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Autore: Briseide    20/08/2009    5 recensioni
Post-Hogwarts. Pansy Parkinson e un matrimonio che non vuole da organizzare.
Blaise Zabini intorno a lei a renderle difficile il compito.
Millicent Bullstrode a rendere difficile il compito di Blaise Zabini.
E Draco Malfoy, che di sparire nel cassetto dei ricordi non vuole proprio saperne.
STORIA COMPLETA [revisione in corso]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blaise Zabini, Millicent Bullstrode | Coppie: Draco/Pansy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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The way we were

 

XIV

Nemesi storica

 

 

To find a queen without a king…

 

 

Pansy non riusciva a distogliere lo sguardo da Lucius Malfoy.
I suoi occhi non erano quelli di un figlio che aveva vissuto gli anni più difficili nel ricordo di suo padre, e non aveva riconosciuto Lucius fino a quando Draco lo aveva chiamato “papà” e si era perso in un abbraccio che aveva tutte le probabilità di essere il primo.
Ai propri occhi, quello che risaltava maggiormente era quanto Lucius fosse diverso dall’uomo che ricordava, che altero camminava in ogni posto come ne fosse il futuro padrone, accompagnandosi con un bastone, un ornamento più che un supporto di cui non aveva alcun bisogno.
L’uomo che aveva abbracciato Draco invece era infinitamente stanco, spogliato di ogni arroganza, e forse in tutto quello che aveva perso, non era neanche più tanto padrone di sé.
Però aveva conservato quella bellezza aristocratica e fredda di cui Pansy aveva soggezione e ammirazione, e nonostante avesse le ossa piegate dalla prigionia era ancora in piedi e dava ordini a suo figlio, aveva ancora la forza di stringere qualcuno tra le braccia, e i capelli biondi di sempre, accompagnati da una barba rada che Pansy non aveva mai visto sui lineamenti decisi e affilati del suo volto.
Aveva la voce arrochita da anni di silenzio, e gli occhi grigi velati dalle immagini dietro cui si era barricato per vincere la lotta all’autodistruzione, al logorio interiore che Azkaban scavava nell’anima dei suoi ospiti.
Pansy distolse presto lo sguardo, sentendosi di troppo in quel ricongiungimento ancestrale tra Draco e suo padre, e avvertì qualcosa pungerle il cuore quando d’improvviso le immagini di quei due uomini così vicini si confusero tra loro.
Mai in una vita avrebbe immaginato che le mani di Narcissa Black potessero quasi tremare, o che i suoi occhi freddi potessero adagiarsi carezzevoli su qualcuno in presenza di altri che non fossero un figlio e un marito.
Quasi inconsapevolmente Pansy arretrò di un passo, e poi di un altro, ripercorrendo la strada di prima, cercando nel corridoio aria sufficiente per respirare come si confà a chi è padrone di sé.
Le sembrava impossibile che Lucius Malfoy fosse tornato da Azkaban, tanto impossibile che qualcosa le impediva di esserne felice.
«Credevo che fosse preparata alla teatralità della nostra famiglia» la raggiunse la voce rude del prozio Wilbert, sfrattato dalla propria cornice dal padre di Lucius, poco prima.
Pansy sollevò la testa di colpo, spaventata.
L’uomo le sorrideva dal bordo della cornice, lisciando tra le dita la propria sciabola, incastonata.
«Ci sono più colpi di scena in una cena a casa Malfoy che in tre atti di un’operetta, le pare?» proseguì invitandola a prendere parte al proprio monologo.
Pansy annuì, guardandosi intorno, e scoprendo di avere addosso tutti gli sguardi della progenie Malfoy, con qualche comparsa Black, presenti nel corridoio. Rivolse un sorriso piuttosto esplicito a tutti loro, chiarendo che gli esami le erano sempre piaciuti poco.
«Si aspettava di trovarlo cadavere, non è vero?» domandò ancora il prozio Wilbert, provocando una risata sommessa da sua cugina, al suo fianco.
Pansy la incenerì con lo sguardo senza troppe remore, guadagnandosi senza saperlo le simpatie di Archibald Malfoy, che mai aveva sopportato le sciocche moine di sua sorella.
«Azkaban non è famosa per la sua clemenza» fece notare in propria difesa.
Le parve inutile spiegare a quella gente perché le risultasse più semplice prepararsi al peggio, piuttosto che crogiolarsi in speranze che mai si sarebbero avverate.
Wilbert affilò il proprio sguardo in direzione di Pansy, deponendo la sciabola al proprio posto.
Pansy non osò sperare che fosse un buon segno, per restare in tema.
«Lo diverrà il Ministro di Grazia e Giustizia, al suo posto» osservò sardonico un lontano barone, tre quadri più su. Wilbert ne rise, seguito da qualche altro esponente della fanteria Malfoy.
Poi calò il silenzio sul corridoio, da parte di tutti i ritratti, concentrati con i propri sguardi su Pansy, in attesa di leggere sul suo viso il barlume della comprensione.
Non tardò ad arrivare, compiacendo tutti loro sull’arguzia e la scaltrezza di quella che a nessuno sarebbe dispiaciuto accogliere nell’albero genealogico del casato.
«Miss, se mai deciderà di togliersi la vita, sappia che sarò bendisposto ad ospitarla nelle mie pittoresche dimore» le fece presente l’Archibald di poco prima, schiarendosi la voce.
Sua sorella lo guardò indignata, ancora offesa per l’occhiata torva che Pansy le aveva rivolto, ma dovette compiacersi di quella identica che riservò anche a suo fratello dopo la gentilezza di quell’invito.
«Non vorrei offendere i vostri gusti, ma trovo che i melodrammi siano fonte di imbarazzo per la dignità del genere umano» replicò leggermente stizzita Pansy, mentre cercava di non essere sopraffatta dal peso di quella notizia.
Nessuno torna da Azkaban senza pagarne il prezzo, neanche Lucius Malfoy e la sua abilità nella compravendita di valori e occasioni d’oro.
«Smettetela di importunare i nostri ospiti» si intromise imperiosa la voce di Narcissa, scivolando nel corridoio e mettendo a tacere illustri baroni e facoltose duchesse.
Pansy sussultò come scottata, quando sentì la mano di Narcissa posarsi sulla spalla, invitandola a seguirla, e tornare sui suoi passi.
«Hanno un concetto di ironia piuttosto discutibile» mormorò sottovoce, facendo intendere a Pansy di aver condiviso più di una volta i pensieri che in quei minuti le avevano attraversato la mente.
Pansy pensò di chiederle l’immane favore di non parlare in tono tanto confidenziale, di non toccarla in quel modo, di non sorriderle con quello sguardo sornione, di non rievocare i tempi in cui da piccola aveva sentito quel castello anche un po’ suo, perché a ben vedere la felicità di quel ritrovo la stava uccidendo lentamente, nel prendere atto che il ritorno di Lucius Malfoy l’avrebbe allontanata per sempre da Draco.

