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Autore: Mary P_Stark    27/10/2020    1 recensioni
Liza Wallace è la nuova Geri del branco di Clearwater e, a discapito della sua giovane età, dimostra fin da subito di avere un potenziale enorme; il rapporto davvero unico con i suoi Huginn e Muninn, i magici corvi al servizio del Sicario Umano del branco colpisce fin dall'inizio l'intero branco. Questo suo potenziale verrà subito messo alla prova quando, a sorpresa, giungerà a Clearwater una famiglia proveniente da New York. I Sullivan sembrano una famiglia normale, almeno all'apparenza, ma il figlio Mark e suo padre Donovan metteranno in allarme il branco a causa del loro comportamento sospetto. Saranno dei temuti Cacciatori, o qualcun altro si cela nell'ombra, più pericolo e subdolo, tentando di portare lo scompiglio nel branco di Lucas, Devereux e Iris? (particolari della storia presenti nei racconti precedenti della Trilogia della Luna)
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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10.

 

 

 

Helen lasciò Chelsey e Liza dinanzi alla scuola, prima di salutarle e tornarsene allo chalet. Per quel giorno, di comune accordo con Liza, la famiglia Wallace si sarebbe dedicata allo shopping casalingo; la casa necessitava di vettovaglie e quant’altro e, presto o tardi, avrebbero dovuto dedicarsi a una simile incombenza.

L’incubo della figlia minore, però, aveva spinto sia Rachel che Richard a voler rimandare ancora, ma Liza era stata irremovibile. Non era ancora pronta a parlare di ciò che aveva visto, e saperli impegnati in cose piacevoli era il modo migliore per calmarsi e schiarirsi le idee.

Chelsey e Liza, perciò, si incamminarono lungo l’ampio e affollato cortile scolastico dopo aver salutato Helen dopodiché, raggiunte le scale dinanzi al plesso, si guardarono vicendevolmente per diversi secondi.

Chelsey non le aveva chiesto nulla in merito alla notte precedente, e lei lo aveva apprezzato moltissimo. Non se la sentiva ancora di affrontare quell’orribile incubo, e un po’ di requie le era cara come l’aria.

La ragazzina, quindi, la salutò con un cenno preoccupato del capo ma nessuna frase a corollario, avviandosi poi verso la propria classe e Liza, sorridendole grata, sperò di potersi riprendere alla svelta. Non voleva che Chelsey si preoccupasse a quel modo. Era troppo giovane per farsi carico anche dei suoi problemi.

Nell’avviarsi verso la propria aula, perciò, cercò di stamparsi in viso un sorriso di circostanza, se non di allegria e, dopo aver salutato i pochi presenti, sistemò il suo zaino accanto al gancio del banco e attese.

Quella mattina avrebbero avuto due tediose ore di inglese, subito seguite da una di Storia e da altre due lunghissime ore di laboratorio.

Per la professoressa Kaneq aveva preparato un laboriosissimo diorama del corpo umano, unito a una tesina di venti pagine sui sistemi nervoso e arterovenoso, il tutto corredato da belle fotografie e schemi fatti a mano.

Non essendo riuscita a superare ‘l’esame della rana’, qualsiasi altra dissezione fatta in seguito le era stata preclusa, ivi compresa quella del modellino del corpo umano, che loro avevano ribattezzato Meredith, in onore di Grey’s Anatomy.

Per sopperire a questa mancanza, la professoressa Kaneq le aveva perciò proposto di dedicarsi alle ricerche scritte, e a questo Liza si era attenuta con grande scrupolo.

Non che vedere Huginn e Muninn sventrare topolini e piccole pernici l’avesse aiutata a non ripensare alla povera rana eviscerata. A lei, però, piaceva fare i compiti all’aperto e in compagnia dei suoi corvi, perciò aveva sopportato stoicamente mentre descriveva le parti anatomiche dell’uomo, così come i suoi organi interni.

«Brutto risveglio?» mormorò una voce roca al suo fianco, strappandola a quei lugubri pensieri.

Sobbalzando leggermente, Liza levò il capo per inquadrare gli occhi verde prato di Mark che, nell’accomodarsi al suo banco, la gratificò di uno dei suoi rari sorrisi e aggiunse: «Hai una faccia un po’ sbattuta. Avete continuato a festeggiare anche ieri?»

Magari, pensò lei prima di dire: «Ah, no… ma credo che l’incubo che ho avuto possa dipendere dalla cena luculliana che abbiamo fatto. Mescolare pizza, tacos e burritos fa un brutto effetto al mio stomaco.»

