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Autore: crazy lion    22/10/2020    1 recensioni
Attenzione! Questa storia si ricollega alla mia fanfiction Cuore di mamma. Leggete prima quella per evitarvi spoiler. C’è un accenno a qualcosa che accadrà nel prossimo capitolo e un altro, lieve, riferito a un fatto raccontato nel libro di Dianna De La Garza, Falling With Wings: A Mother’s Story, non ancora tradotto in italiano.
Le cose che accadono qui non sono tutte presenti nella mia long.
Il cane? È il miglior amico dell’uomo, o della donna, nel caso di Demi. Ne ha già avuti due, si chiamavano entrambi Buddy e avevano un cuor di leone che non dimenticherà mai. Adottare Batman, un tornado di due colori, l’ha aiutata ad affrontare il dolore. Sua figlia Mackenzie, di sei anni, con un passato turbolento ma costellato di speranze, è molto legata a lui. Come la mamma le ha insegnato, non rinuncia alla sua fantasia e ai propri sogni. Fra questi, un’avventura indimenticabile fatta di amicizia, coraggio e lealtà. Non solo la propria, ma anche quella di sette cuccioli fantasma.
Storia stilata con Emmastory.
Disclaimer: con questo nostro scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendiamo dare veritiera rappresentazione veritiera del carattere dei personaggi famosi, né offenderli in alcun modo.
Genere: Avventura, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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CAPITOLO 6.

 

PICCOLI AMICI

 
Il giorno dopo, sabato, tutti erano a casa. L'umore, però, non era dei migliori. Mackenzie, Demi e Andrew riempivano di coccole Danny e Batman, riversando su di loro anche tutto l'amore che avrebbero voluto dare a Shirley e ai suoi piccoli. Hope giocava un po’ da sola, un po’ con gli animali di casa, ma il pensiero di tutti era focalizzato su quei cani e sul loro destino. Selena non chiamò per dire che qualcuno le aveva telefonato, né scrisse un messaggio. Un modo come un altro per far capire ai Lovato che nessuno si era fatto sentire, non ancora almeno, e che presto avrebbero potuto andare a trovarla e rivederli. Era passato appena un giorno e, conoscendo l’amica, Demi era sicura che i cuccioli e la madre si trovassero bene con lei, ma anche se solo in parte, non riusciva a smettere di pensarci. Immaginava che i pochi domestici si facessero in quattro per il bene di quei sette cagnolini e della loro mamma. Sorrise a se stessa e, trattenendo a stento una risata, spostò lo sguardo dal suo pane tostato alla finestra della cucina. Era chiusa, ma i vetri puliti lasciavano spazio al panorama visibile appena oltre. Era mattina presto, e con il tenue sole di dicembre già alto, alcune foglie si staccarono dal loro papà albero e insieme danzarono nel vento, quasi tenendosi per mano durante una e mille piroette.
“Bello spettacolo, vero?” le chiese Andrew, che intanto leggeva il giornale.
“Già…” si limitò a rispondere lei, rapita mentre una delle foglie, colpita da un raggio di sole, sembrava risplendere di luce propria.
A quella vista, l’uomo regalò alla fidanzata un lieve sorriso e le prese la mano.
“Ehi?” la chiamò, preoccupato. “Staranno bene. Sono con Selena, cosa vuoi che accada?”
“Andrew, lo so, ma non potrà tenerli per sempre. E se non trovassero una famiglia?” azzardò allora lei, la colazione ormai dimenticata.
“Dem, smettila di tormentarti in questo modo. Non ti fa bene. Innanzitutto, sono andati a casa con lei solo ieri mattina e abbiamo appeso manifesti fino a sera, può essere che chi li ha notati non sappia niente. Ne abbiamo ancora, presto sistemeremo anche quelli. Un giorno, anzi, nemmeno uno, è poco perché ci siano novità a riguardo. E poi pensaci, sono così carini, se nessuno risponderà agli annunci come faranno a non trovare una famiglia adottiva? Lei forse ne terrà uno o più, visto che voleva dei cuccioli, e si occuperà anche di Shirley con amore.”
A quelle parole la cantante si abbandonò a un sospiro e ricambiò quel sorriso. Il compagno aveva ragione. Il solo fatto che Selena si fosse offerta di ospitarli per qualche tempo non era che un bene, e di certo non era l’unica in tutta Los Angeles ad avere il cuore tenero, qualcuno prima o poi li avrebbe di sicuro adottati. Come poteva non succedere, se proprio lei era stata la prima a innamorarsi di ognuno di quei musetti? Quel pensiero la fece ridere e, volendo confortarla, anche il sole fece capolino oltre una distesa di nuvole già grigie.
“Pensi che pioverà?” chiese, bofonchiando a bocca piena.
“No, o almeno spero. Mac non deve andare a scuola, ma sarebbe una gran seccatura” le rispose Andrew, tornato alle sue notizie.
“Cosa? Io adoro la pioggia, e anche tu, non mentirmi. Non ricordi più il mio dodicesimo compleanno?”
Deglutì piano quel boccone, poi si finse indignata. Una tattica messa a punto da bambina grazie alle riprese del caro vecchio Barney And Friends, che ancora ricordava con affetto.
