò fuori. La notte era senza luna, perché avevano scelto il giorno in cui cadeva l’ultimo quarto che, oltretutto, era occultato da grosse nuvole. Strinse risolutamente le mani sul davanzale.
Ora o mai più!
Gettò la fune fuori della finestra e si mise a cavalcioni della stessa. Si guardò intorno e si trovò avvolto dal buio più totale. Chiuse gli occhi e si lanciò fuori della finestra, stringendo con tutte le sue forze la fune e pregando che questa e la colonna del letto reggessero. Si calò di sotto con prudenza unita e destrezza, per degli istanti che gli sembrarono interminabili mentre i palmi delle mani gli bruciavano sempre più, finché non giunse a terra con gioia mista a incredulità.
Ci volle qualche istante per recuperare il senso dell’orientamento e capire in che direzione andare. Della pioggia iniziò a percuotergli il viso e le braccia. Attraversò il cortile e giunse alla scala della Saint Thomas Tower che lo avrebbe condotto alla banchina e alla Traitors’ Gate. Discese i gradini di pietra con prudenza, per non scivolare sulla superficie vischiosa e proseguì, immerso in acqua fino alla vita, verso il cancello di ferro che gli uomini di Sir Percy, dall’esterno, avevano provveduto a forzare e a lasciare socchiuso.
Aprì il cancello con cautela, per non fare rumore e, in poche bracciate, uscì dalla fortezza e si ritrovò a nuotare nel Tamigi. Come concordato nelle lettere, seguì la corrente del fiume, costeggiando la riva, ormeggiata alla quale, a cinquanta piedi di distanza, lo attendeva una barca. Gli uomini di Sir Percy lo avrebbero caricato sopra, coperto con un telo e condotto all’estuario del Tamigi ove lo attendeva un mercantile per portarlo in Francia.
Nuotò con tutte le sue forze, sfidando le acque del fiume mentre quelle del cielo gli cadevano sulla testa e sul volto, finché, col cuore che gli scoppiava di gioia, non raggiunse la barca. Percosse le assi di legno con una mano per richiamare l’attenzione degli occupanti. Ripeté l’operazione finché due uomini non lo issarono, stremato, sullo scafo, sollevandolo dalle braccia. Un terzo uomo tirò fuori da una coperta una lanterna e André si trovò circondato dai soldati di Re Giorgio III.
 
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Versailles, Palazzo Jarjayes, giugno 1799
 
Oscar aveva subito mostrato alla Regina, al Generale de Girodel e al Conte di Fersen la lettera di Sir Percy e, insieme a loro, aveva iniziato a elaborare dei piani per il salvataggio di André.
La notizia della carcerazione dell’uomo non era ancora ufficiale e Maria Antonietta, formalmente ignara delle sorti del suo suddito, non poteva proporre uno scambio di prigionieri senza mettere a rischio la posizione di Sir Percy.
Rosalie aveva reagito alla notizia con grande buon senso e pragmatismo, inframmezzati da gemiti e “Oh! Oh!” a volontà e, nel complesso, si era resa molto utile.
Honoré, Antigone e Bernadette erano stati tenuti all’oscuro, ma, captando i discorsi degli adulti, avevano iniziato a sospettare qualcosa.
– I servizi segreti hanno confermato quanto scritto nella lettera di Sir Percy Blakeney, Comandante – disse Girodel, seduto sulla poltrona del salotto oro di Palazzo Jarjayes – Vostro marito si trova rinchiuso nella Torre di Londra e, precisamente, nella Bloody Tower, con l’accusa di spionaggio. E’ trattato bene ed è in buona salute, ma pare che gli inglesi siano fermamente intenzionati a processarlo e che, su di lui, pesino come un macigno le confessioni dei contrabbandieri.
– Ma come si fa a dare credito alla confessione di uomini con la testa già nel cappio?! – proruppe Oscar mentre affondava le falangi nei braccioli – Pur di sfuggire alla forca, chiunque sarebbe disposto a confessare di avere pugnalato Giulio Cesare l’altro ieri, prima di andare a pranzo! Gli inquirenti sono prevenuti, altro che democrazia britannica!
– E’ evidente che la strada per salvare mio genero non passa per un’aula di Tribunale – scandì, con amaro disincanto, il Generale de Jarjayes – Come sempre, se si vuole una cosa, bisogna procurarsela da soli.
– Generale de Jarjayes, Madame Oscar – intervenne il Conte di Fersen – Io sono pronto a recarmi a Londra in incognito anche domani. André è mio amico. Raggiungerò Sir Percy e, in due, troveremo una soluzione più facilmente che ragionando ognuno per conto proprio.
– Conte di Fersen, no – disse Oscar, afflitta, ma lucida – Queste fughe in avanti non aiuterebbero André, ma potrebbero mettere a repentaglio la Vostra incolumità e noi non ce lo perdoneremmo.
Il Generale de Jarjayes annuì.
In quel mentre, entrò nel salotto un valletto che porse a Oscar una missiva.
– E’ di Sir Percy – disse Oscar, con voce ansiosa e quasi spezzata, fattasi improvvisamente più bassa – Vediamo che dice…
Accostò il foglio di carta alla fiamma di una candela e, istante dopo istante, lettere occulte presero forma sulla superficie riscaldata.
 
