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Autore: WiseGirl    17/10/2020    1 recensioni
!!Attenzione!! La storia contiene spoiler perché è ambientata DOPO la conclusione del manga.
Ogni volta che a Kageyama chiedevano se fosse ancora in contatto con quel suo compagno di liceo con cui lasciava tutti a bocca aperta, grazie alla loro assurda veloce, lui rispondeva che sì, si sentivano spesso. Tuttavia, da quando Hinata era partito per il Brasile, Tobio stava sempre peggio. Non aveva mai detto a Shoyo cosa significasse veramente per lui e quando aveva visto la foto con Oikawa tutto gli era crollato addosso.
Dal testo: “Tobio strizzò gli occhi per cacciare l’immagine dello schermo del suo vecchio cellulare su cui era comparsa una notifica di Shoyo: “È ufficiale! Andrò in Brasile. Partirò tra un mese”. L’immagine che segnò quel giorno come una delle più grandi batoste morali che Kageyama non aveva assolutamente visto arrivare.”
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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 Nota: nel caso vi fosse sfuggito nella descrizione, la storia contiene spoiler perché è ambientata dopo la conclusione del manga.
 
All’ombra dell’ultimo sole
 
Quella foto di Hinata con Oikawa aveva fatto male, malissimo a Kageyama. Ancora una volta, Oikawa aveva raggiunto qualcosa che lui bramava, ma non poteva assolutamente ottenere. Da quando Shoyo era partito per il Brasile, Kageyama si era reso conto che forse quella zazzera di capelli rossi non era semplicemente un compagno di squadra troppo entusiasta.
Mentre quella sera tornava a casa, infreddolito a causa della neve che scendeva a fiocchi grandi, Tobio continuava a fissare una certa fotografia sul cellulare. La linguaccia di Oikawa che non era diretta a nessun altro se non a lui, come a dirgli proprio: so che qui vorresti esserci tu; e l’entusiasmo palpabile di Hinata che dopo mesi aveva ritrovato un volto noto dall’altra parte del mondo gli diceva: potevi esserci tu qui, ma non sei mai venuto.
Ci rimuginò sopra l’intera serata: mentre faceva il bagno e cercava di quietare i pensieri con le bolle di sapone e l’acqua bollente; mentre si preparava la cena con attenzione certosina al nuovo programma alimentare, sperando di distrarsi; mentre apriva la scatoletta per Tsuki* –come si era arrabbiato Tsukishima quando aveva scelto quel nome per il proprio cagnolino!– e, soprattutto, quando era giunta l’ora di mettersi a letto.
La mente non ne voleva sapere di dimenticare quella fotografia e nel silenzio di una sera invernale come ce ne sono tante altre, Tobio pensò al passato. Iniziò a spingergli contro le costole una sensazione di vuoto, di solitudine. Una sensazione familiare che anni prima non si era accorto di provare. La sua vita era sempre stata perfetta: un genio della pallavolo il cui nome era conosciuto e temuto in tutta la prefettura. Così grande da non aver bisogno di nessun altro; perché nella pallavolo non si poteva ricevere, alzare e schiacciare tutto da soli? Aveva imparato troppo tardi la verità su quella vita all’apparenza perfetta. Quando aprì gli occhi poté vederla per ciò che era: una carcassa svuotata di tutto. Non c’era il cuore per amare ciò che faceva, non c’era il fegato per avere il coraggio di osare sempre di più, non c’erano le viscere per digerire i momenti bui e mancavano i polmoni perché al vecchio Tobio non servivano: non aveva di che inebriarsi nella vita. In quella perfezione era piombata una testolina di morbidi capelli arancioni estremamente snervanti che, a parere suo, erano quanto di più lontano ci potesse essere dalla sua idea di perfezione. Era arrivato qualcuno, un corvetto, che quella carcassa l’aveva divorata. Kageyama con lui era rinato e aveva imparato di nuovo a giocare a pallavolo. Quando era arrivato ad odiare se stesso per quel soprannome di sovrano tiranno, c’era stato Hinata ad incoronarlo re in quel modo bizzarro per riportarlo dove doveva stare: al centro del campo a dirigere il gioco della loro squadra.
