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Autore: crazy lion    21/10/2020    1 recensioni
Attenzione! Questa storia si ricollega alla mia fanfiction Cuore di mamma. Leggete prima quella per evitarvi spoiler. C’è un accenno a qualcosa che accadrà nel prossimo capitolo e un altro, lieve, riferito a un fatto raccontato nel libro di Dianna De La Garza, Falling With Wings: A Mother’s Story, non ancora tradotto in italiano.
Le cose che accadono qui non sono tutte presenti nella mia long.
Il cane? È il miglior amico dell’uomo, o della donna, nel caso di Demi. Ne ha già avuti due, si chiamavano entrambi Buddy e avevano un cuor di leone che non dimenticherà mai. Adottare Batman, un tornado di due colori, l’ha aiutata ad affrontare il dolore. Sua figlia Mackenzie, di sei anni, con un passato turbolento ma costellato di speranze, è molto legata a lui. Come la mamma le ha insegnato, non rinuncia alla sua fantasia e ai propri sogni. Fra questi, un’avventura indimenticabile fatta di amicizia, coraggio e lealtà. Non solo la propria, ma anche quella di sette cuccioli fantasma.
Storia stilata con Emmastory.
Disclaimer: con questo nostro scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendiamo dare veritiera rappresentazione veritiera del carattere dei personaggi famosi, né offenderli in alcun modo.
Genere: Avventura, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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CAPITOLO 3.

 

LE PROVE E LA MAMMA

 
“Segui me!” sembrava dire Max.
Voleva mettersi in mezzo, come la mamma diceva a Batman. Già, Batman. Chissà dov’era adesso. Stando ai ricordi di Mackenzie, il cane si era addormentato con lei, e sentendosi al sicuro al suo fianco, gli aveva stretto la zampa con dolcezza. Anche lui aveva cercato di fare la stessa cosa, posandola sulla sua mano e leccandole piano anche il viso.
“No, me!” tentò poco dopo Jet, più intraprendente del fratello, nonché più veloce, abbaiando e agitando la coda.
Ragazzi, basta! La guida qui sono io! Seguite le impronte, dai.
Ancora una volta, la bambina scelse di comunicare mentalmente, e con lo sguardo dritto di fronte a sé, rimase concentrata su ciò che vedeva impresso su quel sentiero. Stranamente luminose e fosforescenti, impronte più grandi di quelle dei cagnolini e, a giudicare dalla loro taglia, non appartenenti a nessuno di loro. Decisa a indagare, Mackenzie si inginocchiò. Ne toccò una e fu sorpresa di ritrovarsi una sorta di liquido sulle mani, forse acqua o fango. Gli spiriti che aveva sentito l’avevano consolata e lodata per il suo coraggio, e ora una sola cosa era certa. Come ogni madre, anche quella dei piccoli non avrebbe mai voluto separarsi dai suoi figli e, nella speranza che tornassero da lei, rimettendo insieme l’intera famiglia, aveva lasciato delle tracce. Pensosa, la bambina si mordicchiò un labbro e aguzzò la vista nel buio. Poco lontano da lei, a dividere in due il selciato su cui ora camminava, un ponte di legno e corda senza un parapetto a cui aggrapparsi e, ancora più in là, un albero dalle foglie nere. Deglutì a vuoto. Respirò a fondo e non seppe come proseguire. Che fare? Non era da sola, vero, e malgrado sia lei che i cagnolini fossero leggeri, all’improvviso non si fidava, e come lei anche tutti i compagni di viaggio. Mosse qualche incerto passo in avanti e, quando una folata di vento scosse quel ponte, indietreggiò. Max, Jet e gli altri guairono e, con la coda fra le zampe, per poco non scapparono via da lei.
No, no! Che sta succedendo? Devo fare qualcosa. Dobbiamo attraversare il ponte.
