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Autore: crazy lion    22/10/2020    1 recensioni
Attenzione! Questa storia si ricollega alla mia fanfiction Cuore di mamma. Leggete prima quella per evitarvi spoiler. C’è un accenno a qualcosa che accadrà nel prossimo capitolo e un altro, lieve, riferito a un fatto raccontato nel libro di Dianna De La Garza, Falling With Wings: A Mother’s Story, non ancora tradotto in italiano.
Le cose che accadono qui non sono tutte presenti nella mia long.
Il cane? È il miglior amico dell’uomo, o della donna, nel caso di Demi. Ne ha già avuti due, si chiamavano entrambi Buddy e avevano un cuor di leone che non dimenticherà mai. Adottare Batman, un tornado di due colori, l’ha aiutata ad affrontare il dolore. Sua figlia Mackenzie, di sei anni, con un passato turbolento ma costellato di speranze, è molto legata a lui. Come la mamma le ha insegnato, non rinuncia alla sua fantasia e ai propri sogni. Fra questi, un’avventura indimenticabile fatta di amicizia, coraggio e lealtà. Non solo la propria, ma anche quella di sette cuccioli fantasma.
Storia stilata con Emmastory.
Disclaimer: con questo nostro scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendiamo dare veritiera rappresentazione veritiera del carattere dei personaggi famosi, né offenderli in alcun modo.
Genere: Avventura, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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CAPITOLO 4.

 

ONIRICA REALTÀ

 
Mackenzie non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato. Era uscita dal suo sogno, tornata al mondo reale e si era risvegliata nel suo letto. Colpita da un lieve capogiro, si strofinò gli occhi ancora assonnati e si stiracchiò. Quel sogno era stato lungo, strano e a tratti l’aveva spaventata, a tratti divertita. In genere da appena sveglia non ricordava mai molto di ciò che sognava a meno che non si trattasse di incubi, ma stavolta era diverso. Represse uno sbadiglio, calciò via piano le coperte da sé, si sedette sul materasso e nel mentre cercò le pantofole. Probabilmente erano finite sotto al letto per colpa di una distrazione, o forse di Batman o Danny, che adoravano giocarci spingendole con le zampe. Dopo un secondo sbadiglio, si sforzò di dare uno sguardo all’orologio appeso al muro. Un regalo di zia Dallas poco dopo l’arrivo a casa di Danny. Sul quadrante aveva il muso di un gattino e, al posto delle lancette, una coda che controllava il movimento degli occhi e con questo il tempo. La bambina sorrise a quel ricordo e, stretta nel suo pigiama, spostò di poco una manica così che non le desse più fastidio. Succedeva sempre, d’inverno. Pur non volendo, si agitava nel sonno, ma le coperte non si muovevano tanto quanto lei ed era così che diventava prigioniera dei suoi stessi vestiti. Non che fosse davvero un problema, le bastava svegliarsi e risolverlo a suo modo. Finalmente in piedi, la piccola si avvicinò allo specchio e, ritrovata la sua spazzola preferita nel cassetto, prese a spazzolarsi i capelli.
“Hai dei ricci bellissimi” le diceva spesso Lizzie, mostrando gelosia realmente non provata.
L’amica scherzava e Mackenzie non se la prendeva mai, limitandosi a ridere con lei e colpirle con delicatezza un braccio per invitarla a smettere.
Bentornata, Mac pensò.
In genere non parlava di se stessa in terza persona, ma da poco uno dei suoi cartoni animati le aveva insegnato quanto potesse essere bello, oltre che servire da iniezione d’autostima, specie quando i suoi riccioli le nascondevano il viso al posto di incorniciarlo. A lavoro finito, ripulì la spazzola dai capelli che aveva perso e uscì dalla stanza.
Scese con lentezza le scale e una pantofola rischiò di scivolarle dal piede. Veloce, evitò che accadesse e ben presto si ritrovò in cucina. Lì trovò la madre e il padre. Se Demi stava ancora preparando la colazione, Andrew leggeva il giornale. Sorrise a entrambi, prese posto a tavola e sfiorò la manina di Hope, seduta nel suo seggiolone. Davanti a lei una ciotola di latte e cereali, al suo fianco un cucchiaino di plastica rosa. Abituata alle proprie responsabilità di sorella maggiore, la imboccò, avendo il piacere e la fortuna di vederla sorridere. A forma di stella, quelli erano i cereali preferiti della piccola e il latte li aveva ammorbiditi abbastanza da renderli deliziosi.
 
