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Autore: crazy lion    31/10/2020    3 recensioni
Red è un gattino che vive da qualche mese con una famiglia di umani. È ancora un cucciolo e, come tutti i piccoli, combina qualche guaio. Dopo una sgridata, esce di casa e la sua giornata va sempre peggio. Ma, per fortuna, qualcuno è lì per aiutarlo.
Red e Furia, l'altro micio di questa storia, sono i miei gatti. La morte di Stella è, purtroppo, reale. Qui ho un po' umanizzato i personaggi facendoli parlare e dando loro emozioni. I nomi degli umani sono tutti inventati.
Storia stilata con Emmastory.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Due gatti e una famiglia'
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RED: IL CUCCIOLO ROSSO

 
Iniziava una nuova settimana e, per Red e Furia, si prospettavano altri giorni nei quali divertirsi, farsi coccolare e vivere tante incredibili avventure. Red era sdraiato sopra il petto di Eleonora. All'inizio, quando era entrato in casa, aveva scoperto il suo letto e se n'era innamorato, tanto da addormentarsi accanto al suo cuscino, nonostante i tiepidi moti di protesta della ragazza.
"Red, no, e se mi facessi male agli occhi?" gli chiedeva.
Passando molto tempo con lei, anche quando era rimasto fuori casa dopo essere arrivato nel suo giardino, a luglio, magro e denutrito, il gattino si era reso conto che Eleonora aveva qualcosa di strano. Non lo guardava mai, nemmeno ora.
"I suoi occhi non vedono" gli aveva spiegato Stella, una dei due gatti della ragazza, dopo avergli soffiato come al solito, quando lui gliene aveva chiesto la ragione.
Adesso, il micetto era accoccolato lì perché sul petto della padrona si sentiva sicuro e protetto. Lei gli aveva spiegato di aver letto un articolo che asseriva che i gatti fanno così perché la persona sulla quale si sdraiano ricorda loro la mamma gatta. Lui non rammentava molto della propria, purtroppo e ogni volta che ci pensava sentiva un vuoto all'altezza del cuore, un vuoto che gli provocava un dolore fisico che non avrebbe saputo spiegare nemmeno al fratello Furia e che, lo sapeva, nulla avrebbe mai potuto colmare. Ma ora aveva un'altra mamma, anche se adottiva, anzi due, dato che la seconda era Isabella, la madre di Eleonora, e anche un fratello e un papà, sempre umani, e due fratelli gatti. Anche se Stella era stata investita poco tempo prima e non c’era più, lui se la sarebbe sempre portata nel cuore. Si rilassò e appoggiò la testa sulla spalla della ragazza, che ancora sonnecchiava. Furia, ai piedi di lei, riposava tranquillo.
Uffa, vorrei giocare con lui pensò il micetto. E se gli saltassi addosso?
A quasi sette mesi, essendo ancora un po' cucciolo, non aveva affatto perso la sua vivacità. Ma Eleonora si arrabbiava quando lui disturbava il fratello in quel modo, diceva che doveva lasciarlo tranquillo, anche visto il periodo che stava attraversando. E aveva ragione. Furia soffriva molto più di lui per la morte di Stella. Red sperò che, almeno nel sonno, il gatto si sentisse meglio e riuscisse a stare più tranquillo. E poi, a chi piacerebbe essere svegliato con una zampata, un morso o ritrovandosi un altro gatto addosso a sé? Lui di certo non avrebbe apprezzato e nemmeno Furia, anche se a volte Red non resisteva alla tentazione.
Un suono riempì l'aria. Era uno strano bip bip, bip bip che ogni mattina svegliava Isabella e il marito Carlo. Red non sapeva che diavolo era,, ma non gli dava fastidio. Eleonora si irrigidì sotto di lui.
"Stella" mormorò la ragazza. "Quando suonava la sveglia, si precipitava sempre in camera di mamma e papà a miagolare per svegliarli."
Una lacrima le rotolò giù per la guancia e il gatto avvertì il tremore del suo respiro. Gli parve addirittura di percepire il dolore che, ne era certo, le stava invadendo il petto, quella fitta lancinante e che si espandeva e penetrava sempre più in profondità. Era così che Furia gli aveva descritto il proprio dolore e forse i padroni lo provavano allo stesso modo. Soprattutto Eleonora che, a differenza dei genitori che avevano un lavoro, non ne aveva ancora trovato uno e quindi era a casa e del fratello che andava ancora a scuola. Le avvicinò il musetto alla faccia e le leccò la guancia facendola sorridere. Il cuore gli si gonfiò di gioia. Era riuscito nel suo intento di aiutarla, anche se solo per un momento. Furia si unì a lui e le leccò una mano, rimasta sopra le coperte, strusciandole subito dopo il muso contro il braccio.
"Grazie, piccoli miei" mormorò la ragazza e fece loro tante coccole.
Li accarezzò sulla schiena e sulla pancia, li grattò vicino alle orecchie e sotto il mento e loro la riempirono di bacini e di fusa a profusione.
Si alzò poco dopo seguita dai due gatti e, scesi in cucina, i tre trovarono Isabella intenta a fare colazione.
"Ciao, tesoro" la salutò la donna, finendo di bere il suo caffellatte.
"Ciao, mamma. Dormito bene?"
"Sì, e tu?"
Eleonora sospirò e si passò le mani fra i capelli lunghi e castani.
"Sai che dormo male in questo periodo."
Red la sentiva agitarsi spesso durante la notte e la cosa non gli piaceva, sia perché sapeva che lo faceva dato che non stava bene, sia perché spostandosi così di frequente sul materasso lo svegliava. Ma era vero, da quando Stella non c'era più, Eleonora dormiva pochissimo e c'erano notti nelle quali iniziava a respirare velocemente, sudava, diceva che le girava la testa e che aveva la sensazione di morire. Il cuoricino del micetto saltava più di un battito ogni volta che accadeva, ma alla fine la ragazza si riprendeva sempre grazie ad alcune cose strane che mandava giù o a respiri molto profondi.
Madre e figlia parlarono ancora un po' mentre quest'ultima si preparava la colazione scaldandosi il latte nel microonde. Sbadigliò più volte.
"Ma perché si alza così presto?" chiese Red a Furia, mentre correvano in salotto dopo aver divorato i croccantini.
Saltarono su uno dei due divani e rimasero lì, l'uno accanto all'altro.
