Buonasera.
Sono stata assente per tantissimo tempo e chiedo venia per questo, ma la
vita reale mi ha allontanata da questa mia passione e, ahimè, nonostante la
voglia di scrivere fosse tanta le giornate erano sempre troppo corte. Non vi
prometto niente perché per scrivere questo capitolo ci ho messo tre, quattro
mesi, a tozzi e bocconi nei ritagli di tempo, ma spero di continuare questa
storia. Ringrazio tutti i lettori che in questi mesi ( anni? ) hanno continuato
a scrivermi in privato chiedendomi di non lasciarla sospesa: è grazie a voi se
oggi pubblico. Spero che il capitolo vi piaccia: sono un po’ arrugginita, ma
nel mio cuore il sasusaku batte ancora.
A presto (mi auguro).
# 22 Good Things
Take Time
Adesso aveva un problema… un grosso problema.
Era da solo e impaurito. Nessuna Sakura, nessun Naruto che potessero aiutarlo. C’era solo quel tipo strano,
‘’il sostituto’’, all’angolo della strada che lo guardava con quell’aria
curiosa, un po’ sospetta, sicuramente fastidiosa altresì inopportuna e avrebbe
tanto voluto andargli a chiedere cosa avesse da guardare e incenerirlo per
sport. Ma Sai era amico di Sakura,
nonché di Naruto e loro non avrebbero approvato, in
più, in quanto a stranezze, lui non poteva dire di essere proprio Mr. Sano di mente. Quindi decise di
sfoderare uno dei suoi sorrisi sghembi con la speranza che questo potesse
bastare a quel… a quel coso per convincerlo a distogliere lo sguardo e volgerlo
altrove. Al contrario il viso dell’essere si era deformato in un inquietante
quanto forzata smorfia che ricordava vagamente una maschera anbu,
non una maschera bella, piuttosto una di quelle artigianali che si facevano da
bambini con i pennarelli, e le sue gambe
avevano preso a muoversi nella sua direzione. Sempre più atterrito Sasuke aveva iniziato a valutare l’ipotesi di
utilizzare Il rinnegan
per teletrasportarsi dall’altra parte del mondo,
anche in braccio a Orochimaru.
“Ciao, Sasuke.”
Troppo tardi…
“Ciao…” – come diavolo
si chiamava?
Corrugò la fronte, indispettito. Non riusciva proprio a
ricordarsi il nome di quello strano individuo. Gli venivano in mente epiteti
come ‘’strano individuo’’ per l’appunto o
‘’sostituto’’ o “brutto impiccione che non sei altro adesso ti fulmino con un chidori”, ma il nome no, proprio no.
Lasciò quindi quel “ciao” in sospeso.
“Devi comprare uno yukata per il tanabata?”
Il sangue nelle vene di Sasuke si
gelò all’istante: da quanto tempo quel tizio di cui continuava a non ricordare
il nome lo stava seguendo? Era ancora sotto osservazione? Perché Kakashi gli aveva messo alle costole anche lui? Il baka non
era abbastanza?
“Sei qui davanti da quasi mezzora, rischierai di non trovarne
neanche uno se non ti affretti” continuò Sai, invitandolo con una mano ad
entrare nel negozio.
Era già mezzora che era lì davanti? Forse il tizio non lo
aveva seguito, forse aveva trovato strano vederlo impalato come una mummia
davanti a un negozio a fare pari o dispari se entrare o meno. Quel briciolo di
coscienza che aveva riacquistato ultimamente lo aveva indotto a pensare a svariate
ipotesi, una tra tutte che non fosse il benvenuto a Konoha
dopo tutto quello che aveva combinato. Benchè la
maggior parte della storia fosse stata modificata per evitare che la
popolazione di Konoha potesse avere timore di lui,
svariati pettegolezzi si erano diffusi ugualmente, soprattutto dopo l’esilio
dei due consiglieri. Lo vedeva negli occhi delle persone che non era ben
accetto: alcuni lo guardavano quasi con compassione, altri con disprezzo, altri
ancora volgevano lo sguardo altrove quando lo incontravano. Poi c’era anche un
altro motivo, più doloroso, più intimo.
“Andiamo?” l’invitò Sai, distogliendolo dai suoi funesti
pensieri.
E preso sovrappensiero straordinariamente accettò il suo
invito, seguendolo all’interno del negozio.
La campanella posta sopra la porta suonò e da dietro il bancone una simpatica
vecchietta si affrettò ad andargli incontro.