 

●●●

 

…wondered how tomorrow could ever follow today.

 

Narcissa ebbe l’impressione di avere qualcosa in comune con Pansy, dai primi tempi in cui lei e suo marito frequentavano i signori Parkinson, scambiandosi visite reciproche nei propri manieri.

Era quell’aria disincantata che le leggeva nello sguardo, quel suo modo di essere curiosa ma con cautela: le ricordavano la circospezione con cui da piccola si guardava intorno per prendere le misure, per essere certa di non inciampare goffamente come fanno tutti i bambini.

Allora lei era ancora una novella sposa, e già sapeva a cosa sarebbe andata incontro.

Pansy sembrava sicura delle sue intenzioni e consapevole dei rischi che avrebbe dovuto correre per ottenerle già da bambina.

Narcissa era stata più vezzeggiata di lei, e nel diventare una donna aveva conservato la morbida eleganza di chi non ha dovuto porre troppe domande per ottenere conferme, laddove Pansy opponeva recalcitrante la fierezza dell’orgoglio di chi ha dovuto rinunciare ad avere sicurezze dagli altri costruendosi da sola le proprie risposte.

Ma soprattutto, quello che Narcissa Black e Pansy Parkinson condividevano, era il pesante fardello dell’amare un certo tipo di uomo.

«Immagino che tu sia piuttosto confusa» mormorò Narcissa, facendole strada nei giardini interni del maniero.

Pansy concentrò lo sguardo sui propri passi. Il giardino era diverso da come lo ricordava, molto più selvaggio pur nella sua armonia di forme e di colori. Immaginò che tutti avessero avuto diverse distrazioni, negli ultimi tempi, e che avessero sprecato ogni loro forza nella cura del proprio personalissimo dolore piuttosto che negli alberi da frutto.

«Temo di non esserlo affatto, invece» rispose Pansy, sentendo qualcosa gravarle sul petto e impedirle di prendere ampi respiri. Cercò di non incontrare gli occhi di Narcissa, perché aveva una certa considerazione di lei, che a ben vedere sfiorava i picchi dell’adorazione, e avrebbe preferito non mostrarle quanto profonda potesse essere la ferita che aveva addosso.

Narcissa sorrise quietamente, come se tutto sommato avesse già capito le regole del gioco.

«Ero più che certa che Draco fosse con te».

«Lo hai reso piuttosto chiaro, nel tuo biglietto» mormorò Pansy imbarazzandosi al posto di Draco. Avvertiva una irrequietezza di fondo agitarsi in lei; percepiva lo scorrere dei minuti come una inarrestabile discesa verso la conclusione di qualcosa, e si dimenava tra il contrastante desiderio di porre fine a quel tormento e la speranza ridicola e tristemente umana che la fine ritardasse il più possibile.

I giardini erano avvolti nel silenzio, e Pansy si chiese di cosa stessero parlando Draco e Lucius nel salone, immaginando con quali sguardi si abituavano alla presenza reciproca.

«Hai mai pensato di non poterlo riavere?» domandò di colpo, sentendo le parole venire fuori dalle proprie labbra. Narcissa percepì su di sé lo sguardo bruciante di Pansy, e si sentì in dovere di essere sincera con lei, dovendoglielo come donna e come in parte responsabile di quella sua infelicità.

«… ho iniziato a considerare l’idea» ammise, cercando di arginare tutto quello che aveva accuratamente tenuto sotto chiave in quegli anni di solitudine, in cui si era tenuta occupata con la gestione degli affari di famiglia, perché mettere le mani tra le carte di Lucius si era rivelato essere uno dei pochi modi rimastole per sentirlo ancora vicino, forte e presente, nella sua quotidianità.

Sapeva di non poter mentire, con Pansy Parkinson, perché anche lei per molto tempo aveva imparato a convivere con il pensiero di Draco vedendolo ridursi giorno dopo giorno a ricordo.

Narcissa aveva trovato inconcepibile che accadesse, con Lucius.

Che suo marito divenisse una figura lontana e al margine della sua vita, l’immagine cui votare un pensiero la sera quando le incombenze della giornata erano concluse, il nome di cui parlare al passato, l’altra metà di se stessi atrofizzata dal gelo dell’assenza.

Merlino solo sapeva quanto lunghi erano stati i giorni, e quanto difficile restare in una casa permeata di ogni aspetto della vita di Lucius. In qualche modo sapeva che Pansy sarebbe stata perfettamente in grado di comprendere tutto quello, senza che lei dovesse sforzarsi di trovare parole, in ogni caso vuote e senza voce al confronto dell’intensità del sentimento.

«E cosa hai pensato di fare, allora?» domandò timidamente Pansy.

Aveva un disperato bisogno di prendere le misure anche lei con quello che le sarebbe spettato di lì a poco.

Narcissa estrasse la bacchetta dalla manica del proprio vestito, richiamando a sé un portasigarette nascosto in una fenditura del muro. Lucius trovava poco piacevole l’odore di fumo, e lì si chiudeva l’elenco dei segreti che Narcissa aveva con lui.