Mi duole informarVi che l’evasione che Vostro marito e io avevamo pianificato è fallita e che, adesso, egli è rinchiuso nella più isolata Devereaux Tower, sotto stretta sorveglianza. Siate sicura che non mi darò per vinto finché non Vi avrò ricongiunta a lui.
 
Sui presenti, piombò un silenzio più pesante di mille macigni.
 
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Torre di Londra, Devereaux Tower, giugno 1799
 
Dopo il fallito tentativo di fuga, sventato da alcuni soldati di ronda che, avendo notato la barca, se ne erano impadroniti ed erano rimasti a bordo ad attendere gli sviluppi, André era stato trasferito nella Devereaux Tower, una torre che sorgeva sul lato nordoccidentale della fortezza, incastonata in uno degli angoli della cinta muraria più interna.
L’alloggio era confortevole e signorilmente arredato come il precedente e, ora, André aveva a disposizione due piani, ma ogni tentativo di fuga era reso impossibile dalla lontananza della Devereaux Tower da tutte le porte di accesso della fortezza e dal fiume oltre che dall’inasprirsi della sorveglianza. Giorno e notte, due guardie presidiavano l’accesso alla nuova prigione di André mentre altre stazionavano sotto le finestre affacciate sul cortile interno e su quello intermedio. Il Conestabile della Torre aveva, infatti, subito un duro rimprovero da St. James’s Palace e alla reprimenda si era aggiunto lo smacco di veder bussare al portone della fortezza i soldati della ronda cittadina, non appartenenti al presidio militare della Torre, con il loro detenuto al seguito.
Ogni visita era stata proibita e i pasti erano portati al prigioniero da una guardia alla quale era severamente proibito rivolgergli la parola. Le pulizie erano effettuate da inservienti, sempre alla presenza delle guardie e nel più totale silenzio.
André era consapevole che il fallito tentativo di fuga avrebbe avuto ripercussioni negative su una posizione processuale già seriamente compromessa e non si faceva illusioni sulla possibilità di organizzare una seconda evasione.
A questa situazione già difficile, si era aggiunta l’afa di giugno, acuita dal clima londinese, dalla presenza del fiume e dall’umidità dell’antica fortezza. Le zanzare che ristagnavano nelle rive del Tamigi e nel fossato non gli davano tregua.
Una mattina, il Conestabile della fortezza entrò nella Devereaux Tower e, guardato André, gli disse:
– Conte di Lille, mi duole informarVi che siete stato rinviato a giudizio con l’accusa di spionaggio. La prima udienza del processo contro di Voi si terrà il dieci luglio dell’anno corrente.
Contemporaneamente, le guardie perquisirono gli alloggi del prigioniero, portandone via ogni oggetto col quale avrebbe potuto attentare alla sua vita.
 
