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Autore: Parmandil    15/10/2020    1 recensioni
Sono tempi bui, la prima Guerra Civile della storia federale. Scacciati dalla Terra, ora in mano ai Voth, gli Umani subiscono deportazioni e angherie di ogni sorta. Alla Flotta Stellare non resta che proteggere i pianeti ribelli dai Pacificatori, decisi a epurare ogni dissenso, in nome del “bene superiore”.
Ancora una volta il fulcro del conflitto è la stazione Deep Space Nine, nel sistema bajoriano. Qui i Pacificatori e i Breen sono decisi a schiacciare ciò che resta dei ribelli; né intendono lasciarsi sfuggire i preziosi Cristalli di Bajor. Ma i Cristalli hanno una volontà loro: specialmente il nuovo Cristallo di Fuoco, in cui si annida un’antica entità demoniaca. Solo un leggendario Capitano del passato potrebbe arginarla. I nostri eroi dovranno affrontare le fiamme e sacrificare ciò che più amano, solo per scoprire che una possessione demoniaca è cosa da nulla, in confronto alla possessione ideologica.
Intanto lo Spettro e la Banshee scoprono un piano diabolico che coinvolge le specie rettili dell’Unione. Teatro dell’intrigo è Cestus III, dove li attende una vecchia conoscenza. In questa guerra che incrudelisce sempre più, c’è una sola certezza: nessun vincolo d’amicizia, d’amore o di parentela può salvare chi si oppone ai Pacificatori.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Benjamin Sisko, Cardassiani, I Profeti, Nuovo Personaggio, Odo
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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-Capitolo 1: La schiavitù è libertà

Data Stellare 2591.306

Luogo: Peliar Zel II

 

   «I passeggeri del volo 927 da Vothan sono pregati di recarsi al Centro di Smistamento. Ripeto, i passeggeri del volo 927 da Vothan sono pregati di recarsi al Centro di Smistamento. Si ricorda ai signori viaggiatori di tenere pronta la tessera d’identità genetica, per sveltire i controlli. Buon proseguimento di giornata».

   I Terrestri scesero dalle rampe della nave trasporto, appena atterrata, portando quei pochi bagagli a mano che avevano potuto tenere con sé durante il viaggio. Sotto l’occhio vigile degli agenti e dei droni di sorveglianza, lasciarono il campo d’atterraggio – circondato da un recinto elettrificato – ed entrarono nell’hangar coperto adibito a Centro di Smistamento. Quando furono tutti dentro, le porte si richiusero.

   «Benvenuti su Peliar Zel» disse una voce dagli altoparlanti. «Gli Umani sono pregati di recarsi al Gate 2, mentre tutti gli altri possono accomodarsi al Gate 1. Il resto dei bagagli sarà trasferito direttamente ai vostri alloggi. Buona permanenza sul nostro pianeta».

   La gran folla si divise in due gruppi, pressappoco equivalenti. Davanti ai cancelli si formarono lunghe file, sebbene i controllori verificassero le identità il più in fretta possibile.

   «Mamma, perché tutti dicono che veniamo da Vothan?» chiese un bambino Umano, che seguiva i suoi genitori verso l’uscita assegnata.

   «Perché il nostro pianeta si chiama così» sospirò la Terrestre.

   «Io credevo che si chiamasse Terra!» si stupì il bambino.

   «Non più. Terra era il nome che gli davamo noi Umani. Ma adesso che sono tornati i Voth, cioè i discendenti degli Hadrosauri, l’hanno ribattezzato così».

   «Perché i Voth sono stati via tanto? E perché ci hanno cacciati via?» insisté il piccolo.

   «Ssshhh... non è il momento di fare queste domande. Ne parleremo dopo» disse la madre, spaventata dall’avvicinarsi di un drone di sorveglianza. La famiglia si mise in fila con le altre.

   Appena i viaggiatori si facevano convalidare i documenti, lasciavano il Centro e salivano sui treni a levitazione. Questi prendevano due strade diverse. I treni che trasportavano gli alieni si dirigevano verso la città, dove erano stati predisposti degli alloggi dignitosi. Quelli contenenti gli Umani, invece, uscivano dal centro abitato. Dopo essersi allontanati nella steppa raggiungevano un campo circondato da un’alta recinzione, anche questa elettrificata. Qui si trovavano dei miserevoli alloggi prefabbricati, più simili a container che a vere e proprie abitazioni. Il cancello, sorvegliato da guardie armate e persino da veicoli blindati, era sormontato da una scritta in Zakdorn, la lingua della Presidente Rangda. Diceva: “La verità rende liberi”.

   Scesi dai treni, gli Umani furono scortati all’interno del campo, in un enorme spiazzo. Il sole batteva forte sulle loro teste, tanto che alcuni cominciarono ad aver sete, ma non erano previsti rinfreschi. Solo una volta entrati negli alloggi avrebbero potuto ristorarsi. Prima, però, dovevano ascoltare il discorso riservato ai nuovi arrivati. La folla si assiepò davanti al palco delle autorità, che sorgeva davanti all’unico edificio lussuoso del campo ed era protetto da un cordone di guardie in assetto antisommossa. Quando gli Umani furono tutti arrivati e i cancelli del campo si chiusero alle loro spalle, alcuni funzionari uscirono dal palazzotto e salirono sul palco. Il loro apparire fu salutato dagli applausi.

   «Benvenuti, signore e signori» disse un Peliar Zel che vestiva l’uniforme bianca e rossa dei Pacificatori, la nuova forza militare dell’Unione. «Sono il Direttore Trion e vi auguro una piacevole permanenza nel nostro Centro di Rieducazione. Tutti voi siete già stati informati del perché si è reso necessario smistarvi dalle altre specie. Io voglio solo ricordarvi che, una volta superato il corso formativo, sarete condotti in città, dove vi attendono i vostri compagni di viaggio. È prassi che io introduca i nuovi ospiti agli scopi del corso, ma in quest’occasione cederò la parola. Perché oggi, in via del tutto eccezionale, abbiamo fra noi una delle personalità più in vista dell’Unione. Un caloroso applauso per la Ministra dell’Informazione, Lyra Shil!».

   La mezza Xindi salì sul palco, accolta da un applauso ancor più roboante. Rivolse un sorriso smagliante alla folla, levò la mano in segno di saluto e dopo aver attivato l’amplificatore vocale cominciò a parlare. «A nome dell’Unione Galattica, grazie a tutti voi per l’impegno civico dimostrato durante il viaggio» esordì. «Spesso gli Umani sono riottosi, durante questa fase delle operazioni. Credono che il solo fatto d’essere nati su Vothan, o di appartenere alla specie Umana, gli dia un qualche diritto su quel pianeta. Voi invece avete dimostrato grande senso civico. Ciò, ovviamente, non significa che non siate razzisti come tutti gli altri».

   La Ministra dell’Informazione fece una breve pausa e poi ricominciò. «Vedete, la triste realtà della Galassia è che tutti quanti siamo un po’ razzisti, sotto sotto. Certo, questo non vuol dire che andiamo in giro ad aggredire la gente; ma tendiamo sempre a discriminare, almeno a livello inconscio.

   Fin qui ho detto “tutti”. Ma allora perché solo voi Umani avete bisogno di questo corso, prima di riunirvi al resto della popolazione? È presto detto. Voi Umani, a differenza delle altre specie, credete che il razzismo sia solo un atteggiamento volontario, quando in realtà è molto di più. Il razzismo è un complesso sistema d’ingranaggi politico-economici allestito secoli fa, allo scopo di favorire gli Umani e opprimere tutti gli altri. Questo, indipendentemente dal fatto che voi ne siate consapevoli e complici. Avete interiorizzato questo sistema oppressivo fin dall’infanzia e continuate a rafforzarlo ogni singolo giorno, coi vostri comportamenti. Dunque la domanda che dovete farvi non è: “Sono razzista?”, bensì: “Quanto sono razzista, e contro chi?”.

   Attenzione, non sto dicendo che siate tutti violenti. Dico solo che beneficiate – consapevoli o meno – di un sistema che opprime le altre specie. Il vostro indottrinamento comincia alla nascita ed è così incorporato nella vostra cultura da non farvi comprendere i vostri gravissimi bias cognitivi. Ecco perché dovete intraprendere un percorso di crescita e di guarigione, in questo luogo predisposto allo scopo.

   Non mi stancherò mai di ripeterlo: il vostro privilegio non significa che le vostre esistenze siano perfette. Anche voi, come tutte le altre specie, vi scontrate con le asperità della vita. Tuttavia la vostra razza non è uno dei fattori che contribuiscono a queste difficoltà. Lo so, è difficile ammettere d’essere privilegiati: sembra quasi di negare tutte le proprie fatiche e i propri conseguimenti. Ma non è così. Tutti noi vi rendiamo onore per il vostro lavoro; non vogliamo sminuirlo né screditarlo. Vogliamo semplicemente far sì che tutti gli altri abbiano le vostre stesse opportunità.

   I bias cognitivi, le appropriazioni culturali, le micro-aggressioni e il privilegio Umano sono tutte cose reali. Se pensate di non aver beneficiato di questo sistema, vi sbagliate: è che non ve ne rendete conto, e ciò costituisce il vostro privilegio. Certo, potreste argomentare che non siete stati voi a costruire questo sistema perverso. Perché dovete scontare qualcosa di cui sono responsabili i vostri avi? Non potremmo metterci una pietra sopra, e punire solo quelli di voi che compiono reati?».

   La mezza Xindi sorrise alla folla e poi riprese. «È frustrante, vero? Essere giudicati per la vostra razza... per qualcosa che hanno fatto i vostri antenati. Ma vedete, cari Umani, questo momento storico che stiamo vivendo non riguarda voi. Perché la Galassia non ruota attorno a voi. Questa non è la vostra rivoluzione, perché non ve ne serve una. Non-ve-ne-serve-una» ripeté, scandendo bene le parole per farle entrare nelle loro testoline. «E questo deve rendervi felici. Perché anche questo è un privilegio».