Il giorno in cui aveva compiuto dodici anni non era iniziato nel migliore dei modi, a causa di tutti i problemi che la assillavano – l’autolesionismo di cui non aveva fatto parola con nessuno, il bullismo e i disturbi alimentari. Dianna sapeva qualcosa riguardo le ultime due difficoltà, ma non capiva quanto la figlia ci soffrisse. Per risollevarla, Andrew l’aveva portata nel bosco dove avevano passato del tempo insieme. Tornando erano stati sorpresi da un temporale e, una volta in città, erano scesi dall’auto e avevano iniziato a correre saltando dentro le pozzanghere e riempiendosi i sandali di fango e acqua.
“Demetria…” sospirò allora Andrew, sconfitto ma sorridente. La fidanzata scherzava, il suo era un modo come un altro di divertirsi, e abboccando a quel metaforico amo, lui sentì un’idea iniziare a formarsi nella sua mente. Per qualche istante gli parve di essere un personaggio di chissà quale cartone animato che fra un pensiero e l’altro aveva sempre dei piccoli ingranaggi pronti a vorticargli in testa. Attimi dopo, la lampadina. “Ehi, è sabato, perché non andiamo a trovarli?” propose, mettendo via il giornale. “L’avevi promesso a Mackenzie ieri.”
“Hai ragione.”
Ripulì il piatto dal toast e dalle sue briciole, e bevuto anche un caffè, fortunatamente ancora caldo, Demi lasciò la tazza nel lavandino. Poco le importava della sporcizia, avevano cose più importanti da fare al momento, e sì, una di quelle era proprio far visita a un branco di cuccioli di cocker tanto adorabili quanto privi di freni. Veri vulcani di energia, come si era ritrovata a pensare mentre li osservava giocare in giardino.
Demetria andò in bagno. Rimasta da sola e in pigiama, tornò alla propria stanza e, scelti i vestiti da mettere, decise di fare una doccia. Avrebbe potuto optare per un bagno, ma riempire la vasca le avrebbe richiesto troppo tempo, o almeno più di quanto ne avesse, e lo stesso discorso era applicabile alla sua pazienza. Le sembrava di essere di nuovo bambina, incapace di aspettare per qualunque cosa, ferma nella convinzione più tipica dei piccoli, riassumibile secondo innumerevoli coppie di genitori in appena tre parole: tutto e subito. Da allora in poi, a farle compagnia ci fu solo il silenzio, spezzato dallo scorrere dell’acqua calda che le scorreva piano sul corpo, rilassandola e facendole dimenticare tutti i problemi. Fu così che riuscì ad allontanarsi dallo stress della vita quotidiana, che di colpo perse ogni importanza e spessore. In quel momento c’erano solo lei e un vero e proprio rituale, che nessuno avrebbe osato disturbare. A occhi chiusi, inspirò a fondo, ma tre piccoli colpi alla porta ruppero quell’incanto.
“Solo un attimo!” urlò.
Nessuna risposta, salvo un ormai caratteristico fruscio, probabilmente di un foglio di carta. Da qualche tempo, il sabato, le sue figlie avevano deciso di dedicare almeno la mattina ai cartoni, e quello era il risultato: chiedere di vestirsi in fretta, a volte anche saltando la colazione o facendola davanti alla televisione, con un occhio ai loro programmi e l’altro alla loro tazza di latte e cereali. Mackenzie stava sul divano e almeno mentre mangiava, così da non sporcare ovunque, Hope aveva trovato nel seggiolone un vero posto d’onore. Già fuori dalla doccia, Demi si avvolse i capelli in un asciugamano, si asciugò e si vestì. Grazie al cielo aveva scelto abiti comodi, solo una maglietta e un paio di jeans scoloriti.
Meglio pensò. Se quei sette mi verranno addosso, almeno non saranno capi firmati.
Aprì la porta. Che era successo? Non ricordava di averla chiusa. Stringendosi nelle spalle, decise di non badarci, e proprio allora, eccole. In attesa e ancora in corridoio, entrambe le sue figlie. Per prima vide Mackenzie con il suo ormai fido blocchetto d’appunti già in mano, poi Hope, al sicuro fra le braccia della maggiore.
“Mamma!” esclamò la bambina, alzando le braccine per farsi sollevare anche da lei.
Era bello rimanere con Mac, ma di mamma ce n’era una sola, e lei adorava stare fra le sue braccia.
“Tesoro mio, vieni!” concesse Demi, felice di vederla.
Mackenzie lasciò che la mamma la prendesse in braccio, e con un giro su se stessa, le porse un foglietto di carta.
Non noti nulla? chiedeva, non riuscendo a smettere di sorridere.
Demi rimase in silenzio per concentrarsi, ma no, non vide nulla. Senza proferire parola, si strinse nelle spalle, e con un gesto della mano, Mackenzie rise.
“Aspetta, sei già vestita!” esclamò la mamma.
Esatto. Ero troppo felice. Stiamo facendo una bella cosa per i cuccioli, e poi ti ho sentita parlare con papà. Andiamo davvero a trovarli? scrisse, la calligrafia leggibile ma leggermente rovinata dalla mancanza di una base d’appoggio.
“Sì, tesoro. E pensa, è stato papà a convincermi.”
È il papà migliore del mondo! Yay! esplose allora Mackenzie, scrivendo a gran velocità pur senza rovinare alcuna lettera.
