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Autore: MauraLCohen    06/11/2020    1 recensioni
[Raccolta di flashfic]
Sandy e Kirsten a Berkeley.
Momenti importanti della loro storia, della loro quotidianità, prima di Newport.
Genere: Erotico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kirsten Cohen, Sandy Cohen
Note: Lime, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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La seguente One Shot ha partecipato al Fall Event del gruppo Facebook We are out for prompt. 
Il prompt è di Lucilla Incarbone, che ringrazio.

Testo del prompt: "Indossiamo tutti delle maschere, e arriva un momento in cui non possiamo toglierle senza toglierci la pelle."



Maschere calate 


Giovedì era sinonimo di grandi feste nei dormitori della UC Berkeley. Per i corridoi l’inconfondibile e nauseabondo odore di erba e birra scadenti si propagava impietoso, attaccandosi alla moquette e ai vestiti di chiunque passasse di lì. Anche la musica diventava presto udibile, bastava aspettare che il sole calasse e che le prime ragazze bussassero alla porta. In fondo, a che serviva ballare se non c’erano belle ragazze con cui farlo? 
Questa era la filosofia dei maschietti, soprattutto dei più grandi, e per molto tempo, era stata anche quella di Sandy Cohen, che di festa non ne perdeva una. 
Per la gioia delle ragazze, avrebbe aggiunto Paul, rischiando di cadere dalla sedia per le troppe risate (come spesso succedeva). 
Ma da qualche tempo, ormai, il giovane e aitante Sandy Cohen si vedeva sempre meno appoggiato al banco di qualche cucinino, intento a riempire i bicchieri di birra di tutte le ragazzette in minigonna che gli si avvicinavano: il modo migliore per attaccare bottone, pensava, e aveva ragione. Quante conquiste aveva fatto così: un sorriso spavaldo, due moine da niente e qualche bicchiere buttato giù senza neanche respirare. Tutte cose che, ormai, gli sembravano così sopravvalutate da quando aveva conosciuto Kirsten Nichol.
Uscivano insieme da due mesi e lui era certo che non si era mai sento così per nessuna prima d’ora. Kirsten aveva il potere di teletrasportarlo in un altro mondo, lontano da tutto e tutti, e in cui l’unica cosa che contava erano loro due. 
Si sentiva stordito, ogni volta che ci pensava: se gli avessero detto solo qualche mese prima che si sarebbe ritrovato completamente perso per una ragazza bionda, presbiteriana e ricchissima, avrebbe riso in faccia al suo interlocutore. Quello, decisamente, non era il suo tipo. Eppure Kirsten ai suoi occhi sembrava talmente perfetta, che faticava a ricordare come fosse la sua vita prima di averla con sé. Erano perfetti insieme, al di là di tutto quello che le persone potevano dire o pensare. Loro stavano bene, si divertivano, ridevano e giocavano come bambini, e parlavano... Parlavano tanto. Sandy, a volte, si rendeva conto di averle confessato segreti che prima d’allora non aveva mai avuto il coraggio di rivelare a nessuno solo dopo che le sua voce si perdeva nell’aria. E si era reso conto, tra le altre cose, che avrebbe potuto rimanere ad ascoltare lei per ore e ore senza mai stancarsi: guardava muovere quelle labbra sottili e rosate, che lui aveva la possibilità di assaggiare ogni volta che lo desiderasse, mentre davano vita ad ogni suo pensiero, svelandogli man mano sfumature di lei che gliela facevano amare ancora di più. 
Aveva una mente bellissima, Kirsten. Questo Sandy lo aveva capito già dal loro primo caffè. Nonostante fosse cresciuta in un ambiente spocchioso, arido e  superficiale, lei non si era fatta corrompere: studiava a Berkeley perché voleva essere qualcosa di più di un cognome altisonante; beveva birra scadente ed era sempre gentile e disponibile con tutti, anche con chi non se lo meritava. Poi era intelligentissima, ma non quell’intelligenza pesante, artificiosa, che ha chi non ha mai alzato il naso da un libro. Lei aveva un mondo dentro alla testa, fatto di arte, di bellezza, e di ragionamenti complessi che, di tanto in tanto, gli esternava con un’espressione talmente buffa sul viso, che lui non riusciva a trattenersi dal portarle le mani sulle guance per avvicinarla a sé e baciarla. 
Si era ritrovato smarrito, nella sua bellezza, e nemmeno se n’era accorto. 
Ed era proprio per questo motivo che, quel giovedì, Sandy Cohen era sì, in piedi davanti ad una porta, ma ad aprirgli non stava andando qualche suo amico, pronto a far baldoria; tutt’altro, quando la porta si aprì: il profumo delicato di vaniglia di Kirsten gli invase i sensi, provocando in lui un sorriso spontaneo, a cui lei rispose immediatamente. 
Ecco, il sorriso. Quella era un’altra sua caratteristica che gli aveva fatto perdere la testa. Non esagerava quando diceva che qualcosa di così meraviglioso, non l’aveva mai visto. Il sorriso di Kirsten era magico, innocente e aveva il potere di renderla ancora più bella, quando esplodeva all’improvviso sul suo viso, facendole brillare le iridi azzurre come il mare. 
Ed era bastata quella dolce curva rosata a fargli andare il respiro di traverso. 
Si concesse di guardarla ancora un secondo: indossava una canotta leggera, verde pastello, che le lasciva scoperte le spalle, evidenziando i suoi seni piccoli e sodi e i fianchi sottili; aveva abbinato quell’indumento leggero ad un paio di pantaloni bianchi, fini ed elastici: perfetti per stare in casa. 
E aveva i capelli legati, Sandy lo notò subito, perché i suoi occhi faticavano a staccarsi da quel collo invitante, a cui dopo, con la scusa di farle il solletico, mentre ridevano, si sarebbe dedicato per bene. 

