Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
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Autore: steffirah    25/10/2020    3 recensioni
Una volta iscrittosi all'università, Syaoran si trasferisce in un nuovo appartamento con due coinquilini e mezzo, e si ritrova a vivere esperienze del tutto impreviste. La sua vita però cambierà del tutto quando verrà assunto per lavorare presso una persona con cui non sapeva neppure di aver instaurato un legame... Un legame che lo riporterà alle sue origini, spingendolo a trovare quella famiglia che gli manca.
Genere: Generale, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fay D. Flourite, Kurogane, Sakura, Syaoran
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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XII



 
 
 
«Sakura, pensi che ti permettano di uscire venerdì prossimo?» 
Fisso Syaoran confusa, non aspettandomi quella domanda. 
«Potrei provare a chiedere. Non hai i corsi da seguire, all’università?» 
Da quando sono ricominciate le sue lezioni, purtroppo, le nostre sessioni di studio si sono drasticamente ridotte. Secondo Syaoran non è un problema, perché sono poche, a suo parere, le carenze che ho. E la mia mente può anche dargli ragione, ma il mio cuore non ci riesce. Del fatto che le sue visite si siano ridotte, che trascorriamo meno tempo insieme, ne risento eccome.
Il mio cuore sembra piangere ogni volta in cui siamo lontani, mi rattristo, mi incupisco, e non faccio che chiudermi in un egoismo represso. So che non posso esigere più di così. Per quanto vorrei che stessimo costantemente insieme, non posso pretendere tanto. Non devo legarlo a me, devo lasciargli il suo spazio, senza opprimerlo o imporgli la mia presenza. D’altronde, in questi giorni ha anche cominciato un seminario che attendeva con trepidazione, e ogni volta che viene da noi dopo averlo seguito, se gli chiedo com’è andata, i suoi occhi si illuminano e ne parla con grande entusiasmo. A quanto pare è stato organizzato dal suo docente preferito, un certo Arisugawa-sensei, ed è stato chiesto di partecipare a due fratelli, un ricercatore e un collezionista rinomati in campo archeologico, chiamati Seishirō e Fūma. Sembra che entrambi siano molto d’ispirazione per Syaoran. 
«Kuzuki-sensei e Kishu-sensei hanno cancellato le lezioni, per una conferenza a Kyoto.» 
Syaoran mi ha parlato di tutti i suoi docenti, e questi rientrano tra i più bravi a sua detta. Se non ricordo male, il primo dovrebbe insegnare religioni e filosofie, la seconda antropologia. 
«E avendo la giornata libera, alcuni miei amici hanno pensato di approfittarne per uscire. Vorresti venire con noi?» 
Sbatto le palpebre, chiedendomi se non ho sentito male. 
«Lo so che probabilmente potresti sentirti a disagio, ma ti assicuro che sono tutte brave persone. E ti presenterò come una mia amica d’infanzia della mia precedente città, sanno che non sono originario di Tokyo e potrebbe sembrare credibile. Sarai Hana per tutto il giorno, però -» 
Scatto in piedi, esclamando con foga: «Sì! Voglio venirci!» 
Una giornata intera con Syaoran! Dopo tutto questo tempo! E mi presenterà nuove persone! Avrò nuovi amici, che non mi giudicheranno, né tenteranno di approfittare di me! Perché so che Syaoran mi proteggerà. 
«Sicura che non sia un problema?» 
«Sicurissima!» affermo con certezza. «Non vedo l’ora! Che cosa faremo?» 
Lo vedo poggiarsi alla sedia, con aria riflessiva. 
«Onestamente, non ne ho idea. Forse andremo al karaoke per stare al chiuso, e poi a mangiare del ramen.»
«Adoro cantare!» approvo contenta. «E il ramen non l’ho mai mangiato!»
«Non l’hai mai mangiato?!» ripete, sgranando gli occhi per l’incredulità. 
Mi risiedo composta, spiegando contrariata: «Non è previsto nel nostro menù. So come è fatto solo per averlo visto in qualche pubblicità». 
Lo vedo aggrottare la fronte, sembrandone turbato. 