Completò il lavoro con un punto esclamativo e, non riuscendo a trattenersi, abbracciò la mamma. Quel momento durò solo pochi istanti e, quando madre e figlia si separarono, qualcosa le distrasse. Proprio come Mackenzie, anche Hope era già pronta ad andare, ma lo stesso non poteva dirsi del suo pannolino. Come faceva una bambina così piccola a sporcarsi tanto? Per fortuna, ora che era cresciuta accadeva di meno e presto avrebbero iniziato a toglierlo. Tutt’altro che sorpresa, Demetria si congedò da Mackenzie e, richiusa la porta del bagno, adagiò la piccola sul fasciatoio. Grazie al cielo non aveva rovinato anche i vestiti, ma dato che aveva dormito con quelli ormai andavano cambiati, non c’era nulla da fare. Ancora assonnata, la bambina non si agitò più di tanto e, grata, Demi tirò un sospiro di sollievo.
“Abbiamo quasi finito, piccola, tranquilla” le disse, notando che iniziava a lamentarsi.
Mosse piano le gambette e, non appena le due alette adesive furono chiuse, la ragazza dovette pensare a un cambio. Per pura fortuna, ce n’era uno dimenticato nel suo stesso armadio. Una magliettina verde pisello, con sopra l’effige di un vermetto sorridente appena uscito da una mela. Divertente, doveva ammetterlo, e forse sarebbe piaciuto anche a Mac e Selena. A lavoro finito e “incidente” archiviato, Demi tornò in salotto. Andrew e la figlia maggiore erano già in piedi vicino alla porta e immancabilmente anche Batman, seduto composto.
“Cos’è, Andrew, viene anche lui?”
Si abbassò al livello del cane per una carezza. Batman si godette quelle coccole e si sporse fino a leccarle il viso.
“E perché no? Ritroverà anche lui i suoi amici, non credi?”
“Va bene, cosetto, vieni anche tu” concesse, lasciandosi vincere dalla sua tenerezza.
Triste all’idea di essere lasciato da solo, Danny corse verso la porta ancora chiusa, strusciandosi contro le gambe dei padroni.
“Dove andate? Non lasciatemi qui!” pregò, ognuna di quelle parole una serie di miagolii. Abbassando lo sguardo, Demi incrociò il suo ancora pieno di speranza. Si inginocchiò per accarezzarlo e sperò di riuscire a calmarlo. Non era la prima volta che accadeva, ma anche se aveva reagito abbastanza bene in mezzo al branco di cuccioli, si convinse che forse lasciarlo a casa era la scelta migliore. In fondo il giorno prima li aveva incontrati giocando con loro dopo aver esitato, ma era accaduto in un ambiente che conosceva, mentre non era mai stato nella villa di Selena e ciò avrebbe potuto spaventarlo o disorientarlo.
“Scusa micetto, ma torneremo presto, non preoccuparti.”
Gli accarezzò piano la testa e lo grattò dietro le orecchie.
“Grazie, e buona giornata, allora” parve rispondere il gattino, miagolando ancora.
“A più tardi, piccolino.”
Anche Mackenzie si fermò a coccolarlo, stringendolo a sé per un ultimo abbraccio prima di raggiungere la macchina. Aprì la portiera e, non perdendo altro tempo, si sistemò sul sedile posteriore. Poco dopo, anche Andrew e Demi la raggiunsero e questa fece sedere Hope sul seggiolino, ricordandosi di legarla bene. Ancora al guinzaglio, Batman era con loro, sdraiato sui tappetini dell’auto. Al posto di guida, Andrew accese il motore e in breve i quattro, o meglio cinque, partirono. Mackenzie non fece altro che guardare fuori dal finestrino: la strada scivolava via e il paesaggio cambiava con ogni istante che passava. Le case erano vicine, alcune con il giardino, altre senza. Sorrise nello scorgere quella di Lizzie in lontananza. Era bello averla come amica, perché era una bimba sincera e che la ascoltava e la comprendeva senza giudicarla o prenderla in giro, e ancora di più come quasi vicina di casa. Non le faceva visita da qualche tempo e non vedeva l’ora di raccontarle dei cagnolini. Non aveva parlato con nessuno né di quel sogno né della loro esistenza, ma sapeva di potersi fidare e come di lei, anche di Katie. Forse le amiche ci avrebbero messo un po’ a crederle perché i sogni non si trasformavano mai in realtà, o meglio, questo era quanto lei aveva sempre pensato prima di quegli ultimi giorni. Ma anche loro erano bambine, lei sarebbe stata sincera al cento per cento e, spinte dall’immaginazione, Elizabeth e Katie avrebbero finito per crederle. Era certa che presto sarebbero andate da Selena a vedere i cagnolini o che, comunque, ne avrebbero parlato a casa, probabilmente tralasciando anche loro tutta la questione del sogno.
Persa nei propri pensieri, osservò anche le nuvole. Trasportato dal vento, uno dei manifesti che lei e la mamma avevano appeso sembrava danzare. Era strano a dirsi, ma non era affatto triste e, decisa a cercare un lato positivo anche in quella situazione come in tutte, memore delle parole della Direttrice della sua scuola, si sforzò di sorridere. Dovette ammettere che era un bello spettacolo e, disegnando una serie di faccine sorridenti, prese un respiro profondo, per poi calmarsi e unire le mani in preghiera.