« Ehi! » Lo accolse con un bacio innocente sulla guancia, che lui sfruttò per respirare meglio quel profumo che aveva il potere di stravolgere completamente una brutta giornata. 

« Ehi » le mormorò, contro la guancia. « Guarda che ti ho portato » aggiunse, alzando una busta color cartone che rimaneva perfettamente rigida ai lati. Sul fronte, scritto in rosso, si leggeva a chiare lettere: Shen Hua. Un ritornare cinese che aveva aperto da poco ma di cui lei già andava matta. Amava la cucina cinese, ma a Newport non la mangiava spesso perché il padre la detestava. “Non sa di niente e rischi pure di ammalarti.” Kirsten glielo aveva raccontato, camuffando la voce di Caleb. Così a Berkeley si sbizzarriva, sperimentando tutto quello che la incuriosiva. 
Ogni tanto, pensando a questo, la vocina nella sua testa lo portava a chiedersi se anche lui fosse solo un esperimento, qualcosa di cui era curiosa, ma poi lei si addormentava con il viso sul suo petto e lo abbracciava, inconsciamente, mugugnando qualcosa che Sandy proprio non riusciva a decifrare. Poco importava, però, perché quando lo faceva, lui riusciva a percepire la serenità e la fiducia che lei provava tra le sue braccia. 

« Mmh! Sei il mio eroe. Sto morendo di fame! » gli disse, prendendogli la mano per trascinarlo con sé sul letto, dove si sedette all’Indiana, sistemando la busta piena di delizie tra le sue gambe. 

Sandy le si sedette accanto, lasciandosi cadere all’indietro, con la testa sul cuscino. « Come sei messa? Ti senti pronta per domani? » 

« Mica tanto » rispose lei, tirando fuori un contenitore d’allumino che sapeva di aceto e carne. Glielo porse, prendendone un altro per sé. 

« Ho finito di ripetere tutta la prima parte, ma mi manca da ripetere ancora tutta Archeologia moderna e devo rivedere un capitolo, perché non l’ho capito benissimo. Dio... » Stava iniziando ad entrare in crisi, spaventata dall’idea di non eccellere come sempre. 
Era testarda, decisa ed anche tremendamente competitiva, proprio come lui. 

« Andrai alla grande, come sempre » la rassicurò, girandosi su un fianco e sorreggendo la testa con una mano, mentre con l’altra prendeva le bacchette. « Hai studiato tanto queste ultime due settimane, ora sei solo agitata, ma domani ti tornerà tutto alla mente. Già lo vedo quel vecchio bavoso del tuo professore che ti guarda incantato dalla tua precisione. »

« Geloso? » ridacchiò lei, facendo sorridere anche lui. 