Abbassa di poco la voce, esordendo con: «Sakura, tu…» Scuote poi la testa, volendo evidentemente lasciar perdere, ma ormai mi ha incuriosita. 
«Puoi dirmi quello che vuoi, non mi arrabbio.»
«Non credo ti arrabbieresti. Non voglio rattristarti.» 
Giocherella con la penna, sembrando immerso nei suoi pensieri, mentre io attendo che prosegua. Rattristarmi? 
Prende un respiro, sollevando gli occhi nei miei. Attraverso quelle spettacolari iridi ambrate, vedo tutta la sua indecisione e una traccia di mestizia. 
«La tua vita è immersa nella sfarzosità, e per questo chi viene da fuori penserebbe che qualunque tua richiesta venga assecondata, ma in realtà… di quante cose sei stata privata?» 
Riesco a rivolgergli un piccolo sorriso, spostando lo sguardo verso le nuvole aranciate oltre la finestra. So che la sua non è pena, ma un mero dispiacere.
«Di quelle più semplici.» Di quelle che sono alla base della felicità. 
Rendendomi conto di suonare mogia e rassegnata mi schiarisco la voce, tornando da lui; gli sorrido grata, parlandogli con onestà.
«Ma tu me le stai donando, poco alla volta. Stai illuminando la mia vita con tanti, piccoli, semplici momenti di gioia.» 
Lui schiude le labbra, sorpreso, stendendole poi in un minuscolo sorriso. Mi prende una mano, con la sua caratteristica delicatezza, e ne sfiora le nocche, riducendomi il cuore in poltiglia. Non ho proprio idea di come ci riesca, anche con le più minuscole azioni. 
«Sai che ogni volta che desideri qualcosa puoi dirmelo, vero? Io farò tutto ciò che è in mio potere per realizzarlo.» 
“Vorrei che restassi al mio fianco, per sempre.”
Taccio, rinchiudendo quell’egoistico pensiero nelle profondità del mio cuore. Annuisco soltanto, stringendo la mano attorno alla sua. 
Lui si apre in un sorriso ancora più grande, prima di lasciarmi e ritornare al suo lavoro. Continua a spiegarmi il passaggio da medioevo a periodo moderno, con la scoperta di Colombo delle Americhe, spiegandomi le ragioni per cui supponeva fossero le Indie Orientali, e raccontandomi delle invenzioni del tempo, sfruttando le immagini che sono sui libri per illustrarmele. 
Mi concentro sulle sue parole e prendo qualche appunto, segnandomi soprattutto date e nomi, ma mentre la mia mente segue il suo discorso e la mia mano lavora automaticamente, il mio cuore sembra deviare. Come spesso sta succedendo negli ultimi tempi.
Lo osservo, incantandomi per quel suo modo di esprimersi, di guardarmi e attirare tutta la mia attenzione. Come dissi a Tomoyo-chan, è così affascinante… E non mi riferisco soltanto al piano estetico, è stesso il suo intelletto, la sua immensa conoscenza e cultura, il suo carattere, il suo animo altruistico, i suoi modi di porsi, e anche quella vaga aria di mistero che talvolta gli aleggia intorno a renderlo così… attraente…
So che non dovrei pensare queste cose, soprattutto quando lui mi è accanto come istruttore, ma non posso fare a meno di ammirare e apprezzare ogni singolo aspetto di lui. Anche quando è la mia “guardia”, tutta la sua dedizione e attenzione nei miei confronti, tutta quella cura e quella gentilezza che mi riserva, per quanto siano un suo “dovere”, non mi sembrano mai forzate. Non sembra mai fingere. E tutte quelle volte in cui si inchina dinanzi a me, sebbene io mi senta in colpa perché non vorrei ci fossero differenze di grado sociale tra di noi, quelle volte in cui mi parla in maniera formale, mi permette di appoggiarmi a lui o contare su di lui, per qualunque cosa… Nonostante mi dispiaccia che debba comportarsi così finemente, ne sono felice. Perché non sembra andare mai contro la sua natura. 
