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Autore: New Moon Black    02/11/2020    1 recensioni
~{NoremmaMonth2020}~
[Tratto dal testo]
Il ragazzo non fece in tempo a completare la frase che, uno schiaffo ben sestato gli arrivò in piena faccia dalla sua interlocutrice, strattonandolo poi con forza dal colletto della sua camicia.
Faceva male.
Decisamente.
Ma quello che gli fece più male fu vedere le lacrime sul viso roseo della sua amata compagna d'avventure, intenta ad urlare ad alta voce tutta la sua rabbia, il suo dolore e la sua frustrazione.
Gli si spezzò il cuore.
Tutto questo era accaduto, solo, per colpa sua.
-"Tu non mi hai salvato da niente, Norman!
Ho vissuto, con questo dolore, ogni singolo giorno della mia vita e ti ho incolpato per aver anche solo pensato di sapere qual'era la cosa migliore per me... quando lo eri TU, stupido!"
---
Storia partecipante al contest "Norember" indetto da Standreamy!
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Emma, Norman
Note: AU, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Spoiler!
Capitoli:
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norember/phonecups

*Iniziativa: scritta per il Contest “Norember”, indetto da Standreamy sulla sua pagina instagram ispirandosi all’Inktober.
*Numero Parole: 2.965
*Prompt: Phone Cups
*Link al vostro blog/twitter/quel che volete: 

Profilo EFP (
https://efpfanfic.net/viewuser.php?uid=224886)
Profilo Wattpad (
https://www.wattpad.com/user/artemiskarpusivargas)

*Hashtag: #NoremmaMonth2020 #Norember              

 

Hey, Can you hear me?

 

 

-“La febbre è ritornata già all’alba… le sue difese immunitarie sono calate quasi drasticamente. Non l’ho mai vista così debole e sofferente...”

Sebbene fosse in stato di dormiveglia e accaldata per l’influenza, Emma riuscì a riconoscere la voce  delicata della sua amica Anna quando era in stato di apprensione; come non darle torto: quando ha saputo di essere caduta in malattia e faceva fatica anche solo respirare, lei non ha esitato ad assisterla, personalmente.
L’aveva sentita parlare tra se e se qualche mezz’ora fa mentre le cambiava il panno bagnato e le asciugava la fronte bagnata che, nel mentre, aveva ripreso a scottare non poco; ricordò la sensazione di benessere e pace interiore quando percepì al tatto la pezza bagnata calda inumidirle il viso, dandole un senso di sollievo.
Nonostante non era nel pieno delle sue forze, la rossa non era preoccupata per quel malessere che la stava indebolendo poco a poco, perché si fidava ciecamente di Anna e delle sue doti in fatto di medicina.
Era in ottime mani, essendo prossima a diventare un medico.
Aprì poco a poco gli occhi un po’ frastornata, aspettandosi di vedere una delle trecce bionde della sua amica o di sentire la sua voce augurarle il buongiorno.

Non c’era nessuno.
Era sola.

Aveva avuto il pensiero di alzarsi dal letto, ma un brutto capogiro la fece desistere fino a sprofondare la testa nel cuscino morbido, come se qualcuno le avesse buttato un grosso macigno alla faccia soffocandola interiormente.
Arcuò le labbra in una smorfia di dolore.
Prendere l’influenza in un periodo come questo era davvero una grande seccatura, tuttavia sapeva perfettamente che se voleva rimettersi in piedi e continuare a seguire la sua missione di pace, doveva assolutamente guarire.
Si sarebbe annoiata a furia di guardarsi i pollici, ma almeno aveva la possibilità di  riposare il corpo e riflettere su molte cose; doveva ancora parlare con Norman per chiarire alcune cose in sospeso.

Chissà cosa starà facendo in questo momento, pensò lei.