Non avrebbe voluto bloccarsi in quel modo, e anzi preferito essere in grado di formulare pensieri positivi e incoraggianti, se non per se stessa, almeno per il bene di quei sette piccoli amici, ma ora tremavano tutti, come loro anche lei, e che sarebbe successo se davvero fossero andati via? Lì la mamma e il papà non c’erano, non aveva nessuna delle sue amiche umane, era il caso di dirlo, a confortarla, e cosa ancor peggiore, l’idea di restare sola al mondo, una delle sue più grandi paure, sembrava sul punto di diventare realtà. Con il respiro corto, si tolse lo zaino dalle spalle e lo aprì più in fretta che poté, andando subito alla ricerca della sua bottiglietta d’acqua. Non era molto, ma aveva la lingua impastata, e forse bere l’avrebbe aiutata a calmarsi. Attimi dopo, però, scorse una piccola luce nel cielo tinto di nero sopra di lei, qualcosa di molto simile a una stella, se proprio doveva dargli un nome, e in un solo istante, una voce già udita, lieve ma rassicurante, risuonò nell’aria.
“Mac! Mackenzie!”
Ancora una volta, gli spiriti di quella sorta di foresta la stavano chiamando, presenti eppure assenti, reali eppure evanescenti.
Sono… sono qui, spiriti, cosa… rispose, non avendo tempo, modo né energie per finire quella frase.
La sua calligrafia peggiorò con ogni lettera e le parole diventarono illeggibili, come prive di un vero senso.
“Stai andando bene, non devi avere paura. A volte i sogni sono il risultato dei nostri pensieri e delle nostre paure. Vedi questo viaggio come un modo per crescere e affrontarle, e ricorda, sei tu a decidere le regole.”
La bambina annuì con decisione. Istanti più tardi, così com’erano arrivate, quelle sagge ombre scomparvero. Erano solo voci, se le chiamava ombre era perché vedeva il nero e il buio ogni volta che le udiva e ora, più calma, tirò un ampio sospiro di sollievo.
Mio il sogno, mie le regole si ripeté nella mente, per farsi coraggio.
Oltre a volerlo, la bambina si sentiva in dovere di aiutare quei cuccioli, anche solo perché si trovava nella posizione giusta per farlo. Era stanca di aspettare e dubitare di se stessa, e in quell’autentico marasma, una cosa era certa. Ormai era tempo di agire.
Appeso a un albero lì vicino c’era lo strumento che la cara Victoria definiva forse il più importante nell’educazione canina, e perché no, anche della propria carriera: un clicker. Si trattava di una sorta di piccolo portachiavi tascabile con un bottoncino al centro che, se premuto, produceva un suono dissimile da ogni altro, un clic appunto, che facilitava nel cane il processo d’apprendimento di comandi e comportamenti. Lo usava spesso, e alla donna piaceva semplificare quello schema in tre semplici passaggi: comando, suono, premio. Cadenzato e regolare, un ritmo quasi indimenticabile, perfetto per quel tipo di lavoro, specie con cani ansiosi o inclini a stress e paura troppo grandi da sopportare.
Sorridendo a tale ricordo e a tutte le volte che aveva visto quella sorta di magia avvenire davanti ai suoi occhi mentre guardava quel programma in televisione, Mackenzie si erse sulle punte per recuperarlo e, quasi volendo aiutarla, un ramo si sporse verso di lei, porgendoglielo con delicatezza.
Grazie! rispose mentalmente.
Come mosso da un vento costante, il resto dei rami di quell’oscuro albero oscillò per salutarla e, prima che potesse allontanarsi, scoprì qualcos’altro. Lontano da quelle nere piante, stavolta, un oggetto del tutto diverso scintillava ai suoi piedi, e spinta dalla curiosità, lo raccolse subito da terra.
Ehi, ma è un fischietto! Cavolo, ora sì che sembro uguale a Victoria! esclamò, parlando più con se stessa che con i cagnolini.
Confusi, tre di loro si voltarono a guardarla e, incontrando i loro occhietti scintillanti, lei non fece che sorridere.
Ho la soluzione, belli, però ora fermi dove siete.
Il piccolo Jet fu il primo a drizzare le orecchie, per quanto riusciva, e a mettersi seduto ad ascoltarla come un soldatino sull’attenti. Contenta di vederlo così pronto, lei gli sorrise ancora e, armata di biscottini, fece qualche prova. Lasciò che ne annusasse qualcuno, indietreggiò di alcuni passi e, portandosi il fischietto alle labbra, soffiò. Capendo al volo, il cucciolo corse verso di lei e, dopo altri piccoli test simili a quello, anche gli altri furono pronti. Fra i tanti, Max fu il più svelto, seguito poi proprio da Jet e, se ancora una volta Bella sembrava decisa a fare le cose a modo suo pavoneggiandosi anche quando si trattava solo di avvicinarsi a Mackenzie, fu una brava alunna, se così poteva essere chiamata. Sempre assonnata, Lady rispettò nell’obbedirle tempi tutti suoi, mentre Angel si mostrò restia ad addentrarsi troppo in quel buio. Amante dell’avventura, il caro Pirate andò alla ricerca dei biscotti in premio più che delle attenzioni della padroncina, e ultimo ma non per importanza, dato che Mac non sarebbe mai stata capace di classificarli uno per uno come migliore o peggiore, Ghost fu lento ma comunque sicuro di voler compiacere la bambina.