«Sono entrata nel suo studio e ho provato a mettere via la sua borsa da lavoro» rispose, espirando un po’ di fumo. Pansy cercò di immaginare Narcissa e le sue mani sottili avvolgere quella borsa da lavoro in un panno e riporla in un cassetto, lontana dagli occhi, e le sembrò un’eresia.

«Le sue piume e le boccette di inchiostro, le camicie nell’armadio, il suo bastone» proseguì Narcissa, scrollando della cenere a terra. Ne parlava con tono distante, quasi preferisse salvarsi relegandosi a spettatrice di quel tentativo sciocco e patetico, inutile.

Rise di sé, guardando lontano.

«Ho rimesso tutto a posto, la mattina dopo» concluse, sorridendole incredibilmente delicata.

Pansy notò per la prima volta quanto fosse fragile la sua bellezza, come bastasse un solco di dolore agli angoli degli occhi belli e glaciali perché si sfigurasse e tornasse disperatamente umana, come tutti gli uomini di questa Terra.

«Ho chiesto a Draco di prendere il bastone, e portarlo nel suo studio» ammorbidì la voce «Credo che lo abbia tenuto per sé». Pansy non sentì il bisogno di darle conferma, ricordandosi di averlo visto adagiato in uno studio che però era quello di Draco.

«Ma comunque» riprese quasi vergognandosi di quelle parole, «per quanto l’idea possa non piacerti, si sopravvive a tutto, anche ad una vita senza di loro».

Pansy comprese che avrebbe dovuto accettare quelle parole e custodirle da qualche parte dentro di sé, perché sarebbero state sempre il porto a cui tornare il giorno in cui avrebbe voluto salvarsi.

Quando si decise a sollevare lo sguardo, incontrò quello di Draco, inerme, che guardava dietro il vetro della finestra lei e sua madre.

Forse si chiedeva anche lui quali segreti si stessero raccontando, e quali consapevolezze Pansy avesse acquistato. Forse le stesse che suo padre gli aveva appena gettato addosso, perché la guardava come se quel vetro fosse acciaio e la vista iniziasse a sbiadirsi, tra loro.

Narcissa ricordò il giorno in cui aveva raggiunto suo marito, dietro quella stessa finestra, intento a fissare il giardino di cui si era preso cura per tutti quegli anni, che aveva coltivato e accudito come ogni progetto che entrambi avevano ideato e condiviso per loro figlio. Quel giorno gli occhi grigi di Lucius Malfoy erano della stessa tormentata intensità di quelli di suo figlio in quel momento. Narcissa si era accostata a lui, e Lucius, nel silenzio delle sue sconfitte, le aveva regalato la parte di sé che gli era rimasta, ad un passo dalla fine. “E’ stato un delirio di onnipotenza. Sono solo un uomo, Cissa. Ho sbagliato i conti. Cosa succede ad un uomo, quando sbaglia?” le aveva chiesto, con l’orrore nella voce.

Narcissa non aveva trovato risposta, perché le sembrava di aver commesso tutti gli sbagli che un uomo potesse commettere, scoprendo che suo padre e sua madre, la propria famiglia, le avevano insegnato soltanto ad occultarli e a fingere che non fossero mai stati commessi, e non le avessero minimamente insegnato a risolverli ed utilizzarli preziosamente, come garanzia che certi errori non si sarebbero ripetuti due volte, neanche con i propri figli.

Mai come quel giorno si era sentita del tutto abbandonata da un padre che invece l’aveva coperta di attenzioni fittizie, per tutta la vita.

«Mio padre non mi ha mai chiesto scusa, Pansy. Prima di morire mi ha guardato con occhi pieni di amore, dispiaciuto perché doveva lasciarmi, ma nella sincerità della sua morte non ha sentito di dovermi delle scuse. Penso molto a voi. Poveri ragazzi. Che cosa vi abbiamo fatto?” mormorò piena di rammarico e di dolore.

 

Pansy dal canto suo rimase lì dov’era, immobile, a fissare Draco e l’angoscia che gli leggeva addosso e che sentiva avvolgerla poco a poco. In attesa che il resto accadesse, con l’inevitabilità con cui gli errori svelano se stessi, cadendo senza freno su chi li ha commessi.

Qualche secondo dopo Astoria si materializzò alle spalle di Draco seguita dai suoi bauli ed elfi domestici. Pansy e Narcissa osservarono la scena dal giardino: il Draco sfinito, vinto dagli eventi, che si voltò per salutarla, e l’aria grave ma sicura di sé con cui Astoria posò le labbra su quelle di suo marito, senza accorgersi di tutto il resto, come se portasse il peso di una ricchezza con sé, di una ricchezza ben più grande del cerchietto d’oro che le fasciava l’anulare sinistro.

Lucius Malfoy apparve poco dopo, lasciando il salone, per andare incontro alla moglie di suo figlio che mai aveva conosciuto. Pansy fissò attentamente Astoria e il suo sorriso emozionato, nello stringere la mano di quel Lucius Malfoy di cui aveva tanto sentito parlare, ma non le sembrò affatto sorpresa né sbigottita di trovarlo in casa propria quando secondo la sentenza delle Corti unite del Wizengamot difficilmente la sua data di scarcerazione gli avrebbe permesso di vedere nascere un nipote.

Sembrava anzi che aspettasse quel momento, e che avesse sistemato i propri capelli per l’occasione.

A quel punto, Narcissa seppe di non dover aggiungere altro.

Sebbene da oltre il vetro Pansy non potesse sentire la voce di Astoria, annunciare tremante di aspettare il prossimo erede Malfoy, non sentì comunque alcun bisogno di riceverne conferma. La gestualità apparve molto chiara a tutti.

Prima che si smaterializzasse, incontrò lo sguardo di Draco, un’ultima volta.

La guardava e nei suoi occhi e nella tensione che sentiva addosso cercava di ricordarle che nonostante tutto non era cambiato niente rispetto a poche ore prima e a tutti quegli anni. Che era ancora suo, e che lei non sarebbe mai potuta appartenere a Theodore, e che avrebbero potuto sposarsi con altre persone, e fare figli, e costruire una famiglia con loro ma mai, mai nessuno sarebbe stato in grado di amarla quanto la amava lui.