“Buongiorno Signora” si affrettò a salutarla Sai, deformando
di nuovo il viso in quello strana smorfia che
vagamente ricordava un sorriso.
“Buongiorno” rispose la vecchietta, spostando subito lo
sguardo sull’altro acquirente, quello muto, quello che ancora era perso nei
suoi pensieri e che non aveva ancora realmente realizzato che dopo mezzora era
riuscito a entrare in quel negozio e… grazie a Sai oltretutto!
“Al tuo amico non hanno insegnato l’educazione?” continuò la
signora, inarcando il sottile sopracciglio grigio.
A quel punto Sai si permise di fare una cosa per la quale in
altre circostanze avrebbe rischiato seriamente la vita: diede una gomitata a Sasuke, il quale finalmente ritornò sul pianeta terra.
“B-buongiorno” balbettò, incerto se staccare il braccio che
lo aveva toccato senza permesso dal corpo di Sai o fingere di essere una
persona sana di mente.
“Uchiha, ne?” incalzò la signora,
incrociando le braccia e iniziando a scrutarlo con fare curioso.
Da cosa l’aveva capito?
Ce l’aveva scritto in faccia “sono l’ultimo sopravvissuto del clan Uchiha” ?
Sasuke annuì, quasi timoroso.
“Sta cercando uno yukata per il Tanabata.” Intervenne Sai, notando la situazione di stallo.
“Mh” mugulò
la vecchietta, portando una mano a sorreggere il mento e assottigliando gli
occhi.
“Uno yukata eh” continuò iniziando
a girare intorno a Sasuke che cominciava a sentirsi
un po’ nervoso… un po’ più del solito insomma.
“Immagino che tu lo voglia blu scuro”
“Si” affermò Sasuke con decisione.
“Bene… “ concluse la
vecchietta, sparendo nel retrobottega.
Sasuke lanciò uno sguardo interrogativo in
direzione di Sai che per tutta risposta continuò tranquillamente a sorridere
senza proferire parola.
Dopo un quarto d’ora buono, corredato da strani rumori che
provenivano dal retrobottega e dall’aberrante silenzio tra lui e Sai, l’anziana
signora fece ritorno con uno yukata blu scuro e gli
fece cenno con la mano di seguirlo oltre la tenda posta all’angolo destro del
negozio.
“Provalo” gli ordinò, richiudendo la tenda alle sue spalle.
Sasuke un po’ seccato all’idea di doversi
spogliare in quel posto, iniziò a maledirsi per aver accettato di andare a
quello stramaledettissimo Tanabata. Tuttavia lo fece.
Straordinariamente quello yukata
gli calzava a pennello, notò, allargando le braccia davanti allo specchio e
osservando con disappunto la stoffa del
braccio sinistro ricadere floscia all’altezza del gomito.
“Esci da lì, facci vedere’’ lo esortò la vecchietta.
Emettendo un gran sospiro, Sasuke
scostò la tenda e uscì dal camerino, alla mercè degli
occhi della signora anziana e dello strano individuo.
“E’ perfetto” sentenziò la signora “ Non è vero?” aggiunse
rivolgendosi a Sai.
Sai come pietrificato non aveva emesso alcun suono, non una
smorfia strana, aveva preso solo a guardarlo con un interesse che a Sasuke sembrò alquanto bislacco se non preoccupante che
ricordava molto quello di Orochimaru quando non
vedeva l’ora di entrare nel suo corpo.
Fu un sollievo quando i muscoli della faccia di Sai presero a
muoversi nuovamente deformando il suo volto nel solito sorriso innaturale che
coinvolgeva non solo le labbra ma anche le sopracciglia, gli occhi e le
orecchie.
“ Si, gli sta benissimo” affermò. E Sasuke
si sentì quasi un fenomeno da baraccone, un esperimento antropologico… un
cretino in sintesi.
“Manca lo stemma” osservò Sasuke,
come se fosse stato scontato che la vecchietta avesse lo stemma di un clan
annientato un decennio prima.
La vecchietta ritornò nel retrobottega e ripresero gli strani
rumori che si protrassero per una decina di minuti fino a che con uno stemma
degli uchiha nella mano destra e un ventaglio nella
sinistra non uscì nuovamente allo scoperto.
“Pensavo di non averli più… “ sospirò la vecchietta “ e
invece… ”
Posò il ventaglio sul bancone e prese da un cassetto ago e
filo per poi dirigersi verso Sasuke.
