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Autore: _Agrifoglio_    13/11/2020    13 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Tower Hill
 
Torre di Londra, Devereaux Tower, agosto 1799
 
Il periodo che seguì alla condanna a morte fu, per André, molto doloroso. Dopo il primo, comprensibile smarrimento, seguirono delle settimane solitarie e angustianti, durante le quali il condannato non poté godere della vicinanza della famiglia né beneficiare dei conforti religiosi. Un sacerdote cattolico non gli fu concesso mentre gli offrirono un pastore anglicano che egli, però, rifiutò.
Dopo il tentativo di fuga, il regime carcerario era stato inasprito e ad André non era consentito passeggiare nei cortili della fortezza e, essendo terminato il processo, neppure lo venivano a prendere per tradurlo da una torre all’altra e sottoporlo agli interrogatori. I pochi carcerieri o inservienti che avevano compassione di lui non potevano manifestargliela, essendo tassativamente proibito rivolgergli la parola. Si limitavano a svolgere i loro servigi con maggiore zelo e accuratezza, ma stando sempre bene attenti a non farsi scoprire per evitare guai.
Libri da leggere, invece, gliene portavano quanti ne chiedeva e un breviario di preghiere era sempre aperto sullo scrittoio.
Subito dopo la condanna, per la verità, il Conestabile della Torre aveva lasciato intendere ad André che il Re, nella sua magnanimità, avrebbe potuto commutare la sentenza di morte nel carcere a vita, a patto che egli svelasse i nomi di coloro che lo avevano aiutato nel tentativo di fuga. André, però, aveva immediatamente declinato l’offerta, non volendo in alcun modo barattare la sua salvezza con la rovina di altre persone. Sir Percy Blakeney lo aveva aiutato disinteressatamente e non meritava di essere tradito né lui sarebbe riuscito a vivere con quel peso sulla coscienza o a guardare in faccia Oscar dopo essersi comportato con tanta slealtà. I fatti recenti e la sorte toccata allo Sfregiato del Mediterraneo e agli altri contrabbandieri avevano, poi, mostrato quanto valevano i patti che gli inglesi stipulavano con coloro che consideravano dei criminali da patibolo. Il risultato fu che il Conestabile lasciò la Torre Devereaux dicendo: “Peccato…” e che André tornò alla sua solitudine, contando alla rovescia i giorni che lo separavano dall’appuntamento con il boia.
Quando non leggeva, passava le giornate guardando fuori dalla finestra e l’attenzione di lui si concentrava, di volta in volta, su un cespuglio di bocche di leone cresciuto fra i merli della Torre Devereaux, su uno stormo di uccelli che fendeva l’aria in lontananza o sui soldati di ronda che, però, evitavano accuratamente di incrociare lo sguardo con quello dello scomodo prigioniero. Si rifiutava, invece, di guardare in direzione della Cappella Reale di San Pietro ad Vincula, dove aveva il timore che lo avrebbero seppellito. Aveva chiesto al Conestabile di restituire le spoglie di lui alla famiglia, ma questi, un po’ per il perdurante rancore nascente dai rimproveri e dallo smacco subiti in conseguenza del tentativo di fuga e un po’ per l’oggettiva difficoltà della cosa, era stato evasivo e, rispondendo, aveva evitato di guardarlo in volto.
Nessuna speranza di sopravvivenza aveva conservato. Sapeva bene che i Giudici avevano scritto la sentenza già prima dell’inizio del processo e che il fallito tentativo di fuga aveva calato la pietra tombale su ogni possibilità di ribaltamento di quella farsa legalizzata. Uno struggente dolore lo assaliva, quando pensava che i figli sarebbero diventati adulti senza che lui potesse consigliarli e seguirne la crescita e che Oscar sarebbe invecchiata in solitudine. Privata della compagnia e dell’incoraggiamento di chi riusciva a comprenderla, il carattere, già tanto spigoloso, le si sarebbe incupito e il cuore si sarebbe ricoperto di spine. Il pensiero di non poterla rivedere era una morte amara e progressiva quasi più straziante di quella fisica che lo attendeva ed egli fremeva di disperazione di fronte a un destino così avverso e quasi imprecava quando non gli riusciva di ritrovare in quel cielo sempre così dannatamente caliginoso il blu profondo degli occhi di lei.
 