Si rigirava nel letto caldo con fare sconsolato, agitata com’era nelle condizioni in cui si trovava negli ultimi cinque giorni, persino l’odore delle lenzuola che profumavano di biancospino non le erano di gran conforto.
Aveva borbottato qualcosa, infastidita, che non si ammalasse mai, eppure venne invasa da un forte attacco di tosse secca per poi starnutire per tre volte di fila, cominciando a dubitare, dopo ciò, se poteva perdere la sensibilità al naso per quanto fosse rosso e gonfio consumando già tre confezioni di fazzoletti.

Le vennero in mente i vari flashback di Grace Field, di quando ancora lei e Norman non sapevano niente della vera “natura” di quell’orfanotrofio, come non sapevano che Ray, per tutto quel tempo, li aveva protetti con le unghie e con i denti affinché non venissero spediti, e di tutto il resto; alcuni erano felici e pieni di gioia, altri invece erano tristi ed angoscianti.
Ma c’era un ricordo che custodiva gelosamente nel suo cuore ed era quello che la faceva più sorridere, intenerita, fino ad arrossire in volto.

-“Accidenti, è passato tanto tempo da allora…”

Doveva essere un lontano Dicembre, quando la neve aveva coperto tutta la pianura sempreverde della loro vecchia e amata casa in una coltre bianca, fredda e soffice e il freddo le penetrava fin sopra le ossa, facendola rabbrividire.
Sebbene la Mamma aveva cercato di mandarla via dall’infermeria in ogni occasione, Emma aveva fatto visita, più volte,  all’albino: cadeva spesso in malattia e, per la sua triste sorte, doveva stare in quarantena affinché tornasse da lei e Ray nel pieno delle sue forze.
Ricordava che non voleva lasciarlo solo e voleva vedere quel sorriso buono e genuino sul suo viso niveo, illuminarsi di una gioia e spensieratezza che solo un bambino sapeva dare.
Non dimenticò mai quell’innocente rossore sulle sue guance quando gli promise di stargli accanto per sempre e i suoi grandi occhioni azzurri guardarla con profonda ammirazione ed imbarazzo insieme, era così tenero che più volte aveva pensato di pizzicargli le guance; per non parlare, poi, della sua risata dolce e cristallina che aveva sentito attraverso il telefono a spago, costruito sotto il suggerimento del corvino visto che la Mamma l’aveva cacciata via con la forza.

Era, praticamente, musica per le sue orecchie.
Lui aveva sempre avuto una bella risata, e non solo.

Sospirò nostalgica.

Nelle condizioni in cui era messa in quel momento, si rivedeva in Norman: si sentiva debole, faceva fatica a mandare giù qualche boccone, i costanti tremori al corpo e come se non bastasse aveva la febbre da cavallo che si divertiva a burlarsi di lei: faceva su e giù come le montagne russe e puntualmente, quando credeva che il peggio fosse passato, è sempre lì, nascosta, pronta per  attentarle un agguato alle sue spalle.
Un’ora prima si sentiva abbastanza in forze per andare al bagno, sciacquarsi la faccia e, magari, camminare intorno alla stanza alla ricerca di qualche coperta più pesante, due ore più tardi cominciavano i dolori lancinanti alla testa a furia di starnutire come una forsennata e se tutto andava bene, riusciva a bere un bicchiere di acqua, seppur in piccole sorsate; e quelle dopo ancora, si sentiva ancora peggio: non solo iniziava a farneticare nel sonno, ma faceva fatica persino ad alzare la testa dannandosi quanto fosse pesante quanto un cumulo di pietra.
Com’era potuto succedere?
Era perché si era buttata nel fiume per aiutare Hayato e Ray con la battuta di caccia e aveva tenuto a lungo i vestiti bagnati?
Era perché era rimasta fuori troppo a lungo in esplorazione con gli altri ragazzi di Goldy Pond e, di conseguenza, aveva preso freddo?
Oppure era perché l’orecchio amputato si era infettato di nuovo?
Questo era il dilemma che affliggeva Emma: qualunque cosa avesse fatto in quei giorni, il suo fisico ne stava pagando le conseguenze delle sue azioni.