"Perché vuole fare colazione con la mamma, credo. Da sola non ce la fa. Stella…" La voce gli si spezzò e fece quel verso strano, quella sorta di tosse che aveva sempre quando stava per vomitare. Red stava per correre in cucina a miagolare per chiamare aiuto, ma l'altro si riprese. "Quando era con noi, Stella si strusciava sempre intorno alle sue gambe per chiedere un po' di latte freddo, che a volte nemmeno beveva, e miagolava forte. Ora che non c'è più… beh, lei non riesce a fare colazione con il latte senza qualcuno. Se è da sola mangia altro."
Red sospirò.
Anche quello era un segno del suo dolore. Avrebbe potuto aiutarla in qualche modo a superarlo? Per ora non gli veniva in mente nulla, ma promise a se stesso di pensarci con calma.
Quando Isabella, Carlo e Giovanni se ne andarono, Eleonora si diresse in camera sua. Red saltò sulla scrivania e corse come un razzo verso il suo computer. Avrebbe voluto saltarci sopra e schiacciare i tasti com'era già accaduto, dato che la trovava un'attività divertente, ma la ragazza lo prese in braccio.
"No, non devi" gli disse, facendogli il solletico alla pancia.
Devo essere più veloce pensò il micetto e poi disse:
"Non rovinerai sempre uno dei miei giochi preferiti, stanne certa."
La ragazza non comprese il suo miagolio e, dopo aver schiacciato alcuni tasti, li premette ancora più in velocità.
"Sto scrivendo" disse a Red, e Furia, che saltò sul letto, annuì.
Spiegò al fratello che era una cosa che la ragazza faceva spesso, la sua passione.
I due gatti dormirono, mentre la ragazza lavorava.
"Secondo voi va bene?" chiese dopo un po', svegliandoli anche se non avrebbe voluto.
Non si era accorta che stessero riposando e quando li sentì stiracchiarsi e avvicinarsi a lei provò un leggero senso di colpa. I due mici guardarono lo schermo, ma non capirono nulla. Un conto era cercare di indovinare ciò che dicevano gli umani, dalle loro espressioni o dai suoni che producevano – ed erano piuttosto bravi in questo –, un altro leggere su quella diavoleria della quale non erano in grado di imparare il nome. Come avrebbero potuto riuscirci? Miagolarono insieme e le leccarono le mani.
"Grazie, piccoli. Siete sempre i miei primi lettori" scherzò la ragazza. "Ho già riletto questa fanfiction, ora è a posto e vado a pubblicarla nel sito."
Eh? Ma che diavolo aveva detto? Un sacco di parole, anche strane, che non compresero, ma sorrideva, il che significava che per il momento era serena e a loro bastava.
"Beh, me ne vado un po' per i fatti miei" decise Red, lasciando Furia in compagnia della ragazza.
Gli piaceva stare lì, ma voleva anche divertirsi da solo. Per tutta la mattina fece avanti e indietro tra il giardino e la casa e, arrivato il pomeriggio, decise di cambiare modo di giocare. Si diresse in cucina, dove Isabella stava cucinando qualcosa dal profumo dolce e intenso che non lo attirava, ma che aveva capito piacere molto agli umani. Si sedette sul tappeto mentre lei lo salutava, si alzò, si guardò intorno, prese le misure e spiccò un salto atterrando sopra il marmo che faceva da ripiano della cucina. Finì vicino al fornello acceso e Isabella, che non era riuscita a fermarlo dato che il tutto si era svolto in un secondo, impazzì.
"Ma che accidenti fai? Sei scemo? Come ti viene in mente di saltare lì dove sto cucinando? Red, è pericoloso. Avresti potuto farti male, scottarti, far cadere tutto, ma appunto soprattutto ferirti o peggio. Scendi subito di lì!" urlò così forte che anche Furia ed Eleonora, rimasti di sopra, udirono e corsero giù a vedere.
Quando capirono cos'era successo, il micetto era già sceso, spaventato anche dal fatto che Isabella aveva battuto forte le mani. Correndo in salotto, si scontrò con le ciotole di acqua e croccantini e le rovesciò a terra facendo un disastro, si fece le unghie sulla poltrona e sui due divani e, infine, con il cuore in tumulto, corse fuori uscendo dalla porticina basculante in un attimo. Era già capitato ogni tanto che i padroni gli dessero un leggerissimo schiaffo quando combinava qualcosa di grave. Eleonora l'aveva fatto solo una volta, però, perché non le piaceva comportarsi così e anche gli altri mettevano poco in atto quella pratica, ma per evitare che succedesse il micetto aveva preferito fuggire per un po', fino a quando le acque si fossero calmate.
Non riusciva a capire. Nella sua brevissima vita da randagio quando non era che un cucciolo, si era abituato a cercare cibo ovunque. L’odore di quel piatto dolce non l’aveva attirato, vero, ma aveva voluto scoprirlo. Perché non si poteva saltare lì sopra? Non lo capiva, né comprendeva come mai ci fossero altre regole da rispettare in casa, come per esempio farsi le unghie sul tiragraffi e non in altri posti. Era assurdo. Furia rispettava tutto, però. Forse, crescendo, anche lui avrebbe capito il perché, come aveva fatto il fratello.
Per riprendere fiato, saltò sulla panchina accanto alla porta dalla quale era appena uscito. Lì, proprio in quel punto, Eleonora si era seduta  tante volte quando, tra luglio e agosto, era uscita ogni mattina, pomeriggio e sera per passare ore con lui, che era spaventato e soffiava. Gli aveva parlato, cantato canzoncine e aveva fatto di tutto per cercare di avvicinarlo, ma rispettando i suoi tempi. Lì l'aveva preso in braccio la prima volta, quella in cui era scappato, e la seconda nella quale invece aveva cominciato a fare le fusa ed era rimasto sulle sue gambe, mentre lei piangeva di gioia. Quanti ricordi gli riportava alla mente quella panchina! Per tanti sarebbe stato solo un oggetto, ma per lui ed Eleonora era molto di più. Rimase sdraiato fino a quando riprese fiato e il battito cardiaco tornò regolare. Si alzò e andò sull'erba. Che fare per divertirsi un po'? Dirigersi in una delle case vicine era fuori discussione. C'erano due cani, che già una volta gli avevano abbaiato contro quand'era molto più piccolo e ancora terrorizzato.