Devereux-Tower
 
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Versailles, Palazzo Jarjayes, giugno 1799
 
– Antigone, tu pensi che nostro padre possa essere prigioniero di qualche Sultano? – domandò Honoré, con voce rotta dalla paura mentre, con la mano destra, reggeva una bugia con dentro un mozzicone di candela – Ho letto che i Sultani sono gente feroce…
– Non so che dirti, Honoré – rispose Antigone con l’aria autoritaria e spavalda di un capopopolo che un po’ strideva con la veste da notte bianca di batista, ornata, sul davanti, con del pizzo e un nastro di raso – Dai discorsi degli adulti, sembrerebbe che sia prigioniero di qualcuno e noi, adesso, dobbiamo scoprire di chi.
– In Egitto, ci sono i Sultani – insistette Honoré – Ho letto che torturano i loro prigionieri in modo spietato… Pensa se gettassero nostro padre in una vasca piena di pescecani…
– Ma dove li trovano i pescecani e, soprattutto, come fanno a pescarli e a metterli in una vasca?! – rispose, stizzita, la sorella.
– Forse, i pescecani no – replicò il bambino – ma potrebbero gettarlo in una vasca piena di serpenti d’acqua e di anguille…
– La cuoca, una volta, disse che le anguille fulminano chi le tocca – bisbigliò Bernadette che, fino a quel momento, era rimasta in silenzio.
– Insomma, non divaghiamo! – sbuffò Antigone, alzando gli occhi al cielo – Siamo venuti qui a indagare, visto che gli adulti ci tengono all’oscuro di tutto e non a fare congetture.
– Madamigella Antigone, Vostra madre non si risentirà? Non ha l’aria di gradire che la gente le si intrufoli in camera…
– Se faremo le cose per bene, non se ne accorgerà.
– Ma, una volta lì dentro – si lamentò Honoré – cosa faremo? Se dobbiamo perlustrare tutto, l’alba arriverà e noi non avremo trovato niente…
– Rifletti, Honoré: le notizie dagli assenti si ricevono per lettera e nostra madre conserva le missive più importanti nello scrittoio intarsiato. Coraggio, adesso! Se volete seguirmi, fatelo; se no, entrerò da sola.
I tre bambini varcarono, in punta di piedi, la soglia dello studio di Oscar, con le mani a coppa davanti alle fiamme delle loro candele per evitare che si spegnessero.
– Fate piano! – ingiunse Antigone – Se no, ci scoprono!
La luce delle candele proiettava sui muri ombre allungate e faceva, di tanto in tanto, degli strani scherzi, come se qualcuno fosse in agguato.
– Camminate in punta di piedi e fate passi lunghi, così faremo meno rumore possibile! – bisbigliò Antigone – Lo scrittoio è lì!
– Antigone, ma non abbiamo la chiave! – sbuffò Honoré, come se quella rivelazione improvvisa gli avesse buttato addosso il macigno della sconfitta.
– E’ qui che parte la fase delicata del piano: Bernadette, avete portato il passepartout di Vostra madre?
– Rubare mi piace poco… – gemette la bambina.
– L’avete portato o no? – reagì, con impazienza, Antigone.
Bernadette allungò, vergognosa e compunta, un panno con dentro involto il passepartout che Rosalie usava per aprire le varie serrature.
– Non si tratta di rubare, ma di prendere in prestito – scherzò, impertinente, Antigone, strizzando un occhio all’amica.
Si mossero tutti e tre verso lo scrittoio, quando Honoré si portò la mano libera davanti alla bocca ed esclamò:
– C’è un bagliore lì! Non siamo soli! Ci sono gli spiriti!
Oscar si alzò dalla poltrona intorno al cui schienale era apparso il lieve bagliore proveniente dalla candela che aveva in mano e, voltatasi verso i tre bambini e mosso qualche passo, porse loro la lettera la cui superficie era stata riscaldata dalla fiamma.
– Leggete – disse la donna – Ve la siete guadagnata.
 