Fuori dalla porta della sua stanza, sentiva un susseguirsi di passi e sussurri ma la voce del suo migliore amico spiccò in mezzo alle altre, borbottando qualcosa come quanto fosse un inguaribile testona ed incosciente ad ammalarsi proprio quando doveva evitare di fare tanti sforzi, ma di certo non nascose la sua preoccupazione.
Annotò mentalmente di dargli un bel pugno in faccia quando si sarebbe ripresa a dovere dal febbrone.
Questa me la paghi, stupido di un Ray, pensò lei.
Riconobbe anche le voci di Gilda e Don mentre parlavano con Ray per come gestire la situazione al Rifugio, le escursioni all’esterno e a un possibile ritrovamento di altri bambini dei quattro stabilimenti.
Aveva teso all’unico orecchio sano per ascoltare un minimo la loro conversazione, scostando qualche ciocca ribelle dei suoi capelli rossi, che stavano iniziando a crescere e sfioravano dolcemente le spalle magre e bianche, ma sentiva a malapena il loro discorso visto il tono basso.

Ah, se solo non si fosse tagliata l’orecchio per evadere da Grace Field con tutta la sua famiglia e ingannare la Mamma, Emma avrebbe potuto sentire con entrambe le orecchie.

-“Ad ogni modo, l’avete sentita Anna, no? Deve stare in assoluto riposo, nessuno può entrare in camera sua se non lei… Mi raccomando, occhi aperti.”

-“Cosa facciamo se… insomma, lo viene a sapere? Come minimo tenterà di entrare dentro per vederla.”

-“Di questo, non ti devi preoccupare Don. A lui ci penso io.”

Inarcò un sopraciglio dubbiosa.
Stavano forse parlando del piccolo Phil?
O era Chris?

Chi poteva mai essere?

Si rimise nuovamente in ascolto, desiderosa di poter scoprire altre informazioni utili sulla loro conversazione, ma l’unica cosa che sentì fu lo scricchiolio della moquette e un infrangersi di passi in lontananza, segno che avevano concluso giusto un paio di minuti la loro riunione.
Con grande disappunto per la sottoscritta, dovette arrendersi all’idea di seguirli fuori dalla sua stanza, se ci avesse anche solo provato, le aspettavano brutte conseguenze.
Come la tirata di orecchie  ferrea di Gilda oppure un bel pugno testato di Ray sulla sua testa, doveva sperare che Don lo tenesse calmo sennò ci andava con la mano pesante.
Le vennero i brividi dietro la schiena, ma non per il freddo.

-“No no no, per stavolta passo.”

Si rannicchiò in un angolo nel letto e come si mise alle spalle della porta strinse forte le coperte, salendole su, fino a coprire la bocca rosea.
Gli occhi verdi guardavano quasi assenti la tenue luce del giorno che filtrava  da una finestra poco distante da lei, la sua pelle stava iniziando ad imporporarsi poco a poco e in quel momento la stanchezza stava avendo la meglio su di lei.
Doveva chiudere gli occhi e riposare, ma la sua mente che viaggiava verso l’infinito ed oltre la teneva sveglia e con gli occhi vigili.

Era facile a dirsi che a farsi.
Sbuffò.

Poi venne invasa da un dubbio esistenziale, uno di quelli che forse non si aspettava di pensare ma che nel profondo l’avrebbero sconvolta interiormente.
Sobbalzò sul posto, stringendo entrambe le mani al petto come per proteggersi da qualsiasi pericolo le si presentasse davanti.
E se Ray si riferisse a lui?
Possibile che avrebbe infranto quella regola solo per vederla?
Aveva il vago sospetto che il corvino si stesse riferendo a una persona che conosceva fin troppo bene, ma quando provò a pensare a mente lucida su chi poteva essere il visitatore a sorpresa, un forte attacco di emicrania la colpì in pieno, proprio all’altezza delle tempie e al profilo degli occhi.