Mark levò un sopracciglio con evidente sorpresa e, lasciandosi sfuggire un risolino, asserì: «Sì, forse erano un po’ troppe cose messe insieme.»

Allungandosi sopra al banco, Liza poggiò la fronte sulla sua superficie liscia e fresca e borbottò: «Devo ricordarmi che il tabasco mi ribalta le budella, ecco cosa.»

A quel punto, Mark si lasciò andare a una risata spensierata e Liza, suo malgrado, se ne abbeverò come una spugna. Per quel che la riguardava, Mark era innocente con formula piena, indipendentemente da cosa fosse venuto fuori al termine delle loro indagini.

Una persona crudele non avrebbe mai potuto farla sentire così bene. Era impossibile. O almeno, lei lo sperò ardentemente.

Non aveva nessuna intenzione di entrare a far parte di quei gruppi di groupie che seguivano i pazzi e gli assassini.

L’arrivo della professoressa di inglese interruppe la risata di Mark – risata che aveva attirato più di uno sguardo incuriosito – e, per le successive due ore, Liza ideò mille modi diversi per darsi alla fuga. In vita sua, non aveva mai assistito a lezioni più soporifere di quelle di inglese, e quelle della professoressa Robinson non facevano eccezione.

***

Poggiato sul banco il corpulento lavoro di indagine che aveva svolto per la professoressa Kaneq, Liza lanciò un’occhiata orripilata all’indirizzo di Meredith, il loro manichino, e sperò che quella mattina non venisse sventrato di nuovo.

Dopotutto, la lezione di anatomia umana era già stata fatta e, da quel poco che aveva capito, la professoressa si sarebbe soffermata sulle parti esterne del corpo umano, tralasciando quelle interne.

Poteva sopportare di parlare di pelle, capelli e unghie. Ci aveva a che fare tutti i giorni, dopotutto. Quel che non voleva vedere erano le interiora.

«A quanto pare, hai lavorato parecchio per la Kaneq» mormorò Chanel, passandole accanto e indirizzando un’occhiata ammirata alla ricerca di Liza.

«O questo, o sorbirmi San Valentino di Sangue senza avere le forze per reggerne la vista» sottolineò Liza mentre la professoressa entrava nel laboratorio di biologia.

Chanel – una delle prime amiche che Liza si era fatta a Clearwater – ridacchiò di quel commento e la ragazza, nel fare spallucce, si limitò al silenzio. Non ci poteva fare niente. Lei e le parti molli del corpo umano – e non – avevano un rapporto davvero difficoltoso.

La professoressa, nel frattempo, chiuse le veneziane alle finestre, collegò il suo PC alla lavagna multimediale e infine disse: «Oggi parleremo del primo soccorso dal punto di vista biologico. Vi spiegherò quindi le tecniche di rianimazione combinate alle reazioni fisiche di ciascuna di queste pratiche.»

Un corale sospiro di sollievo si sollevò tra i presenti – quel giorno, si sarebbe fatta solo lezione, senza la pratica sul manichino con le interiora di gomma – ma, quando apparve l’immagine del desktop del PC della professoressa sulla L.I.M., Liza raggelò.

Lì, in bella vista tra le varie icone delle cartelle che la professoressa aveva preparato per loro, apparve uno dei simboli che Iris aveva mandato loro dall’Irlanda.

Subito, lo sguardo le corse all’altro lato dell’aula, dove Mark sedeva accanto a Fergus ma, almeno a giudicare dalla sua aria tranquilla, quel simbolo non gli disse nulla. Era chiaro che, durante le loro molte ricerche, non erano mai incappati in niente del genere.

Oppure, era l’attore migliore del mondo e meritava un Oscar per la recitazione.

Stringendo le mani sul banco mentre le prime slide comparivano sulla lavagna, Liza si domandò cosa potesse significare, per la professoressa, quel simbolo, e se fosse da considerare anche lei una potenziale nemica.

Dimmi di no, dimmi di no, dimmi di no, pensò tra sé la giovane come in un mantra senza fine.

Per tutta la durata della lezione, a cui la professoressa intervallò alcune spiegazioni al di fuori del concetto elencato nelle slide, Liza sentì il cuore batterle frenetico nel petto. La sua mente stava percorrendo mille e più scenari, mille e più combinazioni di fattori finché Muninn, preoccupato da quell’andirivieni di messaggi contrastanti, non le disse: “Mamma, calmati!”