"Non voglio ripetere l'esperienza, grazie" mormorò fra sé e sé.
Pensò di fare un giro in quella abbandonata, la casa da dove era arrivato, un pomeriggio, nel giardino di quella di Eleonora e dove aveva trascorso qualche giorno della sua breve vita da randagio, che non avrebbe mai più voluto vivere. Ma no, là sarebbe stato solo e quel posto gli riportava alla mente brutti ricordi, ricordi fatti di giorni pieni di solitudine, di fame e di paura. In più l'erba era altissima e, anche se avrebbe trovato di sicuro qualche topolino, c'erano piccoli serpenti e oggetti pericolosi. Meglio evitare. Restava un'altra casa. Gli sarebbe bastato saltare su un muretto e andare dall'altra parte, passando a ridosso di una siepe che partiva dalla casa dove ora abitava e finiva nell'altra, ma non era pericoloso e nemmeno troppo alto. Là era tranquillo, ci andava spesso anche con Furia. In quel giardino l'erba era diversa, finta a quanto gli aveva detto il fratello, infatti era più morbida e non pungeva le zampe.
"Ma quella vera è più bella" aveva ribattuto il cucciolo.
"Lo so, Red, ma i vicini hanno fatto questa scelta. Mi raccomando, non mangiare la loro erba, perché fa malissimo alla pancia."
Mentre ripensava a quella raccomandazione il piccolo si incamminò e una volta arrivato la annusò, come faceva sempre. Non sapeva di niente. Bleah, che schifo, quella del suo giardino era molto meglio. Fu mentre camminava sull’erba finta che vide Sciuri, la tartaruga di quella famiglia, sdraiata  sotto una pianta.
"Ehi, ciao" la salutò con una vocina delicata e allegra, sorridendole.
Lei si mosse appena.
"Ciao, sei tornato a trovarmi?"
"Già. Mi sto un po' annoiando, non so cosa fare."
"Se vuoi puoi restare qui con me," gli rispose in tono gentile, "ma non so quanto potrai divertirti. Non posso giocare con te come faresti con un altro gatto. Prova con Stella, semmai."
 
 
 
Quando sentì il nome della sorella, a Furia si bloccò il respiro, ma non riuscì a trattenersi dal porre quella domanda.
"Stella chi?"
Di solito manteneva un tono tranquillo, ma lo alzò senza volere.
Che la sorella in qualche modo fosse tornata? Magari non era morta. Ma perché i padroni avrebbero dovuto dirgli una bugia?
Non starebbero soffrendo tanto, se fosse viva. E poi sarebbe a casa con noi, adesso.
La sua parte razionale sapeva che Stella non c'era più, ma per un istante, un solo, singolo momento, quella irrazionale sperò con tutte le sue forze che le cose potessero andare in modo diverso. Ma se non parlavano di sua sorella, allora a chi si riferivano?
Red si voltò di scatto e Sciuri si girò a una lentezza esasperante.
"Intendevo la gatta dei vicini, quelli dell'altra casa con i cani. Non volevo… Furia, scusami, so che tua sorella è… mi dispiace" balbettò.
Red abbassò lo sguardo e si incupì e l'altro gatto liberò un miagolio lungo e straziante, accucciandosi a terra. Il micetto provò pena per lui.
"F-Furia, ci sono io. So che non è la stessa cosa, che non posso sostituirmi a lei, nemmeno sarebbe giusto, ma… ma starai meglio, okay? Tutti staremo meglio, prima o poi" tentò, per rassicurarlo.
L'altro sospirò.
Avrebbe voluto dirgli che sì, aveva ragione ed essere come lui, pieno di gioia e di vita, com'era stato da piccolo e come si era sentito fino a prima che la sorella morisse. Ma ora non era più sicuro di niente.
"Forse" mormorò. Prese un respiro tremante. "Forse. Non posso dirti altro al momento."
Il silenzio cadde su di loro, pesante come piombo. L'aria era satura di dolore, di un pianto che Furia non riusciva a liberare, di una vita, la sua, che da quando Stella non c'era più restava sospesa, in attesa del momento giusto per poter ripartire, sempre che fosse stato possibile. Non si aspettava che né Red né Sciuri dicessero qualcosa. A volte, le parole non servivano. Gli bastava sapere che erano lì, accanto a lui, che lo comprendevano e che non lo forzavano a reagire, dato che non era pronto.
"Vuoi fare una passeggiata con me?"
La voce di Red lo accarezzò e il gatto grigio sorrise.
"Volentieri."
Salutata l'amica tartaruga, i due camminarono per i giardini circostanti e cercarono di evitare il più possibile la strada, soprattutto quella strada, vicino casa, dov'era avvenuto l'incidente. Ogni volta che la guardava o che, per qualche motivo, ci passava, Furia avrebbe voluto pestare l'asfalto e graffiarlo fino a spaccarlo, rovinare il posto per sempre, cambiarlo, danneggiarlo in modo che non potesse più essere riparato, così com'era accaduto al suo cuore. Eleonora aveva ragione a dire che sperava di non ritrovarsi mai davanti la signora che aveva investito Stella. Si era fermata e aveva urlato, certo, ma se non fosse stato per una sua distrazione, tutto ciò non sarebbe successo. Lui non l'aveva vista, Eleonora nemmeno, dato che quel giorno Isabella le aveva detto di rimanere dentro, quindi non era neanche riuscita a parlarci e neanche lui e Red, in casa con la ragazza, sapevano chi fosse. Ma se l'avesse incontrata, oh, se gli fosse capitato, Furia le sarebbe saltato addosso graffiandola e mordendola fino a farle uscire sangue. Non era mai stato un gatto violento né uno di strada e sapeva che con la vendetta e la rabbia non si risolve niente, ma quando si trattava di Stella e di quella faccenda le sue emozioni negative prendevano il sopravvento. In realtà, razionalmente non avrebbe fatto nulla di tutto questo, se non miagolarle contro il dolore che gli aveva fatto provare. Ma si augurò che non sarebbe mai accaduto.
"Stai pensando a quella tipa, vero?" gli chiese Red.
"A quella stronza, vorrai dire" gli rispose con un sospiro. "Come hai fatto a capirlo?"
"Quando rifletti su Stella guardi nel vuoto, ma nel momento in cui pensi alla signora sei arrabbiato."