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Cabinet-de-la-M-ridienne
 
 
Reggia di Versailles, agosto 1799
 
Introdotta da una cameriera, Oscar entrò, di buon mattino, nel Cabinet de la Méridienne.
Non appena la Regina udì la porta aprirsi, si alzò dalla poltroncina che occupava e ordinò alle dame, che la stavano aiutando nella scelta dell’abito e dei gioielli da indossare nel corso della giornata, di lasciarle sole. Oscar, invece, si mise sull’attenti.
– State comoda, Madame Oscar e sedeteVi – le disse, con voce dolce, Maria Antonietta.
Le donne presero posto su due sedie di legno dorato, rivestite di seta azzurra, collocate davanti a un tavolino tondo, meravigliosamente intarsiato. In due coppe di cristallo, la Regina aveva fatto portare del gelato.
– Purtroppo, non ho buone nuove, Madame Oscar – disse la Reggente, con voce compunta e volto stanco mentre quello di Oscar, già preoccupato, si rabbuiò istantaneamente.
Una tosse improvvisa e fastidiosa colse la donna soldato, come sempre accadeva quando era nervosa.
Dopo avere agitato il cucchiaino d’argento nella sua coppa, Maria Antonietta la ripose sul tavolino e proseguì:
– Mi rincresce comunicarVi che le vie diplomatiche non hanno portato il risultato sperato… Gli inglesi non intendono utilizzare lo scambio di prigionieri con… un condannato a morte… Mi dispiace…
Il viso di Oscar divenne ancora più pallido e cupo mentre il peso della sofferenza la annichiliva. La donna posò, a sua volta, la coppa di cristallo sul tavolino intarsiato e, con voce atona, rispose:
– Purtroppo, mi aspettavo una simile risposta, Maestà. E’ sempre apparso chiaro, da come è stato condotto l’intero affare, che gli inglesi hanno da subito coltivato l’intenzione di fare ricorso al ceppo e alla scure… per dare prova di forza e di risolutezza e per ritorsione verso un torto che ritengono di avere subito dalla Francia… e André ci è andato di mezzo… Ho sperato, fino all’ultimo, che la verità potesse emergere e la giustizia prevalere, ma i segni premonitori di quest’esito erano visibili… Ma io non mi darò per vinta, mai!!
– Di qualunque cosa abbiate bisogno, Madame Oscar, potrete fare affidamento su di me! – le disse Maria Antonietta, guardandola accoratamente.
– Vi ringrazio di tutto cuore, Maestà!
Oscar si alzò dalla sedia, si mise sull’attenti e si congedò.
 
Cabinet-de-la-M-ridienne-2
 
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Torre di Londra, Devereaux Tower, settembre 1799
 
