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Autore: TheDoctor1002    20/10/2020    0 recensioni
Artemis conosce il mare. Lo ha solcato in lungo e in largo quando era in marina, vi ha disseminato terrore una volta cacciata e ancora oggi, dietro l'ombra del suo capitano, continua a conoscerlo.
Il suo nome è andato perduto molti anni fa: ora è solo la Senza-Faccia. Senza identità e senza peccati, per gli altri pirati è incomprensibile come sia diventata il secondo in comando degli Heart Pirates o cosa la spinga a viaggiare con loro. Solo Law conosce le sue ragioni, lui e quella ciurma che affettuosamente la chiama Mama Rose.
Ma nemmeno la luce del presente più sereno può cancellare le ombre di ciò che è stato.
Il Tempo torna sempre, inesorabile, a presentare il conto.
"Raccoglierete tutto il sangue che avete seminato."
//
Nota: trasponendola avevo dimenticato un capitolo, quindi ho riportato la storia al capitolo 10 per integrarlo. Scusate per il disguido çuç
Genere: Azione, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Corazòn, Donquijote Doflamingo, Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Pirati Heart
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 13: Un buon giorno per morire

I soldati non dovettero nemmeno faticare troppo per contenere Artemis. Contrariamente a quanto tutti si sarebbero aspettati, quella fu l'unica rimostranza che lei ebbe e si fece condurre presso la cella presente a bordo sulle sue gambe, senza che vi fosse neppure bisogno di sfiorarla. Borsalino seguì ogni passaggio con lo sguardo, tenendosi sempre qualche passo indietro, pronto a scattare al primo segnale di pericolo. 
Quando scese sottocoperta, trovò la donna seduta sul pavimento consumato da molti altri ospiti prima di lei, i quali non avevano evidentemente avuto la stessa flemma nel gestire il loro arresto. Sembrava pensierosa, più che preoccupata. Avrebbe addirittura azzardato di aver colto un'ombra di sollievo, quando lo vide aprire la porta che conduceva alla minuscola sala. Sulla scrivania davanti alla parete di sbarre, individuò i pochi effetti personali di lei: un pacchetto di sigarette mezzo vuoto, un fiammifero per ognuna e un minuscolo portacenere da tasca. 
Sussurrava un motivetto tra i denti, una canzone che lui conosceva bene.
"Non devo temere, perché i miei compagni mi attendono." la completò Borsalino, con una punta di divertimento "Dobbiamo avanzare verso l'azzurro orizzonte. Se non fosse cooosì grottesco, sentire una piraaata cantare una canzone da Marines, lo definireeei perfino oltraggioooso." 
"Però ti ha portato da me." puntualizzò lei, girando appena la testa, con un eterno mezzo sorriso stampato in volto.
"E, sentiaaamo, perché ci tenevi taaanto a vedermi?" 
"Perché vorrei una di quelle, se non è chiedere troppo." Rivelò pigramente, allungando le dita attraverso le sbarre, verso la scrivania. 
Borsalino la fissò, fissò le sigarette e poi ancora il suo indice a mezz'aria.
"Oh andiamo." Protestò debolmente Artemis "Sei sempre stato uno stronzo, ma non negheresti a nessuno un ultimo desiderio così banale." 
Senza levarle le lenti giallo vivo di dosso, chiamò con uno schiocco di dita uno dei soldati, prese una sigaretta e un fiammifero e glieli consegnò, indicandola. 
Il ragazzino da cui prese quella semplice offerta, poco meno di un uomo fatto e finito, con grandi occhi scuri, aveva le mani che tremavano nel consegnargliela. 
"Grazie" rispose stupita, ma sincera, per poi rivolgersi all'ammiraglio "Non credevo l'avresti fatto davvero. È la prima volta che mi fai un favore." 
"Consideralo un preeemio per aver saldato il tuo deeebito con la Giustizia." Rise appena lui.
"Giustizia" gli fece eco Artemis "Smettiamo di raccontarci balle. Sarò pure una pirata, ma sono obiettiva: se fosse Giustizia, saremmo diretti a Impel Down e io me ne starei buona buona. Dimmi, hanno mai fatto esecuzioni a Marijoa? Sarei la prima di un genere, sarebbe carino. Beh, relativamente parlando." 
"Farneeetichi, Senza-Faccia." La riprese lui.
"Forse, ma non mi hai dato torto." 
Un silenzio carico di domande calò sulla conversazione, scandito solo dai pigri sbuffi di fumo di lei.
"Quindi Sengoooku, eh?" chiese Borsalino dopo un po', svelando finalmente l'elefante nella stanza. 
"Sono informazioni classificate." soffiò l'altra controvoglia. "Conoscendola, Sant'Ana potrebbe uccidere chiunque sia in questa stanza solo per averti sentito." 