 
Voltandosi, Demi notò quel gesto e, orgogliosa, la lasciò fare. Mackenzie aveva solo sei anni, ma stava crescendo, e imparare a prendersi cura della sorellina era un passo piccolo ma grande al tempo stesso, importante anche per la sua crescita morale.
“Hai fame, Mac?” le chiese il padre, distraendosi per qualche attimo dalla carta stampata.
Un po' sì. Cosa c’è oggi?
“Si avvicina il Natale, e sai cosa vuol dire in questa famiglia, vero?”
Andrew aveva risposto alla domanda della bambina con un’altra domanda, ma scivolando nel silenzio, sperò che per lei non fosse un problema. Non voleva parlare per enigmi, solo provare a sorprenderla. Il fatto che la compagna fosse ancora in piedi davanti al piano cottura senza rovinare quella sorpresa era una sorta di valore aggiunto, e ora la bimba non doveva far altro che indovinare. Confusa, Mackenzie si fermò a pensare e infine capì. Riprese subito in mano la sua fida matita appuntita e riprendendo a scrivere, diede la sua risposta.
Pancake!!!
Una sola parola seguita da ben tre punti esclamativi, il modo perfetto di esprimere la sua felicità.
“Esatto, tesoro, e sono anche pronti” le disse la mamma, che finalmente aveva deciso di toglierli dalla padella e impiattarli.
Mackenzie si alzò, fece qualche saltello, poi si risedette e, afferrando le posate, le tuffò subito in quella dolce e morbida montagna, sulla cui sommità torreggiavano un miscuglio di cioccolata e panna montata. Adorava quell’odore, intenso e buono come pochi, e che per qualche motivo riusciva sempre a metterla di buon umore. Mangiò con gusto e con lei anche i genitori e Hope che, finiti i suoi cereali, prese ad agitarsi e muovere le gambette.
“Hai finito, eh, Hope? Su, vieni dalla mamma.”
Demi la sollevò con dolcezza. Nel farlo, afferrò anche un fazzoletto e le pulì la boccuccia ancora sporca di latte. Intanto, finito il suo pasto e tornato alla lettura del suo giornale, Andrew rimase a guardarla mentre, con la piccola in braccio, mangiava i pancake stando attenta che la bimba non ci mettesse le mani in mezzo. Affinché stesse tranquilla, le fece assaggiare la cioccolata e la panna, che Hope gradì tanto da emettere un gridolino di gioia.
All’improvviso, un dettaglio distrasse l’intera famiglia. Danny stava mangiando i croccantini lì in cucina, ma dov’era Batman? Mackenzie ricordava bene di averlo visto seguirla nella sua stanza la notte prima per poi addormentarsi con lei, ma ora sembrava sparito. Non l’aveva trovato nella sua cameraa al mattino, non era in cucina e nemmeno nella sua cuccia. Non sapendo cosa pensare, Mac si strinse nelle spalle e, guardandosi intorno senza alzarsi da tavola, lo cercò, ma invano. Provando a distrarsi continuò a mangiare, ma all’improvviso i pancake al cioccolato persero il loro caratteristico sapore. Poteva sembrare strano, sciocco o forse addirittura folle, ma per la bambina era davvero così. Era contenta di mangiarli per colazione, ma non era bello assaporarli senza Batman al suo fianco, che viziato sin dal giorno in cui aveva messo piede, o meglio zampa in casa per la prima volta, non perdeva mai occasione di mendicare. Sempre sfruttando le tecniche di Victoria, Mackenzie stava cercando di insegnargli a smettere, ma era difficile. La colpa non era di Batman, anzi, le sessioni d’addestramento stavano dando i loro frutti, ma che poteva farci se il suo cuore di bambina era così tenero da impedirle di essere dura con lui? Ai cani come Batman serviva disciplina, ed era vero, ma letterale adorazione per Victoria Stilwell o meno, la bambina non era la persona adatta a impartirgliela. Era per questo che il peso di quel compito si spostava sulle spalle di papà Andrew, che reso serio eppure calmo dal suo lavoro di avvocato, pareva invece la persona perfetta per quel secondo lavoro. Al contrario della donna lui non veniva pagato davvero, l’unico pagamento che riceveva erano i mille latrati di Batman, sempre felice di compiacere i suoi padroni umani, specie se rendevano l’addestramento un grande e magnifico gioco.
Nel silenzio, ecco l’indizio che lei e la famiglia tanto aspettavano. Probabilmente arrivato in giardino tramite la porticina basculante di Danny, forse di notte per giocare con le poche lucciole che nonostante il fresco continuavano a far visita ai Lovato, Batman stava abbaiando.
“Mamma, bau bau! Bau bau!” fece Hope, che ancora in braccio a Demi, ora si agitava di nuovo.