La porta di legno della Devereaux Tower si aprì con uno sferragliare di catenacci e alcuni passi risuonarono sul pavimento.
André, che si trovava al piano superiore, discese la scala a chiocciola di pietra che univa i due appartamenti di cui era composta la torre e si avvicinò all’ingresso della sua prigione.
Due guardie vi scortarono dentro l’Onorevole Henry Tindall, il quarto figlio di un Barone che aveva seguito gli studi di legge a Oxford e che era stato assegnato ad André come Avvocato.
Lo aveva patrocinato con poca convinzione e un vago senso di fatalismo che gli avevano impedito di essere efficace e di fare la differenza in una causa in cui, peraltro, non credeva.
Non era malvagio l’Onorevole Henry Tindall. Era un giovane magro, pallido, silenzioso e poco comunicativo, emotivamente smorzato dal suo stato di figlio cadetto di un genitore della piccola nobiltà e di scarse sostanze, un individuo che pochi ricorderebbero dopo averlo incontrato. Era, in poche parole, un uomo scialbo. Aveva seguito il processo in modo dignitoso, ma con scarso zelo, determinato a non commettere errori e a fare ciò che ci si aspettava da lui, ma stando sempre bene attento a non scontentare i Pari e l’opinione pubblica e, soprattutto, a non pestare i piedi a Lord Tilney, un Cerbero che erano in pochi a non temere. Aveva difeso André in maniera formalmente ineccepibile, ma senza slancio e senza andare alla ricerca del colpo di teatro che avrebbe potuto ribaltare gli esiti del processo. La condanna non lo aveva stupito né destato dal torpore dell’indifferenza.
André intuì subito lo scopo di quella visita e ogni barlume di speranza gli si spense quando scorse l’espressione indolente e distante del visitatore.
– AccomodateVi – disse all’Avvocato, indicandogli la sedia vicina allo scrittoio.
L’Onorevole Henry Tindall vi si sedette mentre le guardie prendevano posto ai lati della porta.
– Sono dolente di comunicarVi, Conte di Lille, che la Vostra richiesta di grazia è stata respinta – disse l’uomo, senza aggiungere slancio o partecipazione alle sue parole.
– Capisco – mormorò André, con voce triste, ma priva di rancore.
– Per Voi è stato fatto il possibile – aggiunse – ma le prove a Vostro carico erano schiaccianti e inconfutabili.
A quell’affermazione, André non rispose, stanco di proclamarsi innocente davanti a interlocutori sordi, ma ben deciso a non dare, con una frase di circostanza, il suo avallo a quell’indegna pantomima che qualche buontempone aveva definito “processo”.
– Il sistema giudiziario inglese è uno dei migliori – continuò l’Avvocato.
– Ne sono convinto – gli fece eco André, accompagnando alla frase un mezzo sorriso ironico.
– Conte di Lille, qui, nessuno Vi odia – gli disse l’Onorevole Henry Tindall, fissandolo, per la prima volta, con una certa vivacità e profondità di sguardo.
– Sono convinto anche di questo – ribatté, prontamente anche se stancamente, André – Soltanto che a nessuno è realmente interessato fare luce su ciò che è avvenuto, se non per me, perlomeno per riguardo alla Giustizia o per semplice curiosità. Almeno non fino al punto di saltare l’ora del the per svolgere qualche indagine in più.
– Abbiamo punti di vista diversi, Conte di Lille – tagliò corto, con un certo imbarazzo, l’Onorevole Henry Tindall mentre si alzava dalla sedia – ma, ora, Vi devo lasciare. Che Dio sia con Voi, Conte di Lille.
Gli fece un lieve inchino, ma ne evitò lo sguardo.
– E con Voi – rispose André, ricambiando l’inchino e rivolgendo all’interlocutore un’occhiata mite e franca.
L’uomo gli diede le spalle tossicchiando e si diresse verso la porta di legno, sparendovi dietro subito dopo, seguito dalle due guardie.
André lo osservò allontanarsi e, quando udì il tonfo della porta, chiuse gli occhi e sorrise stancamente.
 
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Versailles, Palazzo Jarjayes, settembre 1799
 
