*Iniziativa:
scritta per il Contest “Norember”, indetto da Standreamy sulla sua pagina
instagram ispirandosi all’Inktober.
*Numero
Parole: 2.965
*Prompt:
Phone Cups
*Link al vostro blog/twitter/quel che volete:
Profilo EFP (https://efpfanfic.net/viewuser.php?uid=224886)
Profilo Wattpad (https://www.wattpad.com/user/artemiskarpusivargas)
*Hashtag: #NoremmaMonth2020 #Norember
Hey, Can
you hear me?
-“La febbre è ritornata già all’alba… le sue
difese immunitarie sono calate quasi drasticamente. Non l’ho mai vista così
debole e sofferente...”
Sebbene fosse in stato di dormiveglia e
accaldata per l’influenza, Emma riuscì a riconoscere la voce delicata della sua amica Anna quando era in stato
di apprensione; come non darle torto: quando ha saputo di essere caduta in
malattia e faceva fatica anche solo respirare, lei non ha esitato ad
assisterla, personalmente.
L’aveva sentita parlare tra se e se qualche
mezz’ora fa mentre le cambiava il panno bagnato e le asciugava la fronte bagnata
che, nel mentre, aveva ripreso a scottare non poco; ricordò la sensazione di
benessere e pace interiore quando percepì al tatto la pezza bagnata calda
inumidirle il viso, dandole un senso di sollievo.
Nonostante non era nel pieno delle sue forze,
la rossa non era preoccupata per quel malessere che la stava indebolendo poco a
poco, perché si fidava ciecamente di Anna e delle sue doti in fatto di
medicina.
Era in ottime mani, essendo prossima a
diventare un medico.
Aprì poco a poco gli occhi un po’ frastornata,
aspettandosi di vedere una delle trecce bionde della sua amica o di sentire la
sua voce augurarle il buongiorno.
Non c’era nessuno.
Era sola.
Aveva avuto il pensiero di alzarsi dal letto,
ma un brutto capogiro la fece desistere fino a sprofondare la testa nel cuscino
morbido, come se qualcuno le avesse buttato un grosso macigno alla faccia
soffocandola interiormente.
Arcuò le labbra in una smorfia di dolore.
Prendere l’influenza in un periodo come questo
era davvero una grande seccatura, tuttavia sapeva perfettamente che se voleva
rimettersi in piedi e continuare a seguire la sua missione di pace, doveva
assolutamente guarire.
Si sarebbe annoiata a furia di guardarsi i
pollici, ma almeno aveva la possibilità di
riposare il corpo e riflettere su molte cose; doveva ancora parlare con
Norman per chiarire alcune cose in sospeso.
Chissà cosa starà facendo in questo momento,
pensò lei.
Si rigirava nel letto caldo con fare
sconsolato, agitata com’era nelle condizioni in cui si trovava negli ultimi
cinque giorni, persino l’odore delle lenzuola che profumavano di biancospino
non le erano di gran conforto.
Aveva borbottato qualcosa, infastidita, che non
si ammalasse mai, eppure venne invasa da un forte attacco di tosse secca per
poi starnutire per tre volte di fila, cominciando a dubitare, dopo ciò, se
poteva perdere la sensibilità al naso per quanto fosse rosso e gonfio
consumando già tre confezioni di fazzoletti.
Le vennero in mente i vari flashback di Grace Field,
di quando ancora lei e Norman non sapevano niente della vera “natura” di
quell’orfanotrofio, come non sapevano che Ray, per tutto quel tempo, li aveva
protetti con le unghie e con i denti affinché non venissero spediti, e di tutto
il resto; alcuni erano felici e pieni di gioia, altri invece erano tristi ed
angoscianti.
Ma c’era un ricordo che custodiva gelosamente
nel suo cuore ed era quello che la faceva più sorridere, intenerita, fino ad
arrossire in volto.
-“Accidenti, è passato tanto tempo da allora…”
Doveva essere un lontano Dicembre, quando la
neve aveva coperto tutta la pianura sempreverde della loro vecchia e amata casa
in una coltre bianca, fredda e soffice e il freddo le penetrava fin sopra le
ossa, facendola rabbrividire.
Sebbene la Mamma aveva cercato di mandarla via
dall’infermeria in ogni occasione, Emma aveva fatto visita, più volte, all’albino: cadeva spesso in malattia e, per
la sua triste sorte, doveva stare in quarantena affinché tornasse da lei e Ray
nel pieno delle sue forze.