Gemette appena per il dolore.

-“Non voglio rimanere bloccata nel letto per sempre… vedi di passare in fretta, stupida influenza.”

Borbottando qualche imprecazione colorita, chiuse definitamente gli occhi e lasciò che Morfeo la portasse con se in un lungo sonno senza sogni, sperando di non ricevere altri brutti risvegli.

 

Dopo varie ore più tardi, al suo risveglio Emma si sentiva ancora un po’ spossata, ma fortunatamente aveva dormito come un ghiro e nessuno l’aveva disturbata durante il sonno.

O meglio, voleva credere che nessuno fosse entrato nella sua stanza.

Non si sentiva ancora tanto bene per poter alzarsi dal letto, ma almeno la testa non le faceva male quando provò ad aprire lentamente gli occhi, di questo ne fu rincuorata.
Eppure, anche se non sapeva spiegarselo, sentiva che c’era qualcosa d’insolito.
Si guardò attorno assottigliando le iridi verdi, circospetta.
La stanza sembrava intatta al primo impatto, i mobili erano sempre gli stessi, la tenda vicino alla finestra era ancora bianca e le piantine poste proprio all’altezza della sua scrivania erano sempreverdi; non c’era niente fuori posto, a parte il vassoio con sopra una grossa scodella di ceramica, avvolta da un panno scuro, e un cucchiaio di legno posto proprio vicino al comodino del suo letto.
Incuriosita, tese la mano su quel tessuto tirandone leggermente il lembo e come sbirciò il suo contenuto, venne invasa dal buon profumo della minestra calda di verdure e sentiva pure un leggero odore di menta.
Non fece nemmeno in tempo a dire “sembra avere un bell’aspetto” che il suo stomaco brontolò, così rumorosamente che temette per un attimo qualcuno l’avesse sentita.

Sorrise divertita.

Era certa che Ray avesse dato una mano ad Anna per prepararle la minestra, solo lui poteva mettere le mani su una ricetta appetitosa quanto gratificante.
A causa dell’influenza, non mangiava già da due giorni e ora si sentiva talmente affamata che avrebbe mangiato, più che volentieri, la scodella e il vassoio.
Annotò mentalmente di ringraziare sia la gentilezza della sua amica a prendersi cura di lei e la premura di quello scemo del suo migliore amico per la minestra.

-“Meglio che mangio subito, prima che si raffreddi… ho veramente tanta fame.”

Mugolando debolmente, stropicciò le palpebre con la manica bianco-arancio del pigiama alzandosi poi con la schiena fino a poggiarsi sullo schienale del letto.
Come mise a fuoco l’immagine davanti a se, notò qualcosa al fianco del cuscino.

Un bicchiere.

-“E questo da dove spunta fuori?”

Strano, non ricordava di averlo lasciato proprio lì, vicino al letto, non aveva nemmeno bevuto niente prima di coricarsi.
Magari qualcuno era entrato dentro la camera e avrà voluto lasciarle questo bicchiere, non sapeva se fosse uno scherzo di uno dei bambini più piccoli, ma non sapeva neppure chi fosse entrato quando dormiva profondamente.
Si girò su un fianco e con delicatezza prese quell’oggetto singolare, rigirandoselo fra le sue mani incuriosita.
Sembrava un normalissimo bicchiere di carta, dalla lieve forma cilindrica, e aveva una superficie bianca e liscia; non aveva niente di strano finché non notò un altro piccolo dettaglio.
Attaccato al fondo del bicchiere, c’era un lungo filo scuro, finissimo come lo spago, e andava a prolungarsi per qualche metro quadrato della sua stanza, più precisamente sotto lo stipite della porta.

Aveva la sensazione di aver già visto uno scenario del genere, come se l’avesse vissuto in prima persona.