Nel salotto color oro di Palazzo Jarjayes, Oscar e il Generale stavano ricevendo il Conte di Fersen, il Generale de Girodel e il Maggiore de Valmy per discutere delle ultime novità provenienti da Sir Percy.
– Signori, Vi ho convocati per metterVi a parte di quanto mi ha scritto Sir Percy Blakeney e perché Voi stessi mi esortaste a riferirVi tutti gli sviluppi relativi alla sorte di André. Ebbene, sempre avvalendosi dell’inchiostro al limone, Sir Percy mi ha comunicato di avere approntato un piano per l’evasione di mio marito e, il primo ottobre, invierà una goletta sulle spiagge di Calais affinché io raggiunga l’Inghilterra.
Oscar fece girare fra i presenti la missiva di Sir Percy.
– Oscar – intervenne il Generale de Jarjayes – Io verrò con te.
– Padre, ne abbiamo già discusso. Preferirei che Voi restaste qui, per una questione d’età e anche perché dovrete occuparVi dell’educazione dei miei figli, nel caso in cui André e io non facessimo ritorno dall’Inghilterra.
– Non sono così vecchio da essere inutile! Posso dare il mio contributo pure a quest’età!
Oscar, però, si mostrò irremovibile.
– Madame Oscar – intervenne il Conte di Fersen – André è mio amico e Voi avete la mia spada!
– E la mia! – esclamò il Generale de Girodel.
– E anche la mia! – si unì il Maggiore de Valmy.
– Madre! Madre! – urlò Antigone, facendo irruzione nel salotto, dopo avere abbondantemente origliato – Portate pure me! Voglio andare in Inghilterra a salvare mio padre dalle grinfie degli inglesi!
– E’ fuori questione, Antigone – tagliò corto Oscar.
– Ma perché? – protestò la ragazzina.
– Perché non sei sufficientemente grande. Vai in camera tua – concluse, senza appello, la madre.
– Uffa! Ma non è giusto!
– Antigone – si inserì il Generale de Jarjayes – Non puoi andare in Inghilterra per il motivo diametralmente opposto a quello per cui neppure io posso partire. Oltretutto, dobbiamo proseguire con le lezioni.
– Ma che noia! – sbuffò la bambina, andando via.
– Signori, mi scuso per l’interruzione conseguente a questo piccolo dramma familiare – proseguì Oscar – e Vi ringrazio per la disponibilità, ma Vi esorto a riflettere bene e a non sentirVi vincolati alla parola data d’impulso. La missione è pericolosa e potrebbe non contemplare il ritorno.
– Generale – rispose il Conte di Fersen – Dimenticate che ho preso parte alla guerra d’indipendenza americana. Pericolo e disagi non mi sono alieni.
– Comandante – intervenne il Generale de Girodel – Ci conosciamo da trent’anni e sapete che non temo avversità e pericoli né la morte stessa.
– Generale de Girodel – rispose Oscar – Preferirei che rimaneste qui. Dovrete comandare le Guardie Reali in mia assenza e, se perissimo entrambi in Inghilterra, il vertice della Guardia Reale sarebbe decapitato in un sol colpo e resterebbe alla mercé di uomini fedeli al Duca d’Orléans. Se prendessimo una licenza entrambi, poi, le spie inglesi presenti in Francia potrebbero insospettirsi e ricollegare la nostra assenza alla prossima esecuzione di André mentre io, date le circostanze, potrei giustificare la licenza con la stanchezza o con un malore. Voi, oltretutto, siete sposato e il Vostro posto è accanto a Vostra moglie e ai Vostri figli.
– Comandante, se il Vostro diniego è da imputarsi alla mia parentela col Conte di Compiègne…
– No – lo rassicurò Oscar con un sorriso – Conosco bene la Vostra lealtà.
– Comandante – intervenne il Maggiore de Valmy – Io non sono sposato e non sto ai vertici della Guardia Reale.
– Accetto il Vostro aiuto con gratitudine, Maggiore de Valmy.
Fece una pausa e, poi, riprese a parlare.
– Signori, che c’è il rischio che si tratti di una missione suicida Ve l’ho già detto. Sappiate, poi, che Sir Percy giudica arduo penetrare all’interno della fortezza, perché essa è obiettivamente difficile da espugnare da un manipolo di poche persone, perché non disponiamo delle mappe e perché, dopo il tentativo di fuga di André, la sorveglianza è aumentata, al punto che lo custodiscono come un gioiello della Corona. Quando saremo giunti a Londra, Sir Percy ci illustrerà il piano che ha elaborato e che sta ancora mettendo a punto. E’ probabile che egli stia tentando di reperire le mappe o di scoprire qualche passaggio segreto.
– Io sono con Voi – ribadì il Conte di Fersen.
– E anch’io – disse il Maggiore de Valmy.
– Bene, quando è così, il ventinove settembre, all’alba, partiremo per Calais.
– E’ incredibile quanto sono cresciuta in così pochi minuti! – esclamò Antigone, sgranando gli occhi e simulando stupore, mentre faceva nuovamente irruzione in salotto.
– Fila in camera tua – la zittì la madre.
 