   L’oratrice osservò la folla e, trovandola debitamente silenziosa, riprese il discorso. «Ebbene, poiché siete Umani, non vi chiediamo di capire quanto è stata tossica la vostra colonizzazione culturale. Non potete comprendere quanta sofferenza ci avete inflitto... non ne siete capaci. E nessuno, qui, vi chiede di fare l’impossibile. Per quanto possiate impegnarvi, non capirete mai cosa significa vivere per generazioni sotto l’oppressione culturale di un’altra specie. Ma non avete bisogno di capirlo, per accettare il semplice fatto che siete parte del problema. Ricordate: la Galassia non gira attorno a voi!

   Vi abbiamo portati qui per farvi sentire la nostra voce: tutto ciò che dovete fare è ascoltare. Più lo farete, più diverrete consapevoli della vostra ignoranza e dei vostri pregiudizi. Vedete, il razzismo somiglia all’odio, ma l’odio è solo una delle sue molteplici manifestazioni. Un’altra è il privilegio. Un’altra è l’ignoranza. Un’altra ancora è l’apatia contro le ingiustizie. Voi siete qui per guarire, nei limiti del possibile, da questi mali. Sarà difficile? Certo che sì. Ma non c’è crescita senza fatica e disagio. Ricordate: se potete scoprire cos’è il razzismo tramite il nostro corso, anziché viverlo brutalmente sulla vostra pelle, è perché siete privilegiati».

   La fine del discorso fu salutata da un lungo applauso. Alcuni applaudivano perché sinceramente convinti, altri perché vedevano i droni che ronzavano sopra le loro teste e temevano ritorsioni, se non si fossero uniti al coro.

   Quando le ovazioni si furono placate, Lyra volle occuparsi dell’ultimo dettaglio. «Fra poco andrete a riposare nei vostri nuovi alloggi, così che domattina possiate cominciare il corso. Ma prima di lasciarvi, voglio chiedervi un piccolo gesto d’umiltà. Consideratelo la prima lezione... il primo passo del vostro cammino di guarigione. Inginocchiatevi, ponendo entrambe le ginocchia a terra, e ammettete le vostre colpe. Se fate questo, tutto il resto sarà più facile».

   Gli Umani obbedirono all’ordine. I primi a farlo furono i ragazzi e gli adulti. Poi toccò ai bambini piccoli, che lo fecero per imitazione. Gli ultimi a obbedire, più controvoglia, furono gli anziani.

   Tutti tranne uno.

   Un uomo sull’ottantina restò fieramente in piedi, fissando il palco con le braccia incrociate sul petto. Essendo l’unico in piedi, in una folla prona, attirò gli sguardi di tutti. «Chinati, vecchio pazzo!» gli sussurrò qualcuno che gli stava accanto, ma lui ignorò il consiglio.

   Vedendo il ribelle, Lyra fu assalita dallo sdegno. Era tipico degli Umani, rovinare le cose proprio quando volgevano al meglio. Capì che non poteva sorvolare su quel gesto di sfida: doveva occuparsene subito e con decisione.

   «Ci occuperemo di quel soggetto...» promise il Direttore Trion, che le stava a fianco.

   «No, ci penso io» lo fermò Lyra, abbozzando un sorriso. Di tutte le specie con cui aveva avuto a che fare, gli Umani erano di gran lunga la più fragile. Ci voleva un niente per spezzare il loro ego infantile. E lei non vedeva l’ora di spezzare quel ribelle. «Ehi, dico a lei, che è rimasto in piedi! Vorrebbe gentilmente dirci il suo nome?» chiese con finta cordialità.

   «Winston Samsa» rispose l’uomo. «Tenente a riposo della Flotta Stellare».

   «La Flotta, eh? Immagino che l’abbia lasciata prima della riforma» disse Lyra, pregustando una lezione coi fiocchi. La vecchia Flotta Stellare era stata sciolta l’anno prima, lasciando il posto ai Pacificatori. Quelli che non avevano accettato di prestare il nuovo giuramento si erano dimessi, o erano diventati ribelli.

   «Esatto» confermò l’uomo. «Ho prestato servizio durante la Guerra delle Anomalie, quando la Galassia ha rischiato la distruzione. All’epoca erano i Na’kuhl a pretendere che c’inginocchiassimo davanti a loro. Non l’abbiamo fatto. Li abbiamo combattuti con tutte le nostre forze... e li abbiamo sconfitti» ricordò. «Dunque non vedo perché ora dovremmo inginocchiarci davanti a voi».

   «I Na’kuhl volevano distruggerci. Noi vogliamo far progredire l’Unione» spiegò la mezza Xindi.

   «Ciò che voi chiamate “progresso”, molti altri lo chiamano dittatura» rimbeccò Samsa, suscitando lo stupore e l’ostilità di quanti lo circondavano.

   «Quelli di cui parla sono criminali e terroristi» disse Lyra. Svanito il tono amichevole, ora fissava l’Umano con freddezza.

   «Si riferisce ai suoi genitori e a suo fratello? Ho sentito che si sono uniti ai ribelli» la punzecchiò l’Umano.

   «Infatti saranno assicurati alla giustizia, come tutti gli altri» disse Lyra, arrossendo per quell’affondo personale. «Vede, è proprio a causa della Guerra Civile che i gesti di distensione sociale sono più urgenti che mai. Rifiutando d’inginocchiarsi e di chiedere scusa, lei sta insultando tutti gli alieni che vivono nell’Unione».

   «L’insulto sarebbe inginocchiarsi» insisté Samsa. «Vede, giovanotta, inginocchiarsi è sempre stato un gesto da schiavi, e sempre lo sarà. Io sono un uomo libero. Non mi sono mai inginocchiato davanti a nessuno, né ho preteso che altri lo facessero davanti a me. Questo deve valere per tutti. Nessuno dev’essere costretto a inginocchiarsi e nessuno deve pretendere che lo facciano gli altri, perché abbiamo tutti la stessa dignità».

   «Vedo che lei non ha minimamente compreso il senso di questo gesto» disse la Ministra, sempre più incollerita. «Inginocchiarvi non serve a soddisfare il nostro ego – che non dipende da voi – bensì a rendervi più consapevoli delle vostre colpe. È una medicina che lei, stupidamente, rifiuta di assumere. In tal modo sta facendo del male a se stesso. E sta dimostrando a tutti che la sua specie non è pronta a progredire. Questo è un insulto non solo per gli alieni, ma anche per gli Umani che invece vogliono migliorarsi. A riprova delle mie parole, voglio che tutti coloro che si sentono feriti e insultati dal gesto del signor Samsa alzino la mano».

   Migliaia di mani si alzarono all’istante. Le guardie e il personale del campo le avevano alzate tutti; ma anche gli Umani lo avevano fatto. Nessuno voleva passare per contestatore, temendo che in quel caso non sarebbe più uscito dal Centro. L’anziano ufficiale di Flotta si guardò attorno sconfortato: attorno a lui c’era un muro di ostilità.

   «Vede, signor Samsa? La democrazia mi da ragione!» esultò Lyra. «Ora lei s’inginocchierà, o dovremo punirla per la sua infantile riottosità».

   «E come mi punirete? Mettendomi davanti a un muro e fucilandomi? Ficcandomi in una cabina di disgregazione? Cosa succede a chi non supera i vostri corsi, eh?!» protestò il vecchio Umano, tremante d’indignazione.

   «Li superano tutti, alla fine» rispose Lyra, con un sorriso inquietante. «Tutti apprendono la verità che li rende liberi. Alcuni ci mettono più tempo, tutto qui. Lei, evidentemente, sarà uno di quei ritardatari. La lezione che apprenderà oggi è questa: nessuno può sfuggire alle proprie colpe. Più tenta di sottrarsi, più il fardello aumenta... finché la schiaccia».

   A un cenno della Ministra, il comandante dei Pacificatori inviò un segnale ai droni che sorvolavano il campo. Uno dei marchingegni scese in picchiata contro il signor Samsa. L’anziano levò le braccia per proteggersi, temendo che lo avrebbe colpito, ma si sbagliava. Giunto a due metri da lui, il drone si fermò a mezz’aria e cominciò ad aprirsi come un meccano. Persa l’iniziale forma compatta, divenne un intrico di tubuli, sottili ma resistentissimi. Questi tubuli si mossero come un groviglio di serpenti, finché assunsero una forma ben definita. La forma di un corpo umano.

   Samsa fu assalito dall’angoscia e iniziò a tremare, vedendo quel simulacro umano a forma di gabbia che gli veniva contro camminando. Somigliava agli esoscheletri che gli individui abituati alla bassa gravità usavano per muoversi. Ma a differenza di quelli, che servivano a sostenere, questo aveva lo scopo di opprimere.

   L’Umano cercò di fuggire, ma il congegno lo raggiunse con poche falcate. Gli si abbarbicò addosso, avvolgendogli tutte le membra con la sua sottile, ma inflessibile rete. Samsa gridò di terrore e dolore, sentendosi strattonare da tutte le parti. Attorno a lui, gli altri Umani lo osservavano con reazioni che andavano dal compiacimento all’interesse morboso. Ma più soddisfatta di tutti era Lyra, che dal palco delle autorità si godeva la scena. A conti fatti, era lieta che quello stupido Umano si fosse ribellato: così ne aveva fatto un esempio per gli altri.

   «Ah!» gridò Samsa, mentre la gabbia metallica terminava di avvolgerlo. Era del tutto immobilizzato: nelle gambe e nelle braccia, nel busto e nella testa. Persino le singole dita erano avvolte dai listelli metallici che ne controllavano i movimenti, con precisione certosina.

   «Guardi che cosa ha fatto a se stesso» disse la Ministra, con severità. «Non si vergogna? Adesso s’inginocchierà, com’è giusto che sia». Al suo cenno, la gabbia metallica costrinse Samsa a chinarsi, mettendo ambo le ginocchia a terra. Lacrime d’umiliazione solcarono le guance dell’anziano.

   «Bene. Ora che l’inconveniente è superato, tutti voi pronuncerete un solenne giuramento. In alto le mani, mentre giurate!» ordinò Lyra.

   Gli Umani, che erano rimasti a terra per tutto il tempo, fecero come ordinato.

