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Autore: NPC_Stories    17/10/2020    2 recensioni
L'anno scorso ho fatto l'inktober con Erika, quest'anno lei ha trovato questo fantastico promptober chiaramente a tema drow.
Non so se riuscirò a scrivere tutti i giorni, probabilmente saranno storie brevissime, non so se ci saranno dei disegni, ma so che i prompt sono troppo belli e cercherò di tirarne fuori qualcosa, probabilmente missing moments di altre mie storie.
Genere: Dark, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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Nota: questa storia è il sequel di 14. Braid

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17. Vision


1324 DR, città sotterranea di Eryndlyn

S’lolath non ci capiva nulla di bambini. Per lui erano solo futuri adulti, e questa sua incapacità di comprensione perdurava caparbiamente nonostante lui avesse avuto ben due figlie.
C’era qualcosa che gli impediva di provare empatia e senso di protezione verso quegli elfi scuri di recente produzione e di taglia ridotta: principalmente, era il fatto che fossero comunque elfi scuri. S’lolath era un perfetto figlio di Eryndlyn e sapeva che non era una buona idea provare compassione per qualcuno. Per questo, guardando il piccolo Tek’ryn Daevossz, in quel momento non riusciva a provare altro che un cauto interesse… come avrebbe fatto nei confronti di chiunque si fosse presentato al suo cospetto dopo aver sostanzialmente ricattato uno dei suoi sottoposti più promettenti.
Erano rimasti soli, quindi lo aveva invitato nel salottino privato in cui solo lui e i clienti più prestigiosi della sua libreria potevano mettere piede.


Tek’ryn si era arrampicato su una poltroncina che sarebbe stata molto comoda, se i suoi piedi avessero potuto toccare terra. Invece era troppo basso per quel privilegio, e lottava per stare in equilibrio su quei cuscini che - ne era certo - dovevano essere fatti di melme cucite in foderi di tessuto impermeabile. Era troppo strano il modo in cui ci stava affondando dentro.
Il fatto di non sentirsi stabile e di non avere contatto con il terreno stava mandando messaggi di allarme alla sua mente istintiva, perché in caso di pericolo non sarebbe riuscito a reagire prontamente e scappare.
Il drow con le treccine in qualche modo doveva averlo capito, perché il suo sorriso affilato sembrava aver preso una piega di derisione.
Anche l’adulto era seduto su una poltroncina simile, ma sembrava trovarcisi a suo agio. Li separava un basso tavolino fatto con un gambo di fungo segato a metà e poi coperto da una sottile lastra di vetro, modellata per seguire la circonferenza irregolare della base. Su quel tavolino aveva appoggiato due bicchieri pieni quasi fino a metà, con dentro un liquido verdastro.


“Ho sentito delle voci sul tuo conto, giovane Daevossz” cominciò S’lolath, spostando i due bicchieri in centro al ripiano. “Alcune persone dicono che tu abbia poteri di preveggenza.”
“Lo dice Seldphyn” lo corresse il ragazzino. “Solo qualcuno che appartiene a Casa Deavossz potrebbe saperlo. La Matrona non permetterebbe all’informazione di circolare.”
S’lolath sorrise per quell’intuizione ben argomentata, ma non del tutto corretta.
“Forse tua madre non è poi così onnisciente quanto crede. Ci sono molti modi in cui un’informazione può trapelare” spiegò, ma senza sbilanciarsi. “Vorrei capire se le parole dei miei informatori sono vere. In uno di questi due bicchieri, il vino è stato contaminato con un liquido incolore, quasi inodore, ma mortale. Sapresti dirmi in quale bicchiere c’è il veleno?”
Domandò con un sorriso di incoraggiamento. O di minaccia. Insomma, la linea fra le due cose era sottile.
Il bambino non si scompose per nulla. Si aggrappò ai bracciali e si sporse in avanti, per arrivare ai bicchieri. Ne prese uno, semplicemente il più vicino alla sua mano; con attenzione e grande cura, rovesciò il suo contenuto nell’altro bicchiere. Poi riappoggiò il bicchiere vuoto sul ripiano di vetro e fissò S’lolath negli occhi con uno sguardo fermo, adulto.
“In quello pieno” affermò semplicemente.
Il mago drow rimase spiazzato per un attimo; non era colpito dalla soluzione intelligente all’enigma, ma dal fatto che venisse da un ragazzino di nove o dieci anni. Anche la sua calma era del tutto innaturale per un drow così giovane e inesperto; avrebbe dovuto tremare di nervosismo e paura davanti a un mago potente come lui.
La risposta di Tek’ryn Daevossz fu seguita da un lungo momento di silenzio, poi S’lolath si sentì scuotere da un fremito. Una risata. Decise che poteva concedersi di ridere davanti a quella creatura, perché dopotutto Tek’ryn era lì per chiedere il suo aiuto, non era una minaccia.
E poi, era davvero soddisfatto dalla sua risposta. Per ora.


