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Autore: NPC_Stories    14/10/2020    2 recensioni
L'anno scorso ho fatto l'inktober con Erika, quest'anno lei ha trovato questo fantastico promptober chiaramente a tema drow.
Non so se riuscirò a scrivere tutti i giorni, probabilmente saranno storie brevissime, non so se ci saranno dei disegni, ma so che i prompt sono troppo belli e cercherò di tirarne fuori qualcosa, probabilmente missing moments di altre mie storie.
Genere: Dark, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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Questa storia è il seguito di Blind e di Invisible, e potrebbe essere poco chiara senza aver letto quelle.

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14. Braid


1324 DR, città sotterranea di Eryndlyn

S’lolath Del Neantaken si fregiava di essere uno dei drow più potenti di Eryndlyn, anche se non molti l’avrebbero riconosciuto come tale. Nominalmente un mago senza affiliazioni, come lui, sarebbe stato inferiore in rango a… be’, dipendeva molto dal quartiere in cui si trovava. Nella zona della città assoggettata al culto di Lolth, sarebbe stato inferiore a qualsiasi femmina. Anche se. A conti fatti, nessuna drow artigiana o mercante si sarebbe nemmeno azzardata a mettersi sullo stesso piano di un potente mago. Perfino le sacerdotesse giovani o poco esperte l’avrebbero rispettato. Ma le nobili no, si sarebbero sentite superiori a lui, dalla prima delle Matrone all’ultima delle figlie cadette di una Casa minore. Nel quartiere di Ghaunadaur sarebbe stato considerato inferiore ai preti, che si davano una grandissima importanza sebbene il loro stesso dio non sembrasse condividere quell’opinione. Invece, sulla piattaforma della città che era abitata dai fedeli di Vhaeraun, il suo valore sarebbe stato riconosciuto un po’ di più.
Il che rendeva il quartiere dei vhaerauniti il più soddisfacente ma anche il più pericoloso in cui muoversi. A S’lolath non dispiaceva essere sottovalutato. Lui conosceva la verità, era consapevole del potere che aveva fra le mani, non gli serviva il riconoscimento altrui.
Non era lui a capo della gilda, dopotutto. Non voleva attirare troppo l’attenzione.

I suoi colleghi e i sottoposti conoscevano il suo ruolo e intuivano il suo potere, questo gli bastava. Quando c’erano alcune particolari questioni da dirimere, questioni interne alla gilda, i maghi di rango inferiore andavano a rivolgersi a lui.
S’lolath gestiva un esercizio commerciale che era la copertura perfetta per giustificare il via-vai di maghi che venivano a trovarlo: una libreria. Molti dei suoi tomi trattavano teorie arcane e vecchie scoperte, istruzioni procedurali per esperimenti magici, frammenti di conoscenze alchemiche, informazioni strappate alle tradizioni esoteriche di ogni razza e di ogni angolo del mondo. Naturalmente i libri davvero utili e potenti li teneva per sé, per il suo capogilda e ogni tanto per una ristretta cerchia di clienti, ma nessuno si sarebbe aspettato diversamente.