E quelle rare volte, come poco fa, in cui mi prende per mano, carezzandomi con delicatezza, o quando mi rivolge quei meravigliosi sorrisi, quando vedo la tenerezza di cui imprime quel suo sguardo carezzevole, quando mi protegge, e soprattutto quando mi abbraccia… Mi sento come se potessi sciogliermi da un momento all’altro, e allo stesso tempo come se non fosse possibile, perché mi sento come un razzo lanciato verso il cosmo… e più delle farfalle nello stomaco, è come se tutto il mio corpo fosse attraversato da frenetici usignoli, che cantano per me una canzone nata da lui. 
Mi porto automaticamente la mano libera sulla camicetta, stringendola all’altezza dell’addome. 
Accorgendosene, la sua espressione muta repentinamente, divenendo apprensiva. Riesce sempre a notare tutto, anche il più minimo cambiamento in me. 
«Ti fa male la pancia?» 
Scuoto la testa, non sapendo come potrei spiegargli tutto quello che provo. Tutto quello che lui mi fa provare. 
Lancia un’occhiata all’orologio a pendolo sulla parete alle mie spalle, allarmandosi. 
«Accidenti, ti ho trattenuta più del solito. Hai fame?»
«Forse», riconosco, avvertendo in effetti una sorta di vuoto nello stomaco. Nel momento in cui brontola sembra darmi una conferma.
Avvampo, vergognandomi da morire.
Lui ridacchia e chiude i libri, cominciando a metterli a posto.
«Per oggi concludiamo qui, va bene?» 
Ora che le giornate si sono accorciate, anche il tempo che trascorriamo insieme si è ridotto. Ovviamente sono stata io stessa a proporlo, affinché non rincasasse troppo tardi. Ma per questa stessa ragione, dato che è già ora di cena…
Gli afferro un lembo della manica, fermandolo mentre si alza, e lo guardo di sottecchi, esitante. 
«Vorresti… vorresti fermarti qui stasera?» 
Sento le mie guance accaldarsi, ma provo lo stesso a sollevare la testa, per vedere la sua reazione. Lui resta immobile, sembrando stralunato.
«Intendi a cena?» 
«Anche a dormire! S-se vuoi, e se puoi.»
La mia voce cala di un’ottava, mentre aggiungo: «Oggi ci siamo solo io e la mamma, scommetto che a lei farebbe immensamente piacere. Sembra averti preso in simpatia, non fa altro che chiedermi quando potresti restare qui». E questo è vero. Una volta l’ho persino sentita parlottare con mio padre di lui: entrambi ne stavano elogiando il lavoro e tutto l’impegno con cui vi si dedica. Mi sono sentita rincuorata nel vederli tanto fieri e fiduciosi di lui, soprattutto considerando l’astio di mio fratello.
«Credo ci sia rimasta un po’ male per il tuo rifiuto a trasferirti, ma non preoccuparti, ne capisco le ragioni. È perché non vuoi lasciare Kurogane-san e Fay-san.»
«E perché tu sei al sicuro, in casa tua», soggiunge. 
Annuisco, chiedendomi se quella non sia la sua risposta. Per cui mi faccio coraggio, specificando: «Non è una richiesta da allieva a istruttore, né da protetta a guardia del corpo. Bensì, è una richiesta da amica». 
Tace, come se stesse soppesando le mie parole, e io comincio a pentirmene. 
«Non vuoi?» 
So bene di suonare piagnucolosa, ma ci terrei che restasse. Ci sono così tante cose che vorrei mostrargli, e così tante cose poco chiare su di me che vorrei rendere limpide, ma allo stesso tempo ho paura… paura di confessarle, paura di ciò che lui ne potrebbe pensare. 
«Resto.»
Sollevo la testa di scatto, chiedendomi se non ho sentito male. Lui mi guarda seriamente, dandomi una conferma. 
«Dovrei però avvisare che non torno. Kurogane-san, anche se non lo dà a vedere, può diventare molto apprensivo.» 
«Va bene! Prenditi tutto il tempo che ti serve per chiamare, io vado ad avvisare mia madre!» 
Non riesco a nascondergli un sorrisone, seppure mi volti immediatamente ed esca di corsa dalla biblioteca.