 

●●●

 

Seems that the wrath of the Gods
Got a punch on the nose
and it started to flow;
I think I might be sinking.
Throw me a line if I reach it in time
I'll meet you up there where the path
Runs straight and high.

 

Di tradimenti Blaise Zabini poteva dirsi un grande esperto, essendo cresciuto sotto lo stesso tetto della più grande ingannatrice della storia; passando poi per i sette anni trascorsi nelle dimore Slytherin, senza contare le piacevolezze a cui si era lasciato andare senza per questo offrire garanzie di monogamia a nessuna che le condividesse con lui. E dato che non si conosce niente se non grazie al suo contrario, poteva dire di conoscere qualcosa anche in fatto di lealtà, e più perché aveva stretto quel rapporto a tre con Draco e Pansy, che per i dettami della logica Slytherin, a dirla tutta.

Ma a ben vedere, poteva avere solo due certezze, nella vita, nonostante fosse Blaise Zabini e sapesse ottenere le giuste promesse da chi gli viveva intorno. La prima certezza, riguardava Draco e Pansy, che mai avrebbero lasciato le sue spalle scoperte nel caso – improbabile – ce ne fosse mai stato bisogno, e la seconda era il brandy. Fedele compagno che mai lo aveva tradito in tutti quegli anni, continuava ad essere il suo interlocutore preferito, da quando si era del tutto disabituato alle velleità comunicative tipiche degli esseri umani.

Le sincerità delle persone lo mettevano a disagio, senza alcun dubbio.

A ragione di questo, quando quella sera rischiò di rovesciare per terra il brandy che aveva versato a se stesso nel solito bicchiere, Blaise Zabini si sarebbe alquanto innervosito, se la ragione dello sventato incidente non fosse stata Draco Malfoy.

«Per Merlino!» esclamò stranamente su di toni per la placida eleganza con cui esprimeva di solito le sue contrarietà. Draco non si scompose in alcuno stupore per l’evento, consapevole di avere un aspetto tanto terribile da poter giustificare una reazione del genere.

Blaise lo squadrò per qualche istante, cercando di capire se non avesse davanti una delle solite allucinazioni che lo coglievano dalla fine della guerra, come reflusso di quanto aveva visto accadere sotto i propri occhi e anche come effetto delle droghe che Warrington si premurava di fargli arrivare, puntuale come un orologio svizzero.

«Se Pansy fosse stata la ragione di questa spossatezza, avresti la cravatta di traverso e un’aria un po’ più appagata» osservò ragionando tra sé. Il lampo di dolore che attraversò lo sguardo di Draco nel sentir nominare Pansy lo convinse del fatto che quella sera avrebbe dovuto condividere la sua preziosa riserva con un vecchio amico.

«E’ tornato mio padre» sputò fuori Draco, raggiungendo a passi nervosi la finestra, spalancandola.

«In licenza?» domandò ironico Blaise, stemperando lo sgomento che lo aveva colto.

L’altro richiamò a sé con la bacchetta il pacchetto di sigarette dal primo cassetto del comodino di Blaise. «Serviti pure, è un piacere avertele offerte». Draco ne accese una, prendendo atto che non era affatto una sigaretta, e che Warrington fosse passato di lì recentemente.

«A che ti servono, me lo spieghi?» gli domandò, aspirando il fumo. Lo avvolse un profumo lontano ed esotico, un invito recondito a disperdersi nel nulla, ben diverso dal sapore agre e maschile del tabacco che fumava di solito. Blaise lo guardò sornione, accendendo una sigaretta a sua volta, certo che alla seconda boccata non avrebbe avuto bisogno di spiegare altro.

La perdizione era una delizia più voluttuosa del corpo di una donna tra le braccia, persino delle labbra di Daphne e dei luoghi inconsueti in cui amavano poggiarsi. Fare l’amore con Daphne lo appagava e lo faceva sentire bene per la durata di un amplesso, ma non gli dava la sensazione di salvezza che provava in quel modo.

Il corpo di Daphne poi era infinitamente bello ma troppo materiale, sotto le sue dita, e tra le sue gambe; che fosse una carezza o la contrazione dei muscoli nella tensione di un abbraccio, gli ricordava quanto tutto fosse reale, al punto da risultare anche doloroso, in fin dei conti.

Non avrebbe mai potuto perdersi in lei, perché doveva prestare attenzione a tutto il resto: ai confini da non lasciarle varcare, alla sapienza amatoria a cui doveva prestare fede, alle parti di sé che le concedeva di toccare, ma mai fino in fondo.

“E questa?” gli aveva domandato la sera prima, incontrando la cicatrice che aveva sulla nuca, nascosta dai capelli corvini, troppo corti per occultarla a dovere. La domanda era stata curiosa, perché non aveva idea del mondo che nascondeva un taglio tanto superficiale da essersi rimarginato senza troppe storie nel giro di poco tempo. Restava solo la cicatrice, e Blaise aveva fatto di tutto per non cedere alla banalità di quella situazione; per non dover spiegare che una cicatrice nasconde la ferita più profonda, che con ogni probabilità non può essere rimarginata, ed è pronta a sanguinare non appena chiunque cercherà di rimuoverne l’imperfezione dalla pelle altrimenti perfetta, integra, del proprio corpo.

Avrebbe dovuto spiegarle che, in una guerra, anche chi si ammanta della divisa splendente e brandisce l’arma del giusto, rinuncia alla propria irreprensibilità, e prima o dopo attacca qualcuno alle spalle. E avrebbe anche dovuto giustificare l’ironia con cui Daphne gli avrebbe fatto notare che Blaise Zabini non si sarebbe mai fatto prendere alle spalle.

Allora, avrebbe dovuto raccontarle di cosa avesse visto sotto i propri occhi, che lo avesse pietrificato a tal punto da dimenticare di proteggersi da una ferita, o peggio, una morte, da idiota sprovveduto come un Hufflepuff qualunque.