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Canale della Manica, 1 ottobre 1799
 
Oscar stava in piedi accanto all’albero di trinchetto, sulla prua della goletta Destiny, un nome più che appropriato all’impresa che dovevano affrontare, come la donna pensò con un sospiro.
L’imbarcazione era partita alle sette di mattina dal porto di Calais, diretta verso l’Inghilterra. L’autunno era iniziato da poco più di una settimana e il mare cominciava a essere mosso, ma in modo tollerabile e, poi, l’attenzione di Oscar era completamente assorbita dall’impresa che stava per fronteggiare.
Una brezza di vento le scompigliò i capelli. Da quell’avventura, sarebbe tornata indietro con André oppure sarebbero morti entrambi. Era l’unica certezza che aveva. Sir Percy Blakeney li aspettava con due berline da viaggio non lontano dalla spiaggia e li avrebbe condotti in un alloggio sicuro, a Londra, dove li avrebbe messi a parte del suo piano. Ovviamente, sarebbero girati bene a largo da Canterbury, dove il Conte stava agli arresti domiciliari e dove sarebbe stato fin troppo facile acciuffarli.
Ignorare la parte dell’impresa successiva all’arrivo in Inghilterra le procurava una sensazione di incertezza, ma anche di libertà: meglio non preoccuparsi subito di tutto, ma affrontare le cose per gradi.
L’aria impregnata di salsedine e carica dell’umido del mattino, unita al banco di nebbia delle prime ore del giorno, la manteneva immersa in uno stato di sospensione, come se si fosse trovata in un limbo marittimo.
Il cielo grigio aveva riversato, all’inizio del viaggio, una sottile pioggerellina, ma, adesso, le nuvole si stavano distanziando e un flebile raggio di luce si era aperto un varco, sufficiente a far risaltare, in lontananza, il bianco delle scogliere.
Si era sempre battuta per la Francia, ma, ora, forse, sarebbe morta in Inghilterra, da straniera senza un volto e un nome. L’ironia della sorte era palese. Se, invece, fosse stata riconosciuta, il grado di Comandante Supremo delle Guardie Reali che ricopriva avrebbe destato scalpore e avvalorato la tesi dello spionaggio, aumentando i sospetti degli inglesi sulle intenzioni bellicose della Regina mentre il Duca d’Orléans, il Conte di Compiègne e il Generale Bonaparte ne sarebbero usciti, un’altra volta, pulitissimi.
Si guardò indietro, in direzione di poppa, dove, accanto all’albero di maestra, il Conte di Fersen e il Maggiore de Valmy conversavano amichevolmente. I loro volti erano scuri e preoccupati, ma, come al solito, dignitosi e fieri.
Si voltò, di nuovo, verso la prua e, dalla nebbia quasi completamente diradata, contemplò le bianche scogliere di Dover, ormai non più tanto distanti. Il debole raggio di sole, unito alla nebbiolina rimasta, conferiva al candido bastione di pietra un aspetto suggestivo, quasi evanescente. Anche il volo dei gabbiani era sempre più vicino.
André la stava aspettando oltre quel breve tratto di mare.
 
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Torre di Londra, Devereaux Tower, 15 ottobre 1799
 