Quell’intrusione imprevista, per poco, non la fece balzare dalla sedia per lo spavento e, nel prendere un gran respiro per calmarsi, borbottò: “Bussa, la prossima volta… per poco non sono morta d’infarto.”

“Lo stavi già ampiamente facendo bene da sola, mamma, credimi. La tua testa sembrava un campo di battaglia. Si può sapere cos’è successo?”

“Ho appena visto uno dei simboli che ci hanno mandato dall’Irlanda sul computer della mia insegnante, perciò capirai la mia ansia!” sbottò Liza, pur sapendo che Muninn non aveva colpa alcuna. Era lei a doversi dare un contegno, non lui a sapere cose che non poteva ovviamente sapere.

Il corvo, comunque, non se la prese per la sua tirata e, calmo, asserì: “Chiedile perché ce l’ha. Mi sembra chiaro, no?”

“E con che scusa?”

“Se non ha ancora capito che sei una curiosa patologica, non è una brava insegnante” ironizzò Muninn.

Liza si trattenne a stento dal mandarlo a quel paese ma, tra sé, dovette ammettere che il suo corvo aveva ragione. Quel simbolo era comparso davanti agli occhi di tutti, non era stata lei a sbirciare sul suo PC, perciò chiedere diventava assolutamente lecito e per nulla strano.

“Grazie, Muninn… e scusa se ho alzato la voce.”

“Di nulla, mamma. So che è una situazione assurda.”

Ciò detto, annullò il contatto mentale con lei e Liza, vagamente più rasserenata, poté finalmente ascoltare almeno la seconda parte della lezione. Per la prima parte, si sarebbe rivolta a Chanel, o avrebbe chiesto le slide per un ripasso.

Quando infine suonò la campanella, gli studenti iniziarono a muoversi per uscire e recarsi alla mensa, seguendo le note di Staying Alive1 come visto nei filmati della professoressa.

Liza si limitò a osservarli sorridente – non aveva mai pensato che una canzone potesse andare bene per tenere il ritmo del massaggio cardiaco – ma rimase in aula. Complice la sua ricerca, si avvicinò quindi alla cattedra e, cercando di apparire rilassata e tranquilla, esordì dicendo: «Con la sua lezione ha smascherato i segreti di Hollywood, professoressa.»

La donna sorrise divertita, a quell’accenno e, annuendo nel risistemare il portatile nella sua apposita tracolla, ammise: «L’ho sempre trovato assurdo ma, per esigenze di copione, capisco che non possano fare il massaggio cardiaco e, nel contempo, avere sempre un defibrillatore sotto mano2

«Sì, non ce lo vedo The Rock mentre se ne va in giro per una Los Angeles distrutta dallo tsunami con la valigetta del DAE a tracolla. Non sarebbe sembrato altrettanto macho» ammiccò la ragazza, facendo ridere sommessamente l’insegnante.

«E’ il minore dei problemi, in San Andreas» chiosò la donna prima di scrutare la carpetta nelle mani di Liza. «E’ la tua ricerca?»

Annuendo, Liza gliela porse prima di domandare con tono curioso ma casuale: «Professoressa, non ho potuto fare a meno di notare un simbolo tribale, sul suo desktop. Che cos’è?»

«Oh, intendi il simbolo dell’orca?» esalò sorpresa la professoressa. «Neppure mi ricordavo di averlo messo. Comunque, quel disegno stilizzato simboleggia Akhlut, ed è uno dei mostri mitologici della cultura inuit

Sbattendo le palpebre per la sorpresa, Liza mormorò confusa: «E come mai… oh, ma un momento, il suo cognome è…»

L’insegnante annuì compiaciuta, asserendo: «Sì, Kaneq è un cognome inuit e la mia famiglia è originaria di Renana, in Alaska.»

Ciò detto, sbirciò alle spalle di Liza prima di sorridere divertita e, abbassando la voce, aggiunse: «Se ti interessa saperne di più, ne parleremo ancora, ma credo che adesso qualcuno ti stia aspettando per andare in mensa.»

Subito, Liza si volse a mezzo per scoprire cosa intendesse dire la professoressa e, quando vide Mark sulla soglia dell’aula, lo sguardo basso e imbarazzato, non poté che sorridere con calore.

No, Mark non era cattivo. E si sarebbe battuta per provarlo.

***

Dopo aver salutato Sasha, Chanel e Fergus sulla soglia della scuola – che costituivano un trio comico davvero insospettabile, ormai –, Liza si incamminò assieme a Mark per rientrare a casa. Chelsey, quel giorno, era uscita prima per fare visita sia ai nonni materi che paterni, perciò si trovava già all’atelier di Beth, dove ben presto Liza le avrebbe raggiunte.