« Oh sì, anche io vorrei far innamorare quel vecchiaccio parlando di Architettura Moderna. » Lo disse improvvisando un’espressione sofferente, che la fece scoppiare a ridere. 

« Quanto sei scemo! » esclamò, accompagnando quella frase con un colpo leggero sul braccio. 

Passarono così le successive due ore: sgranocchiando qualsiasi cosa la busta avesse da offrire e ridendo di tanto in tanto delle cavolate che Kirsten diceva cercando di ricordane cognomi impossibili da pronunciare. Si erano messi comodi, nel frattempo: Sandy stava seduto con la schiena poggiata alla spalliera, mentre lei si era accoccolata tra le sue gambe, usando il petto di Sandy come schienale. Teneva gli appunti e l’enorme libro che sapeva d’antico davanti a sé e Sandy, che aveva le braccia avvolte alla sua vita,  girava pagina ogni volta che lei terminava di ripeterne una. 
Di tanto in tanto le posava qualche bacio innocente sul collo, giusto per convincerla a distrarsi per qualche manciata di minuti e dedicarsi solo a lui. A volte era geloso di quei libri e del modo in cui la rapivano, ma poi lei si voltava e sfiorandogli le labbra riusciva a fargli dimenticare tutto.

Sbuffando, Kirsten si portò entrambi i palmi delle mani sugli occhi, cercando di alleviare la tensione che sentiva tirarle la testa. 

« Dio! Non ce la faccio più » disse, poggiandosi nuovamente al petto di Sandy, che subito la avvolse in un abbraccio. 

« Perché non fai una pausa? Sei preparatissima, anche più di chi ti farà l’esame domani » le suggerì lui, avvicinandogli la bocca all’orecchio, prima di baciarle una guancia. 

« Mmh! » Lei lo accolse di buon grado, stringendosi a lui per sentire ancora meglio il contatto delle sue labbra sulla pelle. « Non ti annoi stando qui a guardami studiare? Helen mi ha detto che lei e Paul dovevano andare ad una festa. Se vuoi raggiungerli non c’è problema. »

Ma lui non si mosse da dov’era, continuando a baciarla sul collo, dietro l’orecchio, mentre le accarezzava il ventre con un due dita. 

« Non mi diverto senza di te » le sussurrò, mordicchiandole il lobo. « E poi, non potrei mai lasciarti da sola ad impazzire su un libro. »

Sandy pensava ogni parola che le stava dicendo e sperava che, questo, Kirsten potesse sentirlo dalla sua voce. Voleva che capisse che lui era lì con lei e che ci sarebbe stato sempre, non importava che fosse per un esame o perché aveva bisogno di qualcuno accanto che la sorreggesse quando da sola non ce la faceva. Lui era lì e non aveva alcuna intenzione di andarsene. 

« Lo sai? Sei incredibile » gli mormorò, girandosi verso di lui senza sciogliersi dalla sua presa.

Continuava a guardarlo negli occhi, cercando di penetrare in quelle meravigliose iridi blu come il cielo d’estate, nella speranza di riuscire a leggere quei preziosi pensieri che la sua mente celava. Kirsten non si era mai sentita così con nessuno: era innamorata. E per la prima volta in vita sua ne era sicura. Sentiva le farfalle nello stomaco ogni volta che lui la guarda; aveva voglia di vederlo ad ogni ora del giorno e desiderava averlo con sé ogni notte. Amava ogni cosa di Sandy Cohen: quel sorriso sornione con cui la puzzenchiava, la chioma ribelle che le solleticava il viso quando dormivano insieme, ma soprattutto amava ciò che la sua testa nascondeva al mondo e che lui aveva iniziato a svelarle piano piano. A volte passavano le giornate distesi sul letto, l’uno nelle braccia dell’altro, a non fare assolutamente nulla. 
Ridevano e giocavano come bambini, si rubavano baci, carezze, senza aspettarsi nulla dopo. Ma soprattutto parlavano. Parlavano di tante cose. Sandy le raccontava della sua vita a New York, di come fosse stata o difficile arrivare fin lì e di quanto l’assenza del padre e la freddezza della madre continuassero a ferirlo; lei lo ascoltava senza perdersi una parola, ammirando la forza e la determinazione con cui aveva saputo prendere la vita di petto per realizzare i suoi sogni. Parlavano anche del futuro e di come Sandy volesse cambiare il mondo è aiutare i più deboli. 