Ti prego, Signore, fa’ che quel volantino finisca nelle mani della persona giusta, ti prego! implorò, ripetendosi nella speranza che il suo desiderio diventasse realtà.
Non era sicura che sarebbe successo, ma la nonna aveva ragione.
“Dio opera in modi misteriosi, Mac” le aveva detto quando, curiosa, le aveva chiesto cosa pensasse del futuro secondogenito nella famiglia di Lizzie, se secondo lei sarebbe stato un maschietto o una femminuccia.
Ascoltandola, la bambina si era limitata ad annuire e a tornare ai suoi giochi, in quel caso un puzzle da circa un centinaio di pezzi e da allora quella frase era diventata per lei una sorta di mantra.
All’improvviso l’auto si fermò.
“Mac, Mackenzie, siamo arrivati.”
Distratta, quasi non sentì il padre chiamarla, salvo riscuotersi dal suo torpore quando le sfiorò una spalla.
“Ti stavi addormentando? Sono passati solo cinque minuti!” le fece notare, scherzando e scompigliandole con amore i capelli.
Colta alla sprovvista, Mackenzie arrossì, e aperta la portiera si preparò a scendere.
Allora andiamo, dai! Voglio vedere i cuccioli! scrisse velocissima, senza mai separarsi dal suo blocchetto d‘appunti ora tenuto sulle gambe.
“Va bene, va bene, signorina, hai ragione!” scherzò a sua volta mamma Demi, già fuori dall’auto con Batman che annusava ovunque.
Lei annuì ancora e i suoi piedi toccarono terra. Si guardò intorno con fare curioso, e proprio allora, eccola. Bella, grande e accogliente, la casa di zia Selena. Avrebbe tanto voluto essere alta abbastanza da arrivare al campanello e premerlo almeno una settantina di volte, ma non poteva. Dannata statura da bambina di sei anni.
“Tranquilla, Mac, faccio io” disse allora la mamma, notando la sua improvvisa tristezza e giungendo in suo soccorso.
Il suono del campanello riempì l’aria e Mac alzò lo sguardo fino a incontrare il suo. La abbracciò. Adorava gli occhi della mamma. Erano marroni come la cioccolata e a chi non piaceva la cioccolata? Nel tempo aveva conosciuto solo una bambina tanto strana, almeno secondo lei, da ammetterlo. Attese tenendo lo sguardo fisso sul terreno e alcuni secondi più tardi l’intera famiglia venne accolta da uno dei domestici. Un uomo giovane, serio e che indossava un paio di pantaloni, una camicia e una cravatta bianchi ed eleganti. Mackenzie non l’aveva mai visto, ma lo stesso non valeva per Demi, che comunque non ne ricordava il nome.
“Sì, salve, siamo qui per…” provò a dire lei, sforzandosi di apparire cortese.
“Stia tranquilla, signorina Lovato. La sua amica la stava aspettando, e anzi, è già pronta a riceverla” le rispose l’uomo, tranquillo e imperturbabile. “Mi segua, prego.”
Le diede le spalle per guidarla oltre l’ingresso. Annuendo lentamente, Demi si affrettò a seguirlo e fatti pochi passi tutti si ritrovarono nel salotto. L’ambiente era arioso e pulito. Il pavimento era in marmo, così lucido che quasi risplendeva grazie ai raggi del sole che entravano dalla finestra. C’erano due divani e una poltrona, tutti in pelle, accanto a un caminetto ancora spento, e steso in terra un tappeto che aveva tutta l’aria di essere antico.
 
 
 
“I suoi ospiti, signorina” disse ancora l’uomo, il tono calmo e quasi privo d’emozione.
Chiusi in un rispettoso silenzio, né Demi né Andrew dissero nulla, ma scambiandosi una veloce occhiata d’intesa, dovettero ammettere di trovarlo strano. Prima dell’arrivo delle bambine, anche lei aveva avuto domestici a sua volta, ma mai un maggiordomo e nessuno di coloro che la aiutavano in casa avesse mai avuto un comportamento simile, freddo, anzi, quasi meccanico.
“Grazie, Albert, puoi andare” rispose la diretta interessata, distraendosi dalla rivista che leggeva.
Muto come un pesce, l’uomo annuì, poi sparì dalla loro vista. Seduto sul tappeto e ancora costretto dal guinzaglio, Batman si voltò verso i padroni.
“Qualcuno sa che sta succedendo?” pareva voler chiedere, confuso.
“Ne so quanto te, bello” gli rispose Andrew, sussurrando appena.
“Sul serio, Andrew? Perché sussurri? Riesco comunque a sentirti” replicò allora Selena, spostando lo sguardo dalla rivista al suo viso, scoprendolo ancora intento a parlottare col cane. “Andrew!” ritentò lei, più seria, stavolta.
Colto alla sprovvista lui s’irrigidì e sostenne il suo sguardo.
“Cosa? Cavolo, Sel, scusa, ero…” balbettò, facendosi pena.
Sempre al suo fianco, Demi finì per ridacchiare come una bambina, e unendosi all’ilarità dell’amica, anche Selena scoppiò a ridere. L’uomo arrossì.
“Non l’avevo mai visto, tutto qui.”
“È il mio maggiordomo, uno dei pochi domestici che ho oltre a una cuoca, un giardiniere e un paio di addetti alle pulizie. Ma spesso aiuto a cucinare, pulisco anche io, mi piace il giardinaggio e… insomma, non vorrei che pensaste che non faccio niente in casa.”