   «Leggete queste parole, a voce alta e chiara. Voglio sentire le vostre voci!» comandò la mezza Xindi. Il testo del giuramento apparve sopra il palco, in forma di lettere olografiche che scorrevano lentamente. La folla iniziò a leggere: le migliaia di voci si fusero in un unico, possente suono.

   «Noi siamo colpevoli, e siamo qui per apprendere la verità che ci renderà liberi. La nostra arroganza maschera la paura e la vergogna che proviamo per il male che abbiamo inflitto agli altri. Siamo prigionieri di una vita ipocrita, che c’impedisce di relazionarci genuinamente con gli altri. Ma da oggi, cominceremo a rompere questo meccanismo perverso.

   Giuro di seguire il Corso di Rieducazione con tutta la mia attenzione, la mia passione e il mio impegno.

   Giuro di liberarmi dai miei ingiusti privilegi, dai miei bias cognitivi, dalla mia mentalità retrograda che finora mi ha reso un oppressore.

   Giuro d’impegnarmi con tutte le mie forze per la giustizia, la libertà e l’uguaglianza di tutte le specie, entro i limiti consentiti dalla mia imperfetta natura Umana. Questo solenne impegno vale oggi e per il resto della mia vita».

   Le ultime lettere olografiche svanirono nell’aria. Terminato il giuramento, la folla inginocchiata attese i prossimi ordini. Lyra la osservò compiaciuta. Gli Umani erano stati obbedienti, quindi li avrebbe premiati. Tutti tranne il vecchio perturbatore: lui era ancora in punizione.

   «In piedi, ora!» ordinò la Ministra, sbattendo le mani, come avrebbe fatto con degli animali. Gli Umani obbedirono. Anche il vecchio Samsa dovette rialzarsi, seguendo i movimenti della sua gabbia.

   «Ora potete recarvi agli alloggi assegnati, per scaricare i vostri bagagli e riposare» spiegò Lyra. «I replicatori alimentari vi forniranno un pasto standard. Consiglio a tutti voi di sfruttare il resto della giornata per familiarizzare col regolamento del Centro. Potete passeggiare fuori dagli alloggi, ma senza uscire dal campo. Vi avverto inoltre che alle 20 in punto scatterà il coprifuoco. Chi si attarderà all’esterno, dopo quell’ora, sarà interrogato dalle guardie e se non saprà giustificarsi passerà la notte in cella d’isolamento. Buona permanenza; mi auguro che questa sia un’esperienza piacevole e formativa per ognuno di voi. Ma prima che andiate, vorrei che diceste al signor Samsa cosa pensate di lui. Non servono azioni... basteranno le parole» disse, fissando l’Umano con un sorriso perfido.

   Sotto la spinta dell’esoscheletro, che lo muoveva come un burattino, il veterano della Flotta si diresse verso l’alloggio assegnatogli. I suoi movimenti erano rigidi e legnosi. Il resto della folla si aprì in due ali, lasciando un corridoio vuoto attraverso cui poteva muoversi. Da ambo i lati, gli altri Umani gli fecero sapere cosa pensavano di lui.

   «Razzista!».

   «Oppressore!».

   «I tuoi privilegi sono finiti, non l’hai ancora capito?».

   «Vergognati».

   «La pagherai».

   Poco alla volta, gli insulti e le minacce si precisarono in un canto ritmico: «Oppressore! Vergogna! Oppressore! Vergogna!». Malgrado l’ordine di trattenersi dalle azioni punitive, molti Umani sputarono addosso al loro simile, mentre questi gli passava davanti. Non contentandosi di colpirlo lateralmente, alcuni gli si accostarono per sputargli in faccia. La cosa proseguì finché l’Umano ingabbiato raggiunse l’ingresso del suo alloggio. Solo allora l’esoscheletro si aprì, permettendogli di entrare e di chiudersi dietro la porta, perché nessuno lo vedesse singhiozzare. La gabbia metallica ora vuota si ripiegò su se stessa; in pochi secondi riassunse la configurazione di drone. E il drone accalappiatore tornò a svolazzare sul campo, assieme a centinaia di suoi simili. Il messaggio rivolto ai visitatori era chiaro: il dissenso non era tollerato.

   Osservando la folla che si disperdeva, Lyra pensò che probabilmente non ci sarebbero stati incidenti. Certo, ogni tanto sarebbe servito qualche intervento correttivo, come quello appena applicato: dopotutto gli Umani erano incorreggibili. Ma non ci sarebbero state rivolte, come talvolta era accaduto in altri Centri. Questo branco era già mansueto; figurarsi a fine corso. Dopo aver infierito sul capro espiatorio, sfogando la loro aggressività, gli Umani si recavano ai loro alloggi col sorriso sulle labbra, del tutto malleabili. Ci avrebbero pensato gli esperti del Centro a istruirli: psicologi, consiglieri, personal trainer. E per i casi più gravi c’erano sempre i neurochirurghi. Non importava quanto fossero deboli, stupidi e meschini gli Umani che entravano nel Centro: quando ne uscivano, tutti amavano l’Unione Galattica e avevano una fiducia incrollabile nella Presidente Rangda.

 

   Finita la cerimonia d’accoglienza, Lyra tornò nel palazzotto, dove si trattenne a parlare con il Direttore Trion e altri responsabili del Centro. C’erano molti problemi da risolvere: carenza di personale, necessità di standardizzare le terapie, per non parlare dei lavori d’ampliamento. Presto infatti sarebbero giunti altri Umani: era indispensabile che il Centro potesse accoglierli. Dall’alto della sua posizione ministeriale, Lyra non aveva bisogno di approfondire i dettagli: ricordò a Trion che lui era il responsabile della struttura, e sarebbe stato responsabile anche delle inadempienze.

   A sera, la mezza Xindi lasciò il Centro su una navicella e tornò in città, dove l’attendeva un appartamento di lusso nel complesso governativo. Si sarebbe trattenuta a Peliar Zel ancora un giorno, per poi muovere nel sistema adiacente, e così via. Il suo lavoro di Ministra dell’Informazione la teneva sempre in viaggio. Non che ciò le dispiacesse: non si era mai sentita così utile in vita sua. Aveva la certezza di stare davvero contribuendo a migliorare l’Unione.

   L’unica cosa che le metteva tristezza era il bollettino di guerra quotidiano. Ogni sera, infatti, doveva collegarsi col Quartier Generale dei Pacificatori e sorbirsi il rapporto sugli scontri della giornata. Era così da quasi un anno, cioè da quand’era scoppiata la Guerra Civile.

   Il casus belli era stato il ritorno dei Voth, discendenti degli Hadrosauri terrestri, che dopo aver trascorso milioni di anni nel Quadrante Delta erano divenuti una delle civiltà più progredite della Galassia, ma avevano anche dimenticato il loro mondo d’origine. La loro ricerca del Mondo Perduto li aveva portati sulla Terra, dove avevano esaminato il DNA delle specie locali, trovando la prova inconfutabile della loro parentela genetica. A quel punto, com’era prevedibile (ma come pochi avevano effettivamente previsto) i Voth avevano reclamato la Terra. E la Presidente Rangda, non volendo combatterli, li aveva accontentati. Il trasferimento dei Terrestri – sia Umani che alieni – era cominciato subito, con l’eccezione di quanti vivevano sull’isola artificiale di Atlantide, che rimaneva sotto la giurisdizione dell’Unione.

   Tutto questo aveva generato delle resistenze, purtroppo assai superiori al previsto. Un terzo dei pianeti aveva dichiarato la secessione, riesumando il vecchio nome di Federazione, e un’analoga porzione della Flotta Stellare aveva rifiutato di stare agli ordini. Così la Presidente aveva dovuto riformare i lealisti della Flotta, creando i Pacificatori, e aveva bandito i ribelli. Dopo un anno di accanita Guerra Civile, i Pacificatori avanzavano trionfalmente su tutti i fronti. Ciò era dovuto a molti fattori. In primo luogo, i sistemi lealisti erano più numerosi e quindi disponevano di un apparato industriale superiore ai ribelli, così che potevano costruire ed equipaggiare un maggior numero di astronavi. Inoltre Rangda si era assicurata l’aiuto dei Breen, anche se non era chiaro cosa gli avesse promesso in cambio. Infine c’erano i Voth, che dopo aver ottenuto la Terra – ribattezzandola Vothan – contribuivano a domare la ribellione. Questo era l’unico punto dolente, perché dopo essersi presi il pianeta i sauri si erano adagiati sugli allori, concentrandosi sul trasferimento dei Terrestri e la demolizione delle loro città. Gli aiuti che avevano promesso all’Unione erano scarsi, considerando che il conflitto era scoppiato a causa loro. In pratica i Voth si limitavano a sostenere l’economia dell’Unione e ad armare Pacificatori. Ogni tanto partecipavano a operazioni di pattuglia e peacekeeping, ma per la maggior parte del tempo le loro invincibili astronavi restavano a guardia del sistema solare, mentre i Pacificatori e i Breen lottavano al fronte.

    «Poco male» si disse Lyra. «Se le nostre forze continuano ad avanzare al ritmo attuale, la guerra finirà entro due anni. Allora, finalmente, vivremo liberi da quest’incubo».

 

   Rientrata nel suo lussuoso appartamento, Lyra decise per prima cosa di cambiarsi d’abito. Voleva mettersi qualcosa di più comodo, prima di visionare il bollettino di guerra della giornata. Poi avrebbe potuto cenare e infine godersi il meritato riposo. Aveva annullato una cena di gala con il Primo Ministro, per poter mangiare una volta tanto da sola, in santa pace. «Computer, luci» disse, notando che l’illuminazione del salotto era stranamente fioca.

   Al suo ordine, la camera si rischiarò. Fu allora che Lyra si accorse dell’intruso. Era seduto sul divanetto e impugnava un phaser tascabile, puntandoglielo al cuore.

   «Ciao, sorellina» disse Vrel Shil, timoniere della nave ribelle USS Keter. «Come ti butta?».

   «Vado alla grande, da quando sei sparito dalla mia vita» rispose Lyra, con una smorfia di rabbia e disprezzo. «Ho fatto carriera come tu non potrai mai. Sai che sono una delle cinquanta persone più influenti dell’Unione?».