Furia strinse i denti.
"E come potrei non esserlo? Non vorrei provare tutta questa rabbia, ma lo faccio e non credo di essere l'unico in casa."
Gli raccontò come si sarebbe comportato se l'avesse incontrata.
"Se credi di essere un gatto cattivo, non lo sei. Sei il micio più buono che conosco, Furia."
Le parole sincere di quel piccolo micio rosso gli scaldarono il cuore.
"D-dici davvero?" balbettò, sull'orlo del pianto.
"Sul serio. So che non faresti mai del male a nessuno. Il fatto che pensi queste cose non significa che tu sia così."
"Sei sicuro? Proprio sicurissimo?"
E se invece non fosse stato in grado di controllarsi? Se fosse cambiato all'improvviso, non riuscendo più a riconoscersi come il gatto dolce e pauroso che conoscevano tutti?
"Al mille per mille. È normale che tu stia così dopo quello che è successo. Ma sei un bravo gatto, io lo so."
Furia rilasciò il fiato che non si era nemmeno accorto di trattenere e rilassò le spalle, poi gli rivolse un sorriso sincero e luminoso.
"Grazie" mormorò. "Mi conforta sapere che la pensi così."
Sperò di non aver utilizzato parole troppo difficili nei suoi discorsi, ma anche il micetto parlava bene e l'aveva capito alla perfezione.
"Figurati. Tu ci sei per me, io per te e ci vogliamo bene. Si fa così fra fratelli, no?"
Si batterono la zampa l'una contro l'altra.
"Vuoi andare da quella scema della gatta dei vicini?"
"Vorrei, almeno provo a giocarci."
Furia tenne per sé i suoi pensieri su come sarebbe andata.
"Io sto a casa nostra, in giardino, e nel caso avessi bisogno arriverò" gli promise.
"Non preoccuparti, non servirà."
 
 
 
Mentre si dirigeva verso la sua meta, Red provò a giocare con alcuni uccellini che erano scesi sull'erba di casa sua a beccare alcune briciole.
"Aiuto! Aiuto!" gridarono vedendolo e volarono via.
"Aspettate, io volevo solo giocare con voi. Non vi faccio niente" li richiamò, ma invano.
Sembravano simpatici, perché erano fuggiti così? Uffa! Tentò allora di prendere una farfallina gialla, altre volte ci era riuscito, ma questa gli sfuggì per un pelo.
"Anche tu. E che scatole!"
La lucertola che cercò di acchiappare sparì sotto una siepe e lui non riuscì più a trovarla nemmeno infilandocisi in mezzo, chissà dov'era finita. Sbuffando, si disse che aveva ancora molto da imparare da Furia e si diresse dove voleva. Mia e Leo, i cani della vicina, erano in casa. Meno male, altrimenti gli avrebbero abbaiato contro com’era già successo mesi prima. Stella era una gatta molto girovaga, forse non era lì. La trovò distesa sul dondolo che la coppia aveva acquistato quando lui ancora non c'era.
"Ciao" la salutò.
Non disse il suo nome di proposito, altrimenti ci avrebbe sofferto. Non tanto come Furia, certo,  in fondo lui e Stella erano stati assieme solo qualche mese e, anche se Red cercava di giocare con lei e la guardava, la gatta gli soffiava contro. Solo pochi giorni prima di morire aveva iniziato a cambiare. La gatta si voltò.
"Ah, sei tu" commentò con la voce di chi è indifferente alla presenza di qualcun altro.
Non lo guardò nemmeno.
"Sì, facevo un giro e sono venuto a salutarti. Voglio conoscerti un po'."
"Beh, ti do una notizia: io no."
Il gattino abbassò gli occhi, deglutendo a vuoto. Quell'affermazione così diretta l'aveva colto di sorpresa. Eleonora diceva spesso che, quando andava a casa di Marika, la padrona di Stella – le due erano amiche anche se la prima aveva ventisei anni e la seconda quarantuno – la gatta si comportava bene con gli umani, si lasciava coccolare ed era dolce. Ma con gli altri gatti era diversa. Lui lo sapeva, solo che non si aspettava una freddezza simile. Fingendo di non essere stato ferito, ci riprovò.
"Ma perché? Ti ho fatto qualcosa di male?"
La gatta saltò giù dall'amaca con un tonfo e gonfiò il pelo bianco e rosso.
"Senti, gattino" disse, minacciosa. "Odiavo quella stronza di tua sorella dal più profondo del cuore, solo vederla mi faceva incazzare e lo stesso valeva per lei. Veniva sempre a seguirmi e a darmi fastidio, era uno strazio. Ora non mi romperà più i coglioni e viceversa. Immagino sia un sollievo anche per Stella non avermi più fra i piedi. Perciò…"
Red le soffiò contro, facendola indietreggiare. Era troppo vicina e la cosa non gli piaceva. Dopo quanto aveva detto, non provava più nemmeno quel po' di simpatia che, prima, aveva creduto di sentire nei suoi confronti.
"Perché dici così? Tu sei cattiva! E dici troppe parolacce!" esclamò, dandole una zampata.
"E tu sei nel mio territorio, primo, e sai che è una cosa che odio, e secondo stai rompendo, perciò ora sparisci. Ho tante cose da fare, io, e non ho certo tempo per un cucciolo che vuole stringere amicizia."
Stella seguitò a soffiare e cavolo, ora sembrava molto più grande di prima e faceva anche paura. Red avrebbe voluto attaccarla, difendersi, ma era paralizzato dal terrore. Indietreggiò tremando, ma lei continuò a guardarlo tenendo le orecchie basse.
 
 
 
Solo Red si accorse del gatto grigio che arrivò alle spalle della micia e la attaccò con un morso al collo, per poi spingerla a terra con due poderosi colpi di zampa e qualche graffiata.
"Ma che fai? Sei idiota?" sbottò lei, voltandosi e riuscendo a scostarsi prima che un'altra zampa di Furia la colpisse.
"Io? Tu, semmai! Anzi, sei la più stronza degli stronzi." Il gatto, già grande di per sé per essere un micio di razza europea, sembrava anch'egli ancora più enorme. Mostrò i denti. "Odiavi Stella senza un'apparente ragione… forse non vi sopportavate solo perché cercavate di entrare l'una nel territorio dell'altra, però non mi aspettavo che arrivassi a dire che almeno ora non ti… come se fossi felice della sua morte."