Quando qualcuno aprì la porta del suo negozio in pieno giorno (o quello che a Eryndlyn passava per giorno), S’lolath non ne fu sorpreso; il cartello sul portone annunciava che la libreria era aperta. Era chino su un registro, quindi si limitò a salutare con un educato cenno del capo i due drow che erano appena entrati nel negozio; uno dei due indossava le vesti di un mago, ma S’lolath non lo riconobbe.
Strano, pensò, credevo di conoscere tutti i maghi di Eryndlyn. Forse è uno straniero?
Non degnò l’altro di una seconda occhiata; giovane, forse appena alle soglie dell’età adulta, camminava con aria sottomessa accanto al mago - ma non dietro, quindi non era un garzone, era un figlio o un apprendista. O entrambe le cose.
S’lolath però era decisamente più interessato al mago più anziano, almeno finché non si accorse che aveva una vaga aura di magia di illusione intorno a sé. Interessante. L’elfo scuro indossò un paio di occhiali e finse di studiare con più attenzione il registro che aveva davanti, ma alla prima occasione lanciò uno sguardo al mago che si aggirava fra gli scaffali. Le lenti magiche gli permisero di vedere la vera forma del drow al di là di ogni incantesimo per mutare sembianze. L’oggetto del suo interesse era ammantato di un sottile velo di illusione che alterava un poco le sue fattezze, ma sotto quell’inganno si celava Seldphyn di Casa Daevossz, un incantatore talentuoso che faceva parte della sua gilda.
S’lolath sollevò un sopracciglio, come se avesse trovato un’irregolarità nel registro che stava sfogliando. Dentro di sé invece si stava chiedendo il motivo per cui uno dei suoi sottoposti più capaci si fosse recato da lui anziché inviare un messaggio magico. Da quando era diventato il mago principale di Casa Daevossz, Seldphyn si era fatto arrogante e spesso si limitava a inviare messaggi anziché rispondere alle convocazioni. Eppure ora era lì? Perché?
Il luogotenente della gilda si rigirò la domanda nella mente, con oziosa curiosità. L’idea più sensata era che Seldphyn fosse lì per tentare di ucciderlo e prendere il suo posto. Ma in quel caso, perché usare un incantesimo di illusione così debole e facilmente scopribile?
Ebbe la sua risposta quando l’apprendista uscì da dietro uno scaffale, rivelandosi alla sua vista: non era affatto un giovane drow, era un bambino.
S’lolath cominciò a mettere insieme i pezzi: il fatto che il bambino camminasse accanto a Seldphyn e non dietro, condotta inusuale perfino per un apprendista, il fatto che Seldphyn non avrebbe mai assunto un apprendista in primo luogo, perché troppo geloso dei suoi segreti… e la diceria mai confermata che l’ultimo nobile nato in casa Daevossz mostrasse una particolare propensione per le arti arcane.
Mi ha portato un nobile?, si chiese, intrigato. Mi domando il perché.
Si tolse gli occhiali e osservò il ragazzino da lontano, facendo affidamento solo su un semplice incantesimo per individuare aure magiche. Di primo acchito non ne vide nessuna e rimase interdetto. Poi comprese. Seldphyn aveva utilizzato una leggera illusione per mascherare se stesso, ma si era impegnato molto di più per il ragazzino. Aveva usato qualcosa per mascherarlo, un’illusione o forse addirittura una trasmutazione, e poi aveva coperto il misfatto con un incantesimo che nasconde le aure magiche. Quest’ultimo era un incanto basilare che anche gli apprendisti conoscevano, perché non l’aveva usato anche su se stesso? Voleva forse attirare tutta la curiosità su di sé, perché nessuno badasse al giovane apprendista?
Perché? Il piccolo Daevossz era così importante da dover essere protetto dagli sguardi della città? Era lì per ordine della sua Matrona, o…?
S’lolath faticò a sopprimere un ghigno. Gli piacevano gli enigmi. Fino a quel momento la sua giornata era stata insolitamente noiosa.