Vostro marito sarà processato.
 
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Torre di Londra, White Tower, 12 luglio 1799
 
– La Giuria chiama a testimoniare Sir Horatio Nelson, Contrammiraglio della Royal Navy.
Il processo era iniziato da due giorni, all’interno di una sala della White Tower, l’edificio centrale e di maggiori dimensioni della fortezza, dove, due secoli e mezzo prima, erano stati processati Anna Bolena e il fratello George.
Lord Tilney aveva assunto l’accusa che esercitava con agguerrita determinazione.
Come era facilmente prevedibile, il tentativo di fuga aveva peggiorato la difficile posizione di André, già resa pesante dalla confessione dei contrabbandieri che i Pari sembravano avere accettato acriticamente, dalla provenienza dell’imputato dai luoghi ove marciava l’Armata d’Oriente e dal mancato ritrovamento delle lettere che la Giuria pareva considerare un’invenzione finalizzata a intorbidare le acque.
L’unica consolazione di André era che gli uomini di Sir Percy erano riusciti ad allontanarsi dalla barca prima che i militari della ronda vi sopraggiungessero e a dileguarsi col favore delle tenebre e che lo stesso Sir Percy non aveva partecipato alla missione, perché strettamente sorvegliato in qualità di parente del Conte di Canterbury e di Oscar. Egli stesso aveva provveduto a distruggere tutte le lettere ricevute dall’amico prima di tentare la fuga e, quindi, sotto quel punto di vista, il nobile inglese si trovava in una botte di ferro. Per il resto, non si faceva illusioni sull’esito del processo, in generale e sul tenore dell’interrogatorio di Nelson, in particolare.
Il Contrammiraglio si sedette al banco dei testimoni e Lord Tilney si preparò a parlare.
– Contrammiraglio Nelson, potete descrivere alla Giuria le circostanze del ritrovamento in mare del Conte André de Lille?
– Sicuramente, Milord. Il 30 luglio 1798, ero al comando del vascello HMS Vanguard che faceva vela dalla Sicilia all’Egitto, quando una vedetta scorse a babordo un mercantile che navigava in direzione opposta alla nostra. Temendo che si trattasse di una fregata della Regia Marina francese camuffata da mercantile, intimai di accostarsi, ma la nave si allontanò velocemente e io diedi ordine di fare fuoco. Dopo un breve cannoneggiamento, la nave fu disalberata e catturata e l’equipaggio tratto agli arresti. Sul ponte della nave, trovammo anche l’imputato.
– Cosa successe dopo? – domandò Lord Tilney.
– Egli si presentò come il Conte André de Lille e disse di essere stato rapito dai contrabbandieri che erano intenzionati a chiedere il riscatto.
– Cosa Vi indusse a dubitare dell’imputato, Contrammiraglio Nelson?
– Sebbene gli abiti di lui fossero lordi e stazzonati, egli, quando fu trovato dai miei ufficiali, era libero di muoversi per il ponte della nave e non presentava ceppi, catene, vincoli o altri segni di costrizione.
– Mi avevano messo a pulire il ponte della nave! – intervenne André.
– Avremo modo di discutere della Vostra inusuale condizione di nobile relegato al ruolo di mozzo a tempo debito, Conte di Lille – lo redarguì Lord Tilney – Non interrompete ulteriormente la testimonianza del Contrammiraglio Nelson o sarete allontanato dalla sala. Non ci saranno altri avvertimenti, Conte di Lille.
Lord Tilney fece una pausa e si rivolse di nuovo a Nelson.
– Perdonate l’interruzione, Contrammiraglio. Cosa accadde dopo?
– Misi il Conte di Lille agli arresti. Nei giorni successivi, fornimmo al prigioniero degli abiti puliti e libertà di muoversi per la nave sotto la scorta di un Guardia Marina. Lo sottoposi a interrogatorio sul cassero della HMS Vanguard ed egli disse di essere stato rapito mentre si trovava ad Alessandria d’Egitto ed era diretto al palazzo dell’Ambasciatore francese.
– Qual era lo scopo di quell’incontro?
– Il prigioniero disse di dover consegnare all’Ambasciatore francese delle lettere che egli aveva sottratto dalla tenda del Generale Napoleone Bonaparte. Quel carteggio sarebbe intercorso fra il Generale Bonaparte e il Duca d’Orléans e avrebbe dovuto dimostrare un’intesa fra il Duca d’Orléans e il Conte Maxence Florimond de Compiègne, finalizzata a fare scoppiare la guerra tra Inghilterra e Francia e la complicità dello stesso Generale Bonaparte.
– Avete mai visto quelle lettere, Contrammiraglio Nelson?
– Il prigioniero si è sempre rifiutato di mostrarmele, Milord.
– E Voi cosa faceste, Contrammiraglio Nelson?
– Sulle prime, lo minacciai di farlo perquisire e di sottrargliele, ove necessario, con la forza, ma, poi, soprassedei. Temevo, infatti, che la particolare condizione del prigioniero, quella di Conte, sebbene di un Paese in guerra col nostro, avrebbe potuto creare un incidente diplomatico. Decisi, quindi, che a occuparsi dell’intera faccenda sarebbero state le autorità di terra.
– Vi ringrazio, Contrammiraglio Nelson, non ho altre domande.
Il silenzio tornò, per alcuni brevi, ma intensi attimi, a riempire la sala mentre il cuore di André si faceva sempre più pesante.
 