"Non ho detto questo" ribatté prontamente lei.
"No, ma è l'impressione che hai dato. In ogni caso, tutte quelle parolacce e la tua cattiveria mi sembra una mancanza di rispetto nei suoi confronti. È morta, lasciala in pace almeno ora. E poi anche tu andavi da lei, non solo il contrario."
"Vero, ma a volte miagolavamo io a casa mia e lei nella sua, anche lei non mi poteva vedere."
"Tu, però, la provocavi ogni volta che potevi, quando vi incontravate. La facevi arrabbiare fino a che lei perdeva le staffe."
"Anche la tua cara sorellina si comportava così, maledizione!" urlò Stella, frustando il terreno con la coda.
Furia non l'aveva mai negato, ma sembrava che quella gatta volesse essere l'unica a trovarsi dalla parte della ragione. La morse di nuovo, stavolta alla coda e lei si difese graffiandolo sul muso, ma non abbastanza forte da fargli male.
"Okay, lasciami, gattaccio!" Si tirò indietro con uno strattone. "Hai ragione, è una mancanza di rispetto. Tua sorella sarà anche stata una deficiente, ma nessun gatto merita di morire, nemmeno lei avrebbe dovuto fare una fine del genere. Però, ora potrò venire nel vostro territorio senza particolari problemi, tanto voi siete due smidollati che non sanno difenderlo e mi godrò a pieno questo vantaggio."
"Sei così insensibile da non pensare che è appena morta nostra sorella e da immaginare solo i vantaggi che ne potresti trarre? Dai, Stella, anche tu sai cosa significa perdere qualcuno."
Furia colpì nel segno. La gatta perse di colpo tutto il suo fare  da superiore, la rabbia scemò per lasciare il posto al vuoto. Una coppia l'aveva trovata quand'era solo una micina piccola, erano morti entrambi, non ricordava per che motivo e lei era rimasta con la loro figlia e suo marito che sì, le volevano bene, ma non sarebbero mai stati come loro. E Stella li aveva cercati in quella casa, per settimane e settimane, piangendo disperata, finché alla fine si era arresa. Non aveva mai accettato la morte dei due, ma era andata avanti come aveva potuto godendosi la vita che conduceva ora. Trarre un profondo respiro le costò uno sforzo disumano.
"Sì, lo so" mormorò, quasi senza voce. "E fa ancora male."
"Allora perché ti sei comportata così, poco fa? Perché non hai rispetto per il mio dolore e quello di Red? E non provare a fargli del male, o giuro che te la vedrai con me, non m'importa se ti chiami come mia sorella."
Furia batté le zampe e la coda per terra, mentre il gattino rosso si nascondeva, tremante, dietro di lui.
"Okay, tregua, ragazzi. Mi dispiace, va bene?" riprese la gatta. Non sembrava più molto dispiaciuta, anzi, pareva che si sforzasse a dirlo, ma forse anche la sofferenza che aveva patito l'aveva resa così, pensò Furia. A volte il dolore fa diventare freddi, anziché più forti e sensibili. "So che perdere qualcuno di caro è doloroso e difficile" riprese, con sguardo triste e, stavolta, sincero. "E sul serio, non avrei dovuto dirvi quelle cose. Soprattutto a te, Furia, non è stato giusto. Avrei dovuto rispettare il vostro dolore. Ma ora sparite, non voglio vedervi. Non ho tempo né per il fratello della mia nemica, né per un cucciolo rosso. Arrivederci."
Detto questo tornò sulla sua amaca dopo aver fatto un lungo, basso miagolio e i due maschi si allontanarono.
 
 
 
Furia prese a correre, entrò in un giardino e si fece le unghie su una pianta. Non accadeva mai che si comportasse così in casa degli altri, ma le sue emozioni erano state più forti della ragione.
"Non la sopporto, cazzo! È così…"
Non riuscì a finire la frase, ma urlò quelle parole con tutto il fiato che aveva in corpo.
"È stupida" concluse Red per lui.
"Forse. O forse ha sofferto tanto che non gliene importa più di niente e di nessuno e dovremmo provare pena per lei" rispose l'altro, addolcendo il tono. "Ha dimostrato un minimo di umanità, ma poi è tornata quella di sempre. Meglio non avere a che fare con lei, credimi. Dev'essere una gatta molto sola, se si comporta così."
"Ma non doveva dire quelle cose brutte su Stella. Lei era buona."
Furia sorrise.
"Sono felice che pensi questo anche se ti soffiava contro."
"Lo penserò sempre, promesso. Lei era una brava gatta."
"Sto male, Red" sospirò il maggiore, accasciandosi a terra con la testa fra le zampe.
"Lo so. Anche io. In modo diverso, ma anche io. E poi ho avuto una brutta giornata. Ho combinato guai a casa e ora i nostri padroni sono arrabbiati. Gli uccellini non hanno voluto giocare con me, non ho preso nessuna lucertola né la farfalla, Stella mi ha mandato via…"
Furia ridacchiò.
"Volevi giocare con gli uccellini, eh? Piccoletto, noi gatti ci facciamo altro, con quelli."
"Cioè?"
Come spiegargli che il loro istinto, che lui avrebbe sentito presto, li portava a prenderli per giocarci fino a ucciderli? All’età del gattino lui ne aveva già preso uno, ma i padroni erano riusciti a farlo volare via. Se gli avesse  spiegato ogni cosa, Red sarebbe rimasto scioccato. Avrebbe dovuto scoprirlo da solo.
"Lo capirai presto, non preoccuparti. Comunque, direi che a entrambi sono accadute cose che vorremmo dimenticare, oggi."
"Già. Furia?"
"Sì?"
"E se mi volessero mandare via per i disastri che ho combinato? Se non mi volessero più bene?"
All'improvviso gli si mozzò il respiro. La famiglia di Eleonora avrebbe potuto benissimo buttarlo di nuovo per strada, come avevano fatto quegli altri tempo prima. Isabella e i suoi sarebbero davvero arrivati a tanto, dopo tutto quello che avevano fatto per lui? Eleonora no di sicuro, visto che era stata lei a salvarlo. Ma i tre che restavano? Lui non voleva più fare quella vita, soffrire di fame e avere paura delle macchine. No, era fuori discussione.
Furia notò il terrore nei suoi occhi e gli parve di sentirne l'odore, forte e pungente.