Mia amata Oscar,
quando leggerai queste righe, io non ci sarò più.
La mia vita ha seguito percorsi imprevedibili, a volte accidentati, altre felici e, ora, mi viene tolta in un modo incomprensibile e crudele. Tuttavia, io la benedico mille volte, perché mi ha dato il tuo amore e, di tutti i doni che ho ricevuto, questo è stato il più bello. Vivere accanto a te mi ha dato uno scopo, il tuo amore mi ha completato, i nostri lunghi anni insieme hanno fatto di me l’uomo che sono.
Muoio in pace, perché sono nel giusto, innocente di tutti i crimini di cui sono accusato, ma col rimpianto di non poter vedere per un’ultima volta te e i nostri figli. Di tutti gli strazi possibili, questo è il più grande e, tuttavia, ho deciso di sopportare la terribile prova con cristiana rassegnazione e ti invito a fare altrettanto.
Ti affido i nostri figli, conscio che li sorveglierai nella crescita e che non farai mancare loro alcunché, dall’affetto agli insegnamenti. Siate l’uno il bastone dell’altro. Ricordami a loro con il sorriso, pensando ai giorni felici e non a quelli della sventura e rifuggendo l’odio come il più terribile dei mali. Io, in vita mia, non ho mai odiato alcuno né ho portato rancore e anche tu, cuor mio, sei sempre stata pura d’animo. Non abbandonare questa tua caratteristica, che ti rende bella e superiore, per seguire la via del rancore. Ti supplico, ti imploro di non tentare mai di vendicarmi e di crescere i nostri figli lontani da propositi di vendetta che, di tutte le pulsioni, è la più distruttrice.
Trova sostegno e conforto nei nostri amatissimi figli, nei tuoi genitori, nei nostri amici, nel tuo senso etico e nella tua missione. Il mondo non è un luogo facile dove vivere e la giustizia umana è limitata e fallace, ma, oltre tutto questo, ci sono l’amore e la misericordia divina e un regno bellissimo dove ci rincontreremo e staremo eternamente insieme, senza timore di altre separazioni.
Mi congedo da te col cuore traboccante d’amore, mia splendida moglie! Il mondo che lascio non è tanto brutto se ci sei tu! Quello dove vado è sublime e gioioso, governato da un Dio giusto e benevolo e questa sia la tua consolazione! Ricaccia indietro le lacrime e sorridi, anima mia, sei tanto bella quando lo fai e io ti sorriderò di rimando, ovunque sarò! Addio! Addio!
 
André
 
André si asciugò le lacrime con le dita gelide e ripose la lettera destinata a Oscar sullo scrittoio, accanto a quelle indirizzate a ciascuno dei due figli. Avrebbe pregato il Conestabile di fargliele avere, ma dubitava che questi lo avrebbe fatto ed era più che certo che esse sarebbero state lette dal Conestabile stesso e da altri funzionari. Per questa ragione, evitò di ricordare nomi e aneddoti e di scrivere cose ancora più personali.
Si alzò dalla sedia e si avvicinò alla finestra che affacciava sul lato nord occidentale della fortezza. Lo sguardo gli cadde oltre la cinta muraria esterna, sulla collina del Tower Hill, dove alcuni operai stavano erigendo il patibolo di legno.
– Addio, mia amata Oscar! – sospirò e chinò il capo mentre due grosse lacrime gli calarono velocemente sulle gote e si infransero sul davanzale.
 