“Adesso resta immobile” gli intimò e Sasuke
obbedì mentre lei con sapienti e amorevoli gesti appuntava lo stemma sullo yukata.
Non più tardi di una mezzora lo yukata
era pronto e spiccava sulla schiena di Sasuke il
pesante stemma dell’ultimo Uchiha.
“Sei stato fortunato ragazzo” gli disse la signora “Ho
servito il tuo clan per anni. Solo per questo ho ancora il vostro stemma”
Ma Sasuke questo già lo sapeva. Non
era stato un caso che avesse scelto quel negozio. Ed era rimasto lì davanti
atterrito per tutto quel tempo ricordando quella volta che aveva accompagnato
sua mamma Mikoto a ritirare gli yukata
per il Tanabata.
Gli occhi sorridenti di sua madre nel vedere lo splendido lavoro che
aveva fatto la Signora, le sue mani che accarezzavano i tessuti per saggiarne
la morbidezza, l’euforia nel riportarli a casa e farli vedere a suo padre Fugaku. Tutti questi ricordi lo spaccavano in due, facevano
ancora troppo male nonostante fosse passato tutto quel tempo.
Sasuke percepì il peso di quello stemma
sulla sua schiena, gli parve come se lo yukata si
fosse appesantito di svariati chili e sentì la necessità di toglierselo. E così
fece.
“Devi portarlo con onore” gli disse la vecchietta, piegando
amorevolmente lo yukata per confezionarlo “Non
importa quello che si dice in giro, ragazzo. Tutti noi abbiamo fatto degli
errori, ma possiamo rimediare, ne?” concluse con un gran sorriso.
Sasuke la ascoltò attentamente e si
meravigliò della sagacia della vecchietta che aveva colto pienamente nel segno.
Quel sorriso che aveva accentuato le tante rughe che solcavano il suo volto era
stato terapeutico, in qualche modo lo aveva rassicurato, tranquillizzato.
“Il ventaglio non penso che ti serva…” riprese la signora
iniziando a confezionare lo yukata in un foglio di
carta sottile, quasi trasparente “E’ un accessorio da donna” spiegò, mettendolo
da una parte.
“Potresti darlo a Sakura-chan!”
Eppur si muoveva!
Stupido impiccione!
Dopo circa un’ora di silenzio, gradito tra l’altro, il tizio
aprì bocca per dire un’emerita cavolata.
“Sakura-chan?” chiese la nonnina
alzando di nuovo il sopracciglio canuto.
“E’ la sua ragazza” rispose Sai “la mia compagna di Team”
La MIA compagna di team
casomai…
“Una futura Uchiha quindi” sentenziò
la signora quasi divertita da quel gossip inatteso.
“Sai, taci.”
Si era ricordato il suo nome. Nel momento del bisogno si
sviluppano grandi capacità, tipo ricordarsi il nome di uno di cui normalmente
si ignora persino l’esistenza.
“Conoscendo Sakura ne sarebbe felicissima”
“Io sarei felice di prendere il mio yukata
e andare a casa” chiosò Sasuke ripristinando quella
piacevole aura di gelo intorno a sé in cui sguazzava allegramente come un
pinguino nel mar glaciale artico.
“Ho quasi fatto, ragazzo” lo rassicurò la vecchietta
“Potresti prendermi lo spago per favore? E’ lassù in alto, sulla mensola. E’ troppo in alto per me”
Sasuke annuì, si portò dietro la signora,
dirigendosi verso la grande mensola sopra la porta che dava accesso al
retrobottega.
Con facilità raggiunse lo spago e una volta giratosi si accorse
con gioia che finalmente il suo yukata era stato
impacchettato, il che significava che quel tormento stava volgendo al termine.
La donna infiocchettò il pacchetto con lo spago e poi lo
porse a Sasuke che tirando un sospiro di sollievo
pagò quanto dovuto e fece capire apertamente a Sai che la sua ora di tolleranza
era ampiamente finita e che potevano andare ognuno per la sua strada.
“Grazie per la sua gentilezza”
Sasuke abbassò il capo in segno di rispetto
per la vecchia signora e questa fece lo stesso aggiungendo: “E’ stato un
piacere poter servire ancora una volta un Uchiha” e Sasuke non potè fare altro che
provare un pizzico di emozione mentre il campanello della porta suonava
nuovamente.
“Adesso dove vai di bello? “ chiese Sai.