"Ehi, piccoletto, capita a tutti di fare danni, sai? È successo anche a Stella. La notte graffiava sempre un mobile accanto al bagno di Eleonora, l'ha tutto rovinato."
"È vero, la sentivo spesso."
"Vedi? Isabella e Carlo si arrabbiavano, ma non l'hanno mai mandata via, né l'hanno fatto con me. E sai perché?"
"P-perché?" domandò il piccolo, tremando da capo a piedi e battendo i dentini.
"Perché ci vogliono un bene immenso, che va oltre i danni che possiamo combinare."
"Quindi dici che, se torniamo a casa, il resto della giornata potrebbe andare meglio e che mi perdoneranno?"
Furia si sentì stringere il cuore. Quel gattino era davvero terrorizzato.
"Ne sono sicuro" gli disse e sperò di avere ragione.
Così, con quei pensieri in mente, i due fratelli ripresero il cammino. Verso casa, stavolta. Stava scendendo la sera, ormai era ora di cena ed erano sicuri che in cucina ci fosse la loro solita ciotola piena di croccantini ad aspettarli. Quelli veramente buoni, con manzo, pollo e vitamine, che a Red erano piaciuti sin dal primo giorno in cui li aveva provati. I primi tempi con la famiglia di Eleonora erano stati fatti di tentate coccole, fughe da parte sua, parole di conforto e strane canzoni in una lingua che non conosceva e che la ragazza gli cantava standosene seduta nella mai vana speranza di avvicinarlo. Timido com'era, solo poche volte si era deciso ad accucciarsi lì davanti ai suoi piedi, azzardando anche a starle in grembo, ed era stato allora che l'aveva sentito. Oltre una stringa di parole apparentemente insensate, ma che in realtà non capiva e basta, il suo nome. Red, pronunciato però in un modo strano, come spezzato da chissà che emozione. Quel giorno aveva alzato lo sguardo e, proprio allora, eccolo. Lieve ma presente sul viso della cara Eleonora, un sorriso. Che bello era stato, lo ricordava ancora, e con esso anche la sua prossima mossa.
"Parli di me? Parli di me? Allora? Mi dici o no se questa canzone parla di me?" le aveva chiesto, miagolando con forte e tenera insistenza.
Ma lei non aveva capito e, sorridendo ancora, si era limitata ad accarezzarlo e a parlargli.
"Sì, Red, sei rosso, come il titolo di questa canzone, hai visto?" gli aveva detto, travisando le sue parole.
"Che? No, a me non importa del titolo, voglio sapere se parla di me!" aveva riprovato, curioso come e forse più di prima.
La ragazza aveva continuato a coccolarlo e lui, esasperato ma senza alcuna traccia di rabbia nel muso o nei gesti, si era sdraiato sulle sue gambe.
Come vuoi, me lo dirai un'altra volta aveva pensato, chiudendo gli occhi e godendosene il resto.
Fra un passo e l'altro, immerso nei ricordi, ebbe l'impressione di aver sbattuto contro qualcosa. Per fortuna non si era fatto male, ma quel breve impatto era bastato a riportarlo alla realtà e con le zampe per terra.
"Ehi, cucciolotto, non vorrai spingermi, spero."
Era Sciuri che, rimasta al suo posto sull'erba dei vicini, cercava di seguire lui e Furia, muovendosi come al solito con la sua proverbiale lentezza.
Oh, no. No, che ho fatto? Prima i miei padroni, poi la lucertola, la farfalla e gli uccellini. Se adesso anche Sciuri mi odiasse? Sarei un micetto finito!
Senza volerlo rizzò il pelo e la coda. No, non poteva essere. Un documentario che aveva visto in televisione mentre stava sdraiato sul tappeto del salotto affermava il contrario, diceva che le tartarughe come lei erano pazienti, buone e sagge, quindi forse almeno quell'amicizia era al sicuro da eventuali liti. Non gli piaceva litigare con nessuno, specie con gli amici o con la famiglia. Era difficile da spiegare, ma si sentiva come se un croccantino pieno di vergogna gli stesse scivolando con lentezza lungo la gola.
"Accidenti, Sciuri, mi spiace! Giuro che non volevo, zampa sul cuore!" esclamò, in imbarazzo.
Dannati ricordi. Per quanto belli, possibile che dovessero sempre mettersi in mezzo? E anche lui, stesso, come faceva a essere sempre così distratto? Non ricordava molto della sua mamma e della famiglia in cui era nato, ma era certo che nessuno dei fratelli e delle sorelle fosse davvero così stupido.
"Oh, tranquillo, micino. Ormai ho più crepe che anni su questo guscio, non preoccuparti. E poi, con un giardino così grande e la mia solita andatura, qualunque pericolo si stuferebbe di me prima che lo incontrassi" rispose la tartaruga, calma ed enigmatica al tempo stesso.
Che strano modo aveva di parlare! Perché menzionare delle crepe sul guscio quando in realtà non ne aveva? Forse sì, Red non ne era poi così certo, e anche guardando ne aveva vista solo una, ma con un carapace grosso e duro come il suo, chissà, probabilmente ce n'erano davvero altre, tanto ben nascoste che lui non le vedeva. E poi, anni? Perché? Quanti ne aveva? Furia gli aveva spiegato che era scortese chiedere l'età a una signora umana, ma immaginava che il concetto valesse anche per una signora tartaruga, così, per quanto curioso, si astenne e tenne per sé quei pensieri.
Sospirando di sollievo, anche se stranito da quella spiegazione, le sorrise. Si strinse nelle spalle e si scostò da lei. Lui e Furia la salutarono e continuarono a camminare, decisi a ritornare sulla strada di casa.
"Ehi, Furia, ho fame. Manca ancora molto?" chiese dopo poco Red, sentendo lo stomaco brontolare. "Ho fame anch'io, Red, ma no, guarda. Lì c'è la siepe di prima, vedi? Ancora qualche passo e ci siamo" lo rassicurò il fratello, avvicinandosi per confortarlo.
"E a sinistra della nostra casa, quella della stronza."
"Già, ma almeno tu non usare certe parole. A nessuno in famiglia piacciono, sono da maleducati. E sei comunque troppo piccolo per conoscerle."
"Hai ragione, scusa. Il fatto è che è veramente cattiva, come te neanch'io la sopporto."
