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Autore: Aliseia    18/10/2020    2 recensioni
Girolamo alzò gli occhi al cielo e allungò le mani sui pantaloni.
«No.» sussurrò Leonardo.
«E invece sì. Sono desiderato a Forlì.»
«Siete desiderato qui.»
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Girolamo Riario, Leonardo da Vinci
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'In The Vault Of Time'
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Fandom: Da Vinci’s Demons
Genere: Romantico
Rating: Mature audience
Personaggi: Leonardo Da Vinci, Girolamo Riario

Note alla serie: questi sono semi fictional characters, i protagonisti di una serie TV. Solo a quella e alla sua trama fantasy si fa riferimento per queste vicende, che non hanno alcuna pretesa di verità storica.
Note alla storia: Dopo la congiura degli Orsi, dove ufficialmente morì Girolamo Riario, i figli di Girolamo e di Caterina Sforza furono fatti prigionieri. Ma, come leggo da Wikipedia:  Il 21 aprile 1488 giunse un araldo del duca di Milano accompagnato da uno dei Bentivoglio con la richiesta di poter vedere i figli di Caterina. Gli Orsi gli risposero di averli uccisi e li imprigionarono ma furono liberati il giorno successivo su pressione di un nuovo inviato.
Dediche: A Miky, una finestra e un uomo singolarmente bello al chiaro di luna. Impossibile sbagliare, è lui, il monello tenebroso.
A Abby: i nostri eroi sono liberi dalla Storia ma non indifferenti ad essa, ed ecco che interferiscono ancora, anche se la Storia ufficiale non lo racconterà mai. XD
Disclaimer: I personaggi e i luoghi presenti in questa storia in gran parte non appartengono a me ma a David S. Goyer, agli altri autori della serie e a chi ne detiene i diritti.
 
 
The Stars, The Moon

A falling star fell from your heart and landed in my eyes
I screamed aloud, as it tore through them, and now it's left me blind

The stars, the moon, they have all been blown out
 
Cosmic Love – Florence + The Machine
 
Un angelo blu che se fischio torna giù
Un angelo blu e lui lo sa
È tutto ciò che io ho
E in gabbia lo terrò

Equipe 84- Una Angelo Blu (I Can’t Let Maggie Go)
 