Ricordava che non voleva lasciarlo solo e
voleva vedere quel sorriso buono e genuino sul suo viso niveo, illuminarsi di
una gioia e spensieratezza che solo un bambino sapeva dare.
Non dimenticò mai quell’innocente rossore sulle
sue guance quando gli promise di stargli accanto per sempre e i suoi grandi
occhioni azzurri guardarla con profonda ammirazione ed imbarazzo insieme, era
così tenero che più volte aveva pensato di pizzicargli le guance; per non
parlare, poi, della sua risata dolce e cristallina che aveva sentito attraverso
il telefono a spago, costruito sotto il suggerimento del corvino visto che la
Mamma l’aveva cacciata via con la forza.
Era, praticamente, musica per le sue orecchie.
Lui aveva sempre avuto una bella risata, e non
solo.
Sospirò nostalgica.
Nelle condizioni in cui era messa in quel
momento, si rivedeva in Norman: si sentiva debole, faceva fatica a mandare giù
qualche boccone, i costanti tremori al corpo e come se non bastasse aveva la
febbre da cavallo che si divertiva a burlarsi di lei: faceva su e giù come le
montagne russe e puntualmente, quando credeva che il peggio fosse passato, è
sempre lì, nascosta, pronta per attentarle
un agguato alle sue spalle.
Un’ora prima si sentiva abbastanza in forze per
andare al bagno, sciacquarsi la faccia e, magari, camminare intorno alla stanza
alla ricerca di qualche coperta più pesante, due ore più tardi cominciavano i
dolori lancinanti alla testa a furia di starnutire come una forsennata e se
tutto andava bene, riusciva a bere un bicchiere di acqua, seppur in piccole
sorsate; e quelle dopo ancora, si sentiva ancora peggio: non solo iniziava a
farneticare nel sonno, ma faceva fatica persino ad alzare la testa dannandosi
quanto fosse pesante quanto un cumulo di pietra.
Com’era potuto succedere?
Era perché si era buttata nel fiume per aiutare
Hayato e Ray con la battuta di caccia e aveva tenuto a lungo i vestiti bagnati?
Era perché era rimasta fuori troppo a lungo in
esplorazione con gli altri ragazzi di Goldy Pond e, di conseguenza, aveva preso
freddo?
Oppure era perché l’orecchio amputato si era
infettato di nuovo?
Questo era il dilemma che affliggeva Emma: qualunque
cosa avesse fatto in quei giorni, il suo fisico ne stava pagando le conseguenze
delle sue azioni.
Fuori dalla porta della sua stanza, sentiva un
susseguirsi di passi e sussurri ma la voce del suo migliore amico spiccò in
mezzo alle altre, borbottando qualcosa come quanto fosse un inguaribile testona
ed incosciente ad ammalarsi proprio quando doveva evitare di fare tanti sforzi,
ma di certo non nascose la sua preoccupazione.
Annotò mentalmente di dargli un bel pugno in
faccia quando si sarebbe ripresa a dovere dal febbrone.
Questa me la paghi, stupido di un Ray, pensò
lei.
Riconobbe anche le voci di Gilda e Don mentre
parlavano con Ray per come gestire la situazione al Rifugio, le escursioni
all’esterno e a un possibile ritrovamento di altri bambini dei quattro
stabilimenti.
Aveva teso all’unico orecchio sano per
ascoltare un minimo la loro conversazione, scostando qualche ciocca ribelle dei
suoi capelli rossi, che stavano iniziando a crescere e sfioravano dolcemente le
spalle magre e bianche, ma sentiva a malapena il loro discorso visto il tono
basso.
Ah, se solo non si fosse tagliata l’orecchio
per evadere da Grace Field con tutta la sua famiglia e ingannare la Mamma, Emma
avrebbe potuto sentire con entrambe le orecchie.
-“Ad ogni modo, l’avete sentita Anna, no? Deve
stare in assoluto riposo, nessuno può entrare in camera sua se non lei… Mi
raccomando, occhi aperti.”
-“Cosa facciamo se… insomma, lo viene a sapere?
Come minimo tenterà di entrare dentro per vederla.”
-“Di questo, non ti devi preoccupare Don. A lui
ci penso io.”
Inarcò un sopraciglio dubbiosa.
Stavano forse parlando del piccolo Phil?
O era Chris?
Chi poteva mai essere?
Si rimise nuovamente in ascolto, desiderosa di poter
scoprire altre informazioni utili sulla loro conversazione, ma l’unica cosa che
sentì fu lo scricchiolio della moquette e un infrangersi di passi in
lontananza, segno che avevano concluso giusto un paio di minuti la loro
riunione.