"Non fa niente, nanetto, non fa niente" si limitò a dirgli Furia, sedendosi per recuperare un po’ le forze.
Aveva riposato anche a casa, ed era vero, ma la zuffa con quella smorfiosa di una gatta doveva avergli tolto più energie di quanto credesse. Tornati nel loro giardino, i due si sdraiarono sull’erba. Guardando poco a sinistra, Furia intravide quella gatta. Che fastidio che gli dava. Chi credeva di essere? Chiuso in un silenzio tutto suo, Furia rimase da solo con i suoi pensieri, provando disgusto anche solo a vederla camminare. Se ne stava lì, con quell'aria da superiore, no, anzi, da diva…
"E voi che ci fate ancora qui?" non mancò di chiedere quell'altezzosa palla di pelo.
“Siamo a casa nostra, carina” la rimbeccò il gatto più grande.
"Quanto mi state antipatici!"
E al calare di un nuovo, pesante silenzio, quel grido fu l'ultima cosa che i due gatti udirono. Più grande di Red e con la responsabilità di proteggerlo, Furia avrebbe voluto battersi ancora anche solo a parole e zittirla. Nonostante questo, però, non disse nulla e si limitò a ignorarla. Piccolo ma spavaldo, Red però si fece avanti, entrò nel giardino di Stella spiccando un salto e, ridacchiando fra sé e sé, le fece una linguaccia prima di tornare a casa propria. Oltraggiata, la gatta girò sui tacchi, e ben presto seguì il richiamo della padrona e sparì nella sua abitazione.
"Bella mossa, Red" commentò Furia, orgoglioso.
"Grazie, anche tu sei stato bravo. A volte la quiete è l'arma migliore di tutte" rispose subito Red, maturo per la sua età.
"Però! Che paroloni! E sentiamo, chi te li ha insegnati?" gli chiese il fratello, come colto alla sprovvista.
"Ehi, Eleonora legge spesso, lo sai, e quella voce che sento mi fa imparare tante cose" spiegò il gattino.
Cosa? Voce? Cielo, quel micetto era vivace, ma ora di cosa andava blaterando? Confuso, Furia non seppe che pensare, poi capì. Si riferiva a un altro degli strumenti di Eleonora, quella che più e più volte l'aveva sentita chiamare sintesi vocale. Che cosa strana, non aveva quasi un senso. In fin dei conti gli umani non avevano voci tutte loro? Diavolerie tecnologiche, senz'altro. Rimettendosi in piedi, continuò a camminare per dirigersi verso la porticina basculante, e la voce del fratellino lo distrasse.
"Non sono un nanetto" disse, serio e forse anche irritato.
"Sì, invece, sei il piccolo della famiglia, e lo sai" gli rispose lui, sorridendo e prendendolo bonariamente in giro.
"Oh, e va bene!" concesse il minore, spintonandolo con fare divertito.
Furia restituì il colpo senza fargli male, e i due percorsero un breve tratto del giardino proprio in quel modo, giocando e prendendosi a spintoni.
"Ehi, fratelli mici!" fece una voce in lontananza, attirandoli. Incuriosito, Red fu il primo a voltarsi, e fu proprio allora che la rivide.
"Sciuri!" gridò Red alla sua vista, felicissimo.
"Arrivo, datemi un attimo!" rispose quest'ultima, lentissima ma piena di fiducia in se stessa.
Red si sedette e, al suo fianco, Furia si sdraiò lì in terra.
"Se ha detto che arriva, tanto vale mettersi comodi, no?" azzardò Furia, già divertito.
"Già!" rispose Red. E si diedero il cinque.
Da allora in poi, i due giocarono al gioco dell'attesa, e dopo tre, forse perfino quattro lunghe ore, non avevano modo di esserne sicuri, eccola. L'amica tartaruga, finalmente al loro fianco.
"Che vi avevo detto?" scherzò quest'ultima, la voce lieve e appena udibile.
"Il contrario" proferì il micio rosso, trattenendo a stento una piccola risata.
"Red!" lo rimbeccò Furia, ridendo a sua volta.
"Non preoccuparti, micio caro, faccio quest'effetto ai più piccoli. È quello che si ottiene a essere un'anziana nonnina come me!"
Sorprendentemente, quella fu l'unica replica di Sciuri, che del tutto conscia dei suoi limiti, ormai vi si era adattata così bene da non farci più alcun caso.
“Ma come hai fatto ad arrivare se la siepe divide le due case? Non sai arrampicarti” le fece notare Red.
“Hai ragione, infatti sono giunta dietro di voi. Il cancello della casa dei miei padroni era aperto e una delle loro figlie mi ha portata nella parte del giardino che sta davanti alla porta di casa, perché lì mi mette sempre un po’ di insalata. Non si è accorta del cancello, così sono uscita. Era aperto anche il vostro e… ci sono riuscita.”
“Ma è pericoloso! E se fossi caduta dal marciapiede e finita in strada?” chiese Furia, allarmato.
“Tranquillo, gatto, l’ho fatto altre volte” rispose lei, come se fosse stata la cosa più naturale del mondo.
Divertendosi insieme, i tre ripresero la marcia ognuno a modo proprio, e con la sera ad allietare la campagna, arrivarono davanti alla porta. I gatti in pochi secondi, Sciuri invece era ancora in viaggio.
Preoccupati, i quattro membri della famiglia di umani guadagnarono la porta di casa e, se Eleonora si sedette sulla panchina, Isabella, Carlo e Giovanni scrutavano l'erba, gli angoli e l'orizzonte.
"Furia! Red! Dove siete?" chiamavano, in pena e pensiero per loro.
"Ehi, avete sentito?” azzardò il cucciolo, drizzando le orecchie. "Siamo qui, dietro la casa, non davanti! Qui!" si sforzò di rispondere, sicuro che gli umani avrebbero reagito a quei miagolii. Chissà come mai non erano venuti a controllare anche lì. Era strano. Forse stavano guardando la televisione o facendo altro e avevano pensato che non vedere i gatti per alcune ore era normale, ma trascorso parecchio tempo si erano preoccupati ed era venuto loro spontaneo guardare prima la strada e non il giardino.