Scendo le scale a saltelli e trattengo dei risolini coprendomi la bocca, sentendomi il cuore in gola e gli occhi lucidi. Non posso crederci, ha accettato! Faccio un balzo in aria non appena giungo sul pavimento, ignorando le occhiate stranite delle cameriere di passaggio, e corro a cercare mia madre. La trovo in salone a leggere dei documenti, controllando delle cose in agenda. 
Dato che mi sente arrivare si volta a guardarmi, sorridendomi amorevolmente. 
«Sakura-chan, cosa succede? Sembri particolarmente felice.» 
«Ho invitato Syaoran a fermarsi qui!» mi esce tutto d’un fiato, mentre faccio altri salterelli sul posto. «E ha accettato!» 
Mia madre si alza in piedi, prendendo le mie mani per arrestare la mia euforia. Si mantiene composta, ma dalle sue iridi brillanti e le sue labbra rivolte verso l’alto capisco che ne è altrettanto entusiasta. 
«Si ferma a cena?» 
«Anche a dormire», specifico, sforzandomi di non sogghignare come un’idiota. 
I suoi occhi smeraldo scintillano e immediatamente si tira indietro, portandosi una mano al mento. 
«Devo far preparare una camera per lui. E avvisare di aggiungere un posto a tavola.» 
Presa una qualche decisione mi dà un lieve bacio tra i capelli, letteralmente scappando, lasciando tutto lì in disordine.
Provo a mettere i documenti a posto alla bell’e meglio, posando tutto in una fila ordinata sul tavolino in vetro. Dopodiché filo in bagno, dandomi una rassettata. Mi rinfresco il viso e controllo il mio aspetto nello specchio, aggiustandomi i capelli. Li spazzolo per bene, e raddrizzo la camicetta e la gonna, prendendo profondi respiri prima di uscire, mostrandomi calma – dentro di me facendo le capriole dalla gioia. 
Mi affaccio nella biblioteca, ma capisco subito che Syaoran non è più lì, anche perché tutte le luci sono state spente. Proseguo per il corridoio, trovandolo a sostare al centro delle scale, intento a contemplare un dipinto. 
Lo affianco silenziosa, ponendomi alla sua sinistra. 
«Ti piace? È un ritratto fatto da un fidato amico di famiglia, di origini finniche.» 
«È molto bello», commenta, osservandolo con minuziosità. 
Mi volto anch’io a guardarlo, soffermandomi sulle nostre figure, molto vicine alla realtà.
Yui-san è molto influenzato sia dall’arte astratta che dalla preraffaelita – tant’è vero che quel giorno in cui ci chiese di posare, ci fece indossare abiti lunghi in stile epico occidentale. È riuscito a replicarli a perfezione, nelle sfumature di colore, nelle ombre, nelle pieghe e nella riproduzione del tessuto, ma con lo sfondo si è sbizzarrito. Per lo più è nero, chiazzato d’oro, come se sul serio vi avesse spruzzato colore, tanto che sembrano piccoli fuochi d’artificio, ma anche tanti piccoli soli – egli stesso li ha definiti tali, volendosi rifare almeno parzialmente alla bandiera del Giappone. Per questo ha realizzato anche sottili strisce di colore, quasi invisibili, prediligendo il blu scuro e il violetto della nostra casata. In alto a destra c’è anche il nostro simbolo, delle ali rinchiuse in un cerchio, incise in maniera tale da sembrare essere fatte da granelli di sabbia.
È molto dotato e rinomato per aver creato design piuttosto eccentrici per diverse mostre e sculture. Ha persino collaborato con Tomoyo-chan per le mostre sponsorizzate dalla famiglia imperiale, ma non ama mostrarsi in pubblico e se lo fa indossa sempre una maschera di un gatto. Sono pochi, infatti, coloro che conoscono il suo vero volto, e noi rientriamo in questa cerchia ristretta di privilegiati. 
Guardo di sbieco Syaoran, trovandolo totalmente incantato. Pensando a quanto gli debba piacere l’arte, mi viene un’idea geniale. 
«Syaoran, ti andrebbe di vedere la collezione di mio padre?» 
I suoi occhi si spostano immediatamente su di me, luccicanti come due stelle nel cielo. 