Con grande disappunto per la sottoscritta,
dovette arrendersi all’idea di seguirli fuori dalla sua stanza, se ci avesse
anche solo provato, le aspettavano brutte conseguenze.
Come la tirata di orecchie ferrea di Gilda oppure un bel pugno testato
di Ray sulla sua testa, doveva sperare che Don lo tenesse calmo sennò ci andava
con la mano pesante.
Le vennero i brividi dietro la schiena, ma non
per il freddo.
-“No no no, per stavolta passo.”
Si rannicchiò in un angolo nel letto e come si
mise alle spalle della porta strinse forte le coperte, salendole su, fino a
coprire la bocca rosea.
Gli occhi verdi guardavano quasi assenti la
tenue luce del giorno che filtrava da
una finestra poco distante da lei, la sua pelle stava iniziando ad imporporarsi
poco a poco e in quel momento la stanchezza stava avendo la meglio su di lei.
Doveva chiudere gli occhi e riposare, ma la sua
mente che viaggiava verso l’infinito ed oltre la teneva sveglia e con gli occhi
vigili.
Era facile a dirsi che a farsi.
Sbuffò.
Poi venne invasa da un dubbio esistenziale, uno
di quelli che forse non si aspettava di pensare ma che nel profondo l’avrebbero
sconvolta interiormente.
Sobbalzò sul posto, stringendo entrambe le mani
al petto come per proteggersi da qualsiasi pericolo le si presentasse davanti.
E se Ray si riferisse a lui?
Possibile che avrebbe infranto quella regola
solo per vederla?
Aveva il vago sospetto che il corvino si stesse
riferendo a una persona che conosceva fin troppo bene, ma quando provò a
pensare a mente lucida su chi poteva essere il visitatore a sorpresa, un forte
attacco di emicrania la colpì in pieno, proprio all’altezza delle tempie e al
profilo degli occhi.
Gemette appena per il dolore.
-“Non voglio rimanere bloccata nel letto per
sempre… vedi di passare in fretta, stupida influenza.”
Borbottando qualche imprecazione colorita,
chiuse definitamente gli occhi e lasciò che Morfeo la portasse con se in un
lungo sonno senza sogni, sperando di non ricevere altri brutti risvegli.
Dopo varie ore più tardi, al suo risveglio Emma
si sentiva ancora un po’ spossata, ma fortunatamente aveva dormito come un
ghiro e nessuno l’aveva disturbata durante il sonno.
O meglio, voleva credere che nessuno fosse
entrato nella sua stanza.
Non si sentiva ancora tanto bene per poter
alzarsi dal letto, ma almeno la testa non le faceva male quando provò ad aprire
lentamente gli occhi, di questo ne fu rincuorata.
Eppure, anche se non sapeva spiegarselo,
sentiva che c’era qualcosa d’insolito.
Si guardò attorno assottigliando le iridi
verdi, circospetta.
La stanza sembrava intatta al primo impatto, i
mobili erano sempre gli stessi, la tenda vicino alla finestra era ancora bianca
e le piantine poste proprio all’altezza della sua scrivania erano sempreverdi;
non c’era niente fuori posto, a parte il vassoio con sopra una grossa scodella
di ceramica, avvolta da un panno scuro, e un cucchiaio di legno posto proprio
vicino al comodino del suo letto.
Incuriosita, tese la mano su quel tessuto tirandone
leggermente il lembo e come sbirciò il suo contenuto, venne invasa dal buon profumo
della minestra calda di verdure e sentiva pure un leggero odore di menta.
Non fece nemmeno in tempo a dire “sembra avere
un bell’aspetto” che il suo stomaco brontolò, così rumorosamente che temette
per un attimo qualcuno l’avesse sentita.
Sorrise divertita.
Era certa che Ray avesse dato una mano ad Anna
per prepararle la minestra, solo lui poteva mettere le mani su una ricetta
appetitosa quanto gratificante.
A causa dell’influenza, non mangiava già da due
giorni e ora si sentiva talmente affamata che avrebbe mangiato, più che
volentieri, la scodella e il vassoio.
Annotò mentalmente di ringraziare sia la
gentilezza della sua amica a prendersi cura di lei e la premura di quello scemo
del suo migliore amico per la minestra.
-“Meglio che mangio subito, prima che si
raffreddi… ho veramente tanta fame.”
Mugolando debolmente, stropicciò le palpebre
con la manica bianco-arancio del pigiama alzandosi poi con la schiena fino a
poggiarsi sullo schienale del letto.
Come mise a fuoco l’immagine davanti a se, notò
qualcosa al fianco del cuscino.