Lo disse senza rabbia, il tono calmo e un sorriso a illuminarle il volto. Di sicuro molte celebrità avevano una schiera di domestici, non solo quelli e in casa non facevano nulla, ma non lei e non Demi, quando ne aveva avuti. Le due, però, non si erano mai vantate di questo.
“Capisco” riprese Andrew. “Scusa, è che è una cosa particolare, non ci sono abituato.”
“Eh, immagino. Non preoccuparti. Sarei venuta anch’io ad aprire, ma lui ha insistito per andare da solo, così…”
“Non è una persona fredda?” chiese Demi, sperando di non offendere nessuno.
“No, è solo un’impressione. Lui ha frequentato una scuola per diventare maggiordomo, sapete? È stato lì che ha imparato come comportarsi, fa tutto parte del suo lavoro. Ma con me è sempre gentile, educato e a volte parliamo di tante cose. È una delle persone più simpatiche e intelligenti che conosca.”
Selena trattava i suoi domestici non solo come tali, ma anche come degli amici. Raccontò che, dato che quelle persone lavoravano per lei, le sembrava giusto dimostrare verso di loro un po’ di calore e non solo un lato più freddo e professionale. A volte, se non aveva ospiti, li invitava a mangiare con lei. Spesso lo faceva con Albert, meno con gli altri perché avevano famiglia e la sera tornavano a casa, ma ogni tanto a pranzo erano tutti insieme.
“Sei molto buona, Sel” considerò Demi. “Anch’io facevo così con i miei domestici.”
“Faccio solo quello che mi sembra giusto per ringraziarli. Alla fine, loro sono sempre corretti con me, lavorano bene, perciò mi pare il minimo. Anni fa, quando ho iniziato a invitarli a pranzo e a cena, non erano d’accordo, dicevano che andava contro le regole, ma alla fine si sono abituati. È bello mangiare in compagnia anche quando non ho qui i miei amici. Ah, servo sempre io la cena” concluse con un gran sorriso.
 
 
 
Per quanto la conversazione ai grandi potesse risultare interessante, Mackenzie trattenne a stento uno sbuffo. Dov’erano i cuccioli e la loro mamma? Era venuta lì per quello, non per parlare di maggiordomi e domestici.
Batman, che Demi liberò dal guinzaglio, si rotolò per terra mostrando la pancia.
“Ci sono anch’io. Qualcuno mi accarezzi, per favore!” sembrava dire, muovendosi quasi a scatti mentre cercava di grattarsi la schiena.
Avere il pelo riccio lo rendeva adorabile, ma cielo, alle volte diventava fastidioso. Detestava i nodi e al contrario adorava essere spazzolato dai padroni. Fra i tre, Mackenzie era la migliore. Ormai aveva perso il conto di quante volte avevano giocato insieme sul prato di casa, o corso l’uno al fianco dell’altra, lui con il suo guinzaglio e la lingua penzoloni, lei sulla sua bici, e ogni tanto anche Hope, che li seguiva sul proprio triciclo, ridendo e rischiando ogni volta di perdere il respiro. Lasciandosi vincere dalla sua tenerezza, Selena fu la prima ad accarezzarlo.
“Chi è un bravo cagnolino, Batman? Eh? Chi è un bravo cagnolino? Sei tu! Sei tu!” disse, parlando con quella solita vocetta stridula che di solito si riserva proprio agli animali.
Rialzatosi da terra, il cane si sporse per farle le feste. La ragazza quasi perse l’equilibrio, ma per fortuna il divano fu lì per sorreggerla. Le ginocchia lo colpirono con un tonfo sordo e, quasi senza respiro, Selena si ritrovò seduta.
“Stai bene?” le chiese Demi, la voce venata di preoccupazione.
“Sì, sì, non… non è niente. Mi ha preso alla sprovvista, questo mascalzone!” rispose l’amica, ancora divertita.
Batman si coprì il muso con una zampa e, quasi tremando, si nascose in un angolo della stanza. Non mancando di notarlo, Mackenzie fu lì per rassicurarlo, e pur lontana dagli adulti, colse stralci di conversazione.
“Sta andando tutto bene, per fortuna” diceva Selena, sorridente e sempre seduta sul divano.
“Ne siamo contenti, meno male” si limitò a risponderle Andrew, tranquillo.
Mac tornò indietro con Batman al seguito, e il cane quasi sparì in un corridoio vicino.
Dove sta andando? chiese, passando quel biglietto alla mamma.
Lei guardò l’amica alla ricerca di lumi.
“Deve aver trovato la camera dei cuccioli.”
“Cuccioli!” esclamò allora Hope, ancora al sicuro fra le braccia della mamma. Emozionata come quella mattina al giardino di casa, lottò per scendere dalle sue braccia.
Non appena i suoi piedini toccarono terra, seguì immediatamente Batman verso quella porta misteriosa e, trovandola chiusa, prese a bussare. Non sapeva perché, ma forse farlo avrebbe convinto chiunque fosse dall’altra parte ad aprirla.
“Hope, aspetta!” quasi urlò Andrew, per poi scoppiare in una fragorosa risata.
“Hope! Santo cielo, fermati!” riuscì appena a dire Demi, del tutto sconcertata.
Era piccola, certo, ma non era educato bussare alle porte della casa di qualcun altro.