Dopo le prove, però, ci fu quella vera, del nove, come sentiva dire a scuola durante le lezioni di matematica. Mostrando ai cuccioli seduti in cerchio attorno a lei una mano vuota e aperta, con le dita riunite, Mackenzie impartì un solo comando.
Fermi. I cuccioli divennero per qualche attimo statue di granito, e come iperattivo, o solo troppo felice di averla come amica e padroncina, Max non tardò a distrarsi. Decisa a imitare Victoria alla perfezione, a quella vista Mackenzie quasi non reagì e si limitò a scuotere la testa. Mostrò al cucciolo un biscotto come incentivo oltre che premio e lo rimise in posizione, seduto con gli altri. Max, fermo gli ripeté, seria.
Il cagnetto rimase immobile a fissarla. Mackenzie gli regalò un sorriso, gli diede piano le spalle e respirò a fondo. Era arrivato il momento. Non c’era altro da fare che attraversare il ponte, dare ai piccoli il buon esempio e sperare che quelle lezioni d’addestramento, brevi ma intense, come recitava spesso anche la voce narrante del programma che seguiva, dessero i loro frutti.
Facendosi coraggio, iniziò ad attraversare quel ponte senza neanche la luce di una torcia a guidarla, con i cagnolini che la seguivano. Non si girò verso di loro, si limitò ad ascoltarli camminare pregando Dio che fossero tutti presenti e che nessuno cadesse. Non avendo appigli ai quali aggrapparsi, dovette fare affidamento solo sul proprio equilibrio. Sbandò a destra e a sinistra un paio di volte, spostando il peso del corpo da una parte o dall’altra e una di queste urlò. Non riusciva a parlare, ma aveva gridato qualche volta, durante crisi o incubi. Si coprì la bocca con la mano per non spaventare i cuccioli – non voleva peggiorare la situazione –, mentre il cuore pareva volesse uscirle dal petto. Non poteva cadere, doveva tornare a casa. Non riuscì a capire quanto sarebbe stato grande il salto nel vuoto. Se fossero finiti sulla nuda terra, magari sull’asfalto, lei avrebbe preso una bella botta o si sarebbe rotta qualcosa, o peggio, e i cuccioli… si rifiutò di pensare al fatto che sarebbero potuti morire tutti. Chiudendo gli occhi per combattere la paura, fu stoica fino alla fine. Dovette farsi un punto d’onore per non piangere e urlare, arrivando perfino a coprirsi le orecchie per non sentire alcun rumore e, quando finalmente tornò a vedere, eccolo. Per sua fortuna, un altro sentiero, diverso dai precedenti perché illuminato da uno sciame di lucciole che, impegnate in una danza tutta loro, sembravano voler comunicare con lei e dirle qualcosa. Mackenzie restò lì a osservarle per alcuni istanti, poi capì. La loro non era una danza, ma un silenzioso e luminoso – pensò, scherzando per calmarsi almeno un poco – invito ad andare avanti. Scuotendo la testa, scacciò i brutti pensieri come mosche e, con a cuore quella che per lei era ormai diventata una vera e propria missione di salvataggio, si voltò e riprese in mano il fischietto, sicura di poter richiamare a sé tutti i cuccioli.
Andiamo ragazzi, andiamo! ordinò poco dopo, per poi togliersi l’oggetto di bocca e cadere in ginocchio sull’erba.
Da quella distanza, un modo come un altro di attirare l’attenzione dei cagnolini, sfruttando il loro naturale istinto di annusare, esplorare e investigare. Anche quella una tecnica appresa dal programma, e perfetta per l’occasione. Di lì a poco, una massa quasi indistinta di musi, orecchie e code le si avvicinò a gran velocità, e tanto felice quanto orgogliosa, scoppiò a ridere.