A quel punto spostò involontariamente i propri occhi su Draco, e se Daphne avesse potuto sentirlo, le avrebbe detto che proprio non poteva spiegarle tutto quello, perché non era disposto a raccontarlo neanche a Draco, di come fosse stato credere per quegli interminabili secondi che Pansy Parkinson fosse ai suoi piedi, riversa in terra come una persona qualsiasi, scomposta come mai era stata in vita, inerme come mai si era concessa di essere in tutti gli anni in cui l’aveva conosciuta.

E il corpo di Daphne stretto al proprio non cancellava il ricordo di quell’immagine, la fissità con cui si stampava prepotente davanti ai suoi occhi. Riusciva a dissiparla solo con una sigaretta di Warrington, che lo trasportava lontano dalla contingenza di quella vita, e lo stordiva con lusinghe remote, che parlavano di serenità e lo avvolgevano in quella dolce incoscienza per un po’. E quando l’effetto di abbandono terminava, e tutto tornava drasticamente sotto i suoi piedi, aveva imparato a fare affidamento sul brandy e il bruciore che gli lasciava in gola, che lo abituava a riprendere confidenza con le asprezze della vita reale.

Guardando le spalle di Draco, tese, e le sue labbra pallide contratte in una smorfia di rabbiosa sofferenza, Blaise si chiese se davvero avesse bisogno di tutto quello scetticismo, riguardo quella sigaretta contraffatta.

«Lo faccio per Warrington, è l’unico modo per farlo sentire ancora utile in questo mondo» rispose sarcastico, evitando la scomodità di una risposta già conosciuta. Draco sorrise senza allegria. «Che ci fa tuo padre qui?» domandò Blaise, tagliando corto.

«Nott» spiegò Draco seccamente, scagliando lontano la sigaretta. Blaise replicò con un silenzio piuttosto funebre. «Astoria è incinta» aggiunse Draco, per rendere chiaro l’ultimo passaggio dell’equazione che Blaise stava risolvendo a mente.

A quel punto Blaise versò dell’altro brandy nel bicchiere che aveva preparato prima per sé, e poi lo passò a Draco con fare pratico.

«Manda giù» lo invitò con voce infinitamente stanca. Sopravvivere era di gran lunga più difficile che chiudere gli occhi e lasciarsi morire, eppure era ancora la cosa più inevitabile che tutti loro potessero fare, a quanto sembrava. Draco accettò il bicchiere, distrattamente. Pensava che una nuova vita stava per nascere, e che ne era stato in parte creatore, mentre lui era nauseato e stanco della propria.

Si chiese se un figlio sarebbe stato in grado di percepire quel pensiero.

Poi si ricordò di se stesso, bambino, e comprese che avrebbe dovuto affinare la propria arte del fingere.

«E’ scortese chiederti come hai fatto ad essere così imbecille?» proruppe Blaise senza alcuna delicatezza. Draco lo guardò spiazzato per la seconda volta nel giro di pochi minuti, registrando che mai era capitato né a lui né a Pansy di potersi meravigliare di qualcosa di detto o fatto da Blaise. E invece era la seconda volta e in ogni caso non poteva dargli torto né difendersi in alcun modo.

Blaise vide Draco serrare la mascella e ripetersi la stessa domanda. Chissà da quante ore se la stava ponendo. Chissà quanto aveva già deciso che non si sarebbe mai perdonato. La leggerezza con cui aveva assecondato accondiscendente i desideri di una moglie esasperante, senza tenere di conto che anche l’essere più mefitico del pianeta ha un cervello per elaborare progetti. Avrebbe dovuto prestare più attenzione alle sue parole, alle allusioni a quella vita insieme, avrebbe dovuto ricordarsi che il semplice fatto che lui non la avesse mai amata, non rendeva altrettanto ovvio il fatto che Astoria serbasse odio o indifferenza nei suoi confronti.

Blaise lo guardava severamente, e nell’ombra del suo sguardo Draco poteva scorgere ugualmente il rammarico per quella incapacità dei suoi migliori amici di sapersi conquistare le proprie felicità.

«Non so che fare» mormorò Draco, passandosi una mano sul mento; le dita incontrarono la ruvidità della barba che aveva dimenticato di radere negli ultimi giorni. Astoria glielo aveva ripetuto ogni giorno e lui ostinato l’aveva ignorata. Blaise si lasciò sfuggire uno sbuffo di amaro sarcasmo. «Ho il sospetto che tuo padre abbia detto la stessa cosa a Narcissa, prima di finire per immolare suo figlio per i piaceri del suo Padrone» commentò tagliente.

Draco lo guardò pieno di sconforto e allo stremo delle forze.

Tutte le energie guadagnate nell’avere Pansy al fianco, lungo il corridoio di Malfoy Manor; quella piacevolezza che aveva ammorbidito un cuore pieno di insoddisfazioni e risentimenti nel fare di nuovo l’amore con lei e portarla di nuovo in casa propria, si erano dissolte nel giro di un pomeriggio.

«Potresti dirmi qualcosa che già non so, Blaise?» replicò nervoso, forse addirittura arrabbiato, come il leone che si ritrova in gabbia e non sa come uscirne.

Blaise scrollò le spalle, rassegnato a non avere notizie nuove e confortanti.

«Mi viene solo in mente che—» fece per dire, ma Draco non lo stava già ascoltando, del tutto perso nell’immensità di quel disastro.

«Astoria aspetta un figlio, per Diana! Non ho mai imparato ad esserne uno, e adesso addirittura lo metto al mondo!» urlò, e Blaise era un abile conoscitore delle psicologie inverse di Draco, abbastanza da capire che dietro tutta quella rabbia e frustrazione non c’era altro che panico e angoscia per una situazione più grande di lui, l’ennesima.