Troppo divertita per arrabbiarsi, Selena rise per l’ennesima volta e, raggiunta la bambina, la pregò di spostarsi.
“Tranquilla, tesoro, l’apro io.”
Gli amici entrarono per primi, seguiti da Batman e dalle figlie. Grande e spaziosa, la stanza riusciva ad accogliere umani e animali, e sicuramente armata di diverse ricerche, Selena aveva costruito una specie di grande recinto in cui tutti e sette, otto se si contava anche la mamma, potevano muoversi in assoluta libertà. Sdraiata in un angolo, la madre lasciava giocare i piccoli. Alcuni di loro facevano la lotta, arrivando a mordersi e a urlare se finivano per farsi male, mentre altri avevano trovato ognuno un giocattolo. Calme come al solito, Angel e Lady si divertivano una con un orsetto di pezza, l’altra con un osso di gomma.
“Però! Questa è una sala giochi” commentò Andrew, stupito.
“Per cani, Andrew caro, ma hai ragione. Giocano anche da soli, ma ho perso il conto del tempo che passo qui dentro, ormai, a guardarli o a divertirmi con loro. Ogni tanto strimpello qualcosa lì al piano a questi meravigliosi animali, sapete?”
Selena si avvicinò al recinto e si abbassò per osservare meglio i piccoli. Pur notandola, non smisero di giocare. Era bello anche solo vederli e per il momento tanto le bastava. Mackenzie se ne stava un po' in disparte e si inginocchiava di tanto in tanto per mostrare loro le mani e salutarli. Del tutto presi dai loro passatempi, i cuccioli rimanevano dov’erano, ma lo stesso non valse per mamma Shirley, che si avvicinò piano, fino a sfiorare il recinto stesso.
“Ciao, bella” salutò Demi, felice di rivederla.
Abbassando le orecchie, del tutto rilassata, la cagnetta sembrò sorridere e, seduta composta, si lasciò accarezzare, mentre la ragazza le diceva che aveva uno dei manti più soffici che avesse mai sfiorato in vita sua. La cagnolina le leccò una mano. Che volesse ringraziarla a suo modo di quel complimento?
“Toccare?” tentò Hope, che intanto aveva preso a gironzolare per la stanza.
“Come no, piccola, certo” concesse Selena, vicina alla recinzione e pronta ad aprirne il cancello.
Una volta liberi, i sette cuccioli si dispersero nell’ambiente, felici di correre ed esplorare il resto della stanza. Curioso come sempre, Max si propose come guida del gruppo e, tutti insieme, i fratellini si fermarono accanto al pianoforte.
“Credi che lo apprezzino?” tentò a quel punto Demi, colpita dalle reazioni di ognuno.
“C’è solo un modo di scoprirlo.”
Selena si sedette e accarezzò appena i tasti, anche solo per provare. A sentire quel suono, i cuccioli e la mamma drizzarono le orecchie e, sorridendo, la ragazza iniziò il suo pezzo. Una melodia semplice, ormai incisa nella sua memoria come i tanti dischi che aveva prodotto nel tempo e che, una volta finita, la lasciò sorpresa e senza parole. Tutti i cagnolini l’avevano ascoltata davvero, e felici, ora abbaiavano. Se fossero stati umani avrebbero sicuramente applaudito, ma quello era chiedere troppo.
“Visto, Dem? Sono i miei migliori fan, che ti dicevo?” scherzò, non riuscendo a non ridere.
“Ne ero sicura, Sel. Gli animali adorano la musica rilassante, e anche Hope” le rispose e si avvicinò per stringerla in un delicato abbraccio.
“Ah sì? E cosa le suoni, le ninnenanne?” azzardò, prendendola bonariamente in giro.
“E se così fosse?”
Si finse offesa.
“Saresti la madre perfetta” si intromise Andrew, rimasto in silenzio fino a quel momento.
Le sfiorò una spalla e, voltandosi a guardarlo, solo allora lei notò la figlia minore, seduta sul tappeto della stanza intenta a giocare con i piccoli, che pur del tutto ignari della loro stazza e forza, era il caso di dirlo, continuavano a sbatterle addosso, sembrando tutti autoscontri. In ginocchio accanto alla sorella Mackenzie, che aveva trovato una pallina da tennis nel recinto dei piccoli, improvvisò una sessione di riporto. Poco le interessava chi avesse in bocca la pallina, l’importante era riaverla, così da continuare a giocare. Gelosi gli uni degli altri, anche se probabilmente per finta, i sette fratelli non si arrendevano e si davano battaglia alla ricerca di quella pallina, che nella foga qualche volta finì sotto un mobile. Piccolo e intelligente, Jet fu il primo a capire come riprenderla e, vittorioso, tornò subito dalla padroncina.
“Sono stato bravo? Mi fai le coccole?” parve chiedere, provando ad abbaiare mentre la teneva in bocca.
“Molto bravo” gli fece capire lei, accarezzandolo piano sulla testa.
Grato, il cucciolo abbassò le orecchie e, a occhi chiusi, lasciò andare la pallina. Velocissimo, si sforzò di riprenderla al volo, ma inciampando nel tappeto, ebbe come unico risultato quello di rovinare goffamente a terra.