"Ma non può essere che luuui, il tassello mancaaante." sussurrò ora l'ammiraglio, portandosi a un palmo da Artemis, sezionandola con lo sguardo mentre con indice e pollice accarezzava la rada barba. "L'esserti arruolata così giooovane, tutte le volte in cui sei riuscita a spariiire..."
"Solo una volta" specificò lei.
"Cooome, prego?"
"A Minion Island non ha fatto nulla" spiegò, con una certa tristezza "Non hanno recuperato i nostri corpi, non potevano ammettere pubblicamente di avere infiltrati come noi, le altre coperture ne avrebbero risentito. Non credo sappia di me." 
Borsalino sorrise appena. 
"E fooorse non lo saprà mai, né luuui né il resto del mooondo: questa vooolta non ci saranno miraaacoli." 
"Non hai imparato niente da Marineford" constatò Artemis, mentre dal ponte un giovane soldato lo richiamava per l'attracco. 
Ad un gesto, quattro altri marines si riversarono nella sua cella, facendola alzare e puntandole i fucili, mentre quello della sigaretta portava con sé delle pesanti manette. Gliele fissò ai polsi senza alzare lo sguardo, cosa che sembrò divertirla molto. 
Quando la condussero sul ponte, rimase quasi accecata dalla luce prepotente del pomeriggio. L'unico suono a provenire dall'imbarcadero privato era lo sciabordio delle onde e il gracchiare dei gabbiani. La sua guarnigione le incassò la testa tra le clavicole, incalzandola per percorrere il breve tragitto che dal pontile conduceva oltre i cancelli blindati della residenza. Fu un trip di luce e caos di cui, col senno di poi, ricordava poco o nulla. 
Temeva ci sarebbe stata una densa folla di giornalisti ad accoglierli, ma chiaramente Sant'Ana aveva il potere di far passare inosservata perfino una spedizione simile. Ringraziò il cielo: tra quelle parole scribacchiate su un taccuino o telegrafate alle redazioni, ci sarebbero potute essere quelle con cui la ciurma avrebbe saputo che mama-Rose non sarebbe più tornata.

Pochi altri ricordi affollavano la testa di Artemis. Non ricordava nulla di preciso, aveva solo dei vaghi volti dipinti nella memoria. Nobili Mondiali avrebbe detto, li aveva visti nei giornali, nelle notizie, in quei ritagli che tanto accuratamente aveva sempre conservato. 
Tra queste immagini sbiadite c'era una stanza da letto. Un'immensa sala bianca, semplice, essenziale. Un grande baldacchino ne occupava una parete, uno spesso tappeto nascondeva a tratti un ricco parquet di legno rosso mentre tende vaporose le sfiorarono le guance,  gonfiandosi al vento. Appena Ana entrò, ordinò indispettita a una domestica di chiudere le finestre. Oltre quelle, Artemis riusciva ad intravedere lo scintillio di un mare chiaro, familiare, il cui nome le sbocciò sulle labbra: Paradise
Di quel giorno, ricordava anche la prima volta in cui vide Tamatoa, la sua ombra. Non le era sembrata neppure umana, aveva creduto fosse una di quegli androidi che Vegapunk si era tanto prodigato a creare. Era puro gelo, la pelle color caramello andava a ricoprire i tratti spigolosi del suo volto e pareva quasi potesse lacerarsi sugli spigoli aguzzi dei suoi zigomi. Gli occhi erano piccoli, incavati, ma scuri e luminosi come perle. Non avrebbe saputo attribuirle un'età precisa, sembrava una ragazzina troppo calata nel ruolo di una vecchiaccia severa. I lunghi capelli neri le ricadevano come un velo fino a metà schiena, avvolta in un'austera uniforme blu. 
"É tutto pronto Sant'Ana." Comunicò precisa. Aprì una porta con un leggero giro di maniglia e, con grande stupore di Artemis, questa nascondeva un'altra stanza talmente grande che temeva di perdersi. 
La sola toilette era più ampia del suo cubicolo nel sottomarino e le dava un profondo senso di vuoto, come se migliaia di fantasmi potessero nascondersi dietro ogni angolo. 
Un alto paravento traforato nascondeva quella che, dalla sagoma, sembrava una vasca. Nuvole di vapore denso attraversavano i minuscoli decori sul legno scuro. 
Artemis non seppe nemmeno dire come, ma i suoi polsi diventarono molto più leggeri e il suo collo prese a pesare molto di meno. 
"Non sono più una minaccia?" chiese sarcastica a sua madre, con le poche forze che riusciva a mettere insieme. Si sentiva come durante una lunga sbronza, con istanti di lucidità alternati a momenti completamente privi di una spiegazione logica.