«Posso?» si accerta. 
«Certo che puoi.» Sorrido, notando che sta cercando con tutto se stesso di contenersi, mentre in realtà muore di curiosità.
Gli faccio strada, scendendo per prima, dirigendomi verso il sottoscala, da dove svolto a sinistra per seguire un lungo corridoio che porta sul retro della casa; questa zona è poco frequentata, eccetto che dagli inservienti che regolarmente vengono a pulire.
Apro una porta e, automaticamente, la stanza si illumina di bianco. Sento Syaoran trattenere il fiato e quando lo guardo ha un’espressione di pura meraviglia. Gli faccio segno che può entrare e lui non se lo fa ripetere due volte, cominciando a guardarsi intorno, analizzando diverse opere da vicino. 
«Sono tutte originali,» spiego, «anche se non è stato facile ottenerne alcune da certi musei. Soprattutto da quelli esteri.» 
La collezione di mio padre prevede piccole sculture, ma per lo più quadri e affreschi occidentali e rotoli, paraventi e porcellane asiatiche. Quelle occidentali le abbiamo ottenute per gran parte proprio grazie all’amicizia con Yui-san.
«Questi qui», gli dico, indicando piccoli frantumi di terracotta e una scatola laccata quasi interamente integra, «sono ritrovamenti di mio padre.»
Syaoran sgrana gli occhi, pieno di evidente ammirazione, mentre io prendo la scatola cinese tra le mani, posandola delicatamente tra le sue per fargliela osservare più da vicino. 
«Ormai il colore è un po’ sbiadito, ma come vedi sono rimaste delle tracce degli intarsi in oro. Dovevano essere fiori di peonie.» 
«È così nostalgico…» mormora tra sé, osservando l’oggetto tra le sue mani come se lo conoscesse da sempre. 
«L’hai già visto prima?» 
Scuote la testa, analizzandolo da diverse angolazioni. 
«Non te lo so spiegare, è come se lo avessi già avuto tra le mani… Ma è assurdo…» 
Corruga la fronte, impegnandosi, mentre io presumo: «Avendo origini cinesi, potresti già averne vista e toccata una, no? Forse è per questa ragione che ti senti così». 
«Forse sì», annuisce, pur non sembrando del tutto convinto. 
La mette a posto con cura, e io aggiungo: «Mio padre mi ha detto che veniva utilizzata per riporvi gli strumenti del letterato».
Mi guarda interessato, indicando i frammenti. 
«Questi si sa a cosa appartenevano?» 
«Considerandone la forma e il materiale, hanno ipotizzato che potrebbe essere una statuetta votiva del tardo periodo jōmon.» 
Annuisce, bofonchiando: «È la stessa supposizione cui ero giunto. Quella parte rigonfia, sembra proprio appartenere ai fianchi larghi delle piccole Venere. Venivano sotterrate in prossimità dei campi, in vista di fertili raccolti».
Lo fisso sorpresa, aprendomi in un sorriso. 
«Perfetto! È la dimostrazione che anche tu puoi diventare archeologo!» 
«O docente, giusto?» ricorda, ricambiando con un piccolo sorriso. 
«Giusto!» 
Lo prendo automaticamente per mano, uscendo di lì, chiedendomi se la cena è pronta, visto che lo stomaco protesta di nuovo.
Sbuffo contrariata, mentre lui si fa scappare un risolino. 
«Non capisco perché ogni volta fa tutto questo rumore.» 
«È del tutto naturale, oggi non ti ho neppure lasciato prendere il tè del pomeriggio. Spero ci sia qualcosa che ti piace tanto, per rimediare.» 
«Io spero possa piacere a te!» replico, entrando nel salone. 
Syaoran si guarda intorno meravigliato, e io mi rendo conto di non averlo mai condotto neppure qui. Eppure, eccetto che una lunga tavola con candelabri e una quantità infinita di vasi non mi sembra ci sia molto per cui stupirsi. Fissa gli occhi sul mobilio in legno di abete bianco spazzolato, intarsiato d’oro, con un’espressione come a chiedersi se è tutto vero. Beh, lo è. E pensare che questa è una delle stanze più piccole, visto che ci mangiamo soltanto. 