   «Lo sospettavo, visto come monopolizzi i notiziari» disse Vrel, con un sorriso amaro. «Peccato che tutto questo potere lo usi per opprimere la povera gente. Getta il comunicatore» ordinò, muovendo appena il phaser.

   Temendo che il fratello le sparasse, la mezza Xindi obbedì. Staccò il comunicatore dalla giacca e lo lasciò cadere a terra. Poi arretrò di due passi. «Io sto liberando i Terrestri» rivendicò. «Stiamo costruendo una nuova Unione, in cui tutti sono finalmente uguali».

   «Ti do un consiglio per accelerare le cose» disse il timoniere, alzandosi. «Chiamate i Borg, così ci assimileranno tutti».

   «Vedo che sei ancora un buontempone» disse Lyra. «È una qualità che ti sarà utile, in cella».

   «In cella? Credevo che le prigioni non esistessero più» ironizzò Vrel. «Adesso avete i Centri di Rieducazione». Dette un calcio al comunicatore della sorella, mandandolo sotto al divanetto.

   «Magari finirai lì» convenne Lyra. «In ogni caso, la tua vita da criminale è finita. Che tu mi uccida o meno, sei finito».

   «Pensi che sia qui per ucciderti?» chiese il timoniere.

   «È quello che fate di solito voi terroristi» rispose la Ministra, alzando un sopracciglio. «O vuoi prendermi in ostaggio? Sarebbe sciocco: non uscirai da questo edificio».

   «In effetti ho riflettuto a lungo su cosa ti avrei fatto, dopo averti scovata» disse Vrel, sempre minacciandola col phaser. «Ho cominciato a pensarci subito dopo essere uscito dal coma in cui tu mi spedisti, trafiggendomi il cuore» ricordò, tremando di collera repressa. I medici della Keter avevano dovuto trapiantargliene uno nuovo, per salvarlo.

   «Era un’operazione di polizia. Se ti fossi lasciato arrestare senza opporre resistenza, non ci sarebbero stati incidenti» ribatté Lyra, impassibile. «Come al solito, voi ribelli siete la causa del vostro male».

   «Almeno levami una curiosità. Mi hai trafitto apposta?» chiese il timoniere.

   «No, volevo solo gettarti all’indietro. Non avevo notato quel travetto metallico» rivelò la sorella. «Invece la tua amica Jaylah mi ha gettata volontariamente fuori dalla finestra. Mi sono rotta quindici ossa, comprese tre vertebre. Anche dopo che i chirurghi mi hanno ricomposta, la schiena mi ha fatto un male cane per giorni. Ha smesso di dolere solo dopo che abbiamo ripulito Vothan dalle vestigia umane» sogghignò.

   «Jaylah ti ha colpita perché tu stavi per spararle» le ricordò il fratello.

   «Okay, lasciamo perdere i dettagli e guardiamo all’essenziale. Un trapianto di cuore, una schiena rotta... direi che siamo pari. Quindi puoi smetterla di fare il risentito» suggerì Lyra.

   «Non ancora» avvertì il timoniere. «A causa del tuo tradimento, molte astronavi sono state distrutte. E hai spezzato il cuore ai nostri genitori».

   «Se lo meritano!» ringhiò Lyra. «Non immagini quanto mi danneggia la reputazione, avere voi tre che militate fra i ribelli. Ma se ti consegno alla giustizia, dimostrerò la mia fedeltà all’Unione».

   «All’Unione... o a Rangda?» la punzecchiò Vrel. «Ho sentito che la vecchiarda ha rimosso il tetto massimo di due mandati. Adesso potrà restare Presidente a vita. Immagino che adotterà un titolo più confacente al suo ruolo... che so, Imperatrice».

   «La Presidente Rangda è al potere grazie a un voto democratico. Lo resterà fintanto che gli elettori le accorderanno fiducia» ribatté Lyra.

   «E tu t’inchini davanti a lei? Come s’inchinano gli Umani, quando li rinchiudi nei campi di concentramento?!» si scaldò il mezzo Xindi.

   «Centri di Rieducazione» corresse Lyra. «È una misura necessaria, a causa della loro inciviltà».

   «Okay, ne ho abbastanza» tagliò corto Vrel. «Siediti lì, avanti!» ordinò, accennandole una sedia.

Lyra si accorse che ai braccioli erano fissate due manette elettroniche, del tipo usato dalla polizia. Una volta seduta, l’avrebbero bloccata.

   «Cos’hai in mente? Mi vuoi torturare?» chiese la Ministra, accostandosi alla sedia.

   «No, voglio sondarti la mente. Così saprò se l’Unione ti ha condizionata» rispose Vrel.

   «Fatica sprecata! Io sono sempre me stessa» sbottò Lyra, accomodandosi sulla seggiola. Le manette elettroniche scattarono, immobilizzandola.

   «Ah, davvero? Se ti avessero fatto qualcosa, te lo ricorderesti? Io non credo» ribatté il timoniere, chinandosi su di lei. «La sorella che avevo non ci avrebbe mai traditi, né avrebbe contribuito alle deportazioni. Eri un’idealista che si batteva per abolire la Prima Direttiva, perché pensavi che tutti i popoli dovessero condividere il nostro benessere. Ricordo con quanta passione ne parlavi... dicevi che ti stavano a cuore tutte le specie. Ma ora che sono gli Umani a essere strappati dal loro pianeta, tu infierisci su di loro! Perché, tra tutte le specie della Galassia, ce l’hai proprio con gli Umani? Che male ti hanno fatto?!».

   «Sono la causa delle ingiustizie dell’Unione, compresa la Guerra Civile» rispose Lyra, sprezzante. «Comunque sei certo di non essere tu quello condizionato? Il fratello che avevo non sarebbe mai diventato un terrorista, solo per correre dietro ai suoi amici balordi».

   «Li seguirei all’Inferno, se servisse a proteggerli da te» ribatté il timoniere. «Bando alle ciance: vediamo cosa ti hanno ficcato in testa» disse, girandole attorno. Quando le fu alle spalle, cavò di tasca un sensore neurale di modello atipico e glielo attaccò alla base del cranio.

   La mezza Xindi sussultò e s’irrigidì, sentendo i piccoli ganci metallici che le artigliavano la pelle. Cercò di opporsi all’intrusione mentale, ma non si trattava di affrontare un altro telepate. C’era solo quel dannato sensore che analizzava la sua biochimica cerebrale, in cerca delle anomalie indicanti il condizionamento mentale. «Mentecatto! Credi davvero che mi abbiano fatto qualcosa? L’unico demente qui sei tu!» ringhiò la giovane, dimenandosi con tutte le sue forze. Ma le manette non si sarebbero certo spezzate e anche la sedia era di duro titanio.

   Ignorando le proteste, Vrel attivò il suo d-pad da polso. Lo schermo olografico gli mostrò i dati raccolti dal sensore. Tutti gli indicatori erano negativi. Non c’era segno d’intervento chirurgico, né di trattamento farmacologico o elettromagnetico. Non c’erano nemmeno le tracce di un condizionamento effettuato da un altro telepate. Leggendo quei dati, il timoniere sentì morire l’ultima speranza di riavere sua sorella. Rassegnato, le sganciò il sensore dal collo e lo ripose in tasca.

   «Allora, che dice il tuo aggeggio?» chiese la mezza Xindi, muovendo il collo indolenzito.

   Vrel fu tentato di mentirle, dicendo che aveva riscontrato un’alterazione, pur di portarla via da lì. Ma scartò subito l’idea. Sua sorella non gli avrebbe mai creduto; non tanto da fuggire con lui. E ben difficilmente sarebbe riuscito a portarla via a forza. Con il passo lento e pesante della sconfitta, il timoniere completò il giro attorno alla sedia. «Dice che non sei stata influenzata» ammise. «A questo punto, non posso più salvarti».

   «Non salverai neanche te stesso» disse Lyra, con un sorriso compiaciuto. «Da un momento all’altro arriveranno le mie guardie. Sei finito! Io, d’altro canto, consoliderò la mia posizione con la tua cattura. Quindi devo ringraziarti: sei stato molto utile alla mia carriera».

   «Sempre che tu sopravviva!» ringhiò Vrel, puntandole il phaser in fronte. «Quando mi sono svegliato dal coma, ho promesso di ucciderti con le mie mani, se avessi scoperto che ci avevi traditi spontaneamente».

   «Sparami, allora!» lo sfidò Lyra. «Sarai noto come il ribelle che ha assassinato sua sorella. Tsk tsk! Farai una pessima pubblicità alla tua causa. E come dicono in molti, in questa guerra è l’immagine che conta».

   Il fratello la fissò con odio, a un passo dal premere il grilletto. Ma in quella irruppero una mezza dozzina di Guardie Ministeriali, riconoscibili dalle uniformi giallo mostarda. «Getta quell’arma!» intimò il caposquadra, mentre tutti lo prendevano di mira coi fucili phaser. Ma Vrel puntava ancora il phaser al volto di Lyra.

   Vedendo il ghigno sardonico di sua sorella, il timoniere fu vicinissimo a sparare. Solo il pensiero dei loro genitori lo trattenne. Fissandola con occhi iniettati di sangue, alzò il phaser e poi lo lasciò cadere. Subito le guardie gli furono addosso. Lo trascinarono poco lontano e lo obbligarono a inginocchiarsi con le mani dietro la schiena, mentre il caposquadra liberava Lyra.

   «Ce ne avete messo di tempo» disse la Ministra, scattando in piedi. Si massaggiò i polsi per riattivare la circolazione.

   «Siamo intervenuti dopo aver rilevato una violazione della sicurezza» spiegò il caposquadra. «Interrogheremo subito il ribelle, per sapere com’è entrato e se ha dei complici».

   «Al tempo!» disse Lyra, trattenendo le guardie che stavano per trascinarlo via. Si accostò al fratello, guardandolo dall’alto in basso. «Anch’io voglio sapere una cosa da te».