Lontano da te , avrebbe voluto rispondergli, ma in
fondo fu costretto ad ammettere che gli era stato utile e che in fondo – molto
in fondo – quel Sai non era male – un po’ strano, ma non male.
“Vado a casa”
E Sai capì che il suo lavoro lì era ormai terminato e lo
lasciò andare dicendogli “Mi ha fatto piacere passare un po’ di tempo con te, Sasuke’’
“Ci vediamo…” lo
salutò l’Uchiha alzando il pacchetto in aria a mò di saluto barra trionfo perché effettivamente quello yukata era stato un’impresa.
-O-
Dall’altra parte di Konoha, nel
medesimo momento, Sakura, sull’orlo di una crisi di nervi, era intenta a scegliere
il suo yukata.
“Troppo rosa, troppo verde, troppo rosa e verde, troppo cupo,
troppo allegro… questo?”
Parlava da sola ovviamente… lo faceva spesso.
La camera da letto non aveva nulla da invidiare al campo di
battaglia della Grande Guerra. Oltre ai cinque yukata
che a turno aveva provato senza trovarne uno di suo gusto, svariati fermagli,
geta, obi uscivano da ogni anfratto.
Era disperata. Mancavano solo due ore e lei non aveva ancora
scelto cosa indossare.
Non voleva fare tardi: Sasuke non
lo avrebbe apprezzato.
Il campanello suonò improvvisamente e insistentemente e
Sakura trasalì perché c’erano solo due persone di sua conoscenza che suonavano
il campanello in quel modo barbaro: il primo aveva interrotto la sua quasi prima
volta quella stessa mattina e per ripresentarsi al suo cospetto doveva avere un
motivo davvero serio o lo avrebbe ucciso. Il secondo, anzi ‘’la seconda’’, se
possibile l’allarmava più del primo.
“Arrivo” sbraitò alterata, correndo verso la porta.
Quando la aprì il secondo, anzi ‘’seconda’’ la accolse
cinguettando: “Fronte spaziosa, era ora! E’ un’ora che aspetto qui fuori’’
Ino Yamanaka non aveva mai avuto una
gran percezione del tempo: per lei un minuto equivaleva a un’ora e un’ora a un
secondo.
“S-scusami, mi stavo vestendo”
Perché si stava
scusando? Era lei che era piombata a casa sua senza invito e si era attaccata
al campanello della porta come un postino insistente.
“Quindi hai intenzione di andare al Tanabata
con quella t-shirt?” osservò divertita la Yamanaka
alzando il sopracciglio destro.
Sakura guardò verso il basso e prese a stropicciare l’orlo
della t-shirt imbarazzata.
“Dai, ti aiuto io. Ero certa che fossi in crisi, per questo
sono qui” le disse, facendole l’occhiolino.
Sakura le fece cenno di entrare in casa, sorridendole con
riconoscenza: in fondo era felice che fosse lì.
Le fece strada fino alla campo di battag…
ehm… la camera da letto e Ino non potè non
strabuzzare gli occhi nel vedere il caos apocalittico in cui verteva quella
stanza.
“Oook” esclamò Ino, mettendosi le
mani sui fianchi un po’ scoraggiata: era sicura che l’amica fosse in
difficoltà, ma non fino a quel punto.
“Ti prego Ino aiutami!” la supplicò Sakura mettendo da parte
tutto il suo orgoglio per un bene superiore il cui nome iniziava per S e finiva
per E.
La Yamanaka si portò la mano a
sorreggere il mento, pensierosa…
“Questa è tutta la roba che hai?” le chiese, quindi.
“ Alcune cose non sapevo neanche di averle” ammise Sakura che
non aveva avuto una gran vita sociale negli ultimi cinque, dieci… diciamo da
sempre e soprattutto non aveva mai avuto
un fidanzato e come se non bastasse il suo fidanzato ( le faceva ancora un
certo effetto pensare che lo fosse sul serio e faticava ancora a dirlo
apertamente) era Sasuke Uchiha.
“Tono su tono non se ne parla, sembreresti un confetto”
E Sakura si affrettò a far sparire dalla sua vista lo yukata rosa.
“Anche quello” aggiunse, indicando quello total
green “ sembreresti uno stelo con una corolla di fiori rosa “
Spietata. Ma non aveva altra scelta.
“Quello celestino lì non sembra male, ma è un colore troppo
allegro messo vicino a Mr Tristezza”
Lui non è triste… è … è…
profondo.