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Tower-Hill
 
 
Londra, Tower Hill, 16 ottobre 1799
 
Alle otto di mattina del 16 ottobre 1799, André, scortato da un manipolo di guardie, varcò la porta della Byward Tower, percorse il ponte che sovrastava il fossato e, da lì, attraversò la soglia della Middle Tower, sul lato occidentale della fortezza, trovandosi, così, fuori da essa.
Un’ora prima, un pastore anglicano era andato a fargli visita nella Devereaux Tower dove lo aveva trovato già abbigliato, con un signorile, ma sobrio abito procuratogli dal Conte di Canterbury e pronto ad affrontare l’estremo supplizio.
André, come già in passato aveva fatto, aveva detto al reverendo di appartenere alla Chiesa Cattolica Apostolica Romana, ma quello gli aveva ugualmente proposto di trascorrere l’attesa insieme e i due avevano conversato bonariamente per circa un’ora. Il pastore anglicano, un brav’uomo molto colto e dalla vita specchiata, era rimasto favorevolmente impressionato da André e, malgrado questi avesse rifiutato di convertirsi, si era offerto di accompagnarlo al patibolo.
Quando le guardie erano venute a prenderlo, aveva indossato una redingote scura ed era uscito per l’ultima volta dalla Devereaux Tower. Dopo avere percorso i cortili interni della fortezza, salutato, con muti cenni del capo, da alcune guardie e da qualche inserviente, era giunto davanti alla porta della Byward Tower che si era spalancata davanti a lui.
Uscendo dalla Middle Tower e svoltando a destra, si immise in una strada che costeggiava il fossato e che era presidiata, sui bordi, da due file di militari che dovevano contenere la folla retrostante. André, che non usciva all’aperto e non vedeva così tanta gente da molti mesi, si sentì girare la testa e, tuttavia, fece appello a tutte le sue forze, affrontando il tragitto con molto contegno e grande dignità.
La folla, accorsa a vedere la sfilata della spia mangiarane verso il patibolo, apprezzò molto la forza d’animo del prigioniero e anche il portamento di lui, nobile, ma non altezzoso e, poiché il popolino che assisteva alle esecuzioni amava le belle morti e disprezzava chi si comportava con viltà, furono risparmiati al condannato fischi, insulti e lanci di ortaggi.
Il cielo era coperto e la temperatura alquanto bassa, ma la redingote proteggeva André, facendo sì che non tremasse.
Il cammino lungo la via, che, girando intorno alla fortezza, curvava ad angolo retto formando una elle, si protrasse senza ostacoli e incidenti per alcuni minuti che André visse in uno stato di sospensione emotiva e di coraggiosa rassegnazione. Alla fine, il corteo, composto dalle guardie, dal condannato e dal pastore anglicano, giunse in un punto ove la strada si apriva a imbuto su un grande spiazzo, al centro del quale era stato eretto un patibolo rettangolare di legno.
Anche l’area intorno al patibolo, come i bordi della via, era presidiata da una fila ininterrotta di guardie, dietro le quali era assiepata una folla numerosa. Oltre alle persone in piazza, ve ne erano alcune affacciate alle finestre o ai balconi delle case e altre che avevano preso posto su grosse tribune di legno, costruite per l’occasione. Accanto agli spettatori comuni, vi erano i venditori di limonate, bevande, acqua, di frutta fresca, secca o candita, di castagne, noci, focacce e pagnotte che stazionavano dietro i loro banchi o trascinavano carretti semi sbilenchi, trasformando una pubblica esecuzione in un indegno circo.
Il rumore era fastidioso e assordante, ma, all’arrivo del condannato, si smorzò quasi completamente, per, poi, riprendere gradualmente dopo alcuni attimi.
André diresse lo sguardo verso il patibolo, sopra il quale notò il Conestabile della Fortezza che gli avrebbe letto la sentenza e un altro uomo che doveva essere il boia.
Di fianco al patibolo, adagiata a terra, scorse una bara di legno e il cuore gli si gelò. Ebbe, contemporaneamente, un’esitazione che gli fece arrestare il passo per un istante, ma si riscosse subito. Giunto a quel punto, voleva soltanto che tutto finisse presto, ma, allo stesso tempo, si doleva per la separazione da Oscar.
Questi sono i miei ultimi attimi di vita, i miei ultimi passi, le ultime volte che vedo il cielo…
Proprio quando il macabro corteo si stava immettendo nel piazzale dove avrebbe avuto luogo l’esecuzione, davanti all’ingresso della Torre di Londra, alcune persone, dietro il cordone delle guardie, lanciarono sulla strada a elle delle bombe fumogene, consistenti in granate all’interno delle quali era stata inserita della polvere da sparo umida che, anziché provocare l’esplosione, fece fuoriuscire una fastidiosissima cortina di fumo. Le guardie iniziarono a tossire e a stropicciarsi gli occhi, seguite, a stretto giro, dalla folla.
Contemporaneamente, Oscar, il Conte di Fersen, il Maggiore de Valmy, Sir Percy Blakeney e alcuni amici di lui sfrecciarono a cavallo lungo la via, dirigendosi come saette verso il luogo dell’esecuzione, con i busti piegati sugli animali e i volti coperti da maschere di stoffa che erano state bagnate.
Subito dopo il loro passaggio, gli uomini reclutati da Sir Percy che avevano lanciato le granate fumogene, sfruttando l’effetto sorpresa e il vantaggio di avere il capo coperto da panni bagnati, con pali e forconi, sospinsero quasi tutte le guardie e molte persone della folla nel fossato che costeggiava la strada mentre altri spettatori se la diedero a gambe, disperdendosi.
Mentre Oscar e i compagni, dopo avere percorso la strada che congiungeva l’ingresso della fortezza al Tower Hill, facevano il loro ingresso nella piazza, altri complici di Sir Percy, da dietro il cordone umano, gettarono, questa volta nel piazzale dell’esecuzione, le bombe fumogene davanti alle guardie che presidiavano la folla. Protetti dalla cortina di fumo, Oscar, Fersen, Valmy e Sir Percy raggiunsero la processione che, ormai, era arrivata ai piedi del patibolo. Coperta dai compagni che avevano sguainato le spade contro le guardie che scortavano André, Oscar afferrò il marito per un braccio e lo issò sulla sella, dietro di sé. Tirando di scherma, Sir Percy vide il Conestabile che, già presagendo un secondo smacco e una nuova rampogna, protestava a gran voce e gli lanciò una primula rossa.
Montato André sul cavallo, i soccorritori fecero dietrofront per riguadagnare la strada a elle, ma una parte della folla, non più trattenuta dal cordone delle guardie, si accalcò intorno a loro. Oscar e gli altri, che avevano previsto anche quell’eventualità, tirarono fuori dalle bisacce alcune monete e le lanciarono alla plebe che, subito, si gettò su di esse, lasciandoli passare.
Mentre i cavalieri si dirigevano verso la strada, i complici di Sir Percy, travestiti da commercianti, diedero fuoco alle polveri umide contenute in alcuni barilotti nascosti sotto i banconi delle merci, col risultato che un’ampia cortina fumogena invase l’intera piazza.
– Ma io sarò pagato lo stesso, vero?! – urlò il boia, guardando, esterrefatto, salvatori e prigioniero che prendevano la via della fuga.
Lungo la strada a elle, quasi tutte le guardie e gli spettatori che non si erano allontanati stavano a mollo nel fossato.
– Mangiatevele voi le rane, adesso, idioti!! – gridò loro il Maggiore de Valmy.
Al loro passaggio, gli uomini di Sir Percy lanciarono le granate fumogene contro le ultime guardie rimaste all’asciutto.
Lasciatisi alle spalle la Torre di Londra, Oscar e gli altri si diressero verso le campagne e, da lì, attraverso una rete di tappe dove Sir Percy aveva predisposto il cambio dei cavalli, alla spiaggia di Dover e alla goletta Destiny.