Preoccupata dall’eventuale vomito, proprio perché aveva appena mangiato, la madre si affrettò a calmarla, ma purtroppo senza successo. Grazie al cielo la piccola riuscì a non sporcarsi, ma scalciando, insistette per essere rimessa a terra. Paziente, Demi esaudì il suo desiderio e, quasi leggendole nel pensiero, Mackenzie corse verso la portafinestra che dava sulla parte del giardino che si trovava dietro la casa. Correndo più veloce che poteva, Hope fece del suo meglio per seguirla, e quando uscì, non credette ai suoi occhi.
“Cuccioli!” esclamò, battendo le manine.
“Cosa? Cuccioli?” chiese Demi, che andò fuori a propria volta seguita dal fidanzato.
Proprio come aveva detto la figlia, cuccioli. Di cane, non di gatto come in realtà le sarebbe piaciuto, dato che i ricordi dell’adozione di Danny erano ancora ben impressi nella sua mente, ma non importava, adorava anche i cani, soprattutto se piccoli. Batman era lì fuori a giocare con loro, mentre Danny se ne stava in disparte, acciambellato sulla panchina accanto alla porta, con le orecchie basse.
“Non succede niente, piccolo” lo rassicurò Demetria con la voce.
Avrebbe voluto toccarlo, ma quand’era piccola i genitori le avevano insegnato che era meglio non accarezzare i gatti spaventati.
Il micio soffiò, ma dopo qualche altra parola di rassicurazione si tranquillizzò, mise la testa fra le zampe e si appisolò, nonostante la confusione.
Ma come fa a dormire con questo casino di corse, morsi e abbai?
Forse non avrebbe dovuto essere tanto sorpresa, si disse Demi, dato che il gattino dormiva anche quando lei teneva la televisione accesa.
Sorridendo, Mackenzie non attese a raggiungere i cuccioli sull’erba e iniziò a giocare con loro. Era sveglia da poco, credeva ancora di sognare, ma allo stesso tempo era sicura di essere tornata alla realtà. Volendo accertarsene, si pizzicò un braccio e scosse la testa, ma nulla cambiò. Era davvero a Los Angeles, nel giardino di casa, circondata da cagnolini. Erano stranamente simili a quelli che aveva visto nel suo lungo sonno, con i medesimi colori del pelo, ora tutti trasformati in piccoli cocker con le orecchie pendule e il portamento regale. Ma poteva essere solo una coincidenza. Vicina alla mamma, Hope si limitava a guardarli, mentre Batman e Mackenzie giocavano. Divertito, il cane lasciava che gli altri lo inseguissero esibendosi in una sorta di inchino, e abbaiando, li incitava. Fermandosi a pensare mentre scorrazzava fra l’erba, la bambina ricordò un altro dettaglio del sogno. Era stata lei a immaginare tutto e sempre lei ad avere controllo sulle regole. Proprio allora, un’idea le balenò in mente, e annuendo a se stessa, decise di provare.
Ciao ragazzi! disse loro.
I sette fratellini si voltarono verso di lei e solo allora, la piccola riuscì davvero a riconoscerli uno per uno. Incredula, li contò mentalmente, indicandoli con un dito per non perderli di vista e scoprì di non sbagliarsi. C’erano veramente tutti. Max, più protettivo degli altri, Jet, con la strana fissazione di correre ovunque mentre giocava, fino a inseguire qualunque cosa vedesse, a volte perfino la sua stessa coda, Bella con il suo solito pavoneggiarsi anche solo quando camminava, Lady che dormiva beata vicino a una siepe anziché giocare con gli altri, Angel che prendeva parte ai giochi a modo suo, goffa e sempre spaventata all’idea di farsi male, Pirate, che fra un gioco e l’altro annusava l’erba e i fiori alla ricerca di qualche tesoro, e infine anche Ghost, nascosto dietro a un vaso di fiori e deciso a non farsi vedere, mentre, al contrario degli altri, si godeva ogni scena da lontano. Assieme a loro ma distante da tanto caos, un altro esemplare che Mackenzie riconobbe essere una femmina dal pelo bianco e marrone e che, a giudicare dalla taglia e dalle mammelle gonfie di latte, doveva essere la loro mamma. Sorridendole, la bambina le offrì qualche carezza, e lasciandola fare, la cagnetta non si ritrasse, ma anzi, scosse la testa solo per dar mostra delle sue orecchie lunghe e pelose. Mackenzie le mostrò una mano perché l’annusasse.
Grazie di averci aiutati, ieri sera le disse. Non so come facevamo a trovarti, senza le tracce.
C’era qualcosa di sbagliato in quell’ultima frase, ma non fu in grado di capire cosa e, in ogni caso, alla sua amica non importava di certo. La cagnolina abbaiò due volte e socchiuse gli occhi quando la bambina affondò le dita nel suo pelo soffice.
In quel mentre, una risata riempì l’aria. Mentre saltellava fra l’erba del giardino, ora anche Hope si divertiva con i cuccioli, restando in ginocchio e lasciandosi riempire di morsetti e dolci leccate.
 