Un bicchiere.
-“E questo da dove spunta fuori?”
Strano, non ricordava di averlo lasciato
proprio lì, vicino al letto, non aveva nemmeno bevuto niente prima di
coricarsi.
Magari qualcuno era entrato dentro la camera e
avrà voluto lasciarle questo bicchiere, non sapeva se fosse uno scherzo di uno
dei bambini più piccoli, ma non sapeva neppure chi fosse entrato quando dormiva
profondamente.
Si girò su un fianco e con delicatezza prese
quell’oggetto singolare, rigirandoselo fra le sue mani incuriosita.
Sembrava un normalissimo bicchiere di carta,
dalla lieve forma cilindrica, e aveva una superficie bianca e liscia; non aveva
niente di strano finché non notò un altro piccolo dettaglio.
Attaccato al fondo del bicchiere, c’era un
lungo filo scuro, finissimo come lo spago, e andava a prolungarsi per qualche
metro quadrato della sua stanza, più precisamente sotto lo stipite della porta.
Aveva la sensazione di aver già visto uno
scenario del genere, come se l’avesse vissuto in prima persona.
Senza che se ne rendesse conto, portò
delicatamente il telefono all’unico orecchio sano e nel fare quel movimento, lo
spago divenne teso come la corda di un violino.
Fu allora che sentì una voce.
-“Hey, Emma,
riesci a sentirmi?”
Sgranò gli occhi sorpresa.
Poteva riconoscere la sua voce ad occhi chiusi.
“Norman…”
Sistemandosi meglio tra le coperte affinché le
coprissero le spalle, ci mise un po’ di tempo a rispondere, ma come armeggiò
meglio con il bicchiere lo avvicinò dritto alle labbra che, in quel momento, si
erano arcuate in un gran sorriso.
Era talmente felice di sentire la sua voce che
non si accorse nemmeno di essere arrossita quanto le punte dei suoi capelli.
-“Mhm, forte e
chiaro!”
-“Come ti senti? Stai un po’ meglio?”
-“Rispetto a
prima, sì, faccio ancora un po’ fatica ad alzarmi per andare al bagno… ma per
il resto, tra emicranie e mancanza di appetito, va tutto bene.”
-“Capisco… Ho saputo solo adesso cosa ti fosse
successo…. Avrei voluto vederti, ma sia
Anna che gli altri ragazzi mi hanno impedito di entrare… sai, per la questione
che sono cagionevole di salute.”
Sobbalzò sul posto
quando il ragazzo incalzò con le parole “avrei voluto vederti”, ignorando
completamente sia il suo sospiro stanco e il tremore a una delle sue mani.
Ci teneva davvero così
tanto a vederla?
Strinse forte il
bicchiere.
Cos’era quella
strana sensazione che sentiva nella pancia, facendola provare non solo i
brividi, ma anche farle rizzare ogni ciocca dei suoi capelli?
Centrava, forse,
la febbre?
Non era molto
sicura a riguardo.
Era talmente
sovrappensiero che rispose in ritardo ad una domanda che gli fece l’albino,
incespicando tra una parola e un’altra.
-“Io… non ne ho la
più pallida idea, onestamente…
C-Cioè, ho fatto
tante cose ultimamente, eppure ero sicurissima che non avrei mai preso
l’influenza.”
-“Dovevi fare attenzione, Emma. Sarai anche
forte e tutto, ma anche il tuo corpo ha dei limiti… dii la verità: l’ultima
uscita di caccia con Ray e Don, hai ignorato i primi sintomi?
Certo
che tu...”
A sentire quel
commento, gonfiò le guance paonazza e in un momento di puro nervosismo, gli
fece una linguaccia conscia che non potesse vederla.
Adesso ci mancava
che pure l’albino gli facesse la paternale.
Sospirò.
Ora penserà che
sono una bambina irresponsabile, pensò la rossa.
Questo sì che era
imbarazzante.
Alzò la voce di un
ottava, inconsapevole che stesse perforando tremendamente uno dei timpani
dell’albino, visto quanta enfasi ci stesse mettendo a spiegare la situazione.
-“Andiamo, Norman
ma da che parte stai?! Tu che ci sei già passato, dovresti capirmi più di
chiunque altro!
Ho già ricevuto
tanti discorsi minatori da quello scemo di Ray e Gilda ha gridato così forte
che temevo di diventare sorda. Menomale che Anna mi ha preso sotto la sua ala
protettiva: è un angelo sceso in terra, si sta impegnando con tutta se stessa a guarirmi… però è una
gran seccatura stare chiusa qui dentro tutta sola.