Ma badò bene dal dirlo ad alta voce perché il tempo stringeva
e sentire una filippica sui prosciutti che aveva sugli occhi avrebbe rallentato
molto il lavoro.
Meno tre. Il cerchio iniziava a stringersi.
“Verde e rosa? Ma per carità! Chi è quel pazzo che ti ha
venduto uno yukata verde e rosa?”
L’ho comprato io, Shannaro!
“Quello bianco teniamolo per un’altra occasione, non credi?”
ironizzò Ino, facendola arrossire.
Eccolo.
L’ultimo.
Questa volta Ino preferì farsi strada tra gli oggetti sparsi
per terra per osservare da vicino l’ultima speranza.
“Provalo!”
La sua non fu una
richiesta, ma un ordine preciso, appena sussurrato, inquietante.
Sakura si sfilò la t-shirt e ubbidì.
Appena lo ebbe indosso, Ino iniziò a squadrarla da testa a
piedi.
“Q-questo non mi ha mai convinto, Ino” le confessò Sakura,
con il naso arricciato in una smorfia di disapprovazione.
“Sta zitta” le intimò. Fulminandola con gli occhi viola.
“O-ok” balbettò Sakura muovendo le mani davanti a sé come per
difendersi.
“Hai un obi rosa?” le chiese poi
“Ah, che domanda, certo che lo hai, è il trionfo del rosa qui dentro!” aggiunse
con palese disgusto.
“Eccolo!” esclamò vittoriosa, vedendolo spuntare da sotto il
letto.
Sakura cinse il suo yukata con l’obi rosa, che poi per essere precisi non era proprio rosa rosa, bensì rosa corallo, ma si guardò bene dal
sottolinearlo e fu costretta ad ammettere che fosse perfetto su quello yukata che lei non aveva mai amato molto perché, a suoi
dire, non aveva personalità.
I piccoli fiorellini rosa sullo sfondo blu si intonavano ai
suoi capelli, mentre l’obi creava uno stacco di
colore che, dopotutto, non era per niente male, notò congratulandosi con se
stessa per aver aperto la porta a Ino.
“Sei bellissima fronte spaziosa!!!” esclamò la Yamanaka “ Adesso mancano i capelli. Per tutti i Kami, sei veramente impegnativa come amica. Se poi penso
che stai facendo tutto questo per Mr. Vendetta, oh per carità, non mi ci far
neanche pensare. Solo tu potevi innamorarti…”
“Grazie Ino” le disse, sinceramente, fermando il suo monologo,
e l’abbracciò stretta perché nonostante tutti i suoi innumerevoli difetti le
era stata sempre vicina.
“Ti sembra il momento per gli abbracci?” le chiese Ino con
gli occhi lucidi di commozione “Forza! Mancano ancora i capelli e per quelli
davvero ci vorrà un miracolo”
-O-
Sasuke sostava con le spalle appoggiate al
muro, un po’ impacciato a dire il vero perché la mancanza dell’arto sinistro in
alcuni casi si faceva sentire: tipo quando necessitava di incrociare le braccia
per assumere la sua tipica posa severa e austera che gli era sempre stata così congeniale.
La manica sinistra dello yukata
svolazzava leggera, rendendolo se possibile ancora più nervoso. Inoltre Sakura,
Naruto e Hinata erano in
ritardo e lui era fermo lì, impalato, ad aspettarli evitando di incrociare gli
sguardi delle persone che lo osservavano incuriosite. Il desiderio di
tornarsene a casa iniziava a essere più forte dell’idea di deludere Sakura. Lei
lo avrebbe compreso, come sempre, ne era certo.
Fece un passo in avanti, staccandosi dal muro, e proprio in
quel momento udì una voce ben nota in un punto non ben definito in mezzo alla
folla.
“Sasuke-kun!”
Sasuke alzò lo sguardo e iniziò a cercare
la sua testolina rosa tra la folla. Appariva e scompariva in quel fiume di
gente, mischiandosi con i colori dei festoni, dei ventagli e degli yukata.
Ma dove sei? Ringhiò dentro di sé, con una gran
voglia di eliminare tutti quegli inutili ostacoli per lasciarle la strada
libera.
“Sasuke-kun! Sono qui!” la udì ancora,
riuscendo solo a scorgere la sua mano che cercava di svettare sulla testa di
tutte quelle persone.