Ora che lo guardava in controluce vedeva quant’era magro: i muscoli tirati sullo scheletro armonioso, le lunghe gambe da girino. Era come una creatura di quelle che da bambino rubava ai prati, un’affascinante anomalia: il cuore nero, il corpo perfetto. Era il suo mostro privato e il suo angelo senza vergogna. L’angelo della vendetta, diceva l’Architetto. E quale vendetta sublime costringerlo a letto e percorrerlo palmo a palmo, ridisegnarlo con la lingua e farlo fremere e tendere e forse pregare… L’avrebbe detto con certezza, se solo fosse riuscito a decifrare la lingua dei suoi lamenti, quella nenia musicale e straniera di incitazioni e improvvisi rifiuti che a Leonardo incendiava il sangue fino a bruciargli i ricordi, eccitandolo oltre il limite e lasciandolo così, senza passato né futuro, fissato come un astro che esplode in un unico istante di eterno presente. «Prendimi adesso.» solo questo aveva capito e ce n’era abbastanza da perdere la ragione. Il Conte Girolamo Riario che aveva avuto in pugno le milizie di Roma, che un tempo terrorizzava Firenze, ora era lì, tra le sue mani, davvero racchiuso nel pugno a fremere in ogni istante, a tendersi e gemere e pregarlo di farlo ora. Di prenderlo ancora, di prenderlo fino a fargli male. «Non sono quel tipo d’uomo.» ripeteva Leonardo. Eppure era commosso da quella fiducia, da quella devozione assoluta per cui quell’uomo indomabile gli concedeva tutto, persino l’orgoglio. Lo stesso Girolamo che ora gli dava le spalle e mostrava il profilo affilato nel vano della finestra inondata di luce lunare. «Le stelle impallidiscono.» mormorò il Conte. Parole poetiche… Ma cosa avrebbe detto nel sentirsi definire né più né meno che “ranocchio”? Certo si sarebbe indignato abbassando poi lo sguardo come fa chiunque a cui abbiano fatto credere di essere brutto. Ma la parola non era un insulto, bensì un tributo alla grazia delle sue forme e alle incredibili metamorfosi che aveva avuto la persona. Era perfetto, altroché. La luna lo disegnava nudo, scuro in controluce, il nodo sottilissimo dei fianchi e due spalle così larghe che Leonardo si meravigliava di non aver modellato sul suo corpo, anziché su quello di Nico, quel paio d’ali che giacevano nel laboratorio. E sotto, sullo slancio delle gambe muscolose e perfette, un sedere che nemmeno lui avrebbe saputo tracciare con tanta armonia, una sfera che la penombra rendeva quasi diafana, ma dai contorni impeccabili, in una sintesi mirabile di ferino e di angelico.
«Che hai da guardare?»
«Guardo te.»
«Dalla luce che affiora all’orizzonte si annuncia un’alba meravigliosa. Così gloriosa da spazzare via luna e stelle. E tu… perché guardi me?»
«Perché sei bello.»
«No, non è vero.» Il sorriso scanzonato di chi non ha dubbi, né tempo da perdere per dimostrare il contrario: il Conte Riario non credeva di essere bello e nessuno doveva osare di affermare una simile sciocchezza. Sebbene fosse nudo e senza apparente vergogna: fenomeno raro poiché il pudore gli imponeva di afferrare i pantaloni al primo accenno dell’alba. Ma era ancora notte e dall’esterno, di lontano, giungevano voci di cavalieri e nitriti che l’avevano costretto a levarsi senza preoccuparsi della decenza. Guardava fuori e sotto quei fianchi stretti la luna inargentava le natiche rotonde e certamente sode, una sfera impeccabile che richiamava un pizzico.
«Sei impazzito? Come osi?»
«Dovete perdonarmi Conte, ma amo vedere le cose da ogni prospettiva. E da questo lato siete precisamente irresistibile.»
«Non siate volgare.»
«Volgare? È questo il bello. Non c’è nulla di volgare in voi. Persino il vostro… culo è, come dire, spirituale.»
Girolamo alzò gli occhi al cielo e allungò le mani sui pantaloni.
«No.» sussurrò Leonardo.
«E invece sì. Sono desiderato a Forlì.»
«Siete desiderato qui.»
«Leonardo, non fare il bambino. Conosci la ferocia degli Orsi, faranno del male alla mia famiglia.»
Leonardo sospirò. «Hai ragione.» mormorò tirando i lacci della camicia sul petto ma restando com’era: seminudo e indecente.
Girolamo inclinò il capo. «Sarò di ritorno domani.»
«Vengo con te.» azzardò Leonardo.
«Non se ne parla. È pericoloso.» rispose il Conte con l’aria di chi non ammette repliche.
«Come lo è per te.» protestò l’Artista.
Girolamo fissò l’amante con l’aria spazientita che si riserva al monello indisciplinato. «No, non è la stessa cosa. Posso sfuggire alla morte, come sai.»
«Io le sfuggirò presto. Credi davvero che voglia far realizzare le profezie di quella notte? Io non morirò. Non finché il mondo avrà bisogno di me.»