***


Tek’ryn avrebbe voluto poter lasciare la città subito, ma le sue visioni l’avevano condotto solo fino a questo mago. Sapeva, grazie alla divinazione, che il drow con le treccine era la sua unica speranza di lasciare la città di Eryndlyn, ma da quando l’aveva raggiunto i suoi poteri di preveggenza non erano più stati di alcun aiuto. Era come se ci fossero troppe variabili; Tek’ryn fu colto da quel pensiero che spiegava l’improvvisa defezione delle sue visioni, e come al solito si stupì di averlo concepito. Era sicuro che non avrebbe dovuto sapere cosa fossero le variabili. Gli capitava sempre più spesso di fare pensieri che non potevano essere normali per un drow della sua età; fino ad allora era sempre vissuto lontano dagli intrighi e dai giochi di potere. Aveva passato l’infanzia a pulire e lucidare ogni angolo della cappella della sua Casa, senza interazioni sociali o quasi.
Perché all’improvviso sapeva come parlare agli adulti? Perché sapeva sostenere il loro sguardo e contrattare? Non se lo spiegava, ma forse la risposta era nascosta negli strani sogni che faceva, in cui gli sembrava di ricordare vite passate.
Di sicuro, per il momento aveva ottenuto una specie di tregua. Il mago aveva deciso di ospitarlo nei suoi appartamenti privati, a quanto pare segretissimi e ben mascherati con la magia, finché non avesse deciso cosa fare di lui.
Nel frattempo sua madre, Matrona Mayquarra, doveva aver trovato il suo piccolo cadavere nella cappella di Casa Daevossz… ma si trattava di un depistaggio, un corpo fasullo che il Maestro Arcano Seldphyn aveva preparato con cura per coprire la sua fuga.
Tek’ryn sapeva che la Matrona avrebbe aperto un’inchiesta. Non avrebbe accettato facilmente la morte del suo ultimogenito, il ragazzo dotato nelle arti arcane che sperava di poter trasformare nel nuovo mago della Casata.
Avrebbe davvero voluto essere già in viaggio per qualche luogo lontano, ma doveva convincere il suo ospite a farlo fuggire.