Mi
sto annoiando a morte, uffa!”
Ci
fu un silenzio di tomba per un secondo poi, seppure debole, sentì alcuni versi
strozzati provenire dall’altra parte della porta; tese l’orecchio sul bicchiere
che possedeva e constatò che dal lato opposto aveva giurato di aver sentito un
rombo lento ma ben scandito.
Arcuò
un sopraciglio perplessa.
Non
fece nemmeno in tempo a domandargli cosa stesse facendo che la risata di Norman
le fece venire i brividi dietro la schiena.
-“N-Norman?”
Non
poteva vederlo, ma nella sua mente era chiara e cristallina l’immagine di lui
che si teneva la vita, con le braccia, per non ridere sguaiatamente, il viso
diventare man mano rosso e il sorriso illuminarsi sempre di bianco.
Per
non parlare del suo profilo delineato seppur delicato, nonostante fosse
dannatamente alto, e il pomo d’adamo leggermente sporgente alla gola.
A
quel miraggio effimero, arrossì vistosamente ed era sicura che non era la
febbre a farle quello strano effetto.
Accidenti a lui,
come faceva ad avere una risata così bella e composta?
“Non credo di
sentirmi bene… fortuna che sono già a letto, mi sono risparmiata una brutta
caduta.”
Scosse
energicamente il capo.
Calmati, lui non
può vederti, pensò Emma.
-“Perdonami, non ho potuto fare a meno di
pensare quanto tu riesca ad essere così… energica anche in queste condizioni.
Sei davvero incredibile, sai?”
La rossa ridacchiò
piano.
“Dovrei… prenderlo
come un complimento?”
Posizionò meglio
le coperte intorno alle spalle, avvolgendo anche la testa, percependo già i
brividi di freddo penetrarle fin sotto la pelle.
Sospirò un po’
seccata all’idea di trascorrere un’altra giornata con la febbre alta, chiusa
ancora in camera sua, pregando interiormente che il ragazzo non se ne andasse
via.
-“Hey, Norman… ti
volevo chiedere… s-sì, insomma, tu…”
-“Stai tranquilla, non ti lascio sola.”
-“Cos- davvero?”
-“Mhm,
rimarrò qui con te… anche tutta la notte, se necessario.”
Un grande sorriso
illuminò il viso della giovine, ormai imporporato fin sopra le orecchie.
Temeva di passare
la giornata chiusa in camera senza che nessuno la andasse a trovare; tuttavia,
la fortuna ha voluto che ci fosse Norman a farle compagnia, con il telefono a
spago, durante questa quarantena.
Sono riuscit* ad aggiornare la raccolta, che bellezza-
E' stato inusuale vedere una Emma, sempre energica e piena di positività, combattere contro l'influenza e bisticciare di tanto in tanto con la scatola dei fazzoletti... ma ammetto di essermi divertit* un po' a scriverla :"D
Fluff a parte, la scena del telefono a spago vi ricorda qualcosa???
Ah, che bello fare i parallelismi-
Ora, penso che sia doveroso darvi una spiegazione sulla presenza del nostro carissimo e preziosissimo Phil ehehhe
Durante la trascrizione della one-shot, ho voluto dare un interpretazione "diversa" ad un avvenimento che succede nel manga, ovvero di quando Emma, Ray, il resto della famiglia e i ragazzi di Goldy Pond trascorrono il loro soggiorno al Rifugio/aka Il paradiso dei bambini e lì troviamo Norman e la sua Squad: composti da Vincent, Ciclo, Barbara e Zazie (che, a proposito, spero di poterli trattare/includerli in alcune scene importanti nella raccolta perchè diciamocelo, sono una squadra affiatatissima)
Visto che, secondo l'ordine cronologico della serie di TPN, Phil si ricongiunge con gli altri ragazzi nei capitoli più avanti, ho voluto includerlo nel gruppo dei fuggitivi dalla fattoria di Grace Field; in poche parole, questa one-shot è stata concepita come "What If?"
Forse, in futuro, ci sarà un seguito di questa one-shot e Phil giocherà un ruolo "importante" nel rapporto di Norman ed Emma... chissà, mai dire mai-
Spero che abbiate goduto la lettura e, se vi va, lasciare una recensione se vi è piaciuta e volete esprimere un parere a riguardo.
(Se volete farmi notare gli errori grammaticali, mi date una mano così potrò mostrarli alla Beta un giorno, con il contest finito)
E nulla, ho detto quello che volevo dire.
Alla prossima,
Artemìs