Anche gli adulti presero a giocare con i cuccioli, lanciando loro dei giocattoli o tentando qualcosa di diverso come il tiro alla fune, benché più che di una corda si trattasse di vecchie paia di calzini legate insieme.
“Tira! Tira!” esclamavano i tre, tifando prima per l’uno o per l’altro piccolo, poi per la mamma.
Fra un gioco e l’altro, Demi sentì il cuore battere più forte e lo stesso valse per il compagno e l’amica, mentre i loro volti erano illuminati da continui sorrisi. Le due ragazze si sedettero su un divanetto e, poco dopo, un batuffolo bianco saltò in braccio a Demetria.
“Ma guarda chi è arrivato!” esclamò. “Pirate, se non erro.”
“Esatto, tua figlia l’ha chiamato così e ho tenuto tutti i nomi che ha scelto lei, mi pareva corretto. Ho notato che quando li chiamo rispondono, quindi vuol dire che riconoscono il proprio nome, anche se non sono rimasti molto tempo con Mackenzie.”
“In effetti hanno costruito un legame forte in tempi brevissimi. Mi stupisce.”
“A volte gli animali sanno sorprenderci” commentò Andrew. “E anche i bambini.”
Demetria accarezzò il cagnolino e gli grattò la testa e la schiena, come faceva sia con Batman che con Danny. Lui emise qualche mugolio di apprezzamento, ma il richiamo del gioco fu più forte dell’amore per le coccole, così saltò giù e si unì ai fratelli. La ragazza si alzò e si diresse da Shirley.
“E tu? Non giochi?” le chiese con dolcezza.
Trovata un’altra pallina da tennis, gliela lanciò e la cagnolina partì come un razzo al suo inseguimento, riportandogliela mentre agitava la coda.
“Bravissima, piccola! Ma quanto sei bella?” La coccolò e la riempì di bacini sulla testa, ai quali Shirley rispose con altrettante leccate al viso della ragazza, che rise nonostante la sensazione non proprio gradevole. “Sì, sì, ho capito che mi vuoi bene, te ne voglio anche io.”
La cagnolina si sedette di fronte a lei e le due rimasero lì, a guardarsi negli occhi, per minuti interi, senza muoversi né fiatare. In quelli di Shirley, la ragazza lesse un’infinita dolcezza, la stessa che riservava sia ai suoi piccoli che agli umani e che utilizzava per ringraziare, a modo suo, questi ultimi per aver accolto lei e i cuccioli e per prendersi cura di tutti e otto. Quel pensiero fu così potente che la fece commuovere e Shirley, notandolo, le posò una zampa sul ginocchio.
“Non è niente, piccola. Sono solo felice per voi, che abbiate una casa, che stiate bene, e anche di avervi incontrati.”
Dio li aveva messi sulla sua strada per una ragione, ne era convinta. Il loro incontro non era stato casuale. Restandole vicina, Shirley guardò i suoi piccoli.
“È difficile fare la mamma, vero?” le chiese Demi grattandole la testa. “Lo so, anche per me lo è, anche se ho solo due bambine. Non so come tu faccia con sette figli, ma dev’essere meraviglioso anche così.”
La cagnolina abbaiò e le saltò addosso. Ma all’improvviso tutto cambiò. Seppur sempre interessati a tante attività, ora i cuccioli avevano smesso di prendervi parte. Non facevano altro che girare in tondo, annusando il pavimento e scavando per terra.
“Oh cielo! Demi, Andrew, datemi una mano” esordì Selena, già decisa sul da farsi.
“Perché? Che succede?” azzardò quest’ultimo, non sapendo cosa pensare.
“La madre è più calma di loro, ma credo che debbano uscire. Di solito non fanno altro prima di sporcarmi il pavimento.”
Andando dritta verso la porta, Selena attraversò il corridoio alla ricerca di un guinzaglio per ognuno.
Demi sbarrò gli occhi.
“Ne hai davvero presi otto?”
“Certo. Uno per ognuno. Non li porto mai fuori tutti insieme, ma almeno so chi sto portando in base al colore. Vedi?”
Spostandosi leggermente dall’attaccapanni accanto alla porta d’ingresso, la ragazza mostrò una fila di guinzagli, tutti diversi e ognuno di una tonalità dell’arcobaleno. Era facile. Max aveva il rosso, Jet l’arancio, Bella il giallo, Lady il verde, Angel l’azzurro, Pirate l’indaco e ultimo, ma non per importanza Ghost, ben contento di farsi vedere in città con un guinzaglio viola. Diversa da tutti, invece, mamma Shirley ne aveva uno di cuoio marrone.
“Okay, molto interessante, ma ora…” provò a dire Demi, non riuscendo a terminare quella frase e quasi inciampando quando la cagnolina si frappose fra lei e la porta. Per un momento perse il fiato e respirò a fondo in cerca d’aria. “Devi spiegarmi come faremo.”
“Facile! Due a testa, vi tocca solo scegliere.”
“Va bene.”
Demi richiamò a sé due dei piccoli e agganciò un guinzaglio a ognuno, mentre cercava di ricordare quell’assurda filastrocca di colori.
Allora, a Max va il rosso, e se parliamo dell’arcobaleno, e Lady è la quarta… ragionò, restando in silenzio e parlando con se stessa.
“Bede” proruppe all’improvviso qualcuno, distraendola.
Lei si voltò di scatto. Era Hope, che a quasi due anni d’età e con un vocabolario ampio ma imperfetto, aveva ancora problemi con quella parola.