 
 
Rimasti a debita distanza, Andrew e Demi osservavano quella scena e, scambiandosi un veloce sguardo d’intesa, sorrisero.
“Assurdo, sembrano conoscerli e viceversa” commentò lui, sorpreso.
“Già, strano, vero?”
“Direi! Chissà cosa fanno qui, povere bestie” osservò a quel punto il compagno, sospirando.
Non era certo la prima volta che vedeva qualcosa del genere. Forse il concetto valeva per il suo giardino, ma non per le strade. Si rifiutava di crederci, ma la verità era che anche quella che portava allo studio legale in cui lavorava era attraversata, a volte, da poveri animali senza un padrone. Sei mesi prima lui e i colleghi avevano iniziato a notare il costante andirivieni di un cane di grossa taglia, e mossi a compassione, lui e alcuni di loro si erano uniti in un unico fronte, decisi a dividere con lui ciò che avevano potuto. Era così che quel povero cane aveva ricevuto da mangiare, non dimenticando mai di ringraziare con quello che aveva tutta l’aria di essere un sorriso. Nessuno aveva risposto agli annunci di ritrovamento che avevano appeso per la città e su internet.
“Credi che siano stati abbandonati?”
In quel momento, la domanda della fidanzata lo riportò alla realtà, e stringendosi nelle spalle, non seppe cosa dirle.
“Spero solo che un giorno diventino come Judge. Sai, cani di famiglia” rispose poco dopo, ricordando ancora quel cane randagio che, dopo mesi per strada, era stato adottato da uno dei suoi colleghi.  Almeno quel povero animale ora aveva una casa e, malgrado si fosse di nuovo chiuso nel silenzio, l’uomo conservava ancora quella speranza.
“Che facciamo?” chiese Demi. “Dobbiamo almeno provare a vedere se sono di qualcuno, magari scappati… anche se mi pare strano che tutti questi cani siano fuggiti senza che nessuno notasse niente. Comunque di certo non possiamo tenerli” continuò abbassando la voce. “E vanno ridati al proprietario, se ne hanno uno.”
Se così fosse stato, sperava di riportarglieli prima di affezionarsi troppo. Per questo per ora non li accarezzava, perché poi sarebbe stato più difficile lasciarli andare.
I due amavano gli animali, e chi non avrebbe voluto prendere con sé dei cuccioli? Ma loro erano adulti, dovevano ragionare, non solo farsi trasportare dai sentimenti.
“No, hai ragione, non possiamo. Sono troppi e comunque non sarebbe giusto non fare niente. O li portiamo a un rifugio spiegando la situazione così li visiteranno e se ne occuperanno loro, oppure…”
“Oppure?”
“A quanto so non c’è una legge specifica che spieghi come comportarsi, anche se non è quello il mio campo. Tu che cosa proponi?”
Come fulminata da un’idea, Demi tornò in casa. Aprì un cassetto di un mobile del salotto e ne estrasse la macchina fotografica. Nonostante forse fosse un’esagerazione, il destino di quei piccoli non era ancora segnato, e magari delle foto avrebbero potuto aiutarli.
“Ehi, Mac! Vieni!” chiamò quando uscì, già sicura sul da farsi.
I cagnolini provarono a seguirla, impegnandosi in una sorta di strana gara di corsa a ostacoli, rappresentati, data la loro innata goffaggine di cuccioli, dalle loro stesse zampe. Ridacchiando divertita, Mackenzie li incoraggiò a rialzarsi e raggiunse la mamma.
Sì? chiese, affidando quella singola parola a un foglietto tenuto in tasca.
“Ti conoscono, pensi di poterli far star fermi per qualche foto?”
Rimase vaga. Era sicura che, quando le avrebbe spiegato che voleva ritrovare il loro proprietario, la bambina ci sarebbe rimasta male. Avrebbe dovuto spiegarle ogni cosa con molta delicatezza.
Certo, ma perché? non poté evitare di chiedere la piccola, confusa.
“Niente di particolare. Sai, pensavo di far loro delle foto, così vediamo se appartengono a qualcuno, non sei d’accordo? Insomma, se noi perdessimo Batman o Danny, non saresti felice se una persona ce lo riportasse? So che è difficile, che vuoi già loro molto bene, ma dobbiamo almeno tentare, capisci, piccola? Là fuori forse c’è qualcuno che sta soffrendo per la loro assenza e che li cerca, e di sicuro ci ringrazierà per averli salvati e riportati a lui.”
La bambina annuì e, con gran sorpresa della mamma, sorrise. Perché si comportava così? Non avrebbe dovuto insistere per tenerli o scoppiare a piangere? Possibile che avesse compreso subito? Mentalmente Mackenzie appariva più grande della sua età, purtroppo aveva dovuto crescere in fretta a causa di ciò che aveva passato, ma a Demi quella reazione pareva troppo matura. Glielo spiegò di nuovo per comprendere se avesse davvero capito.
Sì, mamma, facciamolo.
Lo scrisse con un’espressione serena dipinta sul volto.
Strano pensò Demi, e forse anche preoccupante.
Magari Mac non aveva ancora realizzato e avrebbe sofferto più tardi, piangendo da sola in camera propria. Al solo pensiero le si strinse il cuore. Beh, qualsiasi cosa fosse accaduta, lei sperava di cogliere i  segnali di una molto probabile tristezza. Le sarebbe stata accanto in quel momento difficile, ma si sforzò di non pensarci. Avrebbe affrontato tutto a tempo debito.
“Nostri!”
Un’altra voce ruppe il silenzio. Era Hope, che stanca di giocare, si era avvicinata per dare la sua opinione.
“Forse, Hope, forse, va bene?”
Fu il padre a parlarle, abbassandosi al suo livello e posandole una mano sulla spalla. Volendo consolarla, Mackenzie ripeté quel gesto, poi la abbracciò. La maggiore delle sorelle si voltò verso i cuccioli e si abbassò per richiamarli a sé. Drizzando le orecchie, i piccoli non si fecero attendere e, prendendo l'intera situazione come un gioco, posarono letteralmente per Demi assieme alla madre, seduti in cerchio mentre Mackenzie, fuori dall'obbiettivo, faceva in modo che non si spostassero. Non fu un compito facile, i cuccioli sono pur sempre tali e non amano restare immobili, ma la bambina venne aiutata dalla mamma dei piccoli che, ancora più di lei, riuscì a farsi valere.
Con la fine di quel divertente servizio fotografico, la bambina sorrise a se stessa. Era bello essere riuscita, almeno in parte e soltanto in sogno, a superare le sue paure, e ancor più bello avere l'impressione di vivere in una sorta di onirica realtà.
 