 
Tower-Hill-2







 
Per quanto riguarda le esecuzioni capitali, mi sono informata e i prigionieri della Torre di Londra erano decapitati a Tower Hill o impiccati a Tyburn.
Tralasciando il medioevo e l’epoca Tudor, in genere, nel diciottesimo secolo, i nobili che si macchiavano di crimini politici erano decapitati a Tower Hill mentre i delinquenti comuni o i dissidenti religiosi, fra i quali molti martiri cattolici, furono impiccati a Tyburn.
Soltanto un nobile, Laurence Shirley, IV Conte Ferrers, fu impiccato a Tyburn come un delinquente comune, ma soltanto perché si macchiò di un delitto comune e fu l’ultimo Pari a essere impiccato per omicidio, nel 1760.
L’ultima impiccagione a Tyburn ebbe luogo il 3 novembre 1783 mentre quelle successive furono eseguite fuori della prigione di Newgate.
L’ultimo uomo a essere decapitato a Tower Hill e in tutta l’Inghilterra fu Simon Fraser, XI Lord Lovat. Si trattava di un nobile scozzese giustiziato il 9 aprile 1747, per ribellione e tradimento.
La scena che si svolge nel salone color oro di Palazzo Jarjayes, rileggendola, mi ha ricordato quella che ha avuto luogo durante il consiglio di Elrond, ne “Il Signore degli Anelli” anche se l’intenzione iniziale non era quella.
Il primo caso documentato di utilizzo bellico di una cortina fumogena fu la battaglia di Macao del 1622, durante la quale un barile di polvere da sparo umida fu lanciato al vento, così che gli olandesi poterono sbarcare con la copertura del fumo. Le granate, fin dal diciottesimo secolo, erano lanciate anche manualmente.
Come al solito, grazie a chi vorrà leggere e recensire queste mie righe!
   
 
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