«Probabilmente sei troppo agitato per cogliere la perfetta architettura del tutto» gli fece notare Blaise «la sagacia di Abraham Nott nel muovere le sue pedine, e il moralismo della famiglia Greengrass per fare scacco matto» proseguì, del tutto assorto nei suoi giri di pensiero. Razionalizzare lo aiutava a sopravvivere nel tumulto delle emozioni, a differenza di Draco, che era drasticamente simile al vorrei ma non posso gestire qualcosa senza perdere la testa all’ultimo minuto di suo padre. «Lucius Malfoy torna a casa per sentenza del Ministro di Grazia e giustizia, profumatamente ricompensato dal signor Nott, e tua moglie correda il quadretto familiare con un pargolo in arrivo, che porterà gioia alle prossime cene di Natale» illustrò in modo fin troppo vivido secondo Draco. Si sentì assalire da una profonda infelicità.

«E’ stato terribile vivere senza un padre pur avendone uno, no? Non saresti mai in grado di abbandonare tuo figlio, condannandolo alle tue stesse tristi sofferenze» si avviò alla conclusione Blaise. Si versò ancora del brandy, e lo mandò giù in un solo sorso, perfettamente allenato. Poi tornò a guardare Draco, senza la pretesa di nascondergli niente di quanto lo aspettasse, per quanto fosse certo che la sua mente arguta avesse già eseguito tutti quei ragionamenti. «E qualora prendessi in considerazione l’idea di farlo, di lasciare tua moglie e tuo figlio da soli… la sentenza verrebbe revocata, e Lucius Malfoy tornerebbe nei recessi di Azkaban fino a—» a quel punto Draco alzò una mano, per fermarlo.

«Ho capito, Blaise, ho capito da prima che ti esibissi tu!» sputò fuori Draco, lasciandosi cadere sul letto, le mani tra i capelli, in una posa struggente perché sincera.

Blaise abbassò il proprio bicchiere, e si sedette accanto a lui.

Lentamente il bicchiere scivolò dalle sue dita, mentre Blaise giaceva lì, accanto al suo compagno burattino, dai fili recisi.

«Blaise» lo chiamò Draco, senza trovare il coraggio di alzare anche solo lo sguardo.

«Vuoi che ti uccida?» chiese con un’ironia lugubre.

«No, passami una sigaretta» replicò l’altro, la voce ridotta ad un sussurro, perché parlare avrebbe dato solo più concretezza alla loro vita, ricordando ad entrambi di essere capaci di intendere e soprattutto di volere. Se avesse potuto non avere davvero scelte, forse si sarebbe sentito meno iniquo di fronte a tutto quello. Poi però pensava alla scelta che aveva fatto anni addietro, agli occhi di Pansy il giorno in cui lo aveva capito e per timore non gli aveva chiesto conferme, e pensò a tutte le altre scelte che avrebbe potuto compiere con lei, e si disse che non era sbagliato scegliere. Era soltanto terribile sapere di averne la possibilità ma non il diritto.

«Quelle di Warrington» aggiunse, strappando a Blaise un sorriso mesto.

 

●●●

 

Spent my days with a woman unkind,
Smoked my stuff and drank all my wine.
Made up my mind to make a new start,
Going To California with an aching in my heart.
Someone told me there's a girl out there
with love in her eyes and flowers in her hair

[Led Zeppelin – Going to California][1]

 

 

Theodore Nott trascorse, con precisione, quindici minuti fuori dalla porta della propria camera da letto, quella sera.

Suo nonno lo aveva convocato nel suo ufficio per dargli di persona la lieta notizia: Astoria Greengrass in Malfoy avrebbe dato alla luce un bambino. Theodore gli aveva impedito di aggiungere altro sbattendogli sotto il naso la prima pagina della Gazzetta del Profeta, edizione speciale. Interamente dedicata alla scarcerazione di Lucius Malfoy, per una collaborazione dell’ultimo minuto e per alcuni revisionismi degli atti del processo.

Tutta la Londra magica era indignata, e poteva immaginare il trio Gryffindor, che ora era diventato una famiglia, con a capo Harry Potter, fremere di rabbia e sguinzagliare i migliori amici avvocati per cercare di ottenere una revoca alla sentenza.

A Theodore non interessava però del magnificente trio e di come si leccasse le ferite di una guerra, chiuso nella sua torre, con l’ultimo piano nel regno dei cieli.

«Morirai senza aver sentito il mio ringraziamento, per questo» gli comunicò livido di rabbia, sbattendo la porta del suo studio. Abraham Nott non aveva proferito parola, soddisfatto della propria influenza recentemente messa alla prova, e stanco di dover fare i conti con i diversi approcci alla vita che aveva con suo nipote.

«Theodore è lì al Maniero?» aveva domandato dieci minuti più tardi la testa di Tracey Davis, stranamente timida, dal camino del soggiorno. Il signor Nott l’aveva squadrata sospettoso, prima di sospirare pesantemente, e chiudere gli occhi su quella giornata.

«Recita il lamento dietro la porta dell’amata, Miss Davis» le comunicò. Aprì un occhio. «Se si tratta di affari, prenderò le sue veci».

Tracey scosse la testa, ritirandosi nella stanza in affitto che occupava in attesa della firma sulle carte dell’ultimo divorzio.

«Gli faccia sapere che se smettesse di lamentarsi e bussasse alla porta, si aprirebbe con più probabilità» rispose con un sorriso ambiguo. «Parlavo della mia porta, ovviamente» aggiunse, lanciando un’occhiata incredibilmente sincera in direzione del patriarca. Abraham la guardò per alcuni istanti, del tutto allibito, chiedendosi se la vecchiaia non gli giocasse brutti scherzi. Poi riconobbe in quegli occhi la luce che aveva letto in quelli di sua moglie, il giorno in cui l’aveva chiesta in sposa e con un cenno del capo salutò Miss Davis, tornando a chiudere gli occhi, stavolta sui propri ricordi.