Attenta, Isabella scattò in avanti, e subito partì in avanscoperta, facendo attenzione a ognuno dei suoi passi. Red era ormai grande abbastanza da muoversi da solo senza rischiare di essere schiacciato e, memore della sua abitudini di strusciarsi contro tutto e tutti, c'era da dirlo, non voleva inciampare. Poco dopo, percorso il vialetto, avvertì qualcosa, e abbassando lo sguardo, tirò un sospiro di sollievo.
"Red! Oh, grazie al cielo, vieni qui!" Disse, abbassandosi piano al suo livello e sollevandolo da terra. Il micetto si accoccolò contro il suo petto e, finalmente al sicuro, iniziò a fare le fusa.
"E Furia! Mamma, sono tornati insieme!" esclamò invece Giovanni, felice di rivedere quel gatto color del fumo.
"Un attimo, e questa… Sciuri? E tu come sei arrivata qui?" tentò Carlo, colto alla sprovvista.
Come c'era d'aspettarsi, da parte della testuggine nessuna risposta, e anzi, solo un lento, lentissimo gioco di sguardi.
Lentamente, caro pensò lei, ridacchiando.
Come al solito, però, nessuno la udì e, volgendo lo sguardo al cielo, gli umani presero una decisione.
"Fra un po’ inizierà a piovere, facciamoli entrare" disse Isabella, con fare preoccupato. Annuendo, Carlo non se lo fece ripetere due volte e, sollevata anche Sciuri mentre Giovanni si occupava di Furia, la portò dentro casa. In fin dei conti in ciò non c'era alcun male, e anzi, avrebbero avvertito la sua famiglia la mattina dopo. Arrivati a casa, gatti e tartaruga si stesero sul tappeto, tutti esausti dopo una lunghissima giornata. Tutti tranne Furia, che subito si rialzò.
“Dai, pigroni! La giornata non è mica finita, eh? Giochiamo!" propose, incredibilmente ancora pieno di energie.
"Fa’ pure, micetto, noi siamo proprio a terra" gli disse Sciuri, già pronta a richiudersi nel suo guscio e riposare.
"Terra? Hai detto terra? Aspetta, mi sa che ho visto qualcosa!" esplose il piccoletto, energico come sempre.
Detto ciò, si appiattì sul pavimento più che poteva, e proprio lì, sotto al pianoforte, il tesoro che tanto cercava. Una semplice pallina di carta, nulla di più, ma nonostante questo, un giocattolo perfetto per passare il tempo. In barba ai due compagni, si distrasse a modo suo, correndo e dribblandoli come un calciatore, e poi, quando anche quello divenne noioso, ebbe subito un'altra idea.
"Spostatevi, ragazzi! Il pavimento è fatto di lava!" esclamò, decidendo in quel momento di vivere sulle pendici di un vero vulcano.
Ridendo sotto i baffi, Furia stette al gioco, e rimettendosi in piedi, quasi si trascinò sul divano, con un breve balzo dettato dalla noia.
"Che dici, sono salvo?" azzardò poi, così stanco da riuscire a malapena a sorridergli.
"Tu sì, ma Sciuri no, a meno che qualcuno non la aiuti" spiegò il gattino, eccitato dal gioco.
"Oh, no, aiuto! Qualcuno li aiuti!” gridò allora lui, sperando di coinvolgere anche gli umani per il bene del fratellino.
Rimasti in piedi e in disparte a osservare quella scena, Isabella, Carlo e Giovanni non si mossero, ma ascoltando i miagolii di Furia, Eleonora passò all'azione. Cauta, si piegò lentamente per evitare di farsi troppo male alla schiena, e tratta in salvo la tartaruga, l'adagiò assieme ai gatti su uno dei cuscini del divano.
"Ecco fatto" si disse poi, già stanca.
Felice, Red riprese a miagolare, e coccolato da lei, diede di nuovo il via a una vera e propria sinfonia di fusa. Quella giornata era stata lunga, la via tortuosa sotto tanti aspetti, ma finalmente era tornato dalla sua famiglia, e dal suo giardino aveva visto e sentito tutto. La preoccupazione sui loro volti e nelle loro voci, la gioia quando erano riusciti a ritrovare lui e il suo piccolo gruppo, e ultima, ma non per importanza, la felicità espressa anche con le risate mentre giocava correndo e saltando fra i divani e le poltrone come un matto. Sdraiato in braccio alla padrona, però, si fermò a pensare, e solo allora, capì. Le parole del fratello acquistarono un senso per lui. Perché? Semplice, erano vere. Si erano preoccupati sul serio nel non vederlo tornare, e anche la loro gioia era stata più che genuina, il che poteva significare una sola cosa. Quella famiglia lo amava davvero, la vita non sarebbe stata la stessa senza di loro, e allo stesso modo, come tutti si ritrovarono a pensare prima di addormentarsi, per loro nulla sarebbe stato lo stesso senza Red, il loro amato cucciolo rosso.
 
 
 
NOTE:
1. Eleonora soffre d’ansia, come me, e anche di depressione, anche se in questa storia non ho parlato di questo secondo problema.
2. Da quando è morta Stella, io mi sento come la ragazza.
3. L’altro giorno Red è saltato vicino al fornello e si è messo a leccare un mestolo sporco di ragù, che si trovava accanto alla pentola ancora sul fuoco. Mia mamma ha urlato come Isabella. Red è stato, abbiamo presunto, un gatto di strada per un breve periodo e non l’abbiamo fatto entrare fino a quando, un mese dopo il suo arrivo, siamo andati con lui dal veterinario. I miei ed io abbiamo pensato che, avendo vissuto fuori, andasse dappertutto per cercare il cibo e che quindi a lui le regole stiano un po’ strette.
4. Sciuri esiste davvero, è la tartaruga di una famiglia che abita nella casa di fianco a noi e che ha il giardino con l’erba finta.
5. Stella, quella bianca e rossa, invece, è la gatta di una mia vicina e amica. Con gli umani è dolcissima, ma è vero che lei e la mia si odiavano. Non è una micia cattiva, comunque, e se qui le ho dato il carattere di cui avete letto è solo perché mi sono messa dal punto di vista degli altri gatti e di quello che, forse, potrebbero pensare di lei se si comportasse così.
6. La mia gatta ha rovinato il mobile accanto al mio bagno. Me lo terrò per sempre come suo ricordo, portandomelo via quando, un giorno, vivrò da sola.
7. La canzone che Eleonora ha cantato al gattino (come ho fatto io con lui) è Red, di Taylor Swift.
   
 
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