Perfetto! gridò mentalmente.
Ormai decisi a compiacerla e prendendo ogni cosa come un bellissimo gioco, i sette fratellini pelosi non si fecero attendere e perseverarono di fronte alle difficoltà in ogni momento, anche quando, tremante, la piccola Angel si ritrovò di fronte a un’improvvisa e letterale falla in quel piano. Spezzandosi sotto il peso combinato dei piccoli, una tavola di legno aveva ceduto poco prima che lei riuscisse a unirsi al suo branco e ora, pietrificata, rifiutava di muoversi.
Mackenzie si precipitò da lei. Si avvicinò quanto più poté e si accucciò per arrivare al suo livello e le offrì una mano. Nascosto fra le sue dita c’era un biscotto, e fino ad allora quei premi avevano sempre funzionato, quindi valeva la pena tentare. Quasi non vide quel pezzo di legno cadere nel vuoto appena sotto di loro, e seria come e forse più di prima, s’impose di non pensarci.
Vieni, Angel, vieni la pregò, sporgendosi fin quasi al limite. Vieni.
La mano le tremava. Nonostante non volesse e si fosse ripromessa di non ricadere nella stessa trappola, anche lei aveva di nuovo paura, ma non poteva, non in quel momento. Per il bene della povera Angel e della famiglia che cercava di riunire. La cagnolina muoveva passi lenti e indecisi verso l’amica, salvo tirarsi indietro non appena notava quel buco nel legno. Data la sua taglia una vera voragine, ma alla fine, dopo un sorriso, una lieve carezza e tante parole d’incoraggiamento, il miracolo. Già giunti a destinazione, i fratelli e le sorelle la guardavano, agitandosi e abbaiando per aiutarla in un modo tutto loro e, in quell’istante, un vero e proprio salto nel buio. Veloce come un fulmine, Mackenzie si preparò ad afferrarla al volo, accogliendola fra le sue braccia non appena quell’incubo ebbe fine. La strinse a sé e la accarezzò per rassicurarla, le baciò la testolina e la rimise a terra, mentre il suo cuore batteva furioso, come se avesse corso per chilometri. L’aveva fatto, vero, ma soltanto per alcuni metri, e dettagli a parte, sperava di essersi almeno un po’ calmata. Fratelli e sorelle si strinsero attorno ad Angel, leccandole il muso e spalleggiandola per gioco, finché Max non decise di mettersi in testa alla marcia da bravo fratello. Angel si nascose dietro di lui e, rimettendosi in piedi, Mackenzie riprese quel viaggio. Fra un passo e l’altro, e con quel provvidenziale fischietto ancora al collo, si ricordò di complimentarsi con ognuno dei piccoli, specie con Angel che come gli altri, dopo un minuscolo clic, ricevette un biscotto. Grazie al cielo i sette non litigarono e, più tranquilla di prima, la bambina continuò a camminare.
Da allora in poi, solo il silenzio e il suono dei passi di quel gruppo, e davanti a loro, illuminato sia dalle impronte dei cuccioli che dalle lucciole incontrate in precedenza, il percorso giusto da seguire. Per fortuna ora sembrava tutto più facile, e con quel ponte alle sue spalle, la piccola sospirò di sollievo.
“Spero solo che da ora in poi vada tutto per il meglio” si disse, rivolgendo quelle parole a se stessa e a qualcuno più in alto di lei.
Alzò gli occhi verso il cielo tinto, anzi sporco di nero, e ancora una volta, vide una sola stella. Diversa dalle altre, più grande e luminosa.
La stella polare! E che bella la luna stasera!
Sincero, l’ennesimo dei suoi pensieri, che sfiorandole una gamba con la coda, Max e Angel parvero riuscire a sentire. Seduti accanto a lei, anche loro si godevano quello spettacolo e ben presto, durante una meritata pausa, anche gli altri si unirono al gruppo. Abituata al riposo, Lady si sdraiò e Bella, probabilmente stanca dopo tanta vanità, finì per imitarla. Ghost descrisse tre cerchi sul selciato, poi si sedette. Guardandoli senza una parola, Mackenzie sorrise e, ancora spaventata, Angel provò ad avvicinarsi.