Iniziò a sentire dentro di sé una strana eccitazione vedendo
di sfuggita i capelli rosa di Sakura fare capolino prima alle spalle di un uomo
anziano con la nipotina e poi dietro una donna con lo yukata
rosso, e poi ancora dietro dei bambini. Poi scorse i suoi occhi verdi, allarmati,
che cercavano di trovare un varco per arrivare a lui. Infine la vide nel suo yukata blu con i fiori rosa, i capelli tirati, e lo sguardo
felice e non potè far a meno di deglutire con forza
per ingoiare tutta quella trepidazione che aveva percepito e far spazio a una
nuova sensazione, più intensa, più piacevole, che era data dall’avere Sakura
davanti a sé, a pochi centimetri, ansimante e sorridente.
Bella.
Considerazione che ovviamente tenne per sé.
“Perdonami, Sasuke-kun, sono in
ritardo” si scusò Sakura, piegandosi in avanti per cercare di recuperare il
fiato.
“Non importa”
“Naruto e Hinata
ci aspettano al tempio” lo informò “Ho incontrato Naruto
poco fa che correva a casa di Hinata e mi ha detto
che ci saremmo visti direttamente lì”
Sasuke annuì. Poco gli importava di dove si
sarebbero visti, l’importante era che fosse arrivata lei.
Mise la mano destra nello yukata,
all’altezza del petto e tirò fuori il ventaglio che l’anziana signora del
negozio aveva messo di nascosto nella confezione. Dopo aver tirato giù tutti i Kami possibili maledicendo la donna per quel regalo non
richiesto, fino all’ultimo era stato indeciso se portarlo con sé o meno: non
poteva di certo pretendere che Sakura sfoggiasse a cuor leggero il simbolo
degli Uchiha in un Villaggio che non li aveva mai
veramente accettati. Poi qualcosa lo aveva spinto a prenderlo, una specie di
consapevolezza dell’incapacità di Sakura di deluderlo in alcun modo e la
certezza che sarebbe stata all’altezza anche in quella situazione.
“Non devi sentirti obbligata” le disse, porgendoglielo, senza
alcun particolare entusiasmo.
Sakura, immobile, davanti a lui, percepì sbigottita il
momento preciso in cui le sue gambe erano diventate così molli da non
sorreggerla e il suo cuore aveva preso a rimbombare all’impazzata nelle sue
orecchie, la vista si era offuscata e le
mani avevano cominciato a tremare. Un loop di
emozioni, ricordi e illusioni adolescenziali le aveva annebbiato la testa:
quante volte aveva sognato quel momento? Quante volte aveva immaginato di
vestire il simbolo degli Uchiha?
“Sakura?”
La voce di Sasuke la ridestò da quel
blackout emozionale. Il ventaglio era ancora lì, non lo aveva sognato, era così
concreto e vero da essere spaventoso.
Timidamente allungò la mano tremante verso quella di Sasuke e dopo aver afferrato il ventaglio lo portò in
fretta al petto, stringendolo come un tesoro inestimabile.
“N-ne s-sono onorata” balbettò con gli occhi liquidi di
felicità.
Sasuke si fermò un attimo a guardarla: così
delicata e amorevole, ma allo stesso tempo così forte. Per chiunque sarebbe
stato un problema portare quello stemma scomodo, ma non per lei, non per Sakura
che lo aveva stretto a sé come un regalo prezioso. E Sasuke
ebbe come l’impressione che il peso dello stemma che portava sulla sua schiena
fosse diventato più lieve.
Le sorrise. Non un sorriso vero - quelli Sasuke
non li sapeva ancora fare – il suo solito sorriso sghembo, ma con una nota di
compiacimento che prima di quel momento non si era mai vista.
“Andiamo?” la invitò e Sakura annuì velocemente con la testa.
Presero a camminare in direzione del tempio, fianco a fianco,
e a Sasuke sembrò quasi più semplice ignorare gli
sguardi curiosi della gente che non sapeva dove mettere gli occhi, se su di
lui, l’ultimo sopravvissuto degli Uchiha o su di lei,
che era con lui e portava il suo simbolo ancora stretto tra le braccia.
“Ah” sospirò Sasuke dopo un po’
“Guarda che non vola via” le fece notare non con lo scopo di deriderla bensì di
farla tornare con i piedi per terra perché aveva l’aria di essere su un altro
pianeta.
“Lo so, ma non voglio perderlo” gli rispose, stringendolo un
po’ di più.
“Se dovessi perderlo ne faremo fare un altro” la rassicurò,
compiaciuto.
“In effetti se continuo a tenerlo così non lo vede nessuno” riflettè Sakura ad alta voce e Sasuke
smise di camminare.