   Vrel percepì la sua collera e si preparò al peggio. La sorella si chinò su di lui, con gli occhi ridotti a fessure, e gli sussurrò all’orecchio: «Dov’è Jaylah? È sparita dopo l’attacco a Memory Alpha, undici mesi fa. Corre voce che sia morta, ma nessuno ha ritrovato il corpo. Tu che le eri così vicino, saprai come stanno le cose».

   «Dì la verità... tu e Rangda ve la fate sotto, al pensiero che sia ancora in circolazione» sogghignò Vrel. «Un’Agente Temporale addestrata... chi sa cosa può fare? Magari ve la vedrete sbucare davanti quando meno ve lo aspettate».

   «No, se l’accoppiamo prima noi. Dov’è Jaylah?!» ripeté Lyra, sfrigolante di rabbia. Siccome Vrel non rispondeva, ma continuava a fissarla beffardo, la Ministra fece un cenno al caposquadra. Questi colpì Vrel col calcio del fucile, facendolo cadere in avanti.

   Mezzo stordito, il timoniere trovò la forza di ridere. «Se conosci Jaylah, dovresti sapere dove si trova: sempre un passo avanti a te!» si sbellicò. «Quando verrà a prenderti, non basteranno i tuoi minion a proteggerti!».

   «Allora ti userò per tenderle un’imboscata» decise la Ministra. «Ma prima hai bisogno d’essere ammorbidito». Così dicendo gli dette un calcio nelle costole, strappandogli un lamento. Poi si rivolse alle guardie. «Rompetegli le ossa» ordinò. «Ma risparmiategli i denti, perché lo devo interrogare ancora».

   La mezza Xindi arretrò di qualche passo, godendosi lo spettacolo delle guardie che infierivano sul prigioniero riverso, tempestandolo di calci. Vrel si mise in posizione fetale, con le braccia attorno alla testa per cercare di proteggersi. «Complimenti! Che bella Unione stai costruendo... piena d’amore e pace! Tutti saranno trattati così?» chiese tra un colpo e l’altro.

   «Solo chi se lo merita» rispose Lyra, col sorriso sulle labbra. Vedere suo fratello maggiore – il preferito – che veniva massacrato di botte le dava un’intensa soddisfazione. Ma sentì di avere la gola secca. Era dall’ora di pranzo che non beveva e forse il sensore neurale di poco prima le aveva stressato l’organismo. Decise di andare a farsi un goccio.

   «Torno subito... tu non te ne andare, eh?» lo derise, mentre lasciava il salotto. I rumori attutiti delle percosse restarono udibili anche quando passò nella saletta adiacente.

 

   Si trattava di uno studio, provvisto di replicatore alimentare incassato nella parete. Lyra pensava di ordinare qualcosa di delicato, forse un merlot ktariano, quando s’imbatté in un secondo intruso. A vederlo sembrava un Umano, alto e dinoccolato. Era chino sulla consolle del computer e aveva un dispositivo elettronico in mano; forse qualcosa per scaricare i dati. Tuttavia sembrava disarmato: non aveva un phaser, né altre armi in vista.

   «Salve, Ministra» l’accolse l’intruso, senza nemmeno alzare gli occhi dalla consolle. «Le spiace attendere un minuto, mentre finisco?».

   Quel disinteresse era la peggiore delle provocazioni. Lyra si avventò fulminea sull’Umano e lo agguantò, facendogli cadere il dispositivo. Poi lo spinse indietro e lo schiacciò contro la parete. «Tu chi sei?!» berciò.

   «Sono un Umano... di quelli che non s’inginocchiano» rispose l’intruso. «Non l’ho fatto davanti a Kosst Amojan e sta’ certa che non lo farò davanti a una bambina viziata».

   «Oh, sì che lo farai! V’inginocchierete tutti!» sibilò la mezza Xindi, premendogli la gola col braccio per mozzargli il respiro.

   «E tu saresti la sorella di Vrel? Sicura che non ti abbiano adottata?» la provocò l’Umano.

   Stizzita, Lyra gli premette la gola ancora più forte. «Lurida bestia umana! Credi di poterti misurare con me? Sono più forte, più veloce e dieci volte più intelligente di te!» esclamò.

   «E io sono più armato» rantolò l’intruso. «DiDiP, colpisci!».

   Il Dispositivo per la Difesa Personale entrò in azione. Da quello che sembrava un normale comunicatore agganciato sulla giacca partì un getto nebulizzato che colpì Lyra in pieno volto. La mezza Xindi arretrò subito, sfregandosi gli occhi. Provava un bruciore terribile e lacrimava copiosamente. Quando riuscì, con difficoltà, ad aprire gli occhi, continuò a vedere tutto nero. Quello spruzzino l’aveva accecata.

   «Brucia, vero? Gli effetti durano qualche ora» la informò l’Umano.

   Anche se Lyra non vedeva più nulla, la voce le indicò che l’avversario le stava ancora di fronte. Con un ringhio animalesco, la mezza Xindi si scagliò in avanti, decisa a rompergli il collo.

   Juri Smirnov – perché di lui si trattava – si aspettava quella mossa. Scansò l’assalto con una piroetta, lasciando che l’avversaria sbattesse contro il muro. Poi afferrò un vaso ornamentale posato sulla mensola e glielo ruppe in testa. Lyra crollò al suolo, tramortita.

   «Fortuna che è un falso» commentò lo storico, osservando la sezione del vaso. Si gettò l’ansa alle spalle e andò a raccogliere il dispositivo elettronico su cui aveva scaricato i dati. Vide che aveva raccolto il 90% del database. «Può bastare» si disse. Allora cavò di tasca una granata stordente, piccola come una biglia, e si accostò alla porta. Sentiva il rumore del pestaggio ancora in corso. Appena la porta cominciò ad aprirsi, l’Umano gettò la granata, che esplose all’impatto.

   La luce intensa e il boato passarono dalla porta semiaperta, ma Juri si era messo di lato, con gli occhi chiusi e le dita nelle orecchie. Passato qualche secondo, riaprì gli occhi e sbirciò nel salotto. Le guardie erano a terra, prive di sensi. L’Umano lasciò il riparo e sgusciò tra i corpi riversi, fino a raggiungere Vrel. Il mezzo Xindi era ancora rannicchiato a terra; portava i segni del pestaggio. «Su, alzati, ragazzo! È ora di andare» lo informò Juri, porgendogli la mano.

   «Ti ho detto mille volte di non chiamarmi ragazzo» borbottò Vrel. Anche se era di quindici anni più giovane, il timoniere si considerava a buon diritto un veterano dello spazio. Afferrò la mano dell’altro e con quell’aiuto riuscì a rimettersi in piedi, pur barcollando e avendo male dappertutto.

   «Come vuoi, ragazzo» disse Juri, aiutandolo a sorreggersi. Quando vide che si era un po’ ripreso, si azzardò a mollarlo.

   Il timoniere vacillò, ma riuscì a reggersi in piedi. «Uscire da qui sarà più difficile che entrare» commentò.

   «Se non altro, sarà più movimentato» convenne l’Umano. «Non per entrare in questioni familiari, ma... che ne diresti se ci facessimo scudo con tua sorella?».

   «Non farebbe che rallentarci» grugnì Vrel, mentre raccoglieva il suo phaser. «Lasciamola qui».

   «Così continuerà a schiavizzare la mia gente» commentò Juri, insoddisfatto.

   «Che dovrei fare, ammazzarla? È questo che vuoi da me?!» si crucciò il mezzo Xindi.

   «No, anche se ti ricordo che io ho dovuto sacrificare la mia sorellina, per salvare tutti voi» disse lo storico, facendosi lugubre. «Anche se riusciremo a scappare, prima o poi tu e Lyra dovrete regolare i conti» avvertì. Mentre parlava impugnò la sua arma, che fino ad allora aveva tenuto nascosta nella manica. Era un dispositivo a forma di matita, ispirato alla tecnologia Vorgon, che lanciava potenti scosse elettriche.

   I due uscirono nel corridoio, abbandonando gli avversari storditi. L’allarme squillava, dato che le guardie non avevano fatto rapporto dopo l’irruzione. Altri sorveglianti, stavolta locali, vennero di gran carriera. Le forze dell’ordine di Peliar Zel non erano tra le più rinomate, ma avevano un enorme vantaggio numerico sugli intrusi. Vrel dovette ingaggiare uno scontro a fuoco nei corridoi mentre Juri, alle sue spalle, cercava di chiamare rinforzi.

   «La navetta non risponde. Forse siamo ancora in zona schermata» constatò l’Umano con disappunto.

   «Allora potresti darmi una mano!» suggerì il timoniere, continuando a sparare contro le guardie.

   «L’accordo che era tu combatti, mentre io uso gli attrezzi» gli ricordò Juri. «Ma se insisti...». L’Umano impugnò la sua temibile arma elettrica. Sentendo un sibilo alle sue spalle, si voltò appena in tempo: due droni accalappiatori gli venivano addosso, cominciando già ad aprirsi per ingabbiarlo. Juri non gli dette il tempo di farlo. Due colpi, due centri: i droni si abbatterono al suolo, aperti a metà, sfrigolando di scariche elettriche.

   «Devi sempre usare armi strampalate?» chiese Vrel, sebbene in realtà fosse colpito dalle capacità dell’Umano.

   «Non posso usare il phaser; non ho ancora finito l’addestramento» fu la sorprendente risposta.

   Vrel stava per commentare che la sua mira non era malaccio, ma lasciò perdere. Era chiaro che l’amico non voleva usare le armi convenzionali, quando c’erano tanti strumenti esotici a disposizione. Alcuni li aveva ripescati da quella caverna delle meraviglie che era il suo laboratorio sulla Keter.

   Incalzati dai sorveglianti, i due federali salirono una breve scala che li portò al piano superiore. Qui trovarono un secondo gruppo di guardie, che li attaccarono dalla direzione opposta. Presi tra due fuochi, i ribelli non avevano vie di fuga.

   «Adesso non sarebbe male se arrivassero i nostri» commentò Vrel, sparando come un forsennato per tenere gli avversari a distanza.

   In quella ci fu un’esplosione gigantesca, pochi metri avanti a loro. Un’intera sezione del corridoio saltò in aria, in un turbine di fuoco e calcinacci, portandosi via un manipolo di guardie. L’altro manipolo si ritirò, temendo un secondo attacco.