«Molto nobile – mormorò Girolamo mentre lo attirava a sé – E molto arrogante.» Si assaggiarono mordendosi un po’ le labbra poi Girolamo passò all’attacco, frugando l’altro con lingua e mani inquiete.
«Potrebbero imprigionarti – sospirò Leonardo – e allora tutta questa finzione sarà scoperta.»
«Io imprigionerò te, se non la smetti… A che ti servono quelle catene?»
«Alle mie macchine volanti.»
«Ecco, sarebbe perfetto. Un angelo incatenato alle sue stesse ali… Sarebbe molto interessante ritrovarti così. Vulnerabile… Senza via di fuga…»
«Sei tu quello che fugge.» Leonardo scattò prendendo il sopravvento. Prima con le mani che strappavano qualche bottone, poi con la lingua. Girolamo la lasciò fare. Sensuale, arrendevole, offrendosi quasi… d’un tratto però lo bloccò con un’imperiosa carezza. «Mi lasci andare, Artista? Troverai altre cose da fare… Altri spettacoli, altri colori. Vedrai che splendida aurora.»
«Io guardo te. Ti guardavo mentre dormivi e pensavo: perché non dovrei vivere solo per questo?» Leonardo sembrava preoccupato.
«Perché tu sei molto più di questo. – Girolamo si morse le labbra – Il mondo è molto più di questo…»
«Tu non hai visto quello che ho visto io…» sospirò l’Artista.
«Un uomo nudo? Ne avevo uno questa notte nel mio letto… Il più bello di tutti.»
Leonardo rise. «Oh no… Non il più bello. I miei fianchi non sono abbastanza sottili e le mie spalle non sono così larghe…» indugiò con le lunghe dita sul corpo nudo di fronte a sé, sulle cicatrici che partivano dalla schiena, eredità di antiche penitenze. «Non servono catene per legare questo angelo…»
«Prima della caduta, certo.» rispose asciutto il Conte.
Ma Leonardo imperterrito continuò: «Io non avrò mai la sua grazia, che passa innocente attraverso il peccato, la fragilità di un ragazzo inesperto e il cuore nero di un uomo che ha troppo vissuto. Un sorriso che incanta…»
«E un culo spirituale, certo.» Girolamo rise davvero poi attirandolo di nuovo a sé posò un bacio gentile sulla bocca imbronciata. «Senti? È il mio cavallo. Sono i miei uomini. Devo partire.»
«Sono io il tuo uomo. E vengo con te.»
«Non tentarmi.»
«Sai che è giusto e che solo io potrei aiutarti. In realtà non credo nel possesso e non sono un trofeo da nascondere… Non puoi legarmi al tuo letto.»
«Questo è da vedere…» mormorò Girolamo sottraendosi all’abbraccio. Infilò con calma i pantaloni sotto lo sguardo attento di Leonardo, sempre incantato da forme e colori. Nella luce che precede l’alba vera e propria le iridi liquidi e cangianti di Riario erano verdi, ma non come le sue. Avevano una singolare trasparenza, l’oro le contaminava e senza dubbio il loro splendore crescente aveva fugato le stelle prima ancora che arrivasse il sole. La pelle aveva riflessi lividi e risaltavano ancora di più i rilievi bruni dei muscoli. I capelli corvini e poi… eccolo, il sorriso. Ora sarebbe impallidita persino la luna. «Andiamo – Leonardo si riscosse – i tuoi sono in pericolo.»
«Andiamo.» confermò Girolamo assicurando con uno scatto secco la catena che, non visto, aveva avvolto attorno al polso dell’altro. Leonardo sussultò, stupito. «Sono certo – cominciò il Conte - che invocando aiuto Zoroastro potrà accorrere quasi subito, giusto il tempo di abbandonare il fiasco di vino nelle cucine. Anche se… Non mi dispiacerebbe ritrovarti così.» Strizzò l’occhio con quell’aria da monello insolente.
«Liberami subito o giuro che te la farò pagare!» gridò Leonardo.
Girolamo scosse la testa. «Sei un genio, Leonardo… Ma sei solo un uomo. E ora non è tempo di invenzioni… ma di guerra. Meglio un soldato che non possa morire di un angelo troppo incosciente.» Il Conte parlò scendendo le scale, le urla di Leonardo sempre più lontane. Non abbastanza forti da disturbare Zoroastro, che sorridente e un po’ brillo usciva in quel momento da una porticina, le braccia piene di bottiglie brune della cantina.
«Che c’è?» chiese un po’ confuso incontrando Girolamo vestito di tutto punto, un sorriso soave sulle belle labbra piene.
«Devi dire al tuo amico che gli proibisco di seguirmi. Ci vediamo al mio ritorno. E… ah… che non si affanni a cercare gli ultimi progetti. Non sono perduti, non li ha dimenticati come al solito in qualche cassetto. Qualcuno potrebbe semplicemente… averli presi in prestito.» Ammiccò in direzione di Zoroastro e poi con un cenno indicò il piano superiore, un dito alzato come a indicare il cielo… Ma da sopra giungeva un inferno di imprecazioni e catene sbattute qua e là.
Dritto come un fuso e impeccabilmente vestito il Conte spalancò la porta andando incontro ai suoi uomini.
 
 
 
  
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