Nell’imboccare il marciapiede che solevano usare di solito per raggiungere la casa dei Sullivan, Mark le disse: «Sembri stare meglio, adesso.»

«Sì, in effetti va molto meglio» assentì lei. Scoprire quel particolare su uno dei simboli scovati da Iris e Dev, avrebbe facilitato il compito di Curtis.

Sbirciandola da dietro l’orlo del cappuccio della felpa, come sempre posto sul capo ogni qualvolta uscivano da scuola, lui domandò: «Ti va… di parlarne?»

Storcendo il naso, Liza reclinò il viso a sbirciarsi i piedi, quasi che sul selciato vi fossero nascosti i segreti dell’universo. Era difficile esprimere a parole l’accozzaglia di immagini e sensazioni provate durante quell’infernale incubo, ma non se la sentiva di mentirgli anche su quello.

Quella missione aveva finito ben presto con il diventare un’autentica battaglia contro se stessa e, se le cose fossero perdurate ancora per molto, lei sarebbe sicuramente impazzita.

«Non ricordo esattamente cosa ho sognato, quanto piuttosto come mi sono sentita» iniziò col dire lei, sbirciandolo con lo sguardo. «Era tutto buio, attorno a me, a parte rari flash che mi accecavano e mi stordivano sempre più. Sentivo qualcosa si viscido attorno a me, sotto di me e, quando i flash mi permettevano di vedere qualcosa, vedevo solo sangue

Mark si accigliò nel sentire quel particolare inquietante e, stringendo le mani a pugno lungo i fianchi, mormorò: «So cosa si prova.»

Lei annuì, ben sapendo a cosa si stesse riferendo e, nel proseguire il suo racconto, aggiunse: «Sentivo che qualcuno mi stava osservando, ma non avevo idea di chi fosse e, ogni volta che tentavo di capirlo, l’ombra che mi spiava sfuggiva alla mia vista.»

«Devi assolutamente smetterla con il tabasco» dichiarò lapidario Mark, facendola scoppiare in una risata sgangherata quanto liberatoria.

Lui accennò un sorrisino quando la udì ridere e, pian piano, si unì a lei in quello sfogo sincero e che sembrò aiutare entrambi a rilassarsi.

Quando infine raggiunsero lo svincolo ove, di solito, si salutavano, Mark le disse: «Quando ho gli incubi, mi aiuta sempre parlarne perciò, se succederà ancora e ne vorrai parlare, io sarò qui, va bene?»

Lei assentì, un nodo alla gola a bloccare le mille parole che avrebbe voluto dire per scusarsi con lui, per tutte le bugie che stava dicendogli ma, alla fine, riuscì solo a mormorare: «Tu con chi parli?»

«Con Diana. Lei riesce a capire» ammise lui, lanciando un’occhiata verso casa. Mamma li stava spiando, quel giorno ma, per qualche strano motivo, Mark desiderò fosse successo. Così da trattenere ancora un po’ Liza, così da avere una scusa per farla entrare a parlare con Diana, e non doverla lasciare andare da sola fino all’atelier.

Quel giorno, non voleva lasciarla sola. Sapeva – percepiva – che, quel giorno in particolare, lei aveva bisogno di appoggio e nessuno dei loro compagni avrebbe potuto darglielo.

Non come sperava potesse darglielo lui, per lo meno.

Fu per questo che, d’impulso, disse: «Ti accompagno io, stavolta. Tanto, mamma è al cantiere insieme ai clienti del signor Saint Clair e mio padre ha una riunione con gli insegnanti, perciò non ho nessuno ad aspettarmi.»

Sorpresa da quell’offerta, Liza annuì prima ancora di rendersene conto e Mark, soddisfatto, tornò ad affiancarla sul marciapiede e si avviò con lei per raggiungere il centro del paese.

***

Quando Liza e Mark fecero il loro ingresso nell’atelier, alle poltrone si trovavano un paio di donne alle prese con la messa in piega, mentre Chelsey era su un divanetto di fronte alla vetrina, il volto piegato su un libro di testo.

Tra le clienti, Liza riconobbe subito l’altra nonna di Chelsey – Jennifer – e, nel salutarla, esordì dicendo: «Rinnovo del colore, nonna Jenny?»