   Distrutto il muro, i ribelli si trovarono affacciati sul vuoto. Erano al settantesimo piano del palazzo, uno dei più alti. Fuori era già buio e soffiava un vento così freddo da mozzare il fiato. Le sirene d’allarme squillavano e presto sarebbero arrivate le navicelle della polizia. Ma davanti a loro c’era già la navetta dei soccorsi, che aveva appena sparato. Era una vecchia classe Dragonfly.

   «Ottimo tempismo» commentò Juri, passandosi una mano sul volto per togliere la polvere di calcinacci.

   La navetta ribelle girò rapidamente e si accostò in retromarcia, aprendo il portello posteriore. Si fermò a un paio di metri dal cornicione.

   «Non potrebbero accostarsi di più?» protestò l’Umano, che non gradiva le altezze.

   «Salta, per la miseria!» lo incitò Vrel, vedendo le navicelle della polizia che si avvicinavano a sirene spiegate.

   Juri andò sul lato opposto del corridoio per prendere la rincorsa. Fatto un gran respiro, corse in avanti e saltò. Varcò l’abisso di settanta piani e atterrò proprio sull’orlo del comparto posteriore della navetta. Per un orribile secondo vacillò, sul ciglio dell’abisso; infine cadde in avanti. L’attimo dopo anche Vrel lo raggiunse con un balzo. Il portello si richiuse dietro di loro.

   «Forza, non è ancora finita!» avvertì il timoniere. Corse in cabina, dove si trovavano i colleghi. «Rapporto» ordinò.

   «Abbiamo tanta compagnia» avvertì Ennil, la pilota. Le navette della polizia arrivavano da tutte le direzioni. Alcune venivano anche dall’alto, per chiudere ogni via di fuga.

   «Posso aprire un varco» sostenne Mo’rek, l’artigliere, fin troppo ottimista.

   «Negativo, meglio il piano B» decise Vrel. Mentre i poliziotti circondavano la Dragonfly intimando la resa, gli occupanti salirono, due a due, sul piccolo teletrasporto di bordo. Questo li trasferì su una seconda navicella occultata, una più grande Gryphon, che li attendeva in orbita. Rilevando i teletrasporti, i poliziotti aprirono il fuoco. La Dragonfly esplose in una gran fiammata, che danneggiò la facciata del palazzo; i frammenti incandescenti schizzarono in tutto il quartiere. L’attimo dopo la Gryphon lasciò l’orbita di Peliar Zel ed entrò in cavitazione.

 

   «È una vergogna che io, una Ministra dell’Unione Galattica, subisca un attentato contro la mia vita, mentre sono vostra ospite! Sotto la vostra responsabilità!» strepitò Lyra. La mezza Xindi camminava avanti e indietro nell’ufficio del Primo Ministro di Peliar Zel, sfregandosi gli occhi arrossati e talvolta massaggiandosi la testa dolorante. Svanito l’effetto dello spray anti-aggressione, aveva recuperato la vista; ma le restava un grosso bernoccolo. In ogni caso, il dolore fisico era nulla rispetto all’umiliazione.

   «Sono desolato per l’incidente. Stiamo ancora investigando per capire come sia avvenuta l’intrusione» disse il Primo Ministro, imbarazzato. «A nome di Peliar Zel, le porgo le mie scuse e le garantisco che raddoppieremo la sicurezza».

   «Le scuse e le promesse non bastano. Di questo incidente sarà informata la Presidente Rangda» minacciò Lyra.

   Il Primo Ministro sbiancò, come anche i funzionari che lo attorniavano. Un motto diffuso tra le autorità dell’Unione, che però nessuno osava dire ad alta voce, affermava che era meglio spararsi, piuttosto che deludere Rangda. «Signora... forse non è il caso di pubblicizzare l’accaduto...» mormorò il Primo Ministro.

   «Non ho detto che lo renderò pubblico, ma solo che informerò la Presidente. Sarà lei a decidere se il suo pianeta necessita di un presidio dei Pacificatori, per riportare l’ordine» disse Lyra.

   «Faccio rispettosamente notare che sono state le sue guardie personali a soccorrerla... e a fallire» disse il capo della polizia, anche lui chiamato a rispondere dell’accaduto.

   «Infatti saranno punite» confermò Lyra. «Non posso tollerare l’incompetenza. E ora ditemi: avete esaminato i resti della navetta? Ci sono tracce degli attentatori?».

   «Della Dragonfly non rimane molto» spiegò il capo della polizia. «L’esplosione ha cancellato ogni traccia organica. Tuttavia abbiamo rilevato due teletrasporti, prima che la colpissimo. In ambo i casi si trattava di un segnale doppio. Quindi riteniamo che gli attentatori si siano messi in salvo, e così anche i piloti della navetta».

   Lyra lo fissò con occhi stralunati; il suo dolore alla testa era appena aumentato. «Vuol dire che l’hanno fatta franca?!» s’indignò. «Non ho parole... le dico solo di preparare la sua lettera di dimissioni».

   «Con tutto il rispetto, ma io rendo conto al governo di Peliar Zel, non all’Unione» rispose il graduato. «La mia eventuale destituzione non le compete».

   «Tutto ciò che accade qui è di competenza dell’Unione» avvertì Lyra, scrutando torva gli alieni. «Attenetevi alle disposizioni, o ne subirete le conseguenze. E sbrigatevi a ingrandire il Centro di Rieducazione; sono in arrivo altri diecimila Umani. Quanto a me, riparto seduta stante; devo proseguire il giro del settore».

   La mezza Xindi lasciò l’ufficio del Primo Ministro. Riunitasi alle sue guardie, si teletrasportò con loro sulla sua nave. Andò subito in plancia e ordinò di lasciare Peliar Zel. Malgrado la sfuriata con i leader locali, la giovane era arrabbiata soprattutto con se stessa. Dopo un anno passato a pregustare la rivincita contro il fratello e i suoi complici, se li era fatti sfuggire. Peggio ancora, era stata sconfitta e umiliata da un Umano. Ma la cosa più terribile non era la disfatta. No... il peggio era essere stata graziata. I ribelli potevano ucciderla, mentre era priva di sensi; invece se n’erano andati. Adesso era in debito con loro.

   «No» si disse la Ministra, piantando le unghie nei braccioli della poltroncina. «Lasciarmi in vita è stato un errore strategico da parte loro. Un errore che non imiterò, al prossimo incontro».

 

   La Gryphon sfrecciava nel tunnel di cavitazione, diretta al punto d’incontro con la Keter. Dopo aver scambiato qualche parola con Ennil e Mo’rek, Vrel tornò nella sezione posteriore, dove Juri stava scaricando il database rubato.

   «Te la sei cavata bene» si complimentò il mezzo Xindi. «Hai un futuro come agente segreto».

   «Sono lusingato» rispose ironicamente l’Umano. «Ma ho accettato questa missione solo perché volevo dare un’occhiata a quel Centro. Non aspettarti che lo faccia di nuovo, con così poca copertura».

   «Okay» fece Vrel, sapendo che l’amico non era un tipo d’azione e che solo l’angoscia per i suoi simili lo aveva indotto ad accompagnarlo. «Allora, c’è qualcosa d’interessante?» chiese, alludendo al database di Lyra.

   «È presto per dirlo. Sulla Keter esamineranno per bene questa roba» spiegò l’Umano, chino sulla consolle. «Che c’è, vuoi sapere se è valsa la pena di farti pestare?».

   «Non mi dispiacerebbe saperlo» ammise Vrel. Prese il rigeneratore dermico dall’armadietto medico. Poi, un po’ zoppicante, si accostò al tavolino e si lasciò cadere su una seggiola. Cominciò a passarsi il rigeneratore sui lividi e le escoriazioni. «Undici mesi» borbottò.

   «Come?» fece Juri, alzando gli occhi dall’interfaccia.

   «Per undici mesi ho sperato che mia sorella fosse così perché l’avevano condizionata in qualche modo. Invece è così e basta» disse il timoniere, amareggiato.

   «Non tarantolarti» lo consigliò l’Umano. «Metà delle famiglie dell’Unione è stata lacerata dalla guerra. Chi non si trova in campi avversi è comunque separato dai propri cari. Io, ad esempio, non ho la più pallida idea di che fine abbiano fatto i miei genitori. Alla loro età, ci vuol niente a... basta, non voglio pensarci». Si concentrò di nuovo sull’interfaccia.

   «Mi spiace, amico» disse Vrel, guardandolo con compassione. «Mi spiace per tutto quello che sta passando la tua gente». Sapevano entrambi cosa accadeva nel Centro di Rieducazione, per averlo visto con i loro occhi prima d’intrufolarsi nell’appartamento di Lyra. «Mi sembra di vivere in un incubo senza fine» confessò il mezzo Xindi. «Com’è possibile che mia sorella, cresciuta assieme a me su un’astronave multietnica, vi tratti così? E anche supponendo che sia una squilibrata, com’è che questa follia ha contagiato tutti?».

   «Non è follia» disse Juri con decisione, lasciando perdere il lavoro. «Si chiama “indottrinamento di massa” e purtroppo funziona con quasi tutte le specie umanoidi. Ci sono quattro passi, sempre gli stessi, che possono trasformare la persona migliore del mondo in un fondamentalista».

   «Solo quattro?» si stupì Vrel.

   «Sì... non ve le insegnano queste cose, all’Accademia? Che tempi!» borbottò Juri. Si alzò e prese a camminare nervosamente avanti e indietro. «Ti spiegherò come funziona, così ti metterai il cuore in pace» disse.

   «Il primo passo è l’Iniziazione. Accade quando i predicatori dell’ideologia sfruttano una vulnerabilità di base dell’individuo-bersaglio. Se la vulnerabilità non c’è, possono crearla ad arte e poi infiammarla con la propaganda. Di solito sfruttano domande trabocchetto per far presa sulla moralità del bersaglio. Mettono in crisi la sua idea d’essere una brava persona e di meritare il suo posto nel mondo. Parlando della nostra situazione, sentiamo slogan come “Lo sai che sei complice di un sistema discriminatorio?” e “Il tuo rifiuto di scusarti è segno della tua colpa”.