White-Tower
 
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Torre di Londra, White Tower, 13 luglio 1799
 
André occupava una stanza della White Tower posta sullo stesso piano in cui si trovava la sala dove si era svolto il processo e dove la Giuria stava deliberando.
L’umore di lui era pesante come l’afa di quel tramonto londinese. Aveva abbandonato ogni illusione sulla soglia della Torre di Londra e nulla, ora, si aspettava. La vita era stata strana con lui, molto gli aveva dato, ma molto lo aveva messo alla prova e, adesso, sembrava giunto il momento della resa dei conti. L’idea di non potere più vedere Oscar e i figli gli trafiggeva l’anima.
Arrivò una guardia che gli comunicò che il verdetto era pronto, ingiungendogli di rientrare in sala.
Scortato da quattro guardie, percorse i corridoi che lo separavano dalla Giuria, tentando di farsi forza. Dieci minuti erano bastati a giudicarlo e, se c’è una cosa più preoccupante di un dibattimento lunghissimo, è uno brevissimo. Già una volta era stato condotto a udire un verdetto e, allora, era un semplice popolano, ma, in quel frangente, Oscar, il Conte di Fersen e la Delfina erano giunti a soccorrerlo. Ora, invece, era disperatamente solo.
Prese posto, senza sedersi, nel suo banco, al centro della sala e davanti alla Giuria.
Dopo un paio di minuti, i Lord della Giuria si alzarono in piedi e colui che la presiedeva, con voce grave e occhi rivolti alla pergamena che giaceva sul leggio davanti a lui, declamò:
– Conte André di Lille, questa Giuria di Vostri pari Vi riconosce colpevole del delitto di spionaggio contro l’Inghilterra e ordina che, la mattina del sedici ottobre di quest’anno, siate condotto fuori della fortezza, tradotto nel Tower Hill e, lì, decollato con la scure. Che Dio abbia pietà della Vostra anima.
Il silenzio piombò di nuovo nella sala, inondata dalla luce sanguinolenta del tramonto che penetrava dall’ampia finestra a ogiva. André udì il verdetto inebetito, pallido e immobile, con un unico, momentaneo lampo negli occhi a rivelarne la tempesta interiore. Con volto impassibile e sguardo acceso, Lord Tilney assaporava la sua vittoria.
 