«Ciao, tesoro! No, non proprio, in effetti. E’ che ho visto una tinta spettacolare, al matrimonio dei ragazzi, e volevo replicarla sulla mia chioma, così ho chiesto a Samantha di farmela» le spiegò la donna, indirizzando un sorriso adorante a una delle dipendenti di Beth.

Sorridendo indulgente, vista la passione della donna per i cambi di colore, Liza assentì divertita e si scostò appena per mostrarle Mark, - visto lo sguardo curioso che Jennifer le tributò - dicendo: «Lui è un amico mio e di Chelsey, e si chiama Mark.»

La donna, letteralmente, si illuminò in viso e, battendo delicatamente le mani tra loro, esalò: «Oh, ragazzo, ma che colore splendido di capelli! Averli avuti io, da giovane! Avrei fatto ammattire frotte di ragazzi!»

Il commento scatenò l’ilarità generale e Beth, nell’ammiccare all’amica di vecchia data, replicò: «E poi, tuo marito chi lo sentiva?»

«Si sarebbe dovuto guadagnare la mia mano faticando molto di più di quanto non abbia fatto, ecco tutto» si limitò a dire Jennifer, strizzando l’occhio a Mark, che arrossì copiosamente e abbassò ancora un poco il cappuccio della felpa per nascondere le poche ciocche di capelli visibili.

«Nonna, smettila…» la richiamò all’ordine Chelsey, sollevando per un momento lo sguardo dal libro su cui stava studiando. «… magari a Mark non piacciono, i suoi capelli. Io, per esempio, detesto i miei.»

Jennifer, allora, replicò indulgente alla nipote: «Solo perché tu sei in fase di ribellione su tutto, ma ben presto capirai che i tuoi capelli neri e mossi sono splendidi, cara, così come sono splendidi quelli di Mark, che può vantare una bellissima varietà di rosso.»

Liza scrutò curiosa Mark, che ormai aveva raggiunto la stessa tinta dei suoi capelli e, spiacente, mormorò: «Sono delle fanatiche, qualora non lo avessi capito.»

Lui si limitò ad assentire e Beth, indulgente, sorrise al giovane e disse: «Siamo innocue, te lo giuro. Se ti va, lì accanto a Chelsey ci sono bibite e biscotti per fare merenda.»

«Ah, grazie, ma…» tentennò il giovane con un sussurro timido.

Beth ammiccò simpaticamente al suo indirizzo, impedendogli di fatto di replicare con un no e, sorridendo maggiormente, aggiunse: «Davvero. Non farti scrupoli e, se vuoi, dopo possiamo sistemarti quel ciuffo sbarazzino con qualcosa di più adatto al tuo volto, va bene?»

«Beh, ecco…» tentennò ancora Mark, subito subissato di consigli, complimenti e incitamenti da parte delle donne presenti.

Liza scosse il capo per l’esasperazione e, nel trascinarlo verso Chelsey, mormorò: «Capito cosa succede, quando un uomo entra qui?»

«Comincio ad averne una vaga idea» assentì scombussolato Mark, lasciandosi cadere sul divanetto accanto a Chelsey.

Liza rise nel vederlo così sconvolto ma, non potendo dimenticare neppure per un istante i suoi doveri di Geri, si scusò con loro per un istante con la scusa di dover usare il bagno e, in fretta, si dileguò.

Una volta raggiunti i servizi, si assicurò di essere sola, dopodiché chiamo Curtis e, ansiosa, attese che lui le rispondesse.

Al terzo squillo, la voce profonda del poliziotto inondò il suo padiglione auricolare, domandandole quale fosse il problema e lei, subito, disse: «I simboli che cerchiamo appartengono agli inuit

Un attimo di silenzio, dopodiché Curtis domandò: «A scuola vi insegnano Storia delle tribù?»

Sorridendo per quella battutina, lei scosse il capo e replicò: «No. A dir la verità, l’affronteremo nel secondo trimestre. Comunque, la mia insegnante di biologia ha origini inuit e, guarda caso, sul desktop del suo PC c’era proprio uno dei simboli che ci hanno trasmesso Iris e Dev.»

Ciò detto, gli narrò brevemente come fosse giunta a quella scoperta, e cosa rappresentasse nello specifico il simbolo che lei aveva visto, trovando il plauso totale di Curtis.

Liza sorrise soddisfatta, lieta di aver scoperto qualcosa di utile, ma la sua felicità fu di breve durata. Curtis, infatti, le disse subito dopo: «Sarebbe meglio se tu non entrassi troppo in confidenza con il giovane Sullivan. Potresti farti male, Liza. E non intendo fisicamente.»