Per non destare alcun sospetto, lasciò che i due strani visitatori si aggirassero con calma fra i libri di magia; nel frattempo andò avanti con il suo lavoro di facciata, prestò orecchio ad altre richieste, riuscì a concludere una vendita, mise in ordine sugli scaffali alcuni tomi che erano rimasti sulla sua scrivania, e infine accompagnò alla porta gli ultimi clienti.
Solo allora girò il cartello sulla porta indicando che il negozio era chiuso.
Richiuse la porta e la sigillò con un catenaccio e un incantesimo.
“Che gioia vederti, mio vecchio amico” salutò infine, stirando le labbra in quel sorriso sarcastico che aveva trattenuto per tanto tempo. Aveva del tutto abbandonato il tono ossequioso che rivolgeva ai clienti, e allo stesso tempo aveva rivelato a Seldphyn che aveva visto oltre la sua illusione. Per il momento non fece menzione al ragazzo; non aveva senso scoprire subito tutte le sue carte.
"Signore" Seldphyn scattò come un soldatino, e il suo capo faticò a riconoscere in quell'atteggiamento il mago altezzoso e arrogante che ricordava. Forse era davvero lì per ucciderlo, dopotutto, e il bambino costituiva solo un depistaggio. O forse aveva bisogno di un favore bello grosso.
"Quale sorpresa! Non riesco proprio a immaginare cosa possa portarti qui dopo così tanto tempo che non ci vediamo."
"Sarei volentieri venuto prima, ma i miei impegni al servizio di Matrona Daevossz…" l'altro mago abbozzò un tentativo di giustificazione.
S'lolath agitò una mano come per dirgli che tutto questo non aveva più importanza. "Sono più interessato al motivo per cui ti trovi qui adesso."
Il mago spostò nervosamente il peso da un piede all'altro, poi con un gesto teatrale si fece da parte, lasciando spazio al ragazzino camuffato da adulto. "Signore, costui è…" esitò, sulle spine. "Preferirei non pronunciare il nome di un morto. Il ragazzo voleva parlarvi, e le sue argomentazioni sono state… convincenti."
S'lolath si appoggiò tranquillamente con la schiena al portone del negozio. "Convincenti per te, suppongo, ma per quale motivo pensi che dovrebbero interessare anche a me?"
"La mia posizione come mago di Casa Daevossz rafforza la nostra gilda" rivendicò "pertanto ciò che rappresenta una minaccia per me rappresenta una minaccia per gli interessi…"
"Tutti sono utili, Seldphyn. Ma devo proprio ricordarti che nessuno è insostituibile?"
"Ma da chi sarei stato sostituito?" Insistette il mago, con una nota acuta nella voce che tradiva la sua paura. "Da un altro di noi, o da un mago estremamente fedele alla sua Casata e alla Regina Ragno? Se il ragazzo un giorno fosse diventato Maestro Arcano di Casa Daevossz, la nostra organizzazione sarebbe stata tagliata fuori dagli affari di quella famiglia. Matrona Mayquarra avrebbe tenuto in pugno sia il potere Divino che il potere Arcano all'interno della sua Casata e avrebbe potuto portare uno squilibrio all'interno del quartiere occidentale."
"Un ragazzo tanto fedele alla sua famiglia da esserne letteralmente fuggito. Non è per questo che si trova qui?" S'lolath espresse la sua perplessità in tono di provocazione. "Cosa ti fa pensare che, una volta che ti avesse sostituito, non sarebbe stato corruttibile? Perfino il Maestro Arcano di una casata nobile può desiderare una vita migliore. Noi avremmo potuto offrirgliela."
"Signore" il ragazzino si fece avanti, coraggiosamente. "Non avrei mai potuto fare una libera scelta, signore. Mia madre, Matrona Mayquarra Daevossz, aveva intenzione di impormi un marchio magico che mi avrebbe per sempre legato alla fede in Lolth, un marchio che mi avrebbe ucciso al primo pensiero eretico. Non avrei mai potuto ribellarmi alla mia famiglia."
Il ragazzo non rivelò come facesse a saperlo, in qualche modo lasciò intendere che la Matrona glielo avesse detto personalmente. S'lolath continuò a mantenere i suoi dubbi su questo, sia sul fatto che la Matrona avesse rivelato i suoi piani così facilmente, sia sul fatto che la minaccia del marchio potesse essere realistica. Purtroppo non era un esperto di magia clericale, quindi non poteva nemmeno additare la cosa come un inganno. Prese nota però del fatto che il ragazzino sembrasse crederci veramente. Non stava mentendo. Il suo sguardo atterrito parlava chiaro.
"Quindi ho indovinato il motivo della tua presenza qui, giovane Daevossz? Sei scappato di casa? Pensi forse che potrei trovarti un posto all'interno della mia Gilda?"
Il bambino cominciò a scuotere la testa prima ancora che il pericoloso drow avesse finito di parlare.
"È vero che sono scappato di casa, con l'aiuto del Maestro Arcano. Però so una cosa: per me non c'è posto in questa città. So che devo scappare. E so anche che la mia unica possibilità era trovare voi, il drow con le treccine."
S'lolath non riuscì a trattenere un'espressione perplessa. Non era famoso per il suo buon cuore e soprattutto non era famoso per essere una persona che faceva favori in cambio di nulla. Con tutta calma prese fra le dita una manciata di treccine, che adornavano tutta la parte sinistra della sua testa, e cominciò a giocherellarci mentre vagliava le parole del suo visitatore inatteso.
"Sai a cosa servono le mie treccine, ragazzino?"
"Io… in verità non me lo sono mai chiesto, signore" ammise il piccolo, timidamente.
L'adulto si annotò mentalmente anche il fatto che avesse risposto senza davvero rispondere.
C'erano molte leggende sulle treccine di S'lolath ma la più gettonata era che ne facesse una per ogni nemico che uccideva. La verità era ben diversa: a ogni treccia corrispondeva un ricordo che l'intrigante elfo scuro aveva dovuto legare, rinchiudere, nascondere perfino a se stesso.
Ho come la sensazione che questo ragazzino stia per costringermi a creare una nuova treccia, pensò S'lolath, prudentemente.
"Seldphyn, sei congedato." Annunciò all'improvviso. "Lasciaci soli. Torna pure alla magione dei Daevossz, e rallegrati: vada come vada, il tuo pericoloso rivale non vedrà mai più la casa della sua Matrona."
Poi sorrise al piccolo, e quel ghigno non era per niente rassicurante.
Tek'ryn Daevossz fu attraversato da un tremito, ma non arretrò di un passo. Sapeva fin dall'inizio che la sua fuga non era un successo assicurato, ma sapeva anche che questo drow era la sua unica possibilità di lasciare la città.

   
 
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