Sant'Ana sorrise "Non così vicino a me. Se decidessi di scappare, di andare in qualsiasi posto nel mondo, in qualsiasi tempo del mondo, ti troverei. Lo sai meglio di me."
"Touché" 
"Ora, da brava, entra nella vasca" la invitò. "Di sicuro è stata una lunga giornata. Ti farebbe bene sciogliere un po' di tensione." 
Artemis non poté fare a meno di scoppiare in una fragorosa risata. 
"Scusami," abbozzò, lottando contro i singhiozzi che le risalivano la gola "é solo che é una cosa molto buffa da dire a qualcuno che sta per morire".
Anche a questa allusione, nessuno parve rispondere.
I marines lasciarono immediatamente la stanza ad un rapido cenno di congedo di Tamatoa. Con una pigra scrollata di spalle, Artemis prese a levarsi gli abiti, rivelando un equilibrio invidiabile date le sue condizioni, e raggiunse la vasca.
"Vediamo dove porta, questo tuo bel giochino." 
Gli occhi di Sant'Ana si posarono su tutte le cicatrici che costellavano il corpo della pirata. Era come se riuscisse a leggere la storia dietro ognuna. A seconda di come si erano rimarginate, poteva individuare i progressi di chi le aveva suturate tutte a partire dallo sfregio sul ventre.  
Senza che le fosse dato comando, Tamatoa raggiunse la parte posteriore della vasca, come dovesse sorreggere Artemis mentre entrava nell'acqua perlata. 
Lei ridacchiò per poi imprecare stupita quando si rese conto di avere effettivamente bisogno di quell'aiuto. Sembrava che l'acqua la trascinasse giù, che le sue gambe non fossero più in grado di sostenerla. Dimostrando una forza incredibile, la cameriera riuscì ad adagiarla con grazia sul fondo della vasca.
"Di che maledizione si tratta?" ringhiò Artemis, faticando perfino a prendere fiato.
Sant'Ana sembrò molto soddisfatta da quella domanda. "È un piccolo vizio. L'ho chiamata 'vasca di deprivazione'. Può aiutarti, nel caso in cui la vita diventasse troppo difficile. Ti basterà scivolare nelle sue acque per toglierti un po' di quel peso di dosso." 
"Acqua di mare?" Chiese Artemis, mentre la salsedine si faceva largo nelle sue narici. Si sentiva completamente soggiogata, come se le parole del Drago Celeste la potessero cullare.
"In perfette dosi" sussurrò Sant'Ana, accarezzandole i capelli corti alla sua sinistra, rigenerandoli e moltiplicandoli, andando a mischiarli al resto della sua chioma "Per un fruttato, è meglio dell'oppio, non trovi?" 
Artemis non trovava, non aveva le forze per avere opinioni. Sentì di nuovo le dita della donna esitare sulla sua guancia, avvertì in corrispondenza del tatuaggio lo stesso pizzicore di quando lo aveva fatto. Lo sentì strappato via dalla sua pelle, senza che avesse diritto di parola. 
"Hai visto così tanto" la blandì Sant'Ana sottovoce "Perché fuggire ancora? Perché non fermarsi? Perché inseguire quei pirati per tutti questi anni? Potresti vivere serenamente fino alla fine dei tuoi giorni." 
Volti scuri comparvero nella grande sala dal soffitto alto. Riconosceva le mascherine e i camici che indossavano, li aveva messi anche lei quando Law aveva avuto bisogno di assistenza nelle sue operazioni. 
"Che diavolo significa?" riuscì a chiedere. 
"Non ho nessuna fiducia nella tua resa, Artemisa." rispose Sant'Ana distante chilometri o forse solo una manciata di passi "Farò tutto ciò che è in mio potere per tenerti qui: semmai avessi la sciagurata idea di lasciare Marijoa, almeno avrai una strada sbarrata." 
La donna sentì un guanto di lattice reclinarle la testa esponendo il collo, poi il freddo metallo. Istintivamente tentò di alzarsi, vide l'acqua opaca tingersi di rosso, solo per pochi istanti. Poi la mano tornò con fermezza a rimetterla in posizione e il bisturi riprese ad incidere.

L'uncinetto di Tamatoa viaggiava rapido e preciso tra le sue dita ossute ormai da diverse ore. Il decoro a cui lavorava aveva assunto un'area ed una complessità notevoli, il tutto senza che Artemis desse segni di vita. 
Non era preoccupata: ogni ora, puntuale come un orologio, misurava ed annotava i suoi parametri vitali e, dopo un lieve transitorio, si erano presto stabilizzati. Interruppe definitivamente il suo maneggio solo quando la luce del sole non fu più sufficiente a distinguere bene le maglie, quindi accostò le imposte, accese le luci giallastre della stanza e chiuse per qualche istante gli occhi. 