«Come…? Cosa…?» esalò lei, prima di rammentare un particolare non di poco conto. Anche lei era pedinata, per la sua stessa incolumità, e le orecchie di un lupo potevano cogliere suoni anche da grandi distanze. «Cosa ti hanno detto?»

La voce di Curtis suonò gentile, alle sue orecchie e, per qualche strano motivo, questo rinfocolò l’ira di Liza, invece di smorzarla.

«Non hai fatto nulla di male, nel tentare un approccio più diretto con lui ma stai attenta, Liza. Rischi di affezionarti a qualcuno che potrebbe essere un tuo nemico, e niente è più terribile del dover colpire qualcuno con cui si ha un legame.»

«Grazie. Lo so» bofonchiò la ragazza, suo malgrado irritata.

«No che non lo sai, Liza, perché sei Geri da pochi mesi e non ti è mai capitato di doverti mettere in gioco a questo modo» replicò con gentile fermezza il poliziotto. «Nessuno di noi desidera che tu soffra, e sapevamo bene fin dall’inizio che questo compito sarebbe stato gravoso, per te.»

«Perché sono una femmina?» sbottò lei, ora piena di rabbia.

«Perché hai un cuore grande, e sei una persona gentile» replicò Curtis con tono affabile, niente affatto irritato dalle risposte nervose di Geri. «Proteggi il tuo cuore, Liza, te ne prego.»

Lei allora sospirò, si lasciò andare contro la porta del bagno e mormorò con voce incrinata dall’ansia: «Curtis, io lo farei anche, ma sento che non è malvagio! Che non può essere un nostro nemico… e non te lo dico perché mi piace come persona.»

Curtis attese qualche attimo prima di parlare e, quando lo fece, tornò a essere il Capo della Reale Polizia a Cavallo di Clearwater e una delle sentinelle del branco, non solo l’investigatore che si stava occupando di quel caso spinoso.

«Non si tratta di sensazioni… ormonali, quindi.»

Liza trovò assurda tutta quella discussione, ma sapeva bene che i tabù di un lupo erano diversi da quelli di un umano, perciò tralasciò quello sconfinamento nella sua sfera privata e ammise: «Ci sono entrambe, ma riesco in qualche modo a distinguere le due cose. Forse, perché ho anche Muninn nella testa, quando penso a Mark, o lo ascolto parlare, perciò le sensazioni – e le risposte a tali sensazioni – sono molteplici.»

«Uhm… il legame col tuo corvo si è fatto così forte?» domandò a quel punto Curtis, incuriosito da quel risvolto della situazione.

«In effetti, sì. Si è intensificato molto, col passare del tempo e…» ammise Liza prima di interrompersi ed esclamare: «Cazzo! Non ci avevo pensato, prima!»

«A cosa?» volle subito sapere Curtis.

«Non ha a che fare direttamente con quello di cui stiamo parlando. Te ne parlerò un’altra volta. Comunque sì, le reazioni di Muninn mi aiutano a disgiungere ciò che provo da ciò che penso, e questo mi facilita nel compito di capire Mark.»

«D’accordo. Terrò per buona la cosa. Tu, comunque, non fidarti a piè pari. Anche i Cacciatori possono essere brave persone con il resto del mondo, ma odiosi nemici per noi, è chiaro?»

«Chiarissimo» assentì lei, prima di chiudere con Curtis. Non poteva rimanere in bagno in eterno, dopotutto.

Nell’uscire, però, domandò a Muninn: “Senti un po’… ma tu e Huginn riuscite a leggervi nella mente anche durante il sonno?”

“Intendi se io riesco a vedere le sue visioni?” volle sapere il corvo.

“Esatto.”

“Sì, certo che riesco a vederle” disse il corvo prima di esclamare a sua volta, colto probabilmente dalla stessa intuizione che aveva sorpreso Liza poco prima.

“Quello che ho sognato ieri notte era la visione di Huginn, vero?”

“Temo di sì. Io mi sono svegliato quando tu eri già sveglia e urlante, perciò non ho visto cos’avevi nella mente poco prima, ma immagino che cose simili possano spaventare parecchio.”

“Voi non vi siete spaventati?” esalò sorpresa Liza.

“Abbiamo un concetto della paura diverso dal vostro. Noi siamo molto più fatalisti” le spiegò il corvo.

Liza prese per buona quella risposta ma, quando tornò nell’atelier, non poté che accantonare ogni pensiero e ogni paura, non appena vide Mark su una poltrona e intento a scegliere il taglio migliore per lui.