Alla finestra le tende sono tirate, quelle in velluto rosso coprono le più sottili color crema, celandole alla vista. Lì c’è un balcone che affaccia direttamente sul centro della città, ma non ho mai osato andarci, visto che la mia “immagine” deve rimanere segreta. E per quanto sia stretta la sicurezza, non possiamo rischiare che qualche eventuale paparazzo appostato lì fuori mi veda. 
Sospiro sconfortata, finché non mi accorgo che mia madre ha fatto il suo ingresso. Si avvicina a Syaoran, ringraziandolo per aver accettato di restare e deliziarci con la sua compagnia. Lui risponde umilmente, ma come sempre senza asservimento.
Tiro un sospiro di sollievo, ringraziando il cielo che non abbia la tendenza ad essere remissivo. Anche perché, quando lo fanno gli altri, il più delle volte sembra una farsa e ben poco di sincero c’è scritto nei loro occhi, nel loro prostrarsi, nei loro sogghigni. 
Mia madre ci fa segno di accomodarci e io adocchio uno dei due posti apparecchiati vicini – solitamente è lei che sceglie la disposizione dei posti a tavola quando abbiamo ospiti (cosa piuttosto rara, in effetti), quindi la ringrazio tacitamente. Permetto così a Syaoran di mettersi di fronte a lei, ma non faccio in tempo a sedermi che lui mi spiazza. Mi volto stupita, e lui mi fa segno di accomodarmi, accompagnandomi con la sedia. 
Chino la testa, col batticuore. Questo non è un compito a lui affidato, quindi sicuramente l’avrà fatto per indole, o per gentilezza. Tutta questa attenzione e cura che mostra nei miei confronti, a volte mi spingono sull’orlo delle lacrime. Non sono mai stata trattata così da nessuno, come se sul serio fossi una principessa, e non soltanto per una forma di rispetto o una facciata da mantenere. 
Sbircio in direzione di mia madre, vedendola contenta e lusingata quando Syaoran fa altrettanto con lei, prima di tornare con calma al suo posto, chiedendole com’è stata la sua giornata. Non dopo averla ringraziata, per avergli permesso di restare. 
Mentre conversano sulla quotidianità di mia madre controllo che tutto sia a tavola, notando che hanno già posato il cestino col pane caldo e il vassoio con la frutta. Vedo poi entrare le cameriere, le quali ci versano la passata di zucca nei piatti, posandoci accanto un piatto contenente orata al cartoccio e purea di patate. Guardo tutto con l’acquolina in bocca, ma attendo che esse si congedino e di ricevere un segnale da okaa-sama, prima di favorire. 
Auguriamo buon appetito, cominciando a mangiare, e subito sento la gola e tutto l’apparato digerente che ringraziano. 
Tra una cucchiaiata e l’altra, mia madre domanda come stanno procedendo le lezioni. Syaoran ne parla con misurato entusiasmo, sembrandone tuttavia fiero, dichiarando di vedere progressi da parte mia ed elogiando inaspettatamente il mio intelletto. 
Arrossisco di nuovo e sorseggio dell’acqua per nascondere l’imbarazzo, mentre mia madre subito si interessa delle mie carenze. 
Con onestà spiega che sono nell’algebra, al che non ne sembra per niente sorpresa. Mi guarda con una certa rassegnazione, chiedendo retoricamente: «Non te la farai mai piacere, vero?» 
Mi stringo nelle spalle, attendendo che una cameriera porti via i piatti vuoti per passare al pesce. 
«Sakura-chan, è importante per comprendere l’economia del Paese.» 
Ugh. 
«Ma di quella già se ne occupa nii-sama, no?» faccio notare, spostando qualche lisca. Lui è perfettamente istruito in quell’ambito, è un esperto di calcoli e percentuali, e comprende perfettamente come funziona l’andamento del business. Non a caso, è il ministro delle finanze più giovane che sia mai stato in carica. Io, in questo, sono decisamente negata, e non vedo come potrebbe tornarmi utile riempirmi la testa di informazioni superflue. 