“Voglio fare qualcosa che aiuti davvero le persone. Voglio poter fare la differenza per chi è solo.” Diceva così, lui, mentre le prendeva le mani e allacciava le loro dita insieme. E lei moriva, ogni volta. Moriva per quella caparbietà, per quella passione che i suoi occhi le trasmettevano. 

« Ti amo. » Quelle parole le scapparono dalla bocca con così tanta naturalezza che quasi credette di non averle dette. Ma lo aveva fatto. E poteva vederlo chiaramente sul viso di Sandy, che sorrideva, impietrito e incapace di pensare. 

Per un attimo Kirsten ebbe paura di ave rovinato tutto, di averlo detto troppo presto; ma più di tutto aveva paura che lui non rispondesse, che se ne andasse. 

Stava per rimangiartelo, dunque, ma lui le prese le spalle con entrambe le mani e la tirò su, fino ad avere il suo viso a pochi centimetri dal proprio. 

« Erano mesi che volevo dirtelo. Mesi che lo sento dentro e che cerco di dimostrartelo, senza poterlo dire ad alta voce per paura di spaventarti. » Gli occhi gli divennero lucidi. « Ti amo anch’io. Ti amo così tanto. È qualcosa che non ho mai provato prima, con nessuna. »

Kirsten non riusciva più a respirare, sentiva le fitte allo stomaco e il cuore battere all’’impazzata nel petto. Stava rischiando che le esplodesse, ma non le importava. Era felice. Felice come non lo era mai stata in vita sua. 

Sandy Cohen l’amava. E la guardava, la guardava con quegli occhi blu in cui lei voleva perdersi per sempre. Gli prese il viso tra le mani, schiudendo le labbra per accogliere il suo labbro inferiore. Lo bacio piano, lo assaporò, mordicchiandolo, succhiandolo, tirandolo a sé. 
Iniziò a muoversi piano, su di lui, incerta di cosa stesse facendo, di dove volesse arrivare, ma era certa che quella notte non voleva che Sandy se ne andasse. 

« Ti amo » continuava a ripetergli, a fior di labbra, tra un bacio e l’altro, e Sandy rispondeva ogni volta, lasciandole mantenere il controllo. Era lei doveva dirigere le danze, dare il ritmo al loro gioco, e lui avrebbe accettato qualsiasi cosa, nonostante ogni centimetro del suo corpo gli stava gridando di intrappolarla sotto di lui, contro il letto, per esplorare il sapore di quella pelle diafana e raggiungere finalmente quel piacere che agognava da mesi.
Sandy sentì le labbra di Kirsten abbandonare le sue, per scendere sul suo collo. Le sue mani erano scivolate sotto la t-shit che lui aveva scelto con cura prima di uscire, accarezzandogli il petto villoso e scolpito da anni di surf all’alba. Con un gesto fluido gliela sfilò facendola passare dalla testa e subito la tirò lontano, senza prestare attenzione a dove andasse a finire. 
Lui la guardò estasiato, prendendole il viso tra le mani per tornare a baciarla. « Sei sicura di volerlo fare? » le chiese, ribaltando la situazione con un abile colpo d’anche. Lei scoppiò a ridere. « Possiamo aspettare ancora. »

« Sandy, non voglio più aspettare. » Nella sua voce non c’erano tracce di esitazione, così come nei suoi occhi, e questo lo rassicurò, facendogli comparire un sorriso furbetto sul viso. Le diede un bacio sul collo, poi un altro nell’incasso dei seni, scostandole la maglia col mento. 
Lei reclinò il capo sul cuscino, lasciandosi scappare un sussulto. Aveva atteso quel momento per così tanti mesi, rimanendo a sbirciare Sandy di nascosto mentre si preparava per andare a fare surf o mentre studiava quell’enorme manuale di diritto privato, con una penna intrappolata tra le labbra e i capelli disordinati. Era tutto diverso, con lui. Tutto nuovo. E quella notte, mentre le sfilava i vestiti, ripetendole quanto l’amava, Sandy fece molto più: le tolse una ad una, tutte le maschere che Newport l’aveva costretta ad indossare, fino a creare una seconda pelle, di cui ora, finalmente, poteva liberarsi.
   
 
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