Sei stata brava, Angel. Vedrai, troveremo la mamma insieme, e andrà tutto bene.
Una rassicurazione come tante, era vero, ma data la situazione, piena di sentimento. La cagnolina sostenne il suo sguardo e, facendosi ancora più vicina, le leccò di nuovo il viso.
Angel, no, no! Che schifo! scherzò allora Mackenzie, allontanandola alla meglio con le mani e ridendo di cuore.
Nel farlo perse l’equilibrio e da seduta si ritrovò stesa per terra, divertita e improvvisamente incapace di smettere di ridere. La sua ilarità riempì l’aria e, contagiati, gli altri cuccioli corsero verso di lei, decisi a portare avanti quel nuovo fantastico gioco.
“Prendiamola!” sembravano dire, abbaiando festosi.
Mackenzie si divertì con loro, scacciandoli solo quando le facevano male mordendole troppo forte le dita, o nel momento in cui rischiavano di strapparle i vestiti. Non sarebbe successo, o almeno ci sperava, ma anche a soli due mesi quelle unghiette e quei dentini potevano essere affilati, ragion per cui era meglio evitare. Non volendo spaventarli, la bambina rimase dov’era nella speranza che i cuccioli smettessero di “assalirla”, ma senza successo. Ancora ridendo, si drizzò a sedere e, in quel momento, ecco l’idea. Per l’ennesima volta, uno dei trucchi di Victoria, che a causa del suo mutismo dovette modificare leggermente. Per fortuna la donna aveva sempre un asso nella manica, e fu ricordando uno degli episodi del programma che la bambina uscì da quella situazione. Chiudendo gli occhi, prese un profondo respiro e batté più volte le mani. Confusi, i cuccioli smisero di tormentarla. Certo, avrebbe funzionato meglio se avesse potuto usare la voce e fare proprio come lei, che più volte aveva ricevuto dei complimenti per quella sorta di urlo, che, Victoria lo spiegava ogni volta, era proprio il modo che i cuccioli avevano di dire:
“Ehi, mi hai fatto male!”
Soltanto una volta una padrona si era spaventata quanto e forse più dei suoi cani, e scivolando nel silenzio, la donna era riuscita a confortarla.
“Però! Mac, sai se canta anche?” le aveva chiesto la mamma quel giorno, sorpresa.
No, ma un carlino che ha incontrato sì aveva risposto lei, per poi guardarla e scoppiare a ridere.
Ridacchiando a sua volta, Demi aveva seguito quel particolare episodio per pochi minuti, poi, colpita dall’ispirazione, si era ritirata nella sua stanza per scrivere la prima bozza del testo di una nuova canzone.
Distratta dai cuccioli e dal loro giocare, Mackenzie continuò a ridacchiare. Erano passati dal divertirsi con lei a tendersi agguati fra di loro. Erano in sette, quindi dispari, e a riprova di ciò solo Pirate non aveva nessuno con cui giocare. Non che volesse né gli importasse, perché raggiunta Mackenzie, continuò a guardare un punto lontano nel buio, agitare la coda e restare incollato alla sua caviglia.
“Andiamo, basta giocare, dobbiamo trovare la mamma!” le fece capire.
Va bene, va bene, bello, fermati! Fermati, calmo! gli rispose Mackenzie. Troppo emozionato e deciso sul da farsi, il cucciolo quasi non riuscì a sentirla, e anzi, continuò a tirare e a rischiare di farle male. Pirate, basta! Adesso andiamo, so che vuoi rivedere la mamma! finì per gridare, esasperata.
Non voleva essere cattiva, né spaventare lui e gli altri più del dovuto, per quello c’era già stata la disavventura al ponte, ma memore delle parole della mamma, era sicura che i cuccioli come loro avessero bisogno, oltre che di amore, anche di disciplina. Tutti i piccoli si fermarono a guardarla, poi volsero gli occhi al buio davanti a loro e iniziarono a piangere e a lamentarsi ancora, disperati. Non sapendo cosa fare, Mackenzie riprese in mano il sacchetto di biscotti. Non erano finiti, per fortuna, ma a quanto sembrava, l’unica cosa ad essersi esaurita era proprio l’interesse dei piccoli. Era una stupida. Come poteva pensare di corromperli con del cibo quando soffrivano per una cosa così importante?