Da come il mago lo aveva mollato in una stanza spoglia, con solo un letto e un baule, Tek’ryn aveva la sensazione di essere più un prigioniero che un ospite.
Quasi ogni giorno il suo anfitrione - S’lolath, infine si era presentato - veniva a trovarlo e gli chiedeva di raccontargli dettagli sulla sua vita a Casa Daevossz. Erano dettagli noiosi, inutili, e secondo Tek’ryn si trattava solo di un depistaggio. Una tecnica per cominciare a farlo parlare, metterlo a suo agio, e nel tempo riuscire a portare il discorso dove voleva l’adulto.
Non gli aveva chiesto più nulla sul suo potere, sul suo presunto talento per la magia arcana. Ma di certo prima o poi lo avrebbe fatto.
Tek’ryn era terrorizzato, non voleva rivelargli che il suo potere risiedeva nei suoi occhi. Le sue capacità di divinazione si manifestavano solo attraverso la vista, aveva delle premonizioni sul futuro e rivelazioni sul presente. Una delle sue capacità era quella di vedere la forma dell’anima delle persone, un potere orrendo in un posto come Eryndlyn; all’apparenza i drow erano bellissimi e perfetti, ma nell’intimo erano creature aberranti e spietate, con artigli al posto delle mani, denti lunghi come quelli dei vampiri, occhi di brace, corna da demoni o altre orrende deformazioni che riflettevano l’orrore dei loro cuori. Tek’ryn non si era mai azzardato a guardare S’lolath con quel suo potere. Aveva paura di vedere la forma della sua anima. Aveva paura di vedere dita adunche protese verso i suoi occhi, desiderose di strapparli e prenderli per sé.
Perché lo stava trattenendo così a lungo? Cosa poteva volere da lui?
Sperava di farlo impazzire con la prigionia e l’isolamento?
A Tek’ryn non dava fastidio, per niente. A volte sognava enormi spazi aperti, con solo il bianco intorno a sé, una landa perlacea senza terreno, senza alto né basso, come se fosse sospeso nel nulla. E intorno a sé, in effetti, non c’era nulla. Era un sogno abbastanza ricorrente, negli ultimi mesi. Se quello non lo disturbava, non l’avrebbe certamente fatto una stanza scarnamente arredata. L’unica cosa che lo tormentava era l’incertezza sul suo futuro.

Un mattino, sempre che fosse mattino, si svegliò da un incubo particolarmente agitato: aveva sognato di essere ancora in seno alla sua famiglia, con sua madre che lo indottrinava al culto di Lolth, le sue sorelle che lo guardavano con odio… e tutte loro mostravano la loro vera forma, quella che lui poteva sbirciare con i suoi occhi magici.
Si svegliò di colpo, con il fiato corto. E incontrò lo sguardo concentrato di S’lolath Del Neantaken.
“Fai sogni davvero strani” commentò il drow, scrutando il ragazzino dall’alto in basso.
Tek’ryn aveva la pelle nera come l’ebano, ma di sicuro in quel momento impallidì fino a sembrare grigio cenere.
“Sono… solo incubi. La mia mente inventa figure mostruose per… per spiegare…”
“No” lo interruppe l’altro. “Non pensare di mentirmi così facilmente. Non sono solo incubi, sono ricordi. So riconoscere la differenza, ho sentito tutta la tua paura.”
Una strana scelta di parole, ma Tek’ryn era troppo spaventato per farsi domande. Ormai era stato scoperto. Il suo asso nella manica era stato rivelato.
Perché i suoi poteri non gli stavano venendo in aiuto? Di solito, quando si trovava in una situazione pericolosa, i suoi occhi vedevano il corso di azioni che avrebbe dovuto prendere per salvarsi la pelle. Questa volta, invece, le premonizioni non si stavano mostrando.
“È… è vero.” Ammise, deglutendo per il nervosismo. C’era una linea oltre la quale mentire diventava controproducente. “In effetti non sono sogni. Sono visioni. Quello è ciò che vedo quando… guardo qualcuno. Succede come che… ciò che le persone sono davvero, non me lo possono nascondere. Vedo cosa c’è nei loro animi. Ma mi fa venire solo paura, disperazione. Perché se tutti sono così, io come… come potrei sopravvivere? Sono qui, in questa città, circondato solo da mostri e io non… io non so…”
Tek’ryn sentì gli occhi che gli si riempivano di lacrime.
No.
No!
Era stato forte fino ad ora. Perché doveva cedere quando ormai era quasi riuscito a sfuggire alle grinfie di sua madre? Perché doveva crollare proprio adesso?