Senza che se ne rendesse conto, portò delicatamente il telefono all’unico orecchio sano e nel fare quel movimento, lo spago divenne teso come la corda di un violino.
Fu allora che sentì una voce.

-“Hey, Emma, riesci a sentirmi?

Sgranò gli occhi sorpresa.

Poteva riconoscere la sua voce ad occhi chiusi.

“Norman…”

Sistemandosi meglio tra le coperte affinché le coprissero le spalle, ci mise un po’ di tempo a rispondere, ma come armeggiò meglio con il bicchiere lo avvicinò dritto alle labbra che, in quel momento, si erano arcuate in un gran sorriso.
Era talmente felice di sentire la sua voce che non si accorse nemmeno di essere arrossita quanto le punte dei suoi capelli.

-“Mhm, forte e chiaro!”

-“Come ti senti? Stai un po’ meglio?”

-“Rispetto a prima, sì, faccio ancora un po’ fatica ad alzarmi per andare al bagno… ma per il resto, tra emicranie e mancanza di appetito, va tutto bene.”

-“Capisco… Ho saputo solo adesso cosa ti fosse successo…. Avrei voluto  vederti, ma sia Anna che gli altri ragazzi mi hanno impedito di entrare… sai, per la questione che sono cagionevole di salute.”

Sobbalzò sul posto quando il ragazzo incalzò con le parole “avrei voluto vederti”, ignorando completamente sia il suo sospiro stanco e il tremore a una delle sue mani.
Ci teneva davvero così tanto a vederla?
Strinse forte il bicchiere.

Cos’era quella strana sensazione che sentiva nella pancia, facendola provare non solo i brividi, ma anche farle rizzare ogni ciocca dei suoi capelli?
Centrava, forse, la febbre?
Non era molto sicura a riguardo.

Era talmente sovrappensiero che rispose in ritardo ad una domanda che gli fece l’albino, incespicando tra una parola e un’altra.

-“Io… non ne ho la più pallida idea, onestamente…
C-Cioè, ho fatto tante cose ultimamente, eppure ero sicurissima che non avrei mai preso l’influenza.”

-“Dovevi fare attenzione, Emma. Sarai anche forte e tutto, ma anche il tuo corpo ha dei limiti… dii la verità: l’ultima uscita di caccia con Ray e Don, hai ignorato i primi sintomi?
Certo che tu...

A sentire quel commento, gonfiò le guance paonazza e in un momento di puro nervosismo, gli fece una linguaccia conscia che non potesse vederla.
Adesso ci mancava che pure l’albino gli facesse la paternale.
Sospirò.

Ora penserà che sono una bambina irresponsabile, pensò la rossa.

Questo sì che era imbarazzante.
Alzò la voce di un ottava, inconsapevole che stesse perforando tremendamente uno dei timpani dell’albino, visto quanta enfasi ci stesse mettendo a spiegare la situazione.

-“Andiamo, Norman ma da che parte stai?! Tu che ci sei già passato, dovresti capirmi più di chiunque altro!
Ho già ricevuto tanti discorsi minatori da quello scemo di Ray e Gilda ha gridato così forte che temevo di diventare sorda. Menomale che Anna mi ha preso sotto la sua ala protettiva: è un angelo sceso in terra, si sta impegnando  con tutta se stessa a guarirmi… però è una gran seccatura stare chiusa qui dentro tutta sola.
Mi sto annoiando a morte, uffa!”

Ci fu un silenzio di tomba per un secondo poi, seppure debole, sentì alcuni versi strozzati provenire dall’altra parte della porta; tese l’orecchio sul bicchiere che possedeva e constatò che dal lato opposto aveva giurato di aver sentito un rombo lento ma ben scandito.
Arcuò un sopraciglio perplessa.
Non fece nemmeno in tempo a domandargli cosa stesse facendo che la risata di Norman le fece venire i brividi dietro la schiena.

-“N-Norman?”