   Il secondo passo consiste nel “curare” la vulnerabilità, o meglio la sofferenza psicologica che ne deriva, sfruttando l’ideologia. Il bersaglio viene accolto in un gruppo che lo fa sentire buono, o peggio ancora, lo fa sentire “redento”. Ha la sensazione di “fare la cosa giusta”, mentre prima era nel torto, e si sente accettato da persone simili a lui. Nel nostro caso, gli slogan sono “Aiutaci a cambiare il sistema” e “Adesso sei dalla parte giusta della Storia”. In questa fase, il bersaglio viene avvertito che sarà circondato da tentazioni da parte degli “infedeli”, a cui deve resistere. In particolare vengono demonizzati i suoi amici e parenti “che non lo capiscono” o “che vogliono controllarlo”. Il bersaglio viene quindi esortato a troncare tutte le sue precedenti relazioni, concentrandosi solo sui nuovi “fratelli e sorelle” che condividono l’ideologia.

   Il terzo stadio è quello in cui si approfondisce l’impegno. È il momento dei rituali pubblici come le ammissioni di colpevolezza, i canti corali e il giuramento di adesione alla nuova dottrina. Oltre a marcare ufficialmente l’ingresso del bersaglio nel nuovo gruppo, questi riti accrescono il suo coinvolgimento emotivo. D’ora in poi s’identificherà completamente nel gruppo: vivrà le sue vittorie e sconfitte come se fossero personali. Naturalmente tutto questo esige grandi sacrifici. Il bersaglio perde ogni fiducia in chi non condivide la sua dottrina e quindi taglia definitivamente i ponti coi parenti e gli amici di un tempo. Gli slogan sono del tipo “Impegnati ogni giorno, per tutta la vita” e “Rifletti quotidianamente sulle tue azioni per verificare se hai agito bene”.

   L’ultimo passaggio consiste nel creare una mentalità del tipo “noi contro loro”. Il predicatore fa sì che il bersaglio si allinei completamente alla dottrina, trovandone conferma in ogni aspetto della vita, anche il più insignificante. La sua nuova “coscienza critica” gli permette di vedere ingiustizie ovunque: nei discorsi, negli scritti, nelle istituzioni, nelle relazioni, nei pensieri, nella storia, insomma in ogni aspetto della vita personale e sociale. Non ragiona più come singolo individuo, ma con una logica collettivista. Però non vede neanche la società come un corpo unico. Piuttosto la vede spezzata in diversi gruppi di potere, perennemente in guerra. Naturalmente vede il suo gruppo come l’eterna vittima e tutti gli altri come gli eterni oppressori. In generale pensa che i gruppi sociali debbano necessariamente combattersi per il potere, anziché collaborare con dinamiche complesse e mutevoli. A questo punto il bersaglio si è trasformato in un fanatico pronto a tutto, pur di avvantaggiare il suo gruppo a discapito degli altri. Gli slogan di questa fase sono del tipo “La libertà di parola è un crimine d’odio” o anche...».

   «“Non chiedetevi se siete razzisti, ma quanto lo siete, e contro chi”» completò Vrel. «È ciò che ha detto Lyra in quel Centro».

   «Temo che tua sorella sia passata dall’essere bersaglio all’essere predicatrice» sospirò Juri. «È una reazione a catena che si auto-alimenta. Ogni fanatico ne converte altri, facendo leva sulle loro debolezze e sul loro desiderio di giustizia. Tutto a spese dei presunti “oppressori”, che continuano a essere considerati tali anche quando vengono schiavizzati... o massacrati» concluse a mezza voce.

   «Ma gli Umani che finiscono in quei campi possono uscire» disse Vrel, non volendo credere che l’Unione arrivasse al genocidio.

   «Per adesso; e comunque molti di loro subiscono danni psichici irreversibili» avvertì Juri. «Ma il fenomeno è appena iniziato e si presta facilmente a degenerare. Vedo il giorno in cui gli Umani entreranno in quei Centri... e non ne usciranno più» disse lugubre.

   «Questo meccanismo può essere spezzato?» chiese il mezzo Xindi.

   «Servirebbe un’enorme contro-propaganda, che offra altri punti di vista, ma ormai è tardi: il controllo mediatico è troppo stretto» rispose lo storico. «Per come la vedo io, nessuna forza sociale interna all’Unione può fermare il processo. Vorrei tanto sbagliarmi, ma... temo che solo vincendo la guerra potremo salvarci».

   «Pensi che chi è stato indottrinato possa rinsavire? In fondo anche tu hai vissuto qualcosa del genere, quando stavi coi Na’kuhl» commentò Vrel, velatamente accusatorio.

   «Touché» ammise l’Umano, irrigidendosi. «Ma vedi, non è che i Na’kuhl mi avessero indottrinato. Ero consapevole dei loro propositi distruttivi e sapevo che si stavano servendo di me. Semplicemente speravo d’essere io a usarli, per salvare mia sorella. In questo mi sono sbagliato; ma ti assicuro che non mi sono mai fidato di loro. Chi invece è stato realmente indottrinato, torna ben di rado sui suoi passi, perché dovrebbe ammettere l’errore. Non dico che sia impossibile... ma è meglio non farci affidamento».

   Avendo terminato di curarsi, Vrel spense il rigeneratore dermico. Invece di riporlo nell’armadietto, lo mise sotto carica. Come ogni strumento medico doveva essere conservato al pieno dell’efficienza, per il prossimo utilizzo. Il mezzo Xindi tornò a sedersi, sovrappensiero. Juri gli dette il tempo di rimuginare.

   Quando la sua riflessione ebbe raggiunto il punto critico, il timoniere si rivolse di nuovo allo storico. «Dici che chi è fanatico pensa sempre d’essere nel giusto» ragionò. «Bene, anche noi pensiamo di esserlo. Stiamo combattendo una guerra civile, pur di far prevalere le nostre idee. Come facciamo a sapere d’essere veramente dalla parte giusta?» chiese, con una nota di disperazione.

   «Non possiamo» rispose Juri, lapidario.

   «No?!» si disperò Vrel.

   A questo punto l’Umano fece una cosa che il mezzo Xindi non si sarebbe mai aspettato. Scoppiò a ridere. «Se vedessi la tua faccia!» disse. «Perdonami, è stato uno scherzo crudele, ma volevo vedere la tua reazione. Comunque, per risponderti seriamente: ci sono degli elementi che distinguono una democrazia da una dittatura. Noi garantiamo la libertà d’espressione e l’Unione no. Noi abbiamo un equilibrio di poteri tra le massime cariche dello Stato e l’Unione no. Noi applichiamo le stesse leggi a tutti, mentre l’Unione ha creato leggi diverse per gli Umani. Tutto questo mi dà... non dico la certezza, ma la ragionevole speranza che siamo nel giusto».

   «La speranza da sola non vince le battaglie» sospirò Vrel, pensando alle tante sconfitte che avevano incassato in quel primo anno di guerra.

   «No» convenne Juri. «Però aiuta. Sennò tanto varrebbe che ci arrendessimo».

 

   Di lì a poco la Gryphon raggiunse il punto d’incontro concordato: il planetoide Alpha 441, ai margini delle Badlands. Non restava che aspettare la Keter. L’attesa fu assai più lunga del previsto, tanto che i ribelli cominciarono a preoccuparsi seriamente. Quando furono passate 24 ore dal momento fissato per l’incontro, discussero della possibilità di raggiungere Cardassia, o qualche altro sistema nelle vicinanze. Vrel tuttavia insisté per aspettare ancora.

   La pazienza fu premiata, perché alla fine la Keter uscì dalla cavitazione. Dopo essersi scambiati i consueti messaggi in codice, essenziali per evitare trappole, i due vascelli si avvicinarono. La Gryphon entrò nell’hangar della nave stellare, che ripartì immediatamente.

   Il Capitano Hod venne incontro agli agenti che scendevano dalla navicella. L’Elaysiana dai capelli chiari e gli occhi violetti era cambiata, dallo scoppio della Guerra Civile. Il suo risentimento contro i Pacificatori la spingeva spesso al limite, e talvolta anche più in là. La sua preoccupazione per ogni membro dell’equipaggio però non era venuta meno, anzi si era accentuata, dato che chi era restato aveva dovuto rinunciare a tutto per seguirla. «Bentornati» disse, mantenendo l’aria corrucciata che ormai la caratterizzava. «Com’è andata?».

   «Così così» borbottò Vrel. «Abbiamo il database di Lyra, ma lei non... insomma... l’ho esaminata, e ritengo che non abbia subito coercizione» rivelò, con lo sguardo basso quanto il suo morale.

   «Mi dispiace, ma in fondo ce lo aspettavamo» disse il Capitano. Lei, almeno, se lo aspettava. E così tutti gli ufficiali della nave. Solo Vrel, l’inguaribile ottimista, aveva dovuto sbatterci il naso per rassegnarsi. «Cosa le ha fatto?» chiese, temendo il peggio.

   «L’ho lasciata andare» ammise il timoniere. «Ho sbagliato?».

   «No; ma forse la prossima volta non avrà il beneficio della scelta» avvertì Hod.

   «E a voi com’è andata?» chiese Juri, per dare un po’ di respiro all’amico.

   «Non bene» s’incupì l’Elaysiana. «Norrin è ancora lontano per trattare coi Cacciatori Hirogeni. Noi ci siamo uniti alla Nona Flotta per resistere ad Approdo dei Profeti, ma è andata male. Il nemico aveva forze quattro volte superiori alle nostre. Abbiamo perso il sistema e siamo stati inseguiti per un lungo tratto. Alla fine abbiamo seminato i Pacificatori nelle Badlands... crediamo che una nostra nave sia ancora lì, con l’equipaggio troppo spaventato per uscire».

   «Ahi» fece Vrel. «Perdere Approdo dei Profeti significa che...».

   «... la strada per Bajor e Cardassia è spianata» sospirò il Capitano. «Resta da vedere dove colpiranno prima. Stiamo radunando forze da tutto il Fronte Occidentale, ma non vi nascondo che la situazione è gravissima».