Nel vederla, lui le sorrise contrito, scrollò le spalle e disse: «Mi hanno sequestrato.»

«Sapevo che sarebbe successo» ammise lei, avvicinandosi al gruppetto formatosi attorno alla poltrona di Mark.

«Quale dovrei scegliere, secondo te?» le chiese a quel punto il giovane, mostrandole la rivista che Beth gli aveva fornito per scegliere il suo taglio.

Ciò che non disse fu, ti prego, salvami!

Liza non poté che provare un’immensa pietà per lui, perché sapeva quanto potevano essere ossessive le donne, in merito alla moda e ai tagli di capelli. In quel caso, però, poteva fare ben poco.

Una volta che quel treno era partito, era impossibile fermarlo.

«Non a spazzola. Tutto il resto va benissimo» replicò a quel punto Liza.

Ciò detto, si sistemò su una poltrona e, in silenzio, osservò Chelsey, le sue nonne, le dipendenti e la clientela divertirsi a dare consigli e a fare osservazioni sulla nuova capigliatura di Mark.

Curtis aveva ragione. I Cacciatori non erano necessariamente persone malvage a prescindere, pur se odiavano i licantropi, e Mark e suo padre potevano rientrare in quella categoria. Brave persone prese in sé e per sé, ma loro acerrimi nemici se presi nello specifico.

Liza, però, continuava a essere convinta che Mark non fosse un Cacciatore, e non lo pensava soltanto perché quel ragazzo cominciava a piacerle davvero. Qualcosa, nel suo comportamento, le diceva che lui e suo padre non avevano nulla a che fare coi Cacciatori di cui parlava Curtis.

Senza scoprire chi stessero cercando realmente, sarebbe stato però impossibile provarlo coi fatti e scagionarli.

Il trillo del cellulare la strappò a quei pensieri, facendola sobbalzare e, nell’afferrarlo, si sorprese un poco quando vide il numero di Rock sullo schermo. Accettata perciò in tutta fretta la chiamata, esordì dicendo: «Ehi, ciao! Qual buon vento?»

«Ciao a te, mia giovane padawan. Sei in un posto dove puoi parlare agevolmente?»

Ridendo sommessamente, si guardò intorno ed esalò: «Direi proprio di no. Sono nel bel mezzo di una discussione tra donne, tutte prese dal voler rendere al meglio la nuova pettinatura di un mio amico.»

Rock scoppiò in una grassa risata di gola, a quell’accenno e, divertito, esalò: «Non ne uscirà vivo, il poveretto. Puoi sganciarti da lui per un attimo, in ogni caso?»

«Esco subito» acconsentì lei, dando una pacca sulla spalla a Chelsey per indicarle che stava uscendo dall’atelier per rispondere alla telefonata.

Mark la seguì con lo sguardo, preoccupato – anzi no, terrorizzato –, ma lei gli promise un pronto ritorno, dopodiché uscì nella frescura della sera, che giungeva molto in fretta, in quel periodo, e disse: «Eccomi, mio maestro jedi. Cosa passa il convento?»

Tornato serio, Rock disse: «Oggi ero al cantiere assieme alla madre di Mark, il tuo amico e, visto che c’era anche George, con noi, i due si sono messi a parlare delle rispettive protesi, neanche stessero discorrendo di auto sportive o che so io.»

Annuendo tra sé, Liza ammise: «Sì, Diana è il tipo che non si pone troppi problemi in merito alla protesi. Che si sono detti, per curiosità?»

«A parte parlare di leghe metalliche e di protesi cinematiche – roba, per me, incomprensibile – hanno più che altro discusso sul modo migliore di curare i moncherini» le spiegò Rock. «A un certo punto, Diana si è tolta la protesi, passandomela come si passerebbe il caffè, dopodiché ha mostrato il suo moncherino a George e gli ha spiegato come lo massaggia. E’ stata una cosa surreale.»

Liza scoppiò a ridere, rammentando un’accusa mossale dal figlio proprio in merito a giochetti simili e, divertita, asserì: «Mark mi ha detto che lo fa, ogni tanto, giusto per mettere alla prova le persone.»

«Beh, di sicuro ha messo alla prova me» ironizzò Rock. «Comunque, questo sketch mi ha permesso di indagare un po’ in merito alla sua misteriosa ferita e, strano a dirsi, Diana non ha avuto alcun problema ad ammettere con me di essere stata aggredita da un lupo.»

Annuendo torva, Liza mormorò: «Questo scagionerebbe i licantropi a prescindere, e metterebbe i Sullivan nella posizione di non essere dei Cacciatori veri e propri, ma solo delle persone alla ricerca della verità. Cos’altro ti ha detto?»