Se una volta la presenza di Hinata aveva spazzato via quella sensazione, ora ne era proprio la causa. Per anni Kageyama si era lasciato governare dal proprio melanconico cuore, respingendo tutti, ma non c’era riuscito ad allontanare Shoyo. Si era abituato alla sua presenza e a come avesse stravolto la sua intera esistenza, dal campo da pallavolo al campo della sua mente, sul quale Kageyama giocava da solo vincendo partite e perdendo momenti preziosi.
Lì, in quel letto troppo grande e freddo, con il tempo scandito dai leggeri gorgoglii provenienti dalla gola di Tsuki, addormentato nella cuccia a fianco, Tobio strizzò gli occhi per cacciare l’immagine dello schermo del suo vecchio cellulare su cui era comparsa una notifica di Shoyo: “È ufficiale! Andrò in Brasile. Partirò tra un mese”. L’immagine che segnò quel giorno come una delle più grandi batoste morali che Kageyama non aveva assolutamente visto arrivare. Insomma, sapeva che la vita del pallavolista sarebbe stata quella: un club diverso ogni pochi anni e perennemente lontano dagli affetti. Quando prima ci pensava, però, Hinata nemmeno c’era tra gli affetti che gli sarebbero mancati, ma quel giorno lontano, quel messaggio e quel ragazzo stesso gli avevano insegnato che ancora non si conosceva del tutto.
Ora, lì, solo nella sua stanza, prese il pallone ed iniziò a palleggiare alto sopra la testa. Ogni palleggio era perfetto, non si scostavano di un millimetro uno dall’altro, mentre Kageyama vedeva tutto tranne la palla. Riviveva l’arrivederci all’aeroporto dove c’erano tutti. Il vecchio Karasuno al completo per salutare la piccola esca diretta in Brasile chissà per quale motivo. Cosa lo stava portando via da lui? Tobio non lo sapeva e non gliel’avrebbe mai chiesto, perché in cuor suo sapeva di non reggere il confronto. Qualsiasi cosa stesse aspettando Shoyo oltre il Pacifico, valeva un’infinità di volte più di lui agli occhi di quel piccoletto. Kageyama iniziò a percepire di nuovo il dolore che quella consapevolezza gli aveva fatto conoscere. Un dolore che ancora lo accompagnava. A Tobio era segretamente sempre piaciuto essere la motivazione che Shoyo aveva per migliorarsi, all’inizio forse solo perché la vedeva come un catalizzatore per la sua autostima, ma poi aveva iniziato a sembrargli l’unico modo in cui sentiva di avere valore per l’altro. Hinata lo vedeva solo come un rivale? Come qualcuno da battere? Gli andava bene, pur di avere importanza agli occhi di quel piccoletto.
Tobio fermò la palla e la posò a terra, Tsuki mosse la coda per far sapere al padrone che era sempre sveglio e solerte e lo teneva d’occhio. Kageyama si voltò sul fianco tirando il piumone fin sopra il naso che era ancora freddo, così come le dita dei piedi. Una vita senza Hinata neanche se la immaginava prima di quel messaggio. Quel mandarino gli ruotava attorno dai tempi delle medie e mai e poi mai Tobio avrebbe pensato di doverlo salutare nel grande aeroporto di Tokyo. Vederlo lì mentre abbracciava e passava gli ultimi attimi con chi per lui contava davvero: consolava la piccola Natsu, rideva con Noya e Tanaka, si faceva stritolare da Daichi e Suga, abbracciava Yachi e Yamaguchi e prometteva a Kenma che sarebbe tornato persino più forte di prima. E a lui? A lui rivolse il solito sguardo di sfida intimando per l’ennesima volta che sarebbe tornato per batterlo, ma a Kageyama non bastava più. Era stufo di essere il nemico, si era sforzato tanto per essere il partner, ma agli occhi di Shoyo rimaneva ancora il boss finale di uno scadente videogioco. Tobio ingoiò quell’amaro boccone di tristezza e con la più finta faccia che conoscesse disse: –Ti aspetto–. Parole che significavano tutt’altro: “non andare, resta qui. Resta qui con me!”, ma quando erano poi giunte non delusero perché era proprio quello che voleva sentire Hinata. Kageyama che gli diceva che l’avrebbe aspettato, non che l’avrebbe preceduto o che avrebbe dovuto correre più veloce per raggiungerlo. Anche Shoyo percepì un cambiamento, ma non sapeva quanto fosse ancora lontano dalla verità.