«È importante però comprendere se la nostra nazione sta andando verso il verso giusto, oppure se c’è uno sbilanciamento nel deficit pubblico. Se in futuro ti ritroverai a contrattare con uomini d’affari, dovrai tener conto di tutte queste cose.» 
Quell’idea non mi piace per niente, ma so che rientra tra i miei doveri, quindi… 
«Farò quel che posso», provo a promettere, non del tutto approvando. 
«Mi impegnerò per renderglielo quanto più chiaro possibile», interviene Syaoran, forse sperando che così cada il discorso. 
Mia madre sembra crederci e si accontenta di ciò, mentre io provo a cambiare argomento, rivolgendomi a lui. 
«Ti sta piacendo la cena?» 
«È ottima, complimenti al vostro cuoco.» 
Me ne sento risollevata e mia madre risponde che gli avrebbe fatto recapitare quel messaggio, prima di incuriosirsi: «Syaoran-kun, tu ti diletti in cucina?» 
«A casa facciamo a turno, in realtà. Di solito se ne occupa Fay-san, anche perché Kurogane-san ha la tendenza a bruciare tutto, quindi il più delle volte cerchiamo di collaborare. A Kurogane-san facciamo tagliare, noi cuociamo. Se invece tocca a me e Fay-san ci scambiamo i ruoli, sebbene trovi la sua cucina migliore rispetto alla mia. Quando vivevo ancora con mio fratello, invece, cucinava per lo più lui. E credo sia stato Kimihiro ad insegnarmi gran parte di quello che so.» 
Crede? Non ne è sicuro? 
«Un giorno mi piacerebbe assaggiare un pasto cucinato da te», mi faccio sfuggire, prima di riuscire a mordermi la lingua. 
Si volta di scatto, spiazzato. 
«Non è così buono», cerca di persuadermi, ma io non gli credo. So che lo dice solo per umiltà. 
«Starà a me giudicare», decreto, prendendo un po’ di pane da mangiare con le patate. 
Lui non replica più nulla e cala il silenzio, con mia madre che, per qualche ragione, sembra divertita.
Osservo Syaoran con la coda dell’occhio, notando solo adesso che la punta del suo orecchio è arrossata. L’ho reso nervoso? 
Prosegue tuttavia col pasto senza palesare nulla, mangiando con una certa raffinatezza. In effetti, è la prima volta in cui sediamo a tavola e lo vedo mangiare con le posate. È molto elegante e, in qualche modo, sembra conoscere le buone maniere. Oltretutto, sembra perfettamente a suo agio. 
I suoi occhi incontrano improvvisamente i miei, curiosi, quasi a chiedermi come mai io lo stia fissando tanto, per cui torno a rivolgermi verso il piatto mezzo vuoto, vergognandomi di essere stata scoperta. 
Cercando di essere più discreta mi concentro unicamente sul finire la cena, mangiando una mela e un budino.
Alla fine ci alziamo tutti e mentre mia madre chiede a una cameriera di mostrargli la sua stanza io ne approfitto per augurargli la buonanotte, filando a mettermi in ammollo per una buona mezz’ora, sperando di districare così tutti gli organi che, inspiegabilmente, mi si sono annodati a partire dal momento in cui Syaoran ha messo piede in questa casa.










 
Spiegazioni:
Come in precedenza, anche qui sono stati usati dei cognomi: Arisugawa Sorata, Kishu Arashi e Kuzuki Kakyou; tuttavia, nonostante i cognomi siano presi dall'opera originale in cui vivono ("X"), tenete conto che i personaggi (anche quelli che compariranno in seguito) sono trattati così come sono nei mondi di TRC.
Il ramen penso lo conosciate tutti: è un piatto di origine cinese a base di spaghetti di frumento serviti in brodo di carne/pesce, insaporito con salsa di soia o miso (condimento derivato da semi di soia) e guarnito da maiale affettato, alghe nori, cipolline ecc.
Il periodo J
ōmon, vi ricordo, va dal 10.000 al 300 a.C circa.
Traduzioni: okaa-sama = mamma; nii-sama = fratellone.

 
  
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