 

Quindici minuti più tardi, Theodore si decise a bussare alla porta.
«Pans, sono io» si annunciò, facendo leva sulla maniglia.
Trovò la sua quasi – moglie in piedi sulla cassapanca ai piedi del letto, con indosso il suo abito da sposa. L’immagine ferì il suo sguardo e sentì una quieta tristezza inondargli il cuore, quando guardandola in viso, per metà nell’oscurità, comprese che quella sarebbe stata la prima e ultima volta che le avrebbe visto quel vestito addosso.
«Non avresti dovuto vederlo» mormorò lei, voltandosi verso Theodore. Aveva la voce flebile e la pelle bianca. Non aveva mai visto quella fragilità in Pansy Parkinson, sempre intrattabile negli anni di Caposcuola e sarcastica in quelli normali; sfuggente negli anni del loro fidanzamento, silenziosa nelle loro notti d’amore, ma sempre forte delle sue volontà, sempre capace di provocare suo nonno e sostenere velate discussioni con lui.
«Non avrei neanche dovuto chiederti di sposarmi» aggiunse pieno di rammarico, ma anche di tenerezza. Per le proprie illusioni, e per la tristezza di Pansy.
A quelle parole Pansy vacillò su quella cassapanca, schiacciata dal peso della verità e anche dal senso di colpa che era tornato a stringerle la gola. Se ancora non aveva pianto, forse era perché neanche si sentiva legittimata a farlo. Di certo non in casa di Theodore.
Lui si avvicinò, lentamente, come se i ruoli fossero invertiti e lungo la navata della chiesa che avrebbe ospitato la loro unione, fosse stato lui ad andarle incontro, divorando ogni passo con l’impazienza dell’innamorato, che vuole solo le labbra e la vita della donna che ha di fronte.
La sua sposa aveva lo sguardo smarrito e pieno di lacrime che non avrebbe pianto, e lui continuava a trovarla bella anche consunta da quel dolore antico e privato.
«Le cose sarebbero andate diversamente, forse» disse lei, parlando più a se stessa che a Theodore. Lui non rispose, concentrato sulla sacralità dell’evento. Se non fosse esistito Draco Malfoy; se lei non lo avesse mai amato; o se non lo avesse mai ritrovato, riuscendo a tenere chiuso quel cassetto in cui aveva riposto il pensiero di lui.
«Tu non avresti voluto niente di diverso, Pansy» rispose per lei Theodore, porgendole la mano perché scendesse da lì sopra e lo raggiungesse, per una volta, restando con lui allo stesso livello. «E’ la tua condanna» proseguì troppo dolcemente perché non potesse comunque prendersi la giusta rivincita che gli spettava, dicendole la verità tanto scomoda a cui lei aveva cercato di non dare voce e di ignorare «… vivere di assoluti».
Pansy lo guardò, senza dire niente, perché non c’era altro da aggiungere.
Sentiva qualcosa trafiggerla da qualche parte, forse ovunque.
Theodore si sporse verso di lei, ancora preso a celebrare quel matrimonio fittizio; le dita ad imprigionare una ciocca dei capelli neri di Pansy, riportati al loro posto, come avrebbe fatto il giorno del matrimonio, o in una tranquilla serata in casa, dividendo con lei il divano della sala da pranzo. Ma poi, ad un passo dalle sue labbra, dal bacio che avrebbe dovuto renderla sua moglie, la consegnò al proprio rivale. Con una cavalleria che, sapeva, Pansy non gli avrebbe mai permesso, se davvero avessero raggiunto il giorno delle nozze.
«E’ l’uomo della tua vita?» domandò, sfiorandole quasi le labbra.
Se l’avesse baciata, si sarebbe ritrovato tra le labbra il nome di Draco.
Solo per questo aspettò la sua risposta, mettendosi in salvo da un dolore immeritato.
Pansy annuì, scoprendosi atterrita nel dirlo, perché quella era la sua vita e non poteva averne un’altra, in cui essere felice con un uomo diverso da Draco, che sarebbe stato suo. Semplicemente, non ne aveva un’altra.
E Theodore si chiese fino a che punto potesse mancare di rispetto a se stesso, nell’allungare una mano a toccare Pansy e stringerle la spalla, in un gesto lontano dall’immaginario di due sposi, ma infinitamente più onesto e vicino.
Si rispose, comprendendo che in fin dei conti fosse quello il suo piacere, nel posare la mano sulla spalla di Pansy, e di non avere niente da rimproverarsi per questo.
Aveva voluto renderla felice, ma la violenza dei singhiozzi che avevano scosso di colpo le spalle di Pansy, gli dava la rassegnata certezza di non poterne avere i mezzi, né ora né mai.

Lo accettò, come si accetta ciò di cui non si ha colpa, salvato dalla propria innocenza.

[2]

 



[1] Inserisco una nota perché questa canzone fa parte di quelle cose belle che è dovere condividere.

Qui (http://www.ba.infn.it/~abruno/index_file/led_zeppelin.htm#Going%20To%20California) trovate testo completo e traduzione; e qui (http://www.youtube.com/watch?v=JkCt5HOqR-Q) trovate la meraviglia che è la canzone in sé. Non farò testo, perché amo i Led Zeppelin, ma credo che questa canzone sia qualcosa di oggettivamente prezioso.

[2] Come avrete notato, Lucius Malfoy in questa storia è stato condannato e imprigionato ad Azkaban dopo la fine del settimo libro. Aggiungerò la nota AU alla storia, perché con questo lo è diventata a tutti gli effetti. Aggiungo una nota qui per spiegare il motivo di tale scelta, saltate ovviamente se non vi interessa XD
A parte la poca tolleranza che ho verso Potter, ho trovato la scelta della Rowling un po’ azzardata. Lucius Malfoy ha compiuto molti crimini nel corso della sua vita, e ogni crimine se è un assassinio ha come prima conseguenza la morte di qualcuno, e la perdita per qualcun altro. Quindi ho trovato poco giusto che Potter decidesse per molti. Ci sono molte persone coinvolte, e per un Potter che decide di poter accettare, potrebbe esserci qualcun altro che voglia giustizia per la morte di chi ha perso. Quindi ho immaginato che Lucius subisse un processo e una relativa condanna, perché le conseguenze delle proprie azioni vanno pagate ^^ in rispetto di chi ci è andato di mezzo, come minimo. Che sia bastata la testimonianza di Potter, è raccapricciante, a mio modo di vedere le cose, quindi le ho cambiate. È una licenza autorale che chissà se potevo prendermi, forse sì ma solo perché è una fan fiction. Ed è raccapricciante anche che sempre per quella singola testimonianza, si sia addirittura passati ad una assenza totale di condanna. Non una riduzione della pena, ma proprio ZERO? Mah. Amo Lucius alla follia, ma non per questo lo giustificherò mai per quello che ha fatto ^^  Detto ciò, vi direte: “tutta sta storia sul concetto di giustizia, e poi lo scagioni comunque solo perché Nott senior schiocca le dita?”. Ebbene, mi sembra tristemente verosimile anche questo, purtroppo. Che basta relativamente poco eticamente parlando perché chi debbs pagare i propri crimini alla fine non li paghi affatto. Questa è solo una storia, non ha la pretesa di essere una denuncia sociale XD ma non lo trovo poi così improbabile, che in certi ambienti e tra certe persone si combinino impicci del genere.