“Stai facendo del tuo meglio” si disse, respirando a fondo nel tentativo di calmarsi a sua volta.
Doveva ammettere di non averne poi così bisogno, ma la situazione stava di nuovo precipitando e valeva la pena dare il buon esempio. Ora Max, Jet e gli altri erano tutti intorno a lei, proprio come voleva, ma che gusto c’era nel vederli obbedire se poi stavano così male? Riprese a camminare senza dire altro, e incuriosito, il gruppo la seguì. Si voltò verso di loro dopo qualche passo. I piccoli erano tristi come e forse più di lei, così lenti da farle pena. Mossa a compassione, provò una strana stretta al cuore e anche bevendo dalla sua bottiglietta non riuscì a star meglio. Non era neanche in grado di spiegarselo, ma era come se all’improvviso l’acqua fosse diventata catrame. Densa, vischiosa e con un sapore orribile. Schifata, sputò per terra prima di richiuderla e rimetterla nello zaino, e nel bel mezzo di quel cammino in una vera selva oscura, udì ancora le voci in lontananza.
“Mac, sta’ attenta!” le disse una di loro, avvertendola di qualcosa che nel buio non vide.
Cosa? Cosa c’è? si chiese nella mente, colta alla sprovvista.
Quella non le rispose né aggiunse altro, e dopo pochi istanti, un tonfo sordo distrasse la bambina. Fece un salto indietro. Conficcata nella corteccia di un albero a lei vicino c’era una freccia nera come il bersaglio appena colpito. Agì senza pensare e la afferrò, avendo la sensazione che le bruciasse in mano. Diede un rapido strattone. I cagnolini si avvicinarono per investigare a modo loro, ma lei li scacciò con un gesto della mano libera.
Max, ragazzi, indietro. E fermi. È pericoloso.
Questi si allontanarono come richiesto e per brevissimi istanti, complici forse sia il buio che le sue emozioni, Mackenzie si ritrovò da sola, con quella dannata freccia fra le mani. Non fece che guardarla e all’improvviso, colta da una rabbia che non credeva di possedere, la strinse fino a farsi male, finché le nocche non le diventarono pallide per lo sforzo. Quel sogno era suo, ed era vero, ma quello le sembrava un nuovo test creato proprio dalle voci che sentiva, gli spiriti della foresta. Non erano cattivi, anzi, erano sempre stati buoni con lei, ed era arrabbiata, sì, ma non con loro. Rimasti in disparte, Max e i fratelli non osarono fiatare, abbassando le orecchie e guaendo spaventati quando finalmente Mackenzie scelse di agire. Strinse ancora di più la presa su quell’oggetto e lo scagliò via da sé, dritto verso l’oscurità da cui era arrivato.
Non mi fai paura! urlò nella sua mente, rivolgendosi a un’entità che solo lei sembrava conoscere.
E in un certo senso era così. Si riferiva all’uomo che aveva ucciso i suoi genitori e infierito su lei e Hope. La polizia aveva indagato, lui era in galera e ci sarebbe rimasto per molto tempo e Mac era felice. Probabilmente non avrebbe dovuto esserlo, si trattava pur sempre di un uomo e di una sua disgrazia, ma memore di ciò che aveva passato, credeva che meritasse davvero il carcere in cui era stato rinchiuso. Almeno allora non avrebbe potuto più far del male a lei o a Hope, o a dirla tutta a nessuna famiglia. Nella vita reale aveva paura di lui, tremava ogni volta che ricordava la sua voce, ma in quel sogno sentimenti del genere erano scomparsi almeno per il momento. Tutti con la coda fra le zampe, i cuccioli guairono ancora. Voltandosi verso di loro, Mackenzie provò a rassicurarli.
Scusate se ho gridato. Ero arrabbiata, ma adesso non lo sono più. Andiamo, siamo sempre più vicini alla mamma, ormai me lo sento.