«Mi ha detto che il lupo, dopo averla aggredita ed essersi accanito sulla sua gamba, all’improvviso si è discostato da lei, come se avesse udito un rumore percepibile solo da lui, dopodiché è fuggito via» le spiegò Rock. «Ha anche ammesso che, una simile spiegazione, non è mai stata presa in considerazione da coloro che hanno gestito il caso e che, persino le guardie parco, le hanno detto che era stata sicuramente la paura, a farle credere di aver notato un simile comportamento.»

Levando un sopracciglio con evidente sorpresa, Liza esalò: «E’ stato… richiamato all’ordine

«Bella domanda. Comunque, questo farebbe pensare che gli assassini che cercano i Sullivan sono almeno in due, e solo uno comanda.»

«Un alfa e un beta, quindi» chiosò Liza, pensierosa.

«Già. E confermerebbe anche un potenziale mistico delle due bestie, visto che Diana ha detto di non aver udito nulla, quando il lupo si è scostato da lei all’improvviso. Né un ululato, né altro» mormorò Rock, pensiero. «Dio! Sembrava così abbattuta, quando me lo ha detto… come se il fatto di non essere creduta le pesi tutt’ora.»

«Non stento a crederlo» assentì Liza. «Ergo, ci sono dei lupi che non sono licantropi come voi, ma che hanno dei tratti magici di qualche tipo.»

«Così sembrerebbe. Non appena sapremo qualcosa di più sui simboli che ci hanno inviato dall’Irlanda, potremo farci un quadro più completo. Non che voglia dire che i due fatti sono necessariamente collegati, ma dubito che abbondino i lupi magici, in giro per il continente Americano.»

«Lo spero, o mi verranno cose peggiori degli incubi, a breve» sospirò afflitta Liza.

Rock rise sommessamente, replicando: «Respira, giovane padawan, e ascolta la Forza dentro di te.»

«La stai prendendo un po’ troppo seriamente, questa cosa del maestro jedi. Non è che la prossima volta che ci alleneremo, mi regalerai una spada laser?» brontolò Liza, pur apprezzando i tentativi di Rock di sdrammatizzare.

«Non confermo né smentisco» celiò lui per tutta risposta.

Liza allora sospirò esasperata e borbottò: «Me ne torno nell’atelier. Ormai fa un freddo becco, qui fuori, e io sono uscita senza cappotto. Alla prossima, maestro.»

«Ciao, allieva.»

Chiusa la comunicazione con uno sbuffo, Liza tornò all’interno e, dopo un sospiro, domandò: «Allora… come siamo messi?»

Beth si scostò per permetterle di vedere meglio e Liza, con un tuffo al cuore, non poté che trovare bellissima la nuova acconciatura che stava prendendo forma sul capo di Mark.

Dopo aver ripulito la nuca del giovane con un abile colpo incrociato di forbici e rasoio, la donna si stava concentrando sulla parte alta del capo, dove aveva cominciato a ridimensionare la chioma per creare un effetto stropicciato.

Ora, i capelli rossi di Mark rifulgevano, liberati in parte dal loro stesso peso perché potessero accogliere appieno la luce e risplendere del loro colore più vivace. A quel modo, il viso era diventato protagonista indiscusso, non più relegato dietro ciocche disordinate e che tentavano di nasconderlo.

Nel complesso, quel viso dagli zigomi alti e il mento squadrato, era perfetto.

Liza non poté che annuire, forse anche un po’ scioccamente, non seppe dirlo. Quel che però le fece piacere fu vedere il rossore sulle gote di Mark e sì, anche il suo sorriso soddisfatto.

 

 

1 Staying Alive: Attualmente, questa canzone viene utilizzata come esempio per “tenere il ritmo” durante i corsi di Primo Soccorso, per insegnare il massaggio cardiaco. Le battute corrispondono a 90 compressioni al minuto (secondo le attuali norme di Primo Soccorso).

 

2 “…defibrillatore in mano”: Mi riferisco alle molte scene nei film in cui ci fanno credere che una persona venga rianimata con il semplice massaggio cardiaco. Se avviene, la persona in realtà non era in arresto. Diversamente, serve per forza una scarica del defibrillatore, o del DAE (il defibrillatore semi-automatico) perché, per ripartire, il cuore ha necessariamente bisogno di elettricità. (fonte; Croce Rossa Italiana, corso Primo Soccorso 2018)

  
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