In quel breve frangente per la testa di Sasuke
passò la terribile ipotesi che lei lo avesse preso solo per farlo contento, ma
che avesse il timore di mostrarlo.
“Così penso che vada meglio” concluse Sakura, liberando il
ventaglio dalla ferrea presa delle sue braccia e portandolo davanti alla bocca come
da usanza.
Inutile dire che Sasuke tirò prima
un profondo e silenzioso sospiro di sollievo e poi si diede dello stupido – di
tanto in tanto un po’ di autocritica non guastava neanche per lui.
“Sasuke, Sakura!”
“Ecco Naruto e Hinata.”
disse lei, correndo verso di loro.
Sasuke rimase lì fermo ancora un po’ e la
guardò andare incontro ai loro amici ignara degli sguardi delle persone
incuriosite da quel ventaglio che lei portava con tanta fierezza e non potè fare altro che sentirsi immensamente fortunato.
-O-
“ Le hai già parlato, Teme? ” farfugliò Naruto,
masticando un dango.
“Ancora no”
Ormai la festa del Tanabata stava
volgendo al termine, i zen-washi erano tutti accesi e le persone cominciavano a
tornare a casa o a confluire negli izakaya per
mangiare.
“Quando hai intenzione di dirglielo?” incalzò Naruto prima di addentare l’ultimo gnocco di riso con
soddisfazione.
“Sembra così felice” osservò Sasuke
portando lo sguardo su Sakura che rideva e scherzava allegra con le sue amiche.
“Sei ancora in tempo per ripensarci” gli fece notare Naruto “Se non hai ancora deciso di dirglielo forse è perché
non vuoi farlo”
“Devo farlo, baka. Anche per lei. Ma non so se riuscirà a
comprenderlo”
“Sakura-chan capirà. Lei capisce
sempre tutto.” lo rassicurò Naruto, confidando nelle
capacità della sua amica.
Lo spero tanto.
“Sasuke-kun!” lo chiamò Sakura,
correndo verso di lui “ Guarda lì! “ gli disse indicando un filo rosa
intrecciato con un biglietto appeso sulla trave in legno del tempio “ Quello è
il nostro “
Senza troppi complimenti gli prese la mano facendolo
arrossire per un attimo e lo portò dinanzi al tanzaku
che aveva appeso.
Sasuke si piegò in avanti per vedere cosa
ci fosse scritto e percepì una chiara stretta al cuore nel leggere la preghiera
di Sakura.
Sotto lo stesso cielo
per sempre.
Ancora mano nella mano, Sasuke
strinse quella di lei con più forza e alla fine si decise.
“Sakura, devo parlarti”
“O-ok” balbettò lei, confusa. Sasuke
era diventato scuro in volto. Forse non aveva apprezzato la preghiera? Aveva
fatto qualcosa di sbagliato?
Camminarono in silenzio, ancora mano nella mano, fino a che i
rumori della festa furono lontani e indistinguibili. Si ritrovarono nel loro
vecchio campo di allenamento.
“Sasuke-kun, va tutto bene?”
Sakura si decise a parlare dopo quel lungo tragitto durante
il quale in silenzio non aveva fatto altro che lambiccarsi il cervello su che
cosa potesse essere accaduto e su cosa dovesse dirle Sasuke.
“Vorrei che tu ascoltassi senza interrompermi per favore” le
rispose Sasuke, rompendo il sigillo delle loro mani.
Sakura annuì timorosa, guardando le sue spalle che si
allontanavano da lei e non le fu difficile trovare un analogia con quanto
accaduto molti anni prima: il tono era quello, le spalle però non erano più
quelle di un ragazzo, ma di un uomo, un uomo temprato da mille battaglie e
altrettante sofferenze. Ma come in quell’occasione, quell’uomo aveva tutta
l’aria di uno che stava scappando e un brivido le percorse la pelle.
“Ho deciso di partire”
La terra iniziò a tremare sotto i piedi di Sakura, l’orlo del
baratro era tremendamente vicino, un solo passo e la caduta sarebbe stata
inevitabile.
“E’ da tempo che ci penso” continuò Sasuke,
tenendo lo sguardo fisso sull’erba bagnata.
“Aspetta” lo fermò Sakura, stringendo i pugni.
No, non accadrà di
nuovo.
“Questa volta devi guardarmi. Non accetto che tu mi dia le
spalle” gli disse, con un nodo in gola.