Fine della tediosa annotazione :P ovviamente se avete letto e discordate siete sempre liberi di inveire contro di me, ma anche di aprire un tranquillo dibattito XD Vi lascio con i dovutissimi ringraziamenti per le recensioni *__*

 

 

 Thanks to:

Meredith91: *blush!* Grazie, davvero. Non so che dire. Sul lieto fine non mi esprimo, perchè mi rendo conto di avere una concezione di felicità un pò traslata, nella vita XD ma a breve lo scoprirari, perchè la storia è agli sgoccioli. Mi mancherà la fatica per partorire ogni capitolo, devo dire XD Al prossimo capitolo, e grazie di nuovo :)

sweetchiara: Il viaggio è andato meglio di quanto temessi (... forse dovrei dire "aspettassi"), ma ora mi tocca tornare a lavorare anche a me, oltre che ad aprire i libri per le delizie della sessione tardo-estiva simil-autunnale che dir si voglia u_u La vita è dura, vero? u_u 
Lucius è stato un colpo di scena anche per me, quando si è affacciato nella mia testa chiedendomi una parte. Mi ha ricordato che Draco ha le sue paturnie siglate Malfoy per un motivo ben preciso, quindi gli ho ceduto la parte che gli spettava =P Ho amato che abbia detto che Draco è umano, è esattamente come lo vedo io. Lo è, e non può farci niente. Sono un pò incerta su queste parti della storia proprio perchè il rapporto Draco/Lucius è delicato, mi sembra siano due grandi e forti umanità che si scontrano e poi si incontrano, e per questo non mi sento minimamente all'altezza nel trattarle XD ma necessità fa virtù, ed è vero che secondo me nel parlare di Draco non si può non tenere conto di Lucius.
Blaise è la mia sponda, gli invidio il suo sarcasmo, perchè lui può abusarne quanto vuole e non avrà mai una vita meno fittizia in cui qualcuno gli dica quanto è stronzo, a dfferenza della sottoscritta XD Nel prossimo capitolo avrà la sua parte, te lo spedisco tutto impacchettato nel suo profumo. Un bacio :*

Nissa: ... *sine verba* Il paragone su Millicent è perfetto, sai? Io lei la immagino proprio così, che poi è quello che la rende tanto indispensabile per tutti. Se non ci fosse lei, per dirne una, Pansy si sarebbe persa molte volte. E tutto sommato credo che anche Blaise abbia bisogno di essere "amato" nel modo in cui lo ama Millicent, anche se poi non lo condividerà con lei. Penso che Millicent abbia una delicatezza particolare in una Slytherin. In termini più affettuosi e meno insultanti, è finita in Slytherin così come Cho e la sua idiozia sono finite in Ravenclew. Tracey va capita (... e sopportata), poverina. Cerca in tutti i modi di farsi capire da chi le interessa, ma hanno un linguaggio terribilmente diverso :P E la digressione su Malfoy Manor è stato un mio personalissimo capriccio a cui ho voluto/dovuto cedere XD Mi sono sempre immaginata Pansy lì dentro, ce la vedo bene *_* Grazie per la recensione, e come vedi sono stata attenta agli arabi XD alla fine ho pensato che il rapimento poteva essere rimandato ._. Ho una storia da finire! XD Un bacio :*

Entreri: Mi rende felice il tuo amore per Theo :) Lo condivido, penso che sia una persona rara. E il suo rapporto con Pansy in effetti c'è eccome, non è fittizio come lo vede suo nonno o come Pansy si racconta certe volte. Secondo me è solo molto diverso rispetto a quello che ci si aspetterebbe da due persone in procinto di sposarsi. E dal mio punto di vista, è vero quel che dici sull'eterna sfida con Draco, ma credo anche che Theo abbia tutti i mezzi per vincere qualche sfida con Draco :P Però è come se li concentrasse negli aspetti sbagliati. La Theo/Pansy potresti averla sul serio, sai? XD In realtà presi come due persone e non come coppia ufficiale, hanno molto da darsi a vicenda, in chissà quante forme e modi! Theo merita tanta tanta felicità poi *__* Spero di incontrare un Theo prima o poi nella vita XD 

Inconcludenti chiacchiere di Bri.
La storia è quasi finita sul serio (anche se non so quanto impiegherò a scrivere quanto ho deciso XD anche perchè sto scrivendo qualcos'altro di nuovo in contemporanea, e se Draco e Pansy sono complicati, una original è anche peggio) e un pò mi dispiace ç_ç mi sono affezionata a questi Slytherin faticosi e complessi, e anche a voi (a tal proposito, per qualsiasi cosa la mia email è lì a disposizione). Questi dieci giorni in Sicilia sono stati devastanti ma anche molto istruttivi del resto, mi hanno dato molti spunti. La Sicilia è un posto incredibile *_* una terra particolare, piena di odori, colori, suoni, profoumi, così attaccata per le radici, e di colpo selvaggia. Mi sono spinta fino alla punta più orientale, guardando fisso l'orizzonte da Portopalo, sapendo che dopo ci sarebbe stata l'Africa, ed è stato veramente spettacolare. E' un posto che ti riempie, ecco. Tutto questo per dire che? Niente XD Ma mi andava di condividerlo con voi :)

Al prossimo aggiornamento, lettori :*

  
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