 
 
 
NOTA:
nella realtà, quando si trova un cane, non lo si potrebbe tenere in attesa di trovare il proprietario, anche se immagino che molte persone, in California come qui, lo facciano, e che accada la stessa cosa con i gatti, com'è successo a me pochi mesi fa. Non abbiamo trovato il proprietario del gattino rosso arrivato nel mio giardino e l'abbiamo adottato. Comunque, per quanto riguarda la California, se si trova un cane smarrito bisognerebbe portarlo a un rifugio. Lì, i volontari si occuperanno di ritrovare in qualche modo il proprietario. Se entro un certo tempo (nei vari siti non era specificato quanto) nessuno lo reclama, chi l'ha trovato può chiamare per adottarlo, ma non è detto che ci riesca. Essendo questa storia in parte ambientata in un sogno, io ed Emmastory abbiamo voluto prenderci qualche libertà per quanto riguarda le pagine che si ambientano nella realtà e scrivere qualcosa di diverso.
 
 
 
ANGOLO AUTRICE:
ed ecco l’aggiornamento. Preciso anche qui, come comunque ho fatto nell’angolo autrice del primo capitolo modificando quanto scritto in precedenza, che i capitoli non saranno sei ma sette. Questo perché mi sono accorta che il cinque, in cui volevo concentrarmi solo su alcuni eventi specifici, si allungava raccontando altri fatti e, dopo essermi messa d’accordo con Emmastory che alla fine ha accettato la mia decisione, cosa di cui la ringrazio, l’ho diviso in due. In questo modo, ora il tutto mi sembra più equilibrato.
   
 
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