Sasuke si voltò verso di lei, ritenendo la
sua richiesta più che legittima. La guardò e si stupì nel notare che non
c’erano tracce di lacrime sul suo viso, anzi il suo sguardo era fermo e fiero,
i pugni chiusi, le spalle dritte. Sakura non era più quella di un tempo, era
una donna ormai, una donna consapevole del suo valore e sicura di sé. Provò
quasi un moto di invidia nei suoi confronti: lui non era più sicuro di niente,
soprattutto di se stesso. Ne aveva combinate troppe, era passato dalla luce
alle tenebre e dalle tenebre alla luce così tante volte che non sapeva più a
quali delle due apparteneva realmente. Era confuso su tutto, tranne su una cosa
che era chiara e cristallina come i due occhi verdi che lo stavano guardando
con tanta rabbia ma piena d’amore: Sakura non era in discussione. Sakura era
diventata il centro della sua vita, in lei c’era tutto quello per cui aveva
combattuto da sempre: l’amore, la famiglia, la casa. Ma non era giusto… non era
giusto che lei si accontentasse di un uomo che non sapeva più chi era. E glielo
disse:
“Non so più chi sono”
Sakura sbarrò gli occhi spiazzata dalla sua confessione. In
quel periodo a Konoha Sasuke
aveva cercato di riprendere una vita normale, ma in cuor suo aveva sempre
sospettato che qualcosa dentro di lui fosse ancora rotto e che tutto il suo
amore non sarebbe bastato per aggiustarlo.
“Sei Sasuke Uchiha.
Sei un eroe. Hai salvato il Villaggio” gli rispose, con un tono dolce,
accondiscendente.
“Lo sono Sakura? Ne sei convinta?” ribattè
lui, cercando di mantenere la calma “Lo sono perché mi avete coperto, avete
raccontato una bella storia a cui tutti hanno creduto”
“Lo abbiamo fatto per te!” gli fece notare, conficcando le
unghie nei palmi delle mani, come se quel dolore avesse potuto in qualche modo distoglierla
da quello che stava provando nel cuore.
“Voi mi avete perdonato. Ma io non ho perdonato me stesso.”
Lo aveva ammesso: il problema era lui, era sempre stato lui,
solo e soltanto lui. Lui che aveva sempre assecondato i suoi desideri, lui con
le sue scelte istintive, lui con la sua incapacità di fidarsi degli altri.
Aveva passato una vita a rincorrere gli obbiettivi sbagliati e solo ora
iniziava a rendersene conto. Non meritava il perdono di Naruto,
l’amore di Sakura, non ancora per lo meno. Voleva fare qualcosa che realmente
lo riabilitasse, lo facesse sentire bene, lo rendesse un uomo nuovo, migliore
di quello che era stato. Era stato così cieco in tutti quegli anni e adesso
sentiva l’esigenza di guardare di nuovo il mondo al di fuori di Konoha con altri occhi, era certo che gli fossero sfuggite
tante cose. Inoltre c’era una parte di lui convinta di non poter essere utile lì al Villaggio,
che là fuori ci fosse ancora qualcosa che potesse mettere in pericolo le
persone a cui voleva bene e tra queste c’era anche quella strana ragazza e la
sua incommensurabile dedizione nei suoi confronti.
“Hai bisogno di redimerti? Fallo qui con noi, non rimanere di
nuovo solo.” lo esortò Sakura, con tono quasi implorante: l’idea che lui
potesse sentirsi di nuovo solo, se possibile, l’addolorava più dell’idea che
volesse andare via.
“Non posso”
Sasuke abbassò lo sguardo per sfuggire a
quello di lei, così puro, amorevole, anche in quel momento in cui in pratica le
stava dicendo che le sue sofferenze non erano ancora finite e che sarebbe stato
necessario altro tempo, e non sapeva bene quanto, prima che lei potesse
ottenere quello che desiderava.
“Temevo che lo avresti detto”
Sakura si morse il labbro inferiore per bloccare quella
lacrima che prepotentemente stava cercando di scendere dall’angolo degli occhi.
Non aveva intenzione di piangere, non questa volta.
“Shannaro!“ esclamò con
rassegnazione “Non ho modo di fermarti neanche questa volta, vero?”
Sasuke le si avvicinò lentamente e, una
volta davanti a lei, usò il suo unico braccio per fare la cosa più sensata: l’abbracciò
forte a sé, sentendosi infinitamente grato nei suoi confronti per tutta quella
immeritata comprensione.