   «Adesso dove stiamo andando?» volle sapere il timoniere.

   «A Cardassia, per accertarci che ci diano le navi promesse» rispose Hod.

   «I Cardassiani che aiutano i Bajoriani... non la vedo bene» mugugnò Vrel.

   «Neanch’io, ma sono sulla stessa barca, quindi dovranno collaborare» concluse il Capitano. «Andate a riposare, adesso. Terry esaminerà i vostri dati».

   Juri le consegnò l’unità di memoria. Mentre la prendeva, Hod gli rivolse uno sguardo grato. Sapeva quanto l’Umano detestasse le missioni sul campo, cui non era nemmeno tenuto, essendo un civile. Il fatto che rischiasse ugualmente la vita, anche in missioni che potevano facilmente non portare a niente, la commuoveva. «Ha visto il Centro di Rieducazione?» gli chiese.

   Lo storico annuì. Aveva ancora l’orrore negli occhi.

   «Com’è?».

   «È l’anticamera del genocidio» rispose Juri. Dopo di che si voltò e lasciò l’hangar, con aria abbattuta.

   Vrel stava per andare a sua volta, ma si trattenne. «Se permette, Capitano, avrei un’ultima domanda. Abbiamo notizie di Jaylah?».

   L’Elaysiana scosse la testa.

   «Sono quattro mesi che non si fa sentire» disse il mezzo Xindi, preoccupato. «Potrebbe esserle successo qualcosa».

   «Se dobbiamo credere ai notiziari dell’Unione, è ancora attiva. E non credo che l’Unione s’inventi tutti quegli attacchi che la mettono in ridicolo» ragionò il Capitano.

   «Ma la sua identità segreta...».

   «Riteniamo che sia salva».

   «Bene. Se i Pacificatori la scoprissero, la braccherebbero ancora di più» disse Vrel. Congedatosi dal Capitano, lasciò l’hangar e andò dritto al suo alloggio. Non vedeva l’ora di riabbracciare Zafreen. La sua fidanzata Orioniana era l’unica persona capace di fargli scordare temporaneamente i dispiaceri.

 

   La Keter orbitava attorno alla grigia Cardassia, in compagnia di quindici astronavi della Flotta Stellare. Tanto rimaneva delle ventisette che avevano tentato di difendere Approdo dei Profeti dalla marea incalzante dei Pacificatori. In un’orbita più bassa c’era la flotta cardassiana. Altre navi erano in arrivo, o così sperava il Capitano Hod.

   Alla riunione tattica mancò il Comandante Norrin, ancora lontano per trattare con i suoi parenti Hirogeni. Gli altri ufficiali superiori erano tutti presenti. C’era Terry, l’Intelligenza Artificiale della compianta Enterprise-J, che dopo essere stata trapiantata sulla Keter era diventata il capo della Sicurezza. Accanto a lei sedevano l’Ingegnere Capo Dib e il Medico Capo Ladya Mol. Dall’altra parte del tavolo ovale c’erano il timoniere Vrel, l’addetta ai sensori Zafreen e anche Juri. Di solito lo storico non partecipava alle riunioni, ma stavolta era presente in quanto era stato lui a prendere i dati.

   Il Capitano sedette a capotavola, come al solito. «Per prima cosa, vorrei ringraziare i nostri agenti per la brillante operazione di Peliar Zel» esordì. «Penso che la vostra impresa farà cadere qualche testa, e magari indurrà i lacchè di Rangda a farsi vedere meno in giro. Senza offesa» disse, incrociando lo sguardo di Vrel.

   «Nessuna offesa. Mia sorella è una lacchè, per non dire di peggio» rispose lui.

   «Ho chiesto a Terry di esaminare il database che avete recuperato. Ebbene, ha trovato qualcosa d’interessante?» chiese Hod.

   «Per la maggior parte sono direttive burocratiche e materiale propagandistico da diffondere sul pianeta» spiegò la proiezione isomorfa, che aveva l’aspetto di una giovane Umana dai capelli corvini e gli occhi a mandorla. «Tuttavia ho trovato una conversazione fra la Ministra Shil e la Presidente Rangda che è di estremo interesse. Era criptata, ma l’ho decodificata».

   Zafreen assunse un’aria imbronciata. Come addetta ai sensori e alle comunicazioni sarebbe toccato a lei quel compito. Ma nessun Organico era all’altezza di un’Intelligenza Artificiale nel decrittare i dati, quindi era logico che se ne occupasse Terry. Tuttavia l’Orioniana aveva l’impressione che da quando l’IA si era unita all’equipaggio, la stesse esautorando dal suo ruolo.

   «Ce la mostri» ordinò il Capitano.

   L’ologramma della Presidente apparve, torreggiante, al centro del tavolo tattico.

   «Perché non la riduce un po’?!» chiese Vrel, di malumore. Aveva visto fin troppe gigantografie di Rangda sui mondi dell’Unione.

   Terry ridusse prontamente l’ologramma alle dimensioni di una nanerottola e avviò la registrazione.

   «I miei omaggi, signora Presidente» disse la voce di Lyra, fuori campo.

   «Buongiorno a te, figliola. Come va su Peliar Zel?» chiese la Zakdorn, con aria benevola.

   «Tutto bene, sto seguendo il solito programma. Le autorità locali sono servizievoli, anche se forse non hanno lo zelo richiesto dalle circostanze. Gli darò una strigliata, prima di partire» promise Lyra.

   «Bene, bene» fece la dittatrice, leccandosi le labbra. «Avvertili che devono ampliare il Centro di Rieducazione. Serviranno almeno diecimila posti in più».

   «Sì, Eccellenza. E gli alieni da mandare direttamente in città, quanti saranno?» chiese Lyra.

   «Nessuno; ci saranno solo Umani da spedire al Centro».

   «Solo Umani?» si stupì Lyra, sapendo che quasi metà della popolazione terrestre era di origine aliena.

   «Sì, perché questi non verranno da Vothan» rivelò Rangda, che usava sempre il nome alieno per indicare la Terra. «Verranno da Bajor».

   «Allora il momento è arrivato?» si emozionò Lyra.

   «Sì, abbiamo radunato le forze e anche i Breen faranno la loro parte» promise la dittatrice. «L’operazione Tempesta di Pace sarà lanciata tra dieci giorni. Dapprima reclameremo il sistema bajoriano e con esso il Tunnel Spaziale. Poi manderemo una flotta nel Quadrante Gamma, a liberare New Bajor. Infine, sempre con l’aiuto dei Breen, prenderemo Cardassia. A quel punto niente fermerà la nostra avanzata sul Fronte Occidentale» si compiacque.

   «È una splendida notizia» disse Lyra. «Ci sono altri ordini?».

   «No, è tutto. Fa’ come ho detto e prosegui l’ispezione del settore».

   «Come desidera, Eccellenza. Lunga vita e prosperità!» augurò la Ministra. Terminata la registrazione, l’ologramma svanì, lasciando gli ufficiali più crucciati di prima.

   «Avete sentito? Adesso deportano gli Umani anche dagli altri mondi» commentò Ladya, cupa. «E sappiamo quanto sono devastanti le “terapie” di quei Centri. Chi passa dalle lobo-sedie subisce danni neurologici permanenti».

   «Temevo che fosse il prossimo passo» disse il Capitano. «Ma la notizia più importante, per quanto ci riguarda, è che l’Unione attaccherà Bajor. Questo ci dà modo di prepararci. Terry, di quand’è il messaggio?».

   «Tre giorni fa».

   «Allora ce ne restano sette» calcolò Hod. «Dobbiamo radunare tutte le forze disponibili». Il Capitano dette un’occhiata a Juri, che finora era rimasto in silenzio, a fissarsi le mani intrecciate. «Non abbandoneremo i suoi simili» promise.

   «Non pensavo solo a loro» disse l’Umano, adombrato. «A Bajor ci sono dieci Cristalli dei Profeti... e uno dei Pah-wraith. Immaginate come li userebbe l’Unione».

   «Potremmo spostarli nelle retrovie... sempre che i Bajoriani accettino» disse Hod, memore del loro atteggiamento possessivo.

   «Dovremmo anche tentare di eliminare il Cristallo di Fuoco, se i ricercatori hanno trovato il modo» commentò Terry.

   «Uhm, la vedo molto difficile» borbottò Juri. «Quegli affari sono indistruttibili».

   «C’informeremo sui progressi dei ricercatori, appena saremo lì» disse il Capitano. «Se nessuno ha altro da aggiungere, direi di metterci al lavoro» concluse, passando lo sguardo sugli ufficiali.

   Vrel ridacchiò sommessamente, ma era un riso amaro. «Tempesta di Pace... bel nome per un’operazione di guerra!» commentò. «La nostra contro-operazione come si chiamerà? “Baci e abbracci”?».

   «Penso che somiglierà più alle Termopili» disse Juri. Tutti lo guardarono incuriositi, tranne Terry, che in quanto Intelligenza Artificiale conosceva a menadito la storia di ogni specie federale.

   «Fu un’antica battaglia terrestre» spiegò lo storico. «Avvenne più di tremila anni fa, nel nord della Grecia. Poche migliaia di opliti greci – tra cui trecento Spartani – si opposero a decine, se non centinaia di migliaia d’invasori persiani».

   «E come andò a finire?» chiese Hod, con un brutto presentimento.

   «Gli Spartani resistettero fino all’ultimo, uccidendo un numero molto superiore di nemici» spiegò Juri. «Perirono tutti, ma la loro strenua resistenza ispirò gli altri Greci a battersi con lo stesso valore. Così i Persiani furono sconfitti nelle battaglie successive e dovettero ritirarsi».

   «Non sembra un nome beneaugurante» commentò Vrel.

   «No, ma è un nome che dice molto alla mia specie» rispose l’Umano. «Ci ricorda di resistere, anche quando tutto sembra perduto. Se non per noi stessi, almeno per quanti combatteranno dopo di noi».

   «E sia!» decise il Capitano. «Questa sarà l’Operazione Termopili. Però non ditelo ai Bajoriani».

 

   
 
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