Solo pochi minuti dopo, percepì il ritmo del respiro della sua protetta farsi irregolare, forzato, infine la sentì tossire e sibilare parole irripetibili. 
"Ben svegliata, signorina Artemisa." La salutò, professionale "Sono le 20:17, avete dormito per circa 27 ore. Avete un po' di febbre, la vostra temperatura, alle 19:30 era di 38.2, perfettamente in linea con le previsioni." 
Quella quantità di informazioni travolse Artemis come una sassaiola. Non riuscì a interpretare nemmeno uno dei dati che aveva ricevuto, lei che di numeri era sempre vissuta. Capiva però che aveva un forte mal di gola e che le risultava quasi impossibile parlare. Quando fece per portarsi una mano al collo, Tamatoa la scostò con un gesto fermo ma delicato. 
"I punti sono ancora freschi, se s'impigliasse potrebbero sorgere complicazioni." 
"Mi gira la testa. E mi viene da vomitare." mormorò con voce roca.
"Perfettamente normale, signorina, è l'agalmatolite. Potrebbe durare ancora qualche tempo."
Artemis non capì. Provò a muovere appena il collo, sentendo solo le medicazioni tirare. Si guardò i polsi, ribaltò il lenzuolo sottile per vedere se ci fosse qualcosa alle caviglie e l'unica cosa inusuale che notò fu la semplice maglia della salute smanicata e le coulotte che a un certo punto qualcuno le aveva fatto indossare. 
"Ma io non ho agalmatolite addosso." 
Finì quella frase per inerzia: già a metà aveva capito che si sbagliava. Ricordò alcuni flash: la vasca, i chirurghi. Fu talmente stupita che non riuscì a trattenere un lieve: "Oh." 
"È sottopelle, signorina." spiegò la sua aiutante con tono pacato, quasi stesse parlando a una bambina o a una matta "Per non rischiare, sapete, a Sant'Ana non piacerebbe se andaste via."
"E si può sapere cosa vuole?" ringhiò, ora più ostile "Cosa piacerebbe a Sant'Ana? Vuole che incontri il Gorosei? Sta aspettando un momento propizio per allestire un patibolo? Cosa?!"
Appena si infervorò, la gola prese a bruciarle e un forte colpo di tosse la costrinse a calmarsi. 
"Nulla di tutto ciò, signorina." La rassicurò Tamatoa, assistendola "Ho modo di credere che non abbia intenzione di uccidervi." 
"Allora perché sono qui?" 
La voce di Artemis era stanca: le sembrava di aver ripetuto quella domanda milioni e milioni di volte, nella sua vita. 
"Questo, invece, temo di non saperlo." rivelò l'altra, con solo un accenno di tristezza.
"Al diavolo" sputò la pirata, scostando con rabbia le lenzuola "Non ho tempo da perdere." 
Alzandosi cautamente, mettendo un piede dietro l'altro, percorse una manciata di passi instabili e si arrestò, aggrappandosi a una delle colonne decorate del baldacchino. Avanzava incerta come un'equilibrista, tracciando mentalmente e a fatica un percorso, facendo slalom tra i capogiri e una debolezza a cui non era più abituata. 
Riprese fiato e, con determinazione, puntò verso la porta. 
"Dove pensate di andare?" chiese Tamatoa, alzandosi dalla sua sedia, dopo averla seguita con lo sguardo.
"Al posto che mi spetta. Me ne vado, ho una ciurma a cui badare." 
"Siete scalza e ferita. E la Signora mi ha autorizzata a fermarvi ad ogni costo."
La voce di Tamatoa si era fatta risoluta, anche la sua espressione era mutata.
Se era vero che Ana non intendeva ucciderla, Artemis si chiedeva di quali mezzi avrebbe potuto disporre. Un'espressione dura si dipinse sul suo volto emaciato, mentre ormai era giunta sulla soglia. "Ho stretto d'assedio una nazione mentre il Piombo mi corrodeva gli organi. Se quella che mi deve fermare sei tu, cazzo, ti auguro buona fortuna." 
La maniglia ruotò nello stesso istante, sua madre comparve sull'uscio e non dovette nemmeno proferire parola per farle cambiare espressione.
"Buonasera, fanciulle. Stavate parlando di ciurme?" chiese disinvolta, per poi squadrare la figlia. "Tu eri in una, giusto? Che sgarbata, non ti ho nemmeno chiesto se i tuoi figliocci hanno raggiunto Zou. Spero che il viaggio sia andato bene, sarebbe un peccato se qualche incidente li mettesse in pericolo. Tutti soli, senza la loro Mama-Rose e con il loro capitano in quella trappola di Punk Hazard. Devono sentirsi persi, poverini." Il drago non poté trattenere un sincero sorriso, di fronte all'espressione vuota e vagamente stupita di Artemis. "Prendiamo un tè?" 

 

   
 
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