Tobio si strinse le ginocchia al petto quando sentì il vento ululare tra gli alberi spogli del viale in cui abitava. Che freddo. Si strinse le braccia attorno al viso per nascondere il naso gelato, nonostante il riscaldamento. Ancora gli tornò in mente quella maledetta foto in cui Hinata sorrideva felice. Kageyama era convinto di poche cose: che la palla dovesse arrivare all’attaccante il più pulita possibile, che l’alzatore fosse il giocatore che tocca la palla più di tutti e che Hinata Shoyo non avrebbe avuto il coraggio di andare dall’altra parte del mondo lasciandolo lì. E invece...
Strinse sempre più le braccia intorno al volto e strizzò gli occhi. Credeva che l’avrebbe avuto sempre attorno, sempre pronto a saltare per lui, che l’avrebbe sempre avuto sotto il controllo del proprio sguardo celere, ma ancora una volta Hinata lo sorprese. Era partito portando con sé i loro anni da duo strambo del Karasuno e a lui erano rimasti solo i giornalisti che chiedevano se ancora fossero in contatto. Certo che lo erano! Anche se Kageyama riceveva sempre gli stessi messaggi, ovvero il conto delle partite che Hinata vinceva che, a detta di Shoyo, dovevano essere contate come sue vittorie nella loro sfida che perdurava da anni. Niente altro. Aveva fatto malissimo quella foto pubblicata sui social. Era tempo, ormai, che Kageyama si era arreso ai propri tumulti d’animo e all’inevitabile sofferenza che in ogni giorno lontano da Hinata gli causavano. Quel ragazzo aveva acquisito una posizione ben fissa agli occhi del suo cuore: quella del sole che Kageyama guardava ogni qualvolta alzasse la palla. Erano lui, Tobio, l’ombra che a terra si origina dalla luce e Shoyo l’astro che anima la vita. Una perfetta metafora della visione che l’alzatore aveva della propria vita. La felicità, la tristezza, le sue giornate e persino le sue partite erano scandite da ciò che provava per il vecchio centrale del Karasuno. La sua figura minuta gli dava certezza: proprio come nella pallavolo, nella vita sapeva che Hinata avrebbe fatto tutto ciò che era necessario per segnare un punto, per vivere un altro giorno insieme. Tobio sognava tutto ciò, finché il messaggio di due anni prima non gli aveva lasciato altro che i ricordi di una vita che poteva essere, ma non era. Lui e quell’esistenza gli erano scivolati tra le dita.
Ancora una volta Kageyama si rese conto di non avere alcuna importanza particolare nella vita di quel ragazzo. Ancora una volta perse su questo fronte in cui Hinata era imbattibile. Soffocò un singhiozzo, ma il secondo fu troppo forte e quella sera d’inverno in cui il vento batteva sulle sue imposte e la neve si assottigliava sempre più, Kageyama Tobio pianse.
 
 
*Si tratta di un gioco di parole, il nome Tsuki significa Luna e ho pensato che Tobio l’avrebbe fatto volentieri per infastidire Tsukki.
 
 
Angolo autrice
Vi ringrazio di essere arrivati fin qui. È la mia prima storia in questo fandom e di questo genere, perciò spero l’abbiate apprezzata. L’idea mi è venuta ascoltando la canzone Evermore dal film “La Bella e la Bestia” firmato Walt Disney. Che dire, è di uno struggente assurdo e spero di essere riuscita a rendere almeno un po’ ciò che Kageyama deve aver provato quando Shoyo l’ha lasciato in Giappone.
Rinnovo i ringraziamenti e, se volete, io sono anche su Instagram come dalimbass_bitch e ci sono sempre per due chiacchiere.
Voglio ringraziare Paola, Mile ed Eli perché senza di loro che mi bacchettano quando sono troppo severa con me stessa, questa storia non sarebbe mai arrivata su Efp.
   
 
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