“Verde, tesoro, verde” la corresse, arruffandole i capelli. “Ma grazie!” non dimenticò di dirle, felice di aver trovato la soluzione a quell’enigma. Non sapeva se la figlia avesse seguito il suo ragionamento o meno, ma sicura che fosse impossibile dato che non si era espressa a voce alta, scartò quell’ipotesi, per poi capire che lo aveva soltanto indicato.  “Fatto, e adesso?” disse a Selena, portando con sé due guinzagli, e di conseguenza due cuccioli.
“Se riesci, tieni per mano Hope mentre aiuto Mackenzie. Andrew?” le rispose l’amica, per poi rivolgersi all’uomo.
“Sì?”
“Prima di andare, mi faresti un favore? Devo aver lasciato dei fogli sul pianoforte nella stanza, e credo che ci serviranno.”
Seguito dai cagnolini che aveva scelto di far passeggiare, Bella e Pirate, l’uomo eseguì. Al suo ritorno, Selena aprì la porta di casa e la passeggiata ebbe inizio. Accompagnata da Max e Lady, che tiravano per poter andare più veloci, Demi si sentì stupida, anche se a dire il vero ciò valeva per l’intera situazione. In totale imbarazzo, si ritrovò a guardarsi intorno più volte, nella forse vana speranza che nessuno li stesse osservando. Erano in cinque, quasi ognuno di loro aveva non uno ma ben due cani al guinzaglio, e come fanalino di coda c’era una bambina di due anni alla quale lei e Andrew dovevano prestare sempre attenzione mentre Batman, libero dal proprio e in testa alla marcia, guidava il branco. Poté solo immaginare gli sguardi e le risate della gente, ma abbassando lo sguardo verso il marciapiede raggiunto da poco, si impose di calmarsi.
“Smettila. Esci con Batman la mattina e quasi ogni pomeriggio e non ragioni in questo modo, che ti prende?” la redarguì una voce nella sua testa.
“Hai ragione” sussurrò di rimando, decisa.
E così com’erano arrivati, gli altri pensieri svanirono. Non le importava più di sembrare ridicola. Perché? Semplice. Era tutto normale. C’erano lei, il suo compagno, le due figlie e la migliore amica, e almeno in quel momento, un vero e proprio branco di altri amici.
La passeggiata proseguì senza problemi almeno finché Batman, furbo combinaguai, non ebbe un’idea. Abbaiando, indicò con lo sguardo un negozio a pochi passi da tutti loro, poi si fermò. Spinta dalla curiosità, Mackenzie fu la prima a indagare. Quello che avevano davanti era un negozio per animali, o almeno uno dei tre più conosciuti della zona.
“Ehi, bella mossa! Vuoi parlare tu al gestore, magari?” scherzò Selena, divertendosi a prenderlo in giro mentre si schermiva gli occhi dal sole.
Detto fatto: veloce come mai prima, nemmeno quando si trattava di acchiappare un qualunque giocattolo, il cane tolse un volantino dalle mani della ragazza e correndo verso l’ingresso del negozio, fermò il negoziante. Il signore sorrise e, accettando quel manifesto come un dono, sparì dentro per cercare qualcosa con cui appenderlo, probabilmente del nastro adesivo. Orgogliosa, Mackenzie lo richiamò a sé e, vinta dalla tentazione, lo ricoprì di coccole, regalandogli anche un ormai famoso biscottino spezzettato.
“Mac, questo cane è un genio.” Commentò ancora Selena, scioccata.
Lo so, ed è mio scrisse lei in risposta.
Il gruppo raggiunse gli altri due negozi e, divertiti dalle buffonate del capobranco, o dalla storia raccontata dai compagni umani e nascosta, anzi, racchiusa in quei volantini, gli altri commessi scelsero di aiutare come potevano, affiggendo quante più copie possibili, fino a lasciarli positivamente a mani vuote.
Sulla via del ritorno, Mackenzie fu la più felice di tutti. Nonna Dianna aveva detto il vero, le sue preghiere erano state ascoltate e il desiderio che aveva espresso era diventato realtà. Ora non restava che aspettare e vedere, sperando nella gentilezza degli estranei e nella scelta più giusta.
 
 
 
NOTE:
1. recinti uguali a quello in cui si trovano i cuccioli qui esistono e Victoria Stilwell li consiglia, per tenere d’occhio un nuovo cucciolo senza escluderlo dalla famiglia. L’alternativa era o questo, con loro e la mamma dentro, o la libertà di girare per la stanza, ma allora il pavimento avrebbe dovuto essere pieno di traversine assorbenti per cui Emma, più esperta di me, ha optato per la prima opzione.
2. Nel suo libro Dianna spiega che Demi le aveva parlato del bullismo che subiva, ma che lei non ci aveva dato molto peso dicendole di ignorare chi la offendeva. Solo dopo tempo si è resa davvero conto della situazione. Allora Demi aveva iniziato a soffrire di anoressia, ma anche se la madre aveva notato qualcosa, anche in questo caso non ci aveva dato peso. Anche lei era vittima di questo disturbo alimentare, oltre che di altri problemi, e nel libro scrive che era proprio la sua malattia a non farle vedere il problema.
3. L’episodio del compleanno è tratto dalla mia fanfiction Buon compleanno!
   
 
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