Contro ogni sua aspettativa, S’lolath gli poggiò una mano sulla testa. Tek’ryn non aveva esperienza di gesti affettuosi, altrimenti avrebbe potuto pensare ‘questa è la carezza di qualcuno che non sa come si fa’.
“Tua madre ha assunto un mago investigatore per indagare la tua morte. A quanto pare non vuole proprio lasciar perdere, stupida sacerdotessa testarda! Anche quel mago fa parte della mia gilda, quindi l’ho saputo subito. Ma preferirei che non mi trovassero implicato nella tua morte.”
Tek’ryn raggelò. Era giunto alla fine, dunque?
S’lolath si chinò accanto al letto per essere alla stessa altezza del suo interlocutore. Il discorso che voleva fargli richiedeva un contatto visivo.
“Ora ho tre scelte davanti a me, ragazzo. Ucciderti, uccidere tua madre, oppure farti sparire. La seconda non è praticabile, abbiamo degli affari con Casa Daevossz. E tra ucciderti o farti sparire, capisci, non c’è poi molta differenza.”
Il bambino rimase immobile, sentendo tutto il peso di quella mano sulla sua testa, sapendo che poteva scaturirne un incantesimo mortale da un secondo all’altro.
“Tuttavia, se qualcuno un domani mi interrogasse… o peggio, interrogasse la Regina Ragno stessa per chiedere conto delle mie azioni, la domanda che farebbero è ‘S’lolath è coinvolto nella morte di Tek’ryn Daevossz?’. E lo farebbero perché ti credono morto, non fuggiasco. Mi farebbe molto comodo che la risposta a quella domanda continuasse ad essere no. La cosa migliore che posso fare per me stesso e per te, è farti uscire dalla città di nascosto.”
Il ragazzino alzò la testa di scatto, fissando il volto di S’lolath, senza parole. Stava dicendo la verità? Non era solo un crudele trucco?
“In cambio di cosa?” Chiese subito, perché conosceva i drow e conosceva i mercenari.
Il mago sorrise, soddisfatto ancora una volta dalla sua maturità.
“Tranquillo. Non dimenticherò che mi devi un favore, e farò in modo che non lo dimentichi nemmeno tu. Sei un ragazzino promettente, se solo ti allontanerai un po’ da Eryndlyn. Qui non potresti sopravvivere. A differenza mia, hai a malapena il controllo sulle tue visioni.”
Tek’ryn si chiese per un momento cosa avesse voluto dire con ‘a differenza mia’, ma poi scartò quel pensiero. Non aveva importanza. S’lolath lo avrebbe aiutato a fuggire! In uno slancio emotivo molto inopportuno, ma tristemente tipico per la sua età, Tek’ryn si sporse in avanti e abbracciò brevemente le spalle del mago mercenario. S’lolath lo allontanò subito, sulla difensiva, quasi che avesse temuto una trappola.
“Non toccarmi con le tue manine da moccioso, mi scompigli i capelli” lo redarguì, un po’ schifato.
Tek’ryn si fece subito indietro, con un’espressione di scuse, e in effetti notò per la prima volta che i capelli di S’lolath erano sciolti dietro la schiena, senza più treccine.
“Scusa. Scusa. Non lo faccio più” promise, abbassando lo sguardo in segno di sottomissione.
Il drow se ne andò in tutta fretta dalla sua stanza, sibilando come un serpente velenoso, ma prima di uscire si girò per lanciargli l’ultima occhiataccia e abbaiare un ordine.
“Muoviti a vestirti, ce ne stiamo andando adesso.”
Tek’ryn rimase un attimo stranito, a fissare l’uscio che il drow aveva lasciato aperto. Poi si alzò dal letto in tutta fretta e recuperò i suoi abiti, vestendosi mentre usciva di corsa.

   
 
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