Parlò in tono gentile e si accovacciò per accarezzarli. I cuccioli si calmarono, tanto da leccarle e mordicchiarle piano le dita. La bambina sopportò il leggero dolore di qualcuno di quei morsi, poi, sempre armata di clicker e fischietto, soffiò forte, richiamando a sé l’intera nidiata di cagnolini. Per divertirsi iniziò a camminare all’indietro, e tenendo gli ormai soliti biscottini in una mano e il clicker nell’altra, trasformò la nuova sessione d’addestramento in un gioco, premiandoli e cliccando, così che associassero le due cose come Victoria insegnava, per ogni tentativo che facevano nel seguirla. Dopo poco però, quell’andatura le fece girare la testa e tornò a camminare normalmente. C’era qualcuno a poca distanza da sé. Incredula, si strofinò gli occhi ormai stanchi, ma no, la vista non la ingannava. Apparentemente spuntata dal nulla, ma in realtà da un cespuglio a un lato del sentiero che percorrevano, la cagnolina bianca e marrone che lei e il suo gruppo di amici a quattro zampe avevano tanto cercato. Alla sua vista, tutti e sette corsero verso di lei, abbaiando felici e quasi inciampando nelle loro stesse zampe. Quella che ne seguì fu una buffissima gara di corsa fra sette goffi e adorabili partecipanti, e contenta per loro, Mackenzie sorrise. Tirò un lunghissimo sospiro di sollievo. Grazie al cielo erano assieme, adesso. La cagnetta adulta attese i suoi cuccioli e, non appena furono abbastanza vicini, li leccò uno per uno con tutto l’amore di una vera madre. Tante erano le persone pronte a sostenere che gli animali non avessero un’anima né provassero sentimenti e che alla morte ai loro corpi non accadesse nulla di diverso dalla naturale decomposizione, ma nonostante questo, Mackenzie e la sua famiglia erano di tutt’altro avviso. Nessuno di loro avrebbe mai pensato una cosa del genere, né tantomeno ridotto un animale domestico a un’insulsa palla di pelo senza valore. Mackenzie stessa aveva ascoltato più e più volte le storie della mamma e del suo Buddy, il cane che aveva avuto prima di Batman, e ricordando le sue lacrime, si era ripromessa di fare quanto poteva per seguire il suo esempio e onorare come un amico qualsiasi essere a quattro zampe varcasse quella soglia. Il loro attuale combinaguai in bianco e nero era un regalo dell’amica Selena, un cane che riempiva lei, la mamma, la sorella e il papà di coccole e amore.
Attimi dopo in quel mondo, che ormai aveva capito essere una sorta di crocevia per le anime, o un limbo, come le aveva spiegato una volta Padre Thomas in chiesa, tornarono lentamente la luce e il colore. Spuntò il sole che illuminò tutto con la sua luce potente, gli alberi si trasformarono: la corteccia divenne marrone e le foglie verdi e, sopra di loro, tantissimi uccellini presero a cinguettare. Erano migliaia, forse anche di più, e ogni tanto qualcuno svolazzava. Avevano canti diversi che la bambina non riconobbe, ma si armonizzavano tutti alla perfezione. Un merlo passò poco sopra la sua testa e alcuni istanti più tardi anche una rondine. La terra si ricoprì di erba verde e fiori di colori differenti, anche se le sue preferite erano le bianche e gialle margherite. Si chinò per sfiorare i delicatissimi petali di una di loro, non raccogliendola per lasciarla vivere. L’aria divenne pregna di profumi intensi di erba e terra e del ronzio di milioni di insetti, molti più di prima. Una mosca le volò accanto ai capelli e Mac la scacciò con una mano. Per quanto fosse felice che quel posto avesse ripreso vita, tramutandosi in una vera e propria foresta, non sopportava insetti come quello. Una farfalla gialla le sfiorò il naso facendola ridere. Vederne una portava fortuna, diceva mamma Demi. Ne avrebbe avuto bisogno per la sua vita.
La propria missione costellata d’avventura era ormai finita, i cuccioli erano finalmente davvero felici e vicini alla madre, che impegnata in una caratteristica posa di gioco, li incoraggiava a divertirsi con lei. Purtroppo, però, Mackenzie non ebbe tempo né di farsi notare mentre sorrideva, né di accarezzare la madre dei piccoli e di darle un nome, né di vedere altro, poiché un velo nero la avvolse.
 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE:
ciao a tutti! Dato che domani ho degli impegni che non posso rimandare e non so se avrò la possibilità di aggiornare, ho deciso in accordo con Emmastory di fare oggi un doppio aggiornamento. Il prossimo capitolo è più corto, se riuscirò domani lo posterò, altrimenti ci vedremo venerdì. Speriamo che, fino a qui, la storia vi stia piacendo!
   
 
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