Non poteva vederlo, ma nella sua mente era chiara e cristallina l’immagine di lui che si teneva la vita, con le braccia, per non ridere sguaiatamente, il viso diventare man mano rosso e il sorriso illuminarsi sempre di bianco.
Per non parlare del suo profilo delineato seppur delicato, nonostante fosse dannatamente alto, e il pomo d’adamo leggermente sporgente alla gola.
A quel miraggio effimero, arrossì vistosamente ed era sicura che non era la febbre a farle quello strano effetto.
Accidenti a lui, come faceva ad avere una risata così bella e composta?

“Non credo di sentirmi bene… fortuna che sono già a letto, mi sono risparmiata una brutta caduta.”

Scosse energicamente il capo.
Calmati, lui non può vederti, pensò Emma.

-“Perdonami, non ho potuto fare a meno di pensare quanto tu riesca ad essere così… energica anche in queste condizioni. Sei davvero incredibile, sai?”

La rossa ridacchiò piano.

“Dovrei… prenderlo come un complimento?”

Posizionò meglio le coperte intorno alle spalle, avvolgendo anche la testa, percependo già i brividi di freddo penetrarle fin sotto la pelle.
Sospirò un po’ seccata all’idea di trascorrere un’altra giornata con la febbre alta, chiusa ancora in camera sua, pregando interiormente che il ragazzo non se ne andasse via.

-“Hey, Norman… ti volevo chiedere… s-sì, insomma, tu…”

-“Stai tranquilla, non ti lascio sola.”

-“Cos- davvero?”

-“Mhm, rimarrò qui con te… anche tutta la notte, se necessario.”

Un grande sorriso illuminò il viso della giovine, ormai imporporato fin sopra le orecchie.
Temeva di passare la giornata chiusa in camera senza che nessuno la andasse a trovare; tuttavia, la fortuna ha voluto che ci fosse Norman a farle compagnia, con il telefono a spago, durante questa quarantena.







Angolo dell'autor*!

Sono riuscit* ad aggiornare la raccolta, che bellezza-
E' stato inusuale vedere una Emma, sempre energica e piena di positività, combattere contro l'influenza e bisticciare di tanto in tanto con la scatola dei fazzoletti... ma ammetto di essermi divertit* un po' a scriverla :"D
Fluff a parte, la scena del telefono a spago vi ricorda qualcosa???
Ah, che bello fare i parallelismi-
Ora, penso che sia doveroso darvi una spiegazione sulla presenza del nostro carissimo e preziosissimo Phil ehehhe
Durante la trascrizione della one-shot, ho voluto dare un interpretazione "diversa" ad un avvenimento che succede nel manga, ovvero di quando Emma, Ray, il resto della famiglia e i ragazzi di Goldy Pond trascorrono il loro soggiorno al Rifugio/aka Il paradiso dei bambini e lì troviamo Norman e la sua Squad: composti da Vincent, Ciclo, Barbara e Zazie (che, a proposito, spero di poterli trattare/includerli in alcune scene importanti nella raccolta perchè diciamocelo, sono una squadra affiatatissima)
Visto che, secondo l'ordine cronologico della serie di TPN, Phil si ricongiunge con gli altri ragazzi nei capitoli più avanti, ho voluto includerlo nel gruppo dei fuggitivi dalla fattoria di Grace Field; in poche parole, questa one-shot  è stata concepita come "What If?"
Forse, in futuro, ci sarà un seguito di questa one-shot e Phil giocherà un ruolo "importante" nel rapporto di Norman ed Emma... chissà, mai dire mai-
Spero che abbiate goduto la lettura e, se vi va, lasciare una recensione se vi è piaciuta e volete esprimere un parere a riguardo.
(Se volete farmi notare gli errori grammaticali, mi date una mano così potrò mostrarli alla Beta un giorno, con il contest finito)
E nulla, ho detto quello che volevo dire.
Alla prossima,
Artemìs
   
 
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