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Versailles, Palazzo Jarjayes, 20 luglio 1799
 
La notizia dell’avvio del processo a carico di André aveva slegato le mani della Regina che, libera dall’ostacolo della mancanza di ufficialità, aveva inoltrato una richiesta di scambio di prigionieri.
A Palazzo Jarjayes, erano tutti impazienti di conoscerne gli esiti e si respirava un clima di perenne sospensione, mista a paura.
Con movimenti nervosi e volto tesissimo, Oscar strappò dalle mani del valletto la missiva di amenità mondane proveniente da Sir Percy Blakeney, accostandola alla fiamma della candela che Rosalie aveva acceso per lei mentre il Generale de Jarjayes e i tre bambini le si erano posti intorno.
Alcuni brevi attimi di ansia scandirono l’attesa, finché la scrittura nascosta, da tutti bramata, emerse, grazie al calore, fra le righe di quella palese di nessuna importanza.
– E’ stato condannato a morte… – mormorò la donna e nulla altro aggiunse mentre i presenti rimasero impietriti.







La Torre di Londra mantenne il suo ruolo di prigione di Stato fino al 1952. L’ultimo prigioniero che vi fu giustiziato per fucilazione fu una spia tedesca, il 15 agosto 1941.
Nel tredicesimo secolo, fu costruita una seconda cinta muraria che inglobò la prima, ragion per cui vi era un cortile interno, uno intermedio fra le due cinte murarie e uno esterno ricoperto da un fossato, nei lati orientale, settentrionale e occidentale. Nel lato meridionale, c’era il Tamigi.
I prigionieri condannati a morte (non tutti, per fortuna, facevano questa fine) erano decapitati su una collina a nord ovest delle mura, il Tower Hill mentre sette prigionieri illustri, fra cui Anna Bolena, Catherine Howard e Jane Grey e alcune spie nel ventesimo secolo furono uccisi all’interno della fortezza. I loro resti erano tumulati sotto il pavimento della Cappella Reale di San Pietro ad Vincula.
Per l’episodio della tentata fuga di André, mi sono ispirata alla vera fuga, andata a buon fine, di Padre John Gerard, un gesuita perseguitato perché cattolico che, il 4 ottobre 1597, si calò con una fune dalla Salt Tower e si allontanò a nuoto nel Tamigi.
I processi, in genere, avevano luogo a Westminster Hall, ma alcuni personaggi illustri come Anna Bolena e il fratello o Jane Grey e il marito furono interrogati e processati all’interno della fortezza. Io ho spostato il luogo dove André era interrogato (da Westminster Hall alla Beauchamp Tower) e imprigionato (da una torre più esterna a una più interna) per sottolineare il progressivo scivolare dell’uomo verso una reclusione sempre più serrata.
Pirati, contrabbandieri e ammutinati erano rinchiusi nella prigione londinese di Marshalsea e impiccati nell’Execution Dock, un complesso di forche in riva al Tamigi. Erano impiccati con la bassa marea e lasciati lì a essere sommersi. Contrabbandieri e ammutinati erano impiccati con una corda normale e lasciati appesi fino a essere lavati tre volte (tre alte maree) mentre i pirati erano impiccati con una corda corta, in modo che la morte sopraggiungesse lentamente per soffocamento e non per rottura di una vertebra, all’interno di una gabbia di ferro ed erano lasciati appesi nell’Execution Dock per anni, come monito per tutti gli altri. Ho letto queste cose per documentarmi e non perché animata da un’insana passione per il macabro, ça va sans dire.
Come al solito, grazie a chi